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Full text of "Tito Lucrezio Caro. Della natura delle cose libri sei;"

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L' ENEIDE 


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VIRGILIO 


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L'ENEIDE 


DI 


VIRGILIO 


TRADOTTA  DA 

ANNIBAL  CARO 

CON  CENNI  INTORNO  ALL'AUTORE  ED  AL  TRADUTTORE 

ED  UN'APPENDICE 

contenente  i  gìudi;g  di  P.  J.  PROUDHON  e  di  E.  BENOIST 

sopra.    L*  BNEIDB5 

E 


PER    BARTOLOMEO    CARACCIOLO 
antieo  cromista  napoUiano 


ITohinie  anieow 


MILiANO 

EDOARDO  SONZOGNO,  EDITORE 


Cui  tipi  dt  iilWJAHDO  SONZOGNO,  a  Miluuu. 
(3.»  Kdizìone  atcrcotipa.) 


INTRODUZIONE 


^  .<  COM. 
i»bpr£MB&R1923 


Il  Caro  e  Virgilio. 

PuBLius  ViRGn.ius,  0  piuttosto  Yehgilils  Maro,  nnrqne  il 
15  ottobre  dell'anno  684  dopo  la  fondazione  di  Roma  (70  a.  C.) 
in  Andes,  villaggio  del  territorio  di  Mantova  posto  sulle  rivo  del 
Mincio,  e  che  oggi  si  chiama  Pietola.  —  Annibal  Caro  nacque 
nel  1507  '  a  Civitanova.  terra  della  Marca  d'Ancona,  e  non  in 
San  .'.I  art  ingallo,  terra  aella  medesima  Marca,  siccome  voleva  il 
Castclvotro. 

Virgilio,  secondo  Topinione  più  probabile,  fu  figlio  d'un  lavo- 
ratore clic  teneva  a  fitto  i  poderi  di  un  ricco  proprietario  di 
,  campa^iar,  al  quale  venne  tanto  in  grado,  che  n  ebbe  in  moglie 
la  figlia.  L'avolo  si  chiamava  Ms^ius  e  la  madre  Maia  o  Ma^ia 
Polla:  e  certo  da  questi  nomi  ebbero  origine  le  tradizioni  biz- 
zarre che  nel  medio  evo  corsero  in  tomo  alla  vita  di  lui  K  Ebb-i 
due  fratelli.  Sileno  e  Placco  :  l'uno  morto  in  tenera  età,  e  l'a-  ;  j 
giovane  fatto.  —  B  Caro  ebbe  a  madre  Celanzia  di  Mar:  tto 
Centofiorini,  casato  di  qualche  nobiltà,  e  due  fratelli,  Ealio  e 
Giovanni. 

Virgilio  stette  in  casa  fino  a  sette  anni,  poi  andò  a  Cremona 
a  far\i  i  primi  studj.  A  sedici  anni  (55  a.  CI.)  prese  la  toga  viriloi 
il  giorno  stesso,  secondo  Donato,  in  cui  moriva  Lucrezio.  Da  Cre- 
mona passò  a  i^Iilano  e  dipoi  a  Napoli  col  fine  di  perfezionarsi 
nel  gTfCn  e  nelle»  scienze,  specialmente  nella  filosofia  e  nelLi  fisica, 
alle  quali  fino  da  giovanetto  mostrò  grande  amore  e  attitudine^ 

1  8criv4«va  il  Curo  al  Rii«?celli  il  6  gennajo  1549  a  proposito  dei  critici 
di  un  suo  Fonetto  :  «  Tal  moìh  mi  dessero  quel  50  anni ,  che  mi  vogliono 
caricare  addos^rt  a  mio  dispetto.  Qiipsto  si  sar(>ì)be  altro  che  un  Latin  falso. 
Levatemeffli  d*  attorno  di  grazia,  die  io  non  gli  voglio  aver  per  niente. 
Nacqui  nel  7  e  .son  giunto  u  quolPanUi  che  tutta  notte  canta  ed  un  da  van- 
taggio se  ne  fb  lor  piacere.» 

2  Fon  tante  e  si  «MiriojHB  eh-  stancarono  molte  penne;  e  il  meglio  fti 
ticcolto  nel  ricco  libro  di  Domenico  Comparctti:  Virgilio  nel  Medio  Evo, 
Uvono,  2  voi.,  1872.  —  Vedi  anche  la  nota  /  airarticolo  Virgile  in  Baylb. 


6  INTIt')Dl)Z10NB 

Ebbe  a  maestro  in  tilosofia  Sirono,  sogaaco  d'Epicuro.  Hi  <iisiiuta 
£d  seguisse  specisluKititt)  quella  etitta,  n  raccadi'Uiioa  o  la  Htuìca. 
.N,  Di  tutte  qneistt)  filosofie  vi  sono  vostigi  ilo'  suoi  Kurittt,  uia  6 
'.  probabile  che ,  couie  urazio .  egli  i(ceglii<s.-4;  il  buouo  da  tutti , 
'  seuza  legarsi  al  capestro  di  iieytiULa  scuuin.  Altro  sao  maostro 
fu  il  grammatico  greco  Furtcnio,  poeta  nncirL^gli.  u  alla  sua  guida 
couiiiiuiò  ad  iniziarai  alla  (-«nusceiiza  dellu  li.<g.i;<:iide  oiitolui^idio, 
cb'pgli  mostra  avere  Eludiate  profondali i ente  in  tutti  ì  più  mi- 
nuti pai'Uculari.  —  Do'  primi  studj  dol  Cam  non  si  trova  nulla 
dì  certo;  si  trova  beuu  olio  egli,  costretto  da  povertà,  si  dosso 
ad  insegnare  le  prime  luitorn  ai  fanciulli,  e  fosi>o  uiacstco  a  Fi- 
ronzo  de'  figli  e  nipoti  di  Luigi  Uaddi.  .  . 

Sono  continui  i  suoi  lamenti  di  non  polem  studiare  a  di- 
lungo un  pajo  d'anni  a  suo  modo;  "  invidiava  Paolo  Manuzio, 
elle  sepolto  nella  Biblioteca  di  Cesena ,  tÌ  domava  i  Cerberi,  le 
Chimere  e  gli  altri  mostri  della  lingua  latina.  Tuttavia  potè  in- 
tendere a  raccotg'liere  od  ilhi.itrare  ineda)i;lie^  e  darui  altresì  alla 
zoologia,  studiando  o  tradurendo  la  S'^iria  drgli  AiùhuUÌ  di 
Aristitilc.  Scriveva  al  Manuzio  a  Venezia: 

«Quulcapriccio  della  lira  passò  via,  ma  quello  do'pesci  mi  dura. 
£  pur  vorrei  mi  faceste  avere  una  nuta  de'  notili  loro,  cioè  d(^U 
antìclii,  0  latini  o  urcci  che  sieno,  confront-uti  co'nostri  d'o^i, 
poiché  costi  sono  alcuni  che  ne  hanno  midta  notizia.  Cqìiì  vorrai 
che  guardaste  nella  libreria  di  San  Marco,  d'un  libro  dove  in- 
tendo che  sono  dipìnti  tutti  gli  animali  di  naturale  e  mi  avvi- 
saste che  cosa  sia;  e  se  por  vostro  mezzo  si  potesse  avere,  tanto 
che  si  copiasse  O  sì  coiiferìsso  con  altre  mìe  fantasie.  > 

Virgilio  fu  spropriato  due  volte  doi  suoi  beni  nel  Mantovano, 
prima  da  un  velorano  de'  soldati  de'Triuuivìri  a'qnali  eran  tuccatl 
terreni  nel  Cremonese.  Malcontenti  di  quanto  avevan  sortito,  a 
non  bene  frenati  da' loro  capi,  invasero  que' luoghi  per  sventura 
Ticini.  Reintegrato  nel  possosso^del  suo ,  ei  ne  cantò  nella  sua 
prima  Egloga  (41  a.  C.}.  Scoppiata  la  guerra  di  Perugia,  e  vinti 
1  partigiani  di  Antonio,  ira' quali  era  Pnllione,  suoprotetti.>re,  neftl 
di  nuovo  turbato  in  una  nunva  divisione  delle  terre  della  Ci- 
Falpina.  Arrio  centurione,  a  cui  era  ti>ccato  il  patrimonio  di 
Virgilio,  lo  volle  uccidere,  e  lo  insegni  con  la  spada  sulle  rivo 
del  Mincio.  Alla  pace  di  Briu^lìsi  nebbo  il  rapitogli.  —  Il  Caro 
ebbe  infinito  briglie  e  liti  nei'  cmito  de'BenefieJ  conferitigli  da' 
suoi  padroni;  e  scampando  ai  PiaC'-iiza  dopo  la  uccisione  di  Pier 
Luigi  Farnese,  al  cui  servizio  sì  tmvava  (1547),  sibbeno  Bernardo 
Spina  gli  avesse  ìmpo;rato  il  ^a^saggio  scuro  a  Parma,  ^li  fn 
ti-nuto  dietro  da  alcuni  cavalli  leggieri,  che  di  poco  il  fallirono, 
perchè  volendo  egli  ripassare  il  Po  a  Brissello  del  Forrureso, 
riparava  di  fuori  nel  convento  dì  San  Cìismondo ,  quando  easi 
alloggiavano  nella  citta  di  Brissello.  Di  là  f-i  ridusse  finalmcota 
oalvo  a  Panna. 

Degli  amori  di  Virgilio  fa  Tarìameute  parlato.  Noi  non  guardo» 


»  •  «^  — ■  ■  — 

jf Zi\  ■  ':\i  lui  f^^'"  il  priin»»  o  irraii  pittore  ilfll;i  m.i  •■■■mi-  «l'auion»,  tk^l 
t>i;: -r-  'li  ^'V •■/  '-.'#■  s''(nr{\'i'  nìtiord.^ff. —  I)rL^li  aijmri  d<»l  C-aro 
e:ti  >i  >:i  nulla  dì  f^Tin-».  Forso  quando  i  Fariii-"^!  lo  maiuluruiio 
L'-ll*'  F::iniìr«^:  amò  una  Catirrina  Ballotta,  alla  qiiaU*  scrivo  a  Urus- 
«t'ili\  raccomaìifljm'ogli  il  Cumm(3nd«>no  y  |>rcK^tn(lola  di  vfrsftrf^ 
su  lui  tutto  l'aniuro  elio  gli  avo  va  già  mostra  t.».  so  punto  gliene 
re?iava. 

Vii  gii  io  fu  caro  ad  Augusto,  a  Polliono,  a  Moconato.  a' grandi 
chf*  amavano  la  poi^sia.  Fu  jimioo  a  Cornelio  Gallo,  a  Vario,  a  riozio 
Tncca.  a  Orazio  e  Vrojiorzio.  —  Il  Caro  fu  carissimo  al  Guidiccioni, 
fa  servitore  di  monsignor  Giovanni  Gaddi,  dri  Farnesi,  od  obbe 
amicissimi  il  Molza,  il  Varchi  '»  i  migliori  lottcrati  dol  suo  t»'mpo. 
—  Vir«rili<>  ebb"  avversi  Bavio,  Movio,  Codro,  Cornificio  Gallo, 
Cinl'r'\  —  Del  Caro  si  può  dire  che  non  avesse  che  un  nemico, 
ma  vaUf  per  millo,  Lodovico  Cast'lvotro 

Virgilio  fu,  cnmp  D;inte,  il  gran  maostro  dol  parlar  proprio. 
Nr-n  v'ha  auton?  latino  più  citato  dai  grammatici.  —  il  Caro 
piacque  per  la  propri f*tii  del  dire  ai  Fiorentini  e  por  la  sua  di- 
sinvoltura a  tutti  er  Italiani. 

Virgilio  fu  d'indole  modesta,  di  carattere  dolce  —  il  Caro 
dic<?va  di  sé  «  eh* era  più  mucia  che  gatta:  di  natura  dolce, 
rir.'.i  d*}inimo.  » 

Virgilio  aveva  un  aspetto  semplice  e  rustico.  —  Il  Caro  non  era 
Wlo;  egli  scriveva  al  Varchi:  «  Il  mio  ritratto  si  fa,  e  si 
manderà  a  M.  Pietro  la  copia  dol  ceffo  solamente:  che  questo 
basta  a  fare  il  paragone  di  questa  parto  tra  me  e  voi;  chò  del 
resto  del  corpo  vi  c«?do ,  perchè  mi  si  dico  che  siete  il  doppio 
di  me.  Ma  erodo  che  Tuno  e  l'altro  faremo  meglio  a  contontarno 
d'ess'T  11  iù  savi  che  belli.  » 

Virgilio  por  condnrre  a  perfeziono  il  suo  poema  deliberò  di  faro 
un  viaggio  di  parecchi  anni  in  Grecia  ed  in  Asia,  ove  si  svolgeva 
la  prima  parte  di  nuella  storia.  Ad  Atene  incontrò  Augusto  elio 
tornava  d  Oriente.  Si  lasciò  indurrò  da  lui  a  tornare  insieiim  in 
Italia.  Era  pia  malato,  e  p<^ggiorò  nel  viaggio.  Mori  sbarcando 
a  Brindisi  il  10  delle  calende  d'ottobre  7:^5  (10  a.  C.)  in  età  di 
cinquantun*  anno.  Il  suo  corpo  fu  portato  a  Napoli  e  sepolto 
sulla  via  di  Pozzuoli.  —  Il  Cam  mori  di  cinquantanovo  anni  il  21 
novembre  1560  in  Roma,  ove  fu  sepolto. 

Era  vicino  alla  morto  e  credeva  star  meglio.  «  Leggo  Qualche 
poco,  egli  scrìvea  il  1.564,  e  non  istudio  nulla.  E  solo  mi  dimeno 
un  pochetto  a  raffazzonar  le  mie  ciarpe ,  dilottandomi  di  veder 
le  molte  fatiche  passata  e  certi  pensieri  che  mi  son  venuti  alle 
rolte,  i  quali  ora  non  riconosco  quasi  per  miei.  E,  quel  che  im- 
porta, mi  pare  d^avor  trovato  l'archimia  di  star  sano.  Dove  oro 
prima  infr-ttisfiimo,  mi  trovo  ora,  a  mio  credere,  dol  tutto  sano.  > 
K  di  c**rti  che  gli  facevano  stentare  una  pensiono,  scrivea: 
e  E  fiate  loro  par  intenderò  liberamente,  che  se  ben  della  vita 
ana  non  mi  dosso  promettere,  se  non  quanto  gli  altri  uominii 


rNTaoDuzi'.)XE 


cho  ci  vivono,  non  ò  port>  ch'io  non  ispori  d'avor  a  riscnotcr  qnella 
pensiono  doirli  anni  più  di  dicci  o  \m  lasciarla  a  «juaìcun  altro.» 

Morì  for.^A  ji  t,«.:;i»o.  porche  ora  sparita  la  letizia  dei  g'iorni 
del  Molza,  iìitcniOiìutn  la  luco  d<.'llo  arti,  scemato  il  favore  che 
si  fiirova  prliua  itprriii.i:-.  uni;  ••  il  niali|^nio  deserto  cho  si  stendeva 
intonio  a!la  cithi  «^l-riL;;  cominciava  a  trovar  riscontro  nHlla 
solitudine  inl'll«.*ttuulo  ch;^  facevano  lo  controversie  o  le  i>er3Ò- 
cuzioni  teolo2ficIie. 

Roma  andava  impoverendosi  di  lettorati.  Paolo  Manuzio  scri- 
veva al  figlio  Aldo  il  6  novfmbro  ltìi58:  <  Questa  mattina  morì  il 
Poggiano;  e  cosi  Roma  va  perdendo  i  suoi  ornamenti,  essondo    • 
mancati  in  poco  tempo  Quattro  rarissimi  uomini:  il  Caro,  il  Padre 
Ottavio'  (Tantagato),  Frate  Onofrio  (Panvinio),  il  Poggiano.» 

V'eran  tuttavia  ancora  narocchi  famosi:   il  Murcto,  superbo, 
infingardo  e  furioso,  secondo  Tindolo  della  sua  nazione  Ono/7?^aJ- 
W.'o),  tantoché  si  vantava  di  gettare  in  pretelle  un  Terenzio  in    i 
un  mese,  e  nel  mogi  io  frod<lava;  Achille  Stazio,  portoghese,  edi- 
tore di  Catullo,  e  nochi  altri. 

So  la  morto  diradava  gl'ingegni,  l'inquisizione  gli  agghiacciava. 

I  rigori  erano  enormi ,"  sebbene  il  Manuzio  gli  scusasse  per  la 
necessità  di  salvarsi  dagli  eretici.  Egli  non  osava  aprire  alcune 
casso  di  libri  del  figlio  Aldo ,  per  tema  di  trovarveue  alcuno 
proibito  0  farla  poi  malo  ;  né  maggior  coraggio  aveva  il  suo 
amico  Basa  ;  porcile  ora  fresco  V  osemi)io  di  quel  servitore  ^ 
esso  Manuzio  che ,  per  essere  stato  nominato  aa  uno  che  dicea 
avergli  lotto  in  casa  alcune  coso  del  Franco,  n'avea  toccato  la 
fune  e  cinque  mesi  di  carcere,  e  chi  v'entrava  non  n'usciva 
pia,  sebbene,  soggiunge  prudontomento ,  T innocenza  finalmente 
rosse  conosciuta  •. 

Virgilio  scrisse  lo  JìucoUr-he  dal  43  al  37  a.  C,  nello  guali 
imitò  principalmente  Teocrito.  —  Il  Caro  tradusse  o  meglio  imitò 
il  Dafni  di  Teocrito  3. 

1  n  10  cU  dicenìbrt'>  1567  scrivova:  «  Del  DoIiìh,  che  fa.  poco  buono, 
non  è  (Ih  curarsi  ;  ma  del  dolci<tsimo  padre  Ottavio  clie  tanto  ci  amò,  chi 
ci  consolorA?  » 

2  Vedi  le  Lettere  Manusiane,  Parigi,  1S34. 

8  Neir edizione  flon^ntina  delle  JH/tie  (Le  Mounier .  1864)  ricopiata 
dalle  due  Aldine  del  1569  e  1572,  il  titolo  ^  Tirsi,  ma  la  Giuntina  d(?l  1584 
ha  Dafne,  ed  è  più  giusto.  Se  l*  editore  ave*ise  ratfronUito  le  aldine  con 

3uesta  avrebbe  fuj?j?ito  alcune  ine<tattezze.  Cosi  trovo  s»n  o  sette  volte  sia 
ove  avca  a  porsi  fìa ,  e  lai^ciata  V  avvertenza  ai  soin'tti  die  si  scrÌAJ*ero 
Tun  l'altro  il  Casa  e  il  Caro  ;  ovp  la  Giuntina  ha  notato  :  viziosi  in  provcif 

II  che  si  accorda  con  quanto  scrive  esso  Caro  : 

«  Quanto  al  sonetto  di  Monsi^Mior  della  Ca*«a:  Caro,  s'in  terren  vostro 
aìligna  amore,  avete  prinu  a  sapere  che  mi  fu  cosi  scritto  da  lui,  e  che 
gli  si  rispose  da  me  nel  med.rsinio  modo,  por  fare  una  burla  a  chi  non 
accade  ora  di  nominare,  che  sia  vero,  avt'to  potuto  vedere  che  Tuno  e 
l*altro  sono  fatti  studioRament**»  di  met-afore  la  più  parte  viziose  e  lontane 
o  di  certi  modi  di  diro,  ch«?  sono  falsi  e  stravolti  e  quasi  tutti  contra  1 

Srecettl  dell'arte.  E  pero  non  vi  avete  a  meravigliare  cho  vi  sia  di  più 
i  discordanza  o  lo  scambiamento,  che  voi  dite,  de*  numeri,  o  in  prova 
o  per  negligenza  che  lo  facesse.  » 


I 


•^a^ 


INTRODUZIONE 


V!r';-!ì  rcrv:''«  k«  G^or/yW*^,  o  vi  speso  sottc.  anni  (dal  37  al 

Z^L.i' }.  —  Il  CV.ro  fk'Ce  Tairrionltore  a  Frascati,  dovi*  mviiN  una 

sjj  vi_-Tv-tt:i.  «  Kirli  (il  s  'ii'.-ito),  siTÌv«'V:!  al  Giiarini.  r.»n  rpiiiuro- 

A''.r.-i?n;.  l'-tt  ni  ciw  mi  scrivi  t-,  mi  tr-v.-  la-  ri  ili  I>(»iii;i,  ••.•ruj.iito 

Ili:  •    -.r    V-ù.  l'-.r  «L'ir  i»rin«;ii»io  a  una  mia  ^ill-  !ia  im*1  Tu -cui  ano: 

:.q;::.i   ".it-jih"  il  luug-»  st^v^t  m'incita v.si^  a  ì'-'otarr-,  i-'l  «h-siilorio 

•  111.';  ;    '  m:i>  fosS'>  di  farl«».  invitato  da  v-.i.  io  n^n  lo  ho  mai 

ir'  a  ■  ra  tanto  potuto  stuzzicare  uh  j)n';rarn  eli»'  non  mi  siano 

=i-it.*  s.-Nji'f'j  ritrose,  credo  pi-r  avermi  v.Mlut'»  m-dt.)  alli>  strette 

•:oii  l'aLTicoltura,  con  la  ([xiiìU  fo  ora  più  volonti<-ri  all' amoro, 

cL:'  C'*-!Ì  lori».  VA  oss-'ndosi  olla  iusigiiurita  di  tutti  i  forri  dolla 

\   b:-*".-;r,i.  sompre  elio  ho  voluti)  la  penna  e  la  ca'ta.  mi  son  vo- 

-   Bn:«  à-I':  mani  b^  stìsto,  la  bussola  o  la  zappa  jtiuttost^;  e  non 

\   li'>  r:::*i  pi'iisato  di  far  un  verso  che  non  mi  sia  riuscito  un  viale 

0  ri  in  il  co?a.  » 

Vir.j".ii'  .'Noesc  undici  anni  a  C'»mporr('  VKivn'nc  (725-7*15).  Visse 
in  qu^-tì  tt.Mjipo  jiart^  in  Campania  e  parti*  in  J?i<*ilia.  —  Il 
C-r."  r.'-'ii'ayril»*  15G4  srrivi-a  avoriio  trad  tto  quattni  libri  in  versi 
sei- «Ili  ;  il  1-4  .-•'tti.»mbr«'  lo!i5  che  si  trovava  n»'l  decimo  libro;  o 
•  il  V^}  HK\r/ "  15»>i)  chVra  più  la  cIk»  la  umtà  d^d  dodicesimo,  e  che 
iTT-:=ib«.  '^....tuto  e-por  iìnit-» fra  un  m<»80.  Ond'  non  v'imijioi«'ò  tiopjH) 
più  «ii  da-  anni.  V'entrò  a  caso,  s'avvio  por  isclif»rz.),  o  porsuverò 

L^  dUi-'  più  bello  traduzioni  faron  fatto  p  r    prova   dolla  po- 

;    teiia  d'dla    n«).stra  liuu'ua:   dal   Caro    piT   dimo4ramo   la  ric- 

.     cheoa.  hi  capaciti,  contro  rojdnione  di  q.i,.lli  («•  non  eran  pochi) 

I    cfct  ax-'-rivano  non  poter  avere  poema  eri-ico,  né    arte  né  voci 

I    da  f-iplicar   concetti   poetici .  e  dal   Davanzati  per  rivendicarlo 

il  vanto  dolla  brevità,  contesolo  da  Arrigo  Stefani,  nella  mara- 

fie:if?a  versione  di  Tacito. 

Vinrili'i  noi  suo  testamento  ordinò  che  VlCurUl'  fosse  arsa  come 

.  iinp^-rf'.**ta.  Augusto  non  volle,  e  il  pooma  fu  dnto  a  riv<'dcre  a 

'  T:ri'>  0  a  Plozio  Tucca,  ^'  messo  in  ordino  nor  la  pubblicazione.  — 

fi  D  Caro  s'era  posto  d'accordo  con  Paolo  Manuzio  por  istamparo 
^  toti'f  lo  suft  cos^,  ma  non  fu  a  tempo  ;  e  YEmùdc  fu  pubblicata 
?.  hi  &U0  nipotft  Lepido  presso  i  ({iunti  nel  15H]. 
\  P.  J.  l*roudhon  forse  mes,'lio  che  il  Sainte-Ronve  vondic«.> 
YPit^i'ff*-  dijlle  accuso  doi  critici .  specialmcnto  contemporanei. 
T^li  dim-'-strò  dnvrsi  distint^uere  la  tecnica  dell' epopoa  dalla 
•Br;  s-«vtinza.  Ove  si  riijuardi  alla  tecnica,  Vir^^ilio  può  parere 
un  pln.L'iario  di  Onif-rrt  o  dejrli  AlossaTidrini  ;  ove  alla  sostanza, 
•.■•:li  «r  al  tutto  diverso,  e  più  ricco  di  cose  e  d'ideo  come  por- 
Tar:i  il  ].r«urres  o  deiretà,  e  pieno  di  presentimenti  del  rinnova* 
ment--.  inorili  e  del  mondo  '. 

Gl'Ita/iani  cominciiuio  a  ribalbottarlo,  diceva  io  ne' miei  Profili  «^ 
Itila  Ir  lingua,qu2isi  infanti  che  rifanno  le  voci  materno  ;  od  eccoti 


f 

* 

\ 


\  T-fli  VAppt^MfUre  in  fondo  ni  volume. 
2  Firenze.  BarbèriM  1830.  p.  4Q5-4&7. 


10  INTRODUZIONE 


rUgnrgiori,  o  Fra  Guido  da  Pisa.  Fatti  forti  da  Danto  non  solo  nella 


volgarizzarlo  per 
addestrarsi  allo  stilo  epico,  disegnando  cosi  vecchio  un  gran 
IM)ema.  Ecco  quelli  che  Io  contrafanno  nella  sua  stessa  linena, 
rubandogli  le  voci,  i  modi,  Tandarc,  i  Saiinazzaro,  i  FracastoroL 
valenti  uomini;  ma  anche  i  non  valenti  lo  lucidano  e  come  i 
discepoli  di  Platone  che  lo  imitavano  neiralte  spalle,  visti  da 
tergo  potevano  essere  scambiati  per  lui.  Ne  peggiori  di  questi 
Bono  i  Lalli,  ^li  Scarron,  che  volgono  a  beffa  guelfa  divìda  poesia^ 
e  al  trionfo  ael  poeta  fanno  che  non  manchi  il  giullare,  il  quale 
ricordi  i  contatti  delle  creazioni  più  sublimi  dolP  ingegno  con  la 
buffoneria. 

La  vera  imitazione,  è,  rispetto  allo  stile,  quella  degli  Ala- 
manni, dei  Bucellai,  degli  Spolverini,  che  non  traducono  e  pure 
a  quando  a  quando  son  lui.  La  vera  imitazione .  quanto  allo 
spirito,  è  quella  di  Dante.  A  primo  tratto ,  tra  il  dolce  aspetto 
del  Mantovano  e  il  severo  doirAlighieri  non  si  riconosce  la  re- 
lazione di  padre  a  figlio  ;  ma  anche  nel  mondo  si  vedano  talora 
andar  insieme  affettuosamente  stretto  due  creature  diverso  non 
meno  d^etù,  che  di  bellezza;  le  diresti  alieno;  ma,  so  i  linea- 
menti mentono,  certi  moti  del  labbro,  certo  piegature  di  scruardo, 
certe  inflessioni  di  voce  svelano  che  Tuna  è  sangue  doiraltr^ 
Per  tutta  la  Commedia  eì  sente  lo  spirito  di  Virgilio,  e  pure 
le  più  volte  quando  si  corre  ad  abbracciarlo ,  si  toma  con  le 
mani  vuote  al  petto.  Ed  egli  non  vive  solo  della  vita  che  gli 
presta  Dante  quasi  a  tutto T inferno  tenendoselo  accanto,  ma 
altresì  di  uno  spirito  tutto  suo,  dell' icore  che  la  sua  conver- 
sazione ha  trasfuso  nei  versi  del  discepolo. 

Questo  amore  a  Vii^lio  s'è  continuato  d'etil  in  et;ì.  La  sua 
dolcezza  bastava  a  legar  gli  animi  che  volevano  appropriarsela 
traducendo.  E  ai  nostri  dì,  nel  rinascente  cesarismo,  abbondano 
gli  stanchi  dalle  discordie  civili,  e  gli  affezionati  di  libertà  che 
fii  riposano  nello  sue  armonie. 

H  Caro  ha  tradotto  Virgilio,  e  forse  lo  ha  tradotto  per  sem- 
pre; ma  i  rivali  non  quotano,  e  crediamo  che  non  si  rincorino 
per  quelle  infedeltà  che  non  lo  rendono  men  bello  od  accitto , 
ma  perchè  sentono  che  quella  versione  non  rispondo  all' intelli- 
genza e  all'amore  del  nostro  secolo.  Il  Caro  è  un  uomo  del  ri- 
sorgimento, di  quella  rifioritura  pagana,  che  aveva  quasi  a  sto- 
maco Danto.  Artista  vero  e  compioto,  avendo  gustato  e  amato 
non  solo  i  versi,  ma  tutte  l'arti  plastiche,  in  mezzo  ai  tesori 
dell'antichità,  e  allo  trionfali  emulazioni  coetanee,  egli  comprese 

Srofondamento  tutto  il  bello  estemo  di  Virgilio  e  con  la  lingua 
el  rinnuec«»nto  lo  rese  a  meraviglia.  Xt'l  descrittivo  è  insupe- 
rabile. Varia,  ma  Virgilio  non  isdegncrebbe  le  variazioni.  Se  non 
«ho  dove  è  dottrina  riposta,  dov'è  scienza  appena  penetrata  ai 


IXTRODUZIONB  11 


di  nostri,  dor^è  adotto  tenero  tonasi  qnafito  Tamore  che  stm^go 
U  p^ne  del  Vangelo,  poterà  U  Caro  render  Virgilio ,  il  poeta 
che  Dante  prese  a  guida  per  le  misericordi  giustizie  dell'  interno 
cristiano  ?  Non  pare.  £  questo  difetto  sentito  da'  moderni  poeti 
li  muova  a  ritentare  la  prova.  Se  fossero  forniti  di  studi  e  in- 
gegno pari  al  lavoro,  non  iscancellerebboro  la  versione  del  Caro, 
Da  ci  darebbero  Taltra  metà  di  Virgilio;  il  Virgilio  dotto  come 
in  mistagogOi  e  aftettuoso  come  colui  che  posava  il  capo  in  seno 
a  Cristo. 

Il  Caro  e  Aristotile. 

Xè  «solo  dal  latino  tradusse  mirabilmente  i,  ma  altresì  dal  crreco  ; 
U  R.f-orica,  gli  Amori  di  Longo  e  lo  due  Orazioni  del  Niiziiin- 
i.'U.'  dell'  amor  verso  i  poveri  e  dell'officio  de'  Vescovi. 

€  La  Rfittorìca,  egli  scriveva  al  Varchi,  sono  molti  anni  ch'io 
U  tradussi,  ma  non  con  altro  fine  che  d'intenderla,  so  potoa ,  e 
di  farmela  familiare.  E  se  ben  pare  a  molti,  che  la  traduzione 
*     mi  sia  riuscita  assai  bene,  non  ò  però   che  mi  arrischi  a  farla 
stampare.  Ma  quando  voi  l'arete  veduta  e  vogliate  che  '1  faccia 
i&  -Tnii  modo,  giudico  che  sia  necessario  accompagnarla  con  alcuno 
soidro.  per  render  qualche  ragione  dell'interpretazione  di  quei 
lu>'?hi  che  sono  oscuri  o  dubbi  e  da  altri  intesi  altramente  ;  che 
iai>eto  bene  di  che  importanza  sia  e  quanto  ci  è  da  rodere.  Ma 
iorrffderò  all'ultimo  che  sia  molto  meglio  a  non  entrare  in  questo 
psiagn  *.  > 

I  AT.»va  tradotto  la  Lettera  di  Cicerone  a  Quinto  fratello ,  lavoro  smar- 
rito. Avi'mmo  dal  Dalmifltro  alcune  Lettere  di  Seneca,  trasportale  nia«'-tiv- 
Toiiiifute  in  iUiliano,  ed  altre  se  ne  conservano  a  Vii'nnii.    -  Vedi  anello 
J'ii.f  i»if  al  Lettore  di  Giuseppe   Cugnoni  premosso  alle  Prose  inedite  del 
{     Ciro.   lTn'>la.  1872. 

!  1  i  V  .\nibro«oli  aveva  in  animo  di  fare  un*  edizione  cri  fica  di  questa 
\ì  iT'r'^ìfjii-»;  ed  essendogliene  mancato  il  tempo  e  Pagio,  vi  confortava,  p«'r 
Jj  .TtP-;7  *  'I-I  MIO  valente  amico  Don  Pietro  Zauib»'lli,  Il  prof.  Stefano  Grosso, 
,1  !*•!;  di^gno  di  .succ»:fdi>rgli  in  tutto  <}uanto  t?  scienza  di  greco  ed  clej^anza 
■*;  <Ji?:ile.  Questi^  mio  signore  ed  amico,  ricordandojjriì  io  la  siw  Notti  (tutte 
f  ■  !■*  "^ur*  Nni€  sono  oltre  c^nl  dire  erudii»"!  od  amono)  ni  boll'Elogio  di  esso 
>  imbrr.5/;Ii ,  intorno  ai  volgarizzamenti  di  Classici  greci  fatti  in  Italia 
Ufi  socj>lo  IVI,  mi  scrlvea: 

«  Senza  dubbio  ella  avrà  letto  ciò  ohe  intorno  alle  versioni  del  Caro 
«cri>«  il  Leopardi:  =r  Paiono  anzi  scritture  originali  che  tr.iduzioni.... — 
Inqin^stiipart'*  (nello  stile)  vincono  sonza  alcun  dubbio  i  dentili  primiiivi.  = 


feub;  ma,  ella  ha  solanionte  <)ti'Mh)  cli>-  dava  di  n''c<-ssi(à  il  (oHipo:  nel 
Xr^W  di  greco  non  ^apovar^i  juìi  che  Uiiito ,  e  i  testi  dof^li  antichi  ii(>n  si 
iT'v;ir»o  cf»«i  ernend.iii  t'oiu"?  si  hanno  o^i.  =  Io  per  me  conoulo  eh»'  a' 
tenpl  d«-l  V  w^  noi  -i  .-  v<-scj*oi  lesti  così  em^datl  come  s\  haiii.d  ogpi; 
mh.  ':.i'  di  ^.t.vQ  iioii  tiì  sapesse  piÀ  chA  tanto,  è  fUso.  Chi  saprebbe  •  ^- 
|idi  scrivere  una  praftizione  in  Imgwa^Fnaa  QOBki  1»  vcriBrt  Paolo  Ma- 


l 


12  INTRODUZIONB 


Mirabile  in  tatto,  qnosta  versione  è  assai  dilettevole  dove  Ari- 
stotile tratta  dei  costumi ,  togliendo  la  speranza  di  superarlo  a 
tutti  i  moralisti  susseguenti. 

n  Castelvetro  voleva  dare  ad  intendere  che  il  Caro  poco  sa- 
pesse di  greco;  ma  se  questi  non  avrebbe  potuto  fare  quel  dot- 
tissimo Comuientario  alla  Politica  y  coglieva  e  rendeva  meglio 
d'ogni  altro  il  senso  degli  scrittori  antichi;  e  basta  paragonare 
le  suo  tradu/joni  a  quelle  del  Segni,  che  era  tuttavia  dotto  e 
fiorentino.  Leggendo  n  Segni  s'incespica  '  sempre  in  passi  oscuri 
ed  equivoci;  nel  Caro  tutto  è  piano  e  chiaro;  e  degli  altri  pregi 
è  assai  il  testimonio  di  un  Leopardi. 

Il  Caro  e  Longo  Sofista. 

Il  romanzo  di  Da  fai  ^  c^ne  dòo  lagijnrsi  una  volta  Tanno»  di- 
ceva Goethe;  ma  questo  romanzo,  direm  noi,  si  fa  da  ciascuno 
una  volta  sola  nella  vita. 

È  il  destarsi  dei  sensi,  l'ingrosso  all'amore.  La  casistica  cat- 
tolica vorrebbe  (.>pporsi<jrli  ;  ma  coìi  le  sue  vive  opposizioni  spesso, 
senza  volerlo,  fa  quel  che  Liceni:i  fece  con  Dami. 

Il  Yillemain,  con  la  solita  eloqu^^nza,  oppone  ^li  amori  cri- 
stiani di  Piloto  e  VhYflnia  a  questi  pagani  dei  due  pastori; 
ma  Emilio  Montègut  gli  dimosii'a  bone  che  gli  uni  son  V  ecce- 
zione, gli  altri  la  regola. 

Piace  tanto  il  riandare  questa  Uiiscita  del  piacere,  che  Leopoldo 
Burthe,  morente,  tratteggiava  con  ispirito  lo  avventure  di  Dafni 
e  Cloe,  ed  Hetzol,  morto  il  disegnatore,  assai  giovane,  ne  ornò 
una  splendida  ristampa  della  ve.  sione  di  Amyot^ 

Il  Curo  condusse  la  sua  versione  soj)ra  un  testo  a  penna,  e 
questa  è  buona  ragione  per  perdonargli  più  facilmente  una  parte 
almeno  degli  errori  in  cui  possa  essere  incorso  La  cominciò, 
nota  il  suo  primo  editore,  l'Innominato  o  Francesco  Danieli  di 
Napoli,  nella  sua  fresca  età  di  forse  trent'anni,  facendone  men- 
zione in  una  lettera  a  Benedetto  Varchi  in  data  del  10  gennajo 
1538;  et^\  confaconto  alla  letizia  di  questa  storia. 

Il  Caro  aveva  una  hozzaccia  del  suo  Longo,  che  si  serbava 
a  riveder'.:  r  a  rifrontrare  a  suo  mndn  col  giucco,  e  questa 
prima  copia  fu  pr<)babilmente  il  testo  della  (ìnscrìcione  o  meglio 
trascrizione  della  favola  greca  stampata  da  Gio.  Battista  Manzini 

nuzio  aUc  Orazioni  di  Demostene  ì  K  chi  f^a  oggidì  tanto  di  greco  e  di 
latino,  quanto  niosirò  di  saporne  r«iol<)  Mmiuzio  con  la  sua  traduzione 
latiua  dftilc  Filippiche t  »  —  Aggiungo  io  che  il  Manuzio  sp  lo  sapeva, 
scrivendo  al  suo  liglio  Aldo,  il  qual**  ^rli  fv/'Vi  stenuire  anche  1  libri  che  gli 
bisogiiavf>.no  ne*  suoi  lavori  di  Bouui,  ch'egli  era  tenuto  principe  degU 
umanisti. 

1  Vedi  la  mia  edizione  del  Tnxttato  dei  Governi  di  Aristotile  per  Ber- 
nardo Segni,  nella  Biblioteca  raro,  UUano  1864. 

8  Par^l,  1863,  in  fo|^ 


ormoDuzioNB  13 


in  Bologna  Tanno  16i3.  H  Napione  fa  il  primo  a  subodorare 
il  forto  nial  celato  dal  ladro,  meno  fermo  ai  morsi  della  co- 
fcienza  che  il  gioyane  spartano  a  anelli  della  Tolpe,  ch^aveva 
in  s<;no  ;  Sebastiano  Ciampi  ne  diede  le  prove ,  e  mostrò  che  il 
ladroneccio  aveva  giovato  a  qualcosa,  conservando  sincora  la 
lezione  in  alcuni  laoghi  guasti  o  travisti  nel  testo  che  servi 
alla  prima  edizione  della  corretta  versione  del  Caro ,  presso  il 
Bodoni  noi  1786  in-4.  U  Ciampi  le  correzioni  più  ciuare,  sug- 
gerite involontariamente  dal  plagiario ,  inseri  francamente  nel 
testo;  le  meno  segnò  in  nota. 

Pietro  Giordani  parlò  di  Longo  e  de^  suoi  traduttori  ^  «  Il 
ereco,  egli  disse,  ha  una  eleganza  artificiosa;  ^raziosissimo  brio 
li  Caro  ;  il  nostro  Gozzi  ci  ha  messo  della  dignità  e  deirarmonia. 
L'  più  preferisco  T amabile  semplicità  di  Amvot...  cinquecen- 
tista  francioso  della  stirpe  de^  nostri  trecentisti.  »  E  so^iunse 
d'Amjot:  «  Di  carissima  semplicità  supera  il  nostro  marchigiano 
^  supera  anche  il  greco.  » 

D  Giordani  non  lodava  gli  arbitrj  presi  dal  Caro ,  il  quale 
perché  non  lucendo  dal  greco  gli  tornava  cosa  secca,  C uvei- a 
ingrassala  con  di  mólUi  ciarpa  e  rimesso  e  scommesso  in 
molti  luoghi.  «  Io  per  me ,  diceva  il  piacentino  retore ,  ì  greci 
e  i  latini  li  vorrei  tradotti  come  il  Seneca  e  il  Dionigi  /"colga" 
rizzati  da  luij.  Non  comporto  questo  volerli  slargare,  abbellire, 
commentare,  traducendo....  oh,  quel  greco  meriterebbe  voramouto 
ima  traduzione  fedelissima;  e  io  la  farei  volentieri.  » 

Se  non  che  temiamo  che  non  l'avrebbe  nò  vinta  nò  impattata 

er>l  Caro,  avendola  perduta  con  lui  Gaspare  Gozzi,  che  fu  l'erodo 

proprio  della  festività  e  gentilezza  dei  suo  stile.  Noi  176G  per 

le  nozze  Barziza  e  Yenier,  uscì  in  Venezia  presso  Modesto  i^'ouzo 

la  versione  del  veneziano,  che  non  fece  come  il  Caro,  il  quale  sì 

compiacque  negP  ignudi,  e  rubò  alcuna  cosa  air  immaginazione 

dell^retino  per  illustrarli,  come  nella  lezione  di  Licenia,  esempio 

:  delle  moderne  nobili  attempate  spupillatrici.  H  Gozzi  velò  Io  partì 

.  disoneste  ;  il  che  tuttavia  è  segno  della  coscienza  di  poccati  com- 

;  messi  e  di  tempi  rei,  se  crediamo  alla  Bibbia  ;  egli  poi  laodifìcò 

•  I  il  bene,  dice  il  Ciampi,  il  fatto  del  parassito  Gnatono,  che  può 

!  ucho  ante^rsi   all^originale.  Se  non  che  Toriginale  pordo  cosi 

-  >  la  sua  verità  greca,  che  era  tutt'altro  che  gentile  ;  ma  alla  qual'), 

;  :  chi  voglia  leggere  i  greci ,  dee  adattarsi ,  accogliendo  le  ìnter- 

'  :•  prelazioni  platoniche,  per  non  sentirne  stomaco. 

Tra  gli  strojdti  e  i  fulgori  napoleonici  una  macchia  d*  inchiostro 
;  in  un  codice  laurenziano,  già  dei  Monaci  della  Badia  di  Fironzo, 
;  nise  a  rumore  la  Francia  e  T Italia.   Paolo  Luigi  Courior,  elio 
;  come  il  nostro  Foscolo  accoppiava  gli  studj  della  greca  orndi- 
nnne  e  d«lla  guerra,  scoperse  in  quel  codice  il  frammoiit^ì  desi- 
derato di  Longo,  evi  versò  poi  su,  diceano  gli  avvorsarj,  un  in- 


I  Opere,  t.  XIV.  Milano,  6an>lto,  ims. 


\ 


14  lirntobnziom 

chiostro,  indelebile  per  eaaere  il  primo  e  l'altimo  a  leggerlo.  Il 
Del  Fnria,  che  arerà  avuto  toD^amente  per  mano  qnel  libro, 
ed  allnciotóvi  soltanto  alcune  favolette  anuche,  imprecò  forse  al 
bancese  quella  morte  che  incontrò  poi  nei  suoi  campi ,  per  ire 
hoiboniche,  clericali  od  niorie.  Se  non  che  il  francese  crivella 
di  faceùe  il  Del  Fona,  che  gì  dovè  jiontentare  dì  alcune  va- 
rianti che  il  famoso  paté  d'encre,  impallidendo  talor  di  pietii 
gli  concesse. 

Per  la  versione  del  ritrovato  IVammento  di  Longo,  6  da  pre- 
scegliere quella  del  Ciampi,  sebbene  l'Arcadia  di  Boma,  nel  con- 
corso tenutosi  ^or  opera  del  Courier  assodasse  la  corona  ad 
Alessandro  Verri,  all'anfatico  autore  delle  Notti  romane,  come 
più  vicina  alili  siile  del  Caro.  L'Arcadia  non  aveva  l' oro ,  ma 
aveva  l'orecchiB  di  Mida. 

U  Bupplimonto  del  Caro,  dice  il  Oiampl ,  non  ha  né  quel  sen- 
timento, né  quella  relazione  col  tutto,  ene  riscontriamo  nel  sno- 
plimentÀ  originale ,  il  qnale  in  ogni  sua  parte  veramente  fe- 
ttittat  ad  eventum,  ove  che  quello  del  Caro  divaga,  né  mira  coti 
dritto  allo  scopo,  contenendo  soltanto  una  serio  d'azioni  isolate, 
che  poco  0  niente  si  riferiscono  all'  intreccio  ed  allo  sviluppo  di 
tutta  la  favola,  che  ha  condotta  ed  unità,  e  non  pecca  tanto  nel 
maravigliosD.  nella  complicazione  degl'  incidenti,  e  nel  ricercato, 
come  i  più  degli  altri  erotici  romanzi  greci. 

Nol6  bene  il  Mont^gat  che  nel  lihro  di  Longo  si  mescolano  la 
pastorale  e  la  commedia  greca  mezzana;  ì  campi  e  la  città,  e  che 
1  campi  vi  fanno  miglior  flgnra.  Difatti  i  cittadini  espongono  i 
propri  figli  ;  i  contadini  raccolgono  ed  allevano  gli  altrui  ;  i  con- 
tadini lavorano  ed  ammassano  ;  i  cittadini  vanno  a  rubare  l'am- 
massato; Dorcono  e  Lapo  eccedono  nell'amar  la  Cloe;  ma  l'uno 
fb  buona  emenda ,  l'altro  rapisce  a  bnon  fine  ;  ma  quel  vile  e 
sozzo  parassito  di  Gnatone  é  un  prodotto  della  cittì ,  e  le  sua 
sconco  voglie  fanno  stupire  nell'innocenza  dei  campi.  Anche  la 
Licenia  è  una  Crezia  rincivilita;  ha  imparato  la  corruzione  in 
citti.  Che  è  mai  qael  Dionisofane  comparato  al  vecchio  Fileta. 
Nestore  campagnuolo,  e  che  mai  quell  Astilo  allevato  in  città  al 
Dafni  che  per  ventura  fu  esposto  e  tirato  su  tra  i  pastori,  dalla 
cui  vita  e  costumi  non  ei  sa  dipartire  fatto  ricco  e  nohilb? 
Longo  ha  certamente  voluto  mostrare  ii  contrasto  delle  due  vite. 
',  e  non  ebbe  bisogno  di  andare  in  Qermania  come  Tacito  per  far 
arrossire  i  romani,  perche  i  romani  avevan  corrotto  anche  i 
'  eampi. 

Anche  notò  il  Montégut  che  Dafni  e  Cloe  son  due  esseri  vi- 
renti e  pur  tìpici  ;  e  che  i  moderni  ne  avrebbero  fbtto  o  dne 
individui  più  o  meno  volgari  o  dne  esseri  allegorici  e  freddi.  Il 
pìt  monello  come  il  pii  santo  giovinetto  si  ravvisa  in  Dafni 
e  ogni  casta  giovinetta  nella  Cloe,  che  tace  solo  a  Dafni  il  bacio 
dì  Uorcone  per  mostrare  che  ogni  donna,  e  aia  la  piti  ingenaa, 
]ia  da  celare  qualcosa. 


iKTaODUZXOlSft  15 


n  Caro  e  Jacopo  Amjrot  ^  farono  dello  stesso  ^secoloi  eiSon  de* 
ochi  che  ebbero  fama,  anche  T)ross(;  gli  stranieri,  con  le  trada- 
oni  in  propria  lingua  (peróne  i  lavori  originali  del  Caro ,  sì 
iomatici,  sono  più  inaccessibili  agli  stranieri  che  la  fina  Eneide^. 
Hontégut  disse  che  rAmyot  àveya  yersato  il  liqaor  greco  non 
à  in  un*  anfora  di  stecchita  eleganza,  ma  in  un  bel  vano  smal- 
to del  Bisorgimento.  Del  Caro  si  può  dire  il  medesimo;  senonchd 
.  lingua  francese  del  secolo  decimosesto  essendo  caduta  d^uso, 
myot  pare  più  ingenuo.  II  Caro  non  ha.  Tingenuità  dell'arcai- 
Qo;  ha  più  nanamente  d^ilucnyot,  come  in  queir  approdò  in 
*no  alla  Cloe  che  piaceva  e  spiaceva  al  Giordani  ;  ma  e^ì  ha 
reso  Toro  greco  h  ne  ha  cesellato  ^un  va§Q  da  fame  invidia  al 
io  amico  Benvenuto;  e  il  Longo  è  di  quelle  sue  traduzioni 
»r  cui  egli  fa'  uno  degli  scrittori  più  ongiHali  e  più  diletti 
Italia  K 

li  Caro  e  le  Commedie. 


Delle  Commedie  non  pare  ne  scrivesse  più  di  una.  6^t.  Strao 
ani;  ma  ebbe  Tanimo  a  fame  delPaltre;  e  i  modelli  abbonda- 
ino.  Ne  adombrò  una  nella  lettera  sul  capitan  Coluzzo,  ed  altra 
ò  suggeriva  al  Diacceto,  ftunigliare  di  monsignor  dei  Gaddi,  di 
Q  tale  che  per  avere  il  suo  nome  voleva  esser  lui  in  ogni  cosa, 
piuttosto  ch^ei  fosse  lui,  -e  voleva  moglie  e  la  voleva  per  so, 
l  aveva  persuaso  ai  parenti  ^olla  fanciulla  eh*  era  il  Caro  che 
k  domandava,  e  i  parenti  gli  avevan  fatto  dire  che  si  contentavan 
i  dargliela. 

Gii  Straccioni  eran  finiti  nel  1543 ,  secondo  si  ritrae  da  una 
la  lettera  a  Paolo  Manuzio  sotto  la  data  del  28  giu^o  di  quel- 
inno.  Si  serbava  a  fare  il  prologo,  secondo  T occasione  che  si 
irebbe  presentata  di  recitarla.  Il  Prologo  lo  abbiamo  ed  ò  bel- 
flsimo.  Si  scusa  che  il  soggetto  sia  rinterzato^;  ma  egli  non 
remeva  gran  fatto  nella  materia.  Ad  un  comico  scriveva:  <  Non 
i  curate  che  la  materia  sia  ordinaria ,  perchè  i  soggetti  della 
nnmedia  non  possono  essere  altrimenti,  e  la  rarità  de'  casi  non 
i  fa  migliori,  ma  ben  la  rarità  e  la  bellezza  do^  concetti  e  de* 
"atti  e  dello  stile.  Né  il  Varchi.  ;nò  lo  Speroni,  dice  il  Gamba, 
KÌaron  questa  commedia  per  la  condotta  della  favola  e  dei- 
intreccio;  ma  quanto  aU' elocuzione ,  sentenzia  lo  Speroni,  è  la 
\ù  bella  che  mai  vedessi^  piena  di  motti,  di  spiriti  e  di  prò* 
*rhj  comici. 

Gli  Straccioni  sono  una  delle  commedie  vive  del  cinquecento, 
^tore,  dice  il  Gingpionój  t^ amusa  à  mettre  sur  le  thédtre  les 

1  Jftcopo  Amyot  n.  1518  m.  1593.  • 

S  Proemio  alla  mia  edizione  degli  Amori  pastoraH  di  Dafni  e  Cloe,  nella 
mioreea  rara,  Milano.  1868. 
I  Vedi  i  miei  Precurgort  del  Ooldoni,  Son7x>gno,  1872. 


1  ^ 


16  INTAODUZIONB 


balourdises  de  deuao  frères  pau/cres  et  presgue  inibéciUes,  qui 
9'étaiefit  acquis  à  Rome  une  sorte  de  celébrité  dans  le  genre 
niais.  Mais  U  joig^Ut  à  cette  peinture  grotesque  plusieurs  rtu- 
tres  ressorts  comiques,,..  Cette  comédie,  aussi  librement  qnélé' 
gamment  écrite,  est  une  des  mietuv  condiiites,..,  une  de  cellrs 
où  les  se7itiments  d'amour  sont  eccprimés  avec  le  plus  de 
passion  et  de  naturél,  et  en  méìne  temps  une  des  plus  paies. 
—  Giudizio  Torissimo.  —  È  una  fotografia,  ma  ben  riuscita,  o 
non  dei  soliti  lucidamonti  dai  latini,  che  lucidayano  dai  Greci, 
ondo  Parte  couiica  italiana  era  nipote  alla  greca,  e  non  rifaceva, 
ma  contraffaceva  Tavola.  Quel  marchegiano  ingegnoso  del  Caro, 
Bi  abile  a  dipingere  i  caratteri,  come  Luigetto  Castravillani ,  o 
il  baro  fomoso,  riuscì  naturalmente  a  ritrarre  a  meraviglia  quo* 
due  pazzi,  ch^erano  stati  il  balocco  della  festiva  ed  arguta  Roma. 
Voleva  che  l'autor  della  Suocera  rivedesse  gli  StraccionL  Forse 
gli  mandò  a  ripassar  la  Commedia,  come  fece  di  certo  V Apologia; 
ma  la  lima  del  Varchi  non  lavorò  gran  fatto  su  quella;  perchè 
ha  molto  ancora  del  romanesco,  il  che,  senza  che  si  perda  fiato 
d'eleganza,  dà  maggior  picco  e,  come  dicono,  color  locale  ad  una 
storia  romana.  H  Caro  veramente  convertiva  in  oro  tutto  quel 
che  toccava;  e,  come  il  Petrarca,  seppe  cojB^liero  la  parte  im- 
marcescibile della  lingua;  onde  non  invecchia  mai;  e  quando 
avea  bianchi  i  capelli  e  gli  era  caduto  Tultimo  doiitL*  tiailiic  va 
di  vena  VEìieide ,  come  Koussoau  scrivea  la  Nox^dfa  Knfsa  col 
catarro  e  coi  piedi  nello  pantofole  di  lana.  —  Lo  spirito  fu  soiupre 
vivace  0  scintillante  nel  Caro,  e  pare  cosi  giovano  ora.  come  quando 
scrivea  il  commento  di  sor  Agresto  alla  Firìuifk'  dol  i^Iolzji  '. 

Per  le  Lettere  del  Caro  ci  rapportiamo  alla  memoria  di  tutti 
coloro  di  cui  dilettò  Tadolescenza  ed  invaghi  del  bello  e  purgato 
scrivere. 

Il  Caro  ed  II  Castelvetro. 

La  controversia  tra  il  Caro  ed  il  Castelvetro  fu  benissimo  nar- 
rata dal  Seghezzi  *,  e  sarebbe  vano  il  riandarla.  Noterò  solo  che 
il  Castelvetro  fu  il  provocatore,  e  che  sVgli  o  i  suoi  sostengono 
che  il  Caro  lo  accusasse  per  eretico  alla  Inquisizione,  e  fosso  in 


partite  sono  più  che  saldate.  Aggiungerò  solo  che  il  più 
vero  della  critica  del  Castelvetro  alla  Canzone  '.Venite  aW  ombra 
de*  gran  gigli  d'oro  si  è  la  conclusione  :  E  l'argomento  (P'I/a 
Canzone  è  nulla:  perchè,  il  Caro  che  aveva  spiriti  poetici, 

1  Vedi  VAvvertenta  degli  Stampatori  agli  Straccioni  uella  Biòliotecci 
rara^  Uilano,  is63. 

8  Vita  del  Caro,  nel  tono  tomo  dòlìe  Famigliari  (Padova  Cornino,  178§). 


iNi\.>i'r/ii>;-:  17 


e  nel  freddo  :  ma  lo  appuntaturo  parziali  furono  assai  bon  ri- 
battale nella  mirabile  Apolof/in.  Kecliorò  tuttavia  due  testimo- 
cianze  Tana  a  favore  del  Castelvotro,  l'altra  del  Caro.  La  prima 
*f  del  principe  dei  critici,  Riccardo  lJoiitlHy,il  qualo  nella  Profa- 
zit'Tie  alla  dissertazione  sopra  lo  Kpistolo  di  Falarido  (Londra, 
16&9>.  ribattendo  il  suo  avversario  dio  avoa  dato  del  pedante  al 
Casielvetro  ed  aggiunto  che  Iklzac  rav».va  giustanujnte  chia- 
mato un  pv.hbUco  nemico  por  le  suo  .w/istcric  contro  tutti  i  valenti 
e  famosi ,  leva  al  cielo  T  ipercritico  0  abbassa  a  più  potere  il 
Ciro,  «  Quel  pedante ,  egli  dico ,  fu  uno  dei  più  ingolfinosi  e 
diitiì  scritt^)ri  del  suo  secolo;  e  aiicho  ora  i  suoi  libri  hanno  si 
grande  rejiutazione,  che  nclLi  più  parto  dei  paesi  d'Europa  si 
Ti'udono  per  tant'argento  quanto  po>ano.  Enrico  Stefano  grin- 
titolu  le  Epistole  di  Parrasio,  chiamandolo  critico  sagacissimo  e 
delicatissimo  ^Dice  aver  letto  tutti  i  documenti  della  controversia, 
approva  la  censura  delle  inH.9r  ingnuiichr  e  afferma  che  il  van- 
taggio del  Caro  si  era,  ihat  ha  ivris  Mcmber  of  an  AcacU*yny 
awi  a  ichole  CoUrgc  was  (nigaged  fm"  ìum;  ami  xohenncither 
Bfdjon  tior  TrutU  xoas  of  their  side  tìiei/  confided  in  their 

De  fendei  Numerus,  junctceque  umbone  phalanges. 

Qui  il  sommo  critico  prese  gli  Accademici  di  Banchi  per  una 
T?ra  Accademia  difenditrice  del  Caro  ;  e  biasimando  il  modo  ingiu- 
rioso in  cui  fu  risposto  al  censore,  malmenato  si  fieramente  anche 
neUa  l'avola  della  Contenenza,  conclude:  «  Questi  furono  gli  one- 
sti ed  onorati  metodi  di  trattare  la  loro  controversia,  e  sebbene 
il  loro  avversario  mentre  visse  soffrì  molto  per  la  loro  malignità, 
la  Posterità  gli  fece  ragione;  ed  estimò  stra«»rdinariarnonto  tutto 
le  j'Ue  opere;  mentre  le  loro  sopra  quest'argomento  (perchè  nel 
rimanente  furono  uomini  di  qualche  valore^  non  hanno  nulla  cho 
le  faccia  cercare  se  non  la  grande  reputazione  dell'uomo  cho  ossi 
vitnperan«\  >  Anche  qui  il  S4)mmo  uomo  s'ingannò  ;  lo  stile  del 
Caro  fa  cercare  V Apologia,  e  la  d(»ttrina  del  Varchi  VEixolano, 
mentre  la  fama  del  Caste Ivotro,  della  qualo,  come  d'italiano,  go- 
diamo, non  preserva  lo  suo  Rnginvi  e  Correzioni^  so  non  in 
quanto  il  nome  aoi  Caro  le  ta  cercare. 

L*  altra  testimonianza  la  tragiro  dalla  mia  Rhnsifa  critica^  e 
non  tocca  il  valore  letterario  dei  duo  contendenti,  ma  il  loro 
lentiie  d*  Italia. 

1  LO  sles«o  Ca9telv(^tro  nella  Corre':ione  di  alcune  cose  nei  Diàlogo 
éàle  Lingue  del  Varchi  cita  nuesta  lori»»  di  *iò:  «  Erriro  Stefano  di  nazione 
tnac««c/>,bene  intondento  doila  lingua  Ialina,  e  forse  \>i\\  di'lla  gi'«*ca  cli« 
coalunque  allro  uomo  ogfòdi  viva,  nf  ha  intitolato  il  Libro  di  Giano 
nrrasio  non  più  stampato,  De  rebus  per  cpistolam  qucpsitis  ^  con  una  pi- 
»>Ia  no  Ha  quale  si  manifesta  il  conto  cho  lauto  uomo  faccia  di  me.  » 

D€WEtUide.  a 


e  VI  Bconpiuro,  per  auaiito  amor  mi  portii 
di  riconciliarvi  con  dotto  M.  Aiiiilcaro,  e  e 
sua  figlia,  che  lo  ricovorò  p«T  altrotta 
corno  se  lo  faceste  por  una  mia  fìurliunla  pn 
caro  d'intendere  che  vi  siato  contentato  d 
non  restando  di  raccomandarmi  a  tutta  qi 
porto  affeziono,  con  tutto  l'affronto  ricvui 
che  ne  feci  fa  per  vergogna  che  ne  ricovin 
▼ogiia;  e  tatto  gli  ho  perdonato  e  desidoi 
medeaimo.  » 

DI  qaesta  Edizione 

QneAta  edizione  è  condotta  rn  qno^la  pu 
nel  1816,  intitolata  a  Vincenzo  Monti,  e 
in  pochi  Incffhi,  con  buono  rafrionì  ed  au 
Gli  argomenfi  trassi  dalle  edizioni  recenti 
candoli  qna  e  là.  Agginnsi  in  App^vcHcr. 
di  P.  J.  jProndhon  e  E.  Benoìst  soir  impo 
donale  àtW Eneide:  lasciando  ai  libri  di 
bo&wio,  i  gindi/jj  sul  merito  estetico  di  Vi 
napoletano,  carai  Tidea  delia  trasformazio 
ftós  del  8ttvij0  gentil  che  tutto  snppp.  ìli  pis 
lione  del  8onz<^o ,  poter  così  rannodare  1 
Ouat  dalla  qniue  T  Italia  riconosce  la  pre 
Éiariet  greci,  e  che  ritiene  anche  al  di  d^ 
la  energia  e  la  costanza  nelle  utili  impre 


DELL'ENEIDE 


LIBRO  PRIMO 


t 


A  ^ 


G  O  M  B  N  T  O 


Protasi  ed  inTOcazione  della  Musa  l-ll.  Giunone  a  danno  dei  Trojan! 
Amnanda  ed  ottiene  da  Eolo  che  scateni  una  violentinsima  tempesta  coi  tro 
fi  loro,  che  oavigano  dalla  i^icilia  in  Italia,  12-123.  Nettuno  sorge  a  sedei  re 
Ubarrasca;  e  i  Trojaiii,  balestrati  dai  mare  e  dai  venti  verso  la  Libia, 
vi  «^rodano,  124-158.  Enea,  preso  terra,  (k  preda,  alla  caccia,  di  sette 
0oan  cervi,  che  distribuisce,  uno  per  ciascuna,  alle  sette  navi  ciimpate 
■il  nanfragio,  quindi  cerca  di  rianimare  i  suoi  compagni,  già  stanchi  del 
ìugo  errare,  colla  speranza  del  vicino  riposo,   159-222.  Frattanto  Venere 


I 


ico«taxiu*Dte  manda  li«$rcu rio  per  disporre  a  mitezza  verso  i  nuovi  arrivati 
l'uiimo  de*  Peni,  297-304.  Quindi  Venere  si  fa  incontro  ad  Enea,  che  ignaro 
et*  luoghi  andava  attorno  per  esplorarli  ;  gli  annunzia  che  le  navi  disperse 
craao  falve,  e  in  pati  tempo  gli  mostra  Cartagine,  ctie  Didone  stava  lab- 
krìcando  poco  lontano  di  là,  305-480.  Enea,  per  favore  d»^lla  madre  na- 
KOffio  con  Àcate  dentro  una  nube,  entra  in  Cartagine  ;  quivi  ammira  le  opere 
a  cui  si  dà  mano,  e  vede  i  suoi  compagni  amorevolmente  accolti  da  Di- 
tele. 490-565.  s*apre  la  nube:  e  Didone  stupisce  alla  vista  e  airavvennira 
f  Enea,  lo  conduce  alia  re^a,  manda  per  Ascanio  con  doni,  ed  invia 
Ban  crtpia  di  vettovaglie  ai  compagni  cTEnea,  5dt>-656.  Ha  Tenere  difU- 
nodo  di  an'ospitalitÀ  conci'ssa  in  terra  devoti  a  Giunone,  ed  anco  del- 
rindole  fiera  de*  Peni,  n  pi  so  Ascanio  ai  boschi  d*Idalia,  e  in  sembianza 
A  lui  manda  il  suo  Cui>ido,  perchè  fra  gli  abbracciamenti  e  i  baci  delia 
r^ua,  l**  inspiri  insensibilmente  focoso  amore  d*Enea,  657-722.  Gran  con- 
tilo neiraula.  Didone  prega  Enea  che  le  narri  Teccidio  di  Troja,  X  suoi 
c^  i  suoi  lunghi  errori,  723-756. 

Queir  io  che  già  tra  solvo  e  tra  pastori 
Di  Titiro  sonai  T  umil  sampogua , 
E  che  y  de'  boschi  uscendo ,  a  mano  a  mano 
Fei  pin^  e  colti  i  campi  e  pioni  i  voti 
D'  om'  incordo  colono  ,  opra  che  forso  5 

A  gii  agncoli  è  grata  ]  ora  di  Marte 


L*  armi  canto  e  '1  valor  del  grand*  eroe 
Cho  pria  da  Troja ,  per  destino ,  a  i  liti 
D' Italia  Q  di  Lavinio  errando  vonno  ; 
E  quanto  errò ,  quanto  solTorso ,  in  quanti 
E  di  terra  o  di  mar  perigli  incorse , 
Como  il  traca  l' insupcraoil  forza 
Del  ciclo ,  e  dì  Ciiunon  l' ira  tenace  ; 
E  con  cte  dura  o  sanguinosa  ^Tiorra 
Fondò  la  sua  ciltade,  e  gli  suoi  Dei 
Riposo  in  Lazio:  ondo  cotanto  crebbo 
Il  nome  da'  Latini,  il  regno  d'Alba, 
E  le  mura  o  l' imperio  alto  di  Roma. 

Musa,  tu  cho  di  ciò  sai  le  cagioni, 
Tu  lo  mi  detta.  Qual  dolor,  qual  onta 
Fece  la  Dea,  eh'  e  più-  donna  o  regina 
De  gli  altri  Dei,  si  nequitosa  od  empia 
Centra  un  si  pio?  QaÀÌ  suo  nume  l'espose 
Per  tanti  casi  a  tanti  all'anni  i  Ah  !  tanto 
Possono  ancor  lassù  l' ire  o  gli  silegni  * 

Grande,  antica,  possente  e  bellicosa 
Colonia  de'  Ponici  era  Cartago, 
Posta  da  hmgo  incontr'  Italia  e  'ncontra 
A  la  foce  del  Tebro:  a  Giunon  cara 
Si,  cho  le  Tur  men  care  ed  Argo  e  Samo. 
Qui  pose  l'armi  sue,  qui  poso  il  carro. 
Qui  di  porro  avea  già  disegno  e  cura 
(Se  tale  ora  il  suo  fato)  il  maggior  seggio, 
E  Io  scettro  anco  univcrsal  del  Mondo. 

Ma  già  contezza  avea  eh'  era  dì  Troja 
Por  uscire  una  gente,  ondo  vedrebbe 
Lo  sue  torri  superbe  a  torra  sparso, 
E  de  la  sua  ruina  alzarsi  in  tanto. 
Tanto  avanzar  d'  orgoglio  e  di  potenza, 
Cho  ancor  de  l'Universo  imperio  avrebbe: 
Tal  de  le  Parche  la  volubil  rota 
Girar  saldo  decreto.  Ella,  che  tema 
Arca  di  ciò,  non  posto  anco  in  obblio 
Come  a  diresa  de'  snoi  cari  Argivi 
Fosse  a  Troja  acerbissima  guerriera. 
Ripetendone  i  semi  e  lo  cagioni. 
Se  no  scntia  nel  cor  profondamente 
Or  di  Pari  il  giudicio.  or  1'  arroganza 
D'Antigono,  il  concubito  d'  Elettra, 
Lo  scorno  d'  Ebe,  alfln  di  Ganimede 
E  la  rapina  o  i  non  dovuti  onorL 

]>a  Linte,  oltre  il  timor,  faville  accesa 
Qutii  pochi  aOlitti  o  oiùìen  Troiani 


7 


UBRO  PRIMO  23 


Ch*  avanraro  agi*  incendj,  a  le  mine, 

Al  mare,  ai  Greci,  al  dispietato  Achille,  55 

Tenea  lunge  dal  Lazio  ;  onde  gran  tempo 

Combattuti  da*  venti  e  dal  destino 

Per  lutti  i  mari  andar  raminghi  e  sparsL 

Di  si  gravoso  afliir,  di  si  gran  mole 

Fu,  dar  principio  a  la  romana  gente.  60 

Eran  (li  poco,  e  del  cospetto  appena  37 

De  la  Siciha  navigando  usciti, 
E  già,  preso  de  l'alto,  a  piene  vele 
Se  ne  gian  baldanzosi,  e  con  k  prore 
E  co*  remi  facean  1*  onde  spumose  ;  C5 

Quando  punta  Giunon  d'  amara  doglia. 
Dunque  (disse)  eh*  io  ceda  ?  e  che  di  Troja 
Venga  a  sijnioreggiar  Italia  un  re, 
Ch*  io  noi  aistorni  ?  Oh  mi  son  centra  i  Fati! 
Mi  sicno.  Osò  pur  Pallade  e  poteo  70 

Aviere  e  soffocar  già  de^li  Argivi 
Tanti  navilj,  e  tanti  corpi  ancidere 
Per  lieve  colpa  e  folle  amor  d' un  solo 
Aiace  d*  Oìlèo.  Gontra  costui 

Ella  stessa  vibrò  di  Giove  LI  telo  75 

Giù  dalle  nubi;  ella  commosse  i  venti  45 

E  turbò  '1  mare ,  e  i  suoi  legni  disperse  : 
E  quando  ei  già  dal  fulminato  petto 
Sangue  e  fiamme  anelava,  a  tafe  un  turbo 
In  preda  il  die,  che  per  acuti  scogli  80 

MLserabil  ne  fé  rapina  e  scempio. 
Tanto  può  Palla  ?  lEd  io,  io  de  gli  Dei 
Regina,  io  sposa  del  gran  Giove  e  suora 
Soii  di  quest'  una  gente  omai  tant'  anni 
Nimica  m  vano  ?  E  chi  più  de'  mortali  85 

Sarà  che  mi  sacrifichi,  e  m'  adori  ? 

Ciò  fra  suo  cor  la  Dea  fremendo  ancora, 
Giunse  in  Eolia,  di  procelle  e  d'Austri 
E  de  le  furie  lor  patria  feconda. 
Bolo  ò  suo  re  eh'  ivi  in  un  antro  immenso  90 

Le  sonore  tempeste  e  i  tempestosi 
Venti,  si  com'  e  d*  uopo,  affrena  e  regge. 
Eglino  impetuosi  0  rinellanti 
Tal  fra  lor  fanno  0  per  quei  chiostri  un  fremito, 
Che  ne  trema  la  terra  e  n*  urla  il  monte.  95 

Ed  ei  lor  sopra,  realmente  adomo 
Di  corona  e  di  scettro,  in  alto  assiso 
L' ira  e  gì'  impeti  lor  mitiga  e  molce. 
Se  ciò  non  fosso ,  il  mar,  la  terra  e  1  ciclo 
Lacerati  da  lor,  confusi  e  sparsi  iOQ 


Con  essi  andrian  per  lo  gran  vano  a  volo. 
Ma  la  possa  maggior  dolpadro  etorno 
Provvida  a  tanto  mal  ;  serragli  e  tenebro 
D' abissi  0  di  caverne,  o  moli  e  monti 
Lor  sopra  imposo  ;  ed  a  re  tale  il  freno 
Ne  die,  eh'  ei  ne  potesse  or  questi,  or  quolU 
Con  certa  legge  o  rattenero,  o  spingerò. 
A  cui  davanti  l'orgogliosa  Giuno 
Allor  umile  e  supplichovol  disse  : 

Eolo  (poi  che  '1  gran  Padro  del  cielo 
A  tanto  ministerio  ti  preposo 
Di  correggere  i  venti  e  turbar  l' ondo) 
Gente  immica  a  me,  mal  grado  mio, 
Ka^a  il  mar  tirreno  ;  e  giunta  a  vista 
E  già  d' Italia,  al  cui  reame  aspira  ; 
S  a'  Ilio  lo  reliquie,  anzi  Ilio  tutto 
Beco  V  atiduco  e  i  suoi  vinti  Penati. 
Sciogli,  spingi  1  tuoi  venti,  gonfia  l'ondo, 
Aggiragli,  confondigli,  sommergigli, 
O  fljsperfiigli  almeno.  Appo  mo  sono 
Sette  e  setto  leggiadre  ninfe  e  bollo  ; 
E  di  tutte  più  bella  o  più  leggiadra 
È  Deiopòa.  Coptei  vogl'  io,  per  morto 
Di  ciò,  che  sia  tua  sposa;  e  che  tu  seco 
Di  nodo  indissolubile  congiunto , 
Viva  lieto  mai  sempre,  e  ne  divenga 
Padre  di  bella  e  dì  te  degna  prole. 

Eolo  a  rincontro,  A  te,  regina,  disse, 
Conviensi  che  tu  sconra  i  tuoi  desiri. 
Ed  a  me  eh'  io  gli  adem[)ia.  Io  ciò  che  sono, 
Son  qui  per  te.  Tu  mi  fai  Giovo  amico. 
Tu  mi  dai  (juesto  scellro  e  questo  regno; 
Se  re  può  du-si  un  clie  comandi  a'  venti. 
Io,  tua  merco,  su  co'  Celesti  a  mensa 
Nel  cicl  m'  assido  ;  e  co'  mortali  in  terra 
Son  di  nembi  possente  e  di  tempeste. 

Così  dicendo,  al  cavernoso  monte 
Con  Io  scettro  <V  tm  urlo  il  Oanco  aperse, 
Onde  repente  a  stuolo  i  venti  uscirò. 
Avean  già  co'  lor  turbini  rinieni 
Di  polve  e  di  tunnillo  i  colli  e  i  campi; 
Quando  (piasi  in  un  gruppo  ed  Euro  e  Noto 
S'awentaron  nel  mare,  e  lin  da  l' imo 
Lo  turbAr  si,  che  ne  fèr  valli  e  monti  : 
Monti,  eh'  al  ciel  quasi  di  neve,  asiicrsi, 
Sorci  l'un  dopo  l'altro,  a  mille  a  mille 
Volgendo,  80  uo  glan  caduchi  e  mobili 


LIBAO  PIUAIO  25 


Con  suono  e  con  mina  i  liti  a  frangere. 

n  ^iilo,  lo  stridore,  il  cigolare 

De'  legni,  de  le  sarte  e  de  le  genti,  150 

I  nugoli  che  '1  cielo  e  '1  di  velavano, 

La  buja  notte,  ond'  era  il  mar  coverto, 

I  tuoni,  i  lampi  spaventosi  e  spessi. 

Tutto  ciò  che  s' udia,  ciò  che  vedeva^. 

Rappresentava  orror,'  perigli  e  morte.  155 

Smarrissi  Enea  di  tanto,  e  tale  un  gelo  95 

Sentissi,  che  tremante  al  ciel  si  volse 

Con  le  man  giunte,  e  sospirando  disse  : 

O  mille  volte  fortunati  e  mille 
Color  che  sotto  Troja  e  nel  cospetto  160 

De'  padri  e  de  la  patria  ebbero  m  sorte 
Di  morir  combatt<5ndo  !  O  di  Tidèo 
Fortissimo  fìgliuol  !  eh'  io  non  potessi 
Cader  per  le  tue  mani,  e  lasciar  ivi 
Questa  vita  affannosa,  ove  lasciolla  165 

Vinto  per  man  del  bellicoso  Achille 
Ettor  famoso  e  Siìrpedonte  altero  ? 
E  se  d'  acqua  perire  era  il  mio  fato, 
Perchè  non  dove  Xanto,  o  SimoCnta 
Volgon  tant'  armi  e  tanti  corpi  nobili  ?  170 

Cosi  dicea:  quand'ecco  d*Afpiilone  los 

Una  buffa  a  rincontro,  che  stridendo 
Sijuarciò  la  vela,  e  '1  mar  spinse  a  le  stelle. 
Fiaccarsi  i  remi  ;  e  là  've  era  la  prua, 
Girossi  il  fianco  ;  e  d'  acqua  un  monte  intanto        175 
Venne  come  dal  cielo  a  cader  giù. 
Pendono  or  questi  or  quelli  a  1  onde  in  cima: 
Or  a  questi  or  a  qiiei  s'  apre  la  terra 
Fra  due  liquidi  monti,  ove  l' arena , 
Kon  men  cn'  a  i  liti,  si  raggira  e  ferve.  180 

Tre  ne  furon  dal  Noto  a  r  are  spinte  : 
(Are  chiaman  gli  Ausonj  un  sasso  alpestre 
Da  l'altezza  de  1*  onde  aìlor  celato, 
Che  sorgea  primo  in  alto  mare  altissimo:) 
E  tre  ne  fur  dal  pelago  a  le  Sirti,  185 

(Miserabile  aspetto)  ne  le  secche  iiit 

Tratte  da  l' Euro^  e  ne  V  arene  immerse. 
Una,  che  '1  carco  avea  del  fido  Oronte 
Con  le  genti  di  Licia,  avanti  agli  occhi 
Di  lui  peri.  Venne  da  Borea  un'  onda,  190 

Anzi  un  mar  che  da  poppa  in  guisa  urtoUa, 
Che  '1  teraon  fuori  e  '1  temonier  ne  spinse  ì 
E  lei  girò  si  che  '1  suo  giro  stesso 

Le  si  Id' sotto  e.Tortice.Q^vorago, 


> 


Da  cui  rapita,  vacillante  e  china, 
Quasi  stanco  palèo,  tre  volte  volta 
Galoeai  gorgogliando,  o  s'  alTonrtó. 

Già  per  1  ondoao  mar  disperse  e  rare 
Le  navi  o     naviganti  si  veilevano  : 
Già  per  tutto  di  Troja  a  1'  ondo  in  preda 
Arme,  tavole,  arnesi  a  nuoto  andaviino  : 
Già  quel  eh'  era  piii  valido  e  più  forte 
Legno  d  Illoneo,  già  quel  d'Acate 
E  quel  d'Àbantu  e  quel  del  vecchio  Alete, 
Ed  al  fin  tutti  sconquassati,  a  l' ondo 
Micidiali  aveano  i  lianclii  aperti  ; 
Quando,  a  tanto  rumor,  da  l' anti-o  uscito 
Il  gran  Nettuno,  e  visto  del  suo  regno 
Rimescolarsi  i  più  riposti  fondi; 
O,  disse  irato,  ond'  è  questa  importuna 
Tempesta?  E  grazioso  il  capo  fuori  na 

Trassa  de  1'  onde  ;  e  rimirando  intorno, 
Per  lo  mar  tutto  dissipati  e  laceri 
Ville  i  legni  d' Enea  ;  vide  lo  strazio 
Dtì'Buoi,  eh'  a  la  tunipusta,  a  la  mina 
E  del  mare  e  del  cielo  erano  esposti.  iia 

E  ben  conobbe  in  ciò,  conio  suo  frate, 
Che  no  fora  cagìon  l' ira  e  la  froda 
De  r  empia  Giuno.  Euro  a  su  chiama  o  Zefiro , 
E  'n  tal  guisa  acremente  li  rampogna: 

Tanta  ancor  tracotanza  in  voi  s"  alletta, 
Razza  perversa  ?  Voi,  voi,  senza  me. 
Nel  regno  mìo  la  terra  o  '1  elei  confondere, 
E  far  nel  mare  un  si  gran  moto  osale? 
Io  vi  farò .      .  Ma  di  meslioro  è  prima 
Abbonazzar  qnest'  onde.  Altra  fiata 
lu  altra  guisa  il  Ilo  mi  jiaglierete 
Del  fallir  vostro.  Via  tosto  di  (jna. 
Spirti  malvagi:  e  da  mia  parte  dito 
Al  vostro  re,  che  questo  regno  e  questo 
Tridente  è  mio,  e  die  a  me  solo  è  dato. 
Per  lui  sono  i  suoi  sassi  e  le  sue  grotte, 
Case  degno  di  voi.  Quella  è  sua  reggia: 
Quivi  solo  sì  vanti  ;  e  per  regnare. 
Do  la  prigion  de*  suoi  venti  non  esca. 

Così  dicendo,  in  qu:nito  appena  il  disse,        m 
La  tempesta  cessò,  s'  acquetò  '1  mare, 
Si  dileguar  le  nulji,  app^irve  il  sole. 
Cìmòtoe  e  Triton,  1'  una  con  1"  onde. 
L'altro  coi  dorso,  lo  tre  navi  inrlìetro 
Uitinìr  da  lo  scoglio  in  cui  percossero' 


LIBRO  PRIMO  27 


Le  tre  che  ne  l'arena  eran  sepolte, 

Egli  stesso,  le  vaste  sirti  aprendo, 

Sollevò  col  tridente,  ed  a  se  trassele. 

Poscia  sovra  al  suo  carro  d' ogn'  intorno  245 

Scorrendo  lievemente,  ovunque  apparve, 

Agguagliò  .'1  mare,  e  lo  ripose  in  calma. 

Come  addivien  sovente  m  un  gran  popolo, 
AUor  che  per  discordia  si  tumultua, 
E  'mperversando  va  là  plebe  ignobile;  250 

Quando  V  aste  e  le  faci  e  i  sassi  volano 
E  r  impeto  e  *1  furor  T  arme  ministrano  : 
Se  grave  personaggio  e  di  gran  merito 
Esce  lor  contro,  rispettosi  e  timidi. 
Fatto  silenzio,  attentamente  ascoltano,  255 

Ed  al  detto  di  lui  tutti  s' acquetano  :  i5d 

Cosi  d*  ogni  ruina  e  d'  o^ni  strepito 
Fu  '1  mar  disgombro,  allor  che  umile  e  placido 
A  ciel  aperto  il  gran  rettor  del  pelago 
Co'  suoi  lievi  destrier  volando  scorselo.  260 

Stanchi  i  Trojani  ai  liti  eh*  eran  prossimi 
Drizzaro  il  corso,  e'n  Libia  si  trovarono. 

È  di  là  lungo  a  la  riviera  un  seno. 
Anzi  un  porto  ;  che  porto  un'  isoletta 
Lo  fti,  che  in  su  la  bocca  al  mare  opponsi.  265 

Questa  si  sporge  co'  suoi  fianchi  in  guisa 
Ch'ogni  vento,  ogni  flutto,  d'ogni  lato 
Che  vi  percuota,  ritrovando  intoppo, 
O  si  frange ,  o  si  sparte ,  o  si  riversa. 
Quinci  e  quindi  alti  scogli  e  rupi  altissime,  270 

Sotto  cui  stagna  spazioso  un  golfo 
Securo  e  queto  :  e  v'  ha  d' alberi  sopra 
Tale  una  scena,  che  la  luce  e'I  sole 
Vi  raggia,  e  non  penetra:  un'ombra  opaca. 
Anzi  un  orror  di  selve  annose  e  folte.  275 

D' incontro  è  di  gran  massi  e  di  pendenti 
Scogli  un  antro  muscoso,  in  cui  dolci  acque 
Fan  dolce  suono  :  e  v*  ha  sedili  e  sponde 
Di  vivo  sasso  ;  albergo  veramente 
Di  Ninfe,  ove  a  fermar  le  stanche  navi  280 

Kè  d'ancora  v'è  d'uopo,  né  di  sarte.  i7« 

Qui  sol  con  sette,  che  raccolse  appena 
Di  tanti  le^i,  Enea  ricoverossi. 
Qui  stanchi  tutti  e  maceri,  e  del  maro 
Ancor  paurosi,  i  liti  appena  attinsero,  285 

Che  a  terra  avidamente  si  gittarono. 
Acate  fece  in  pria  selce  e  focile 
Sciatillar  focoj  e  diògli  esca  e  fomento. 


28  .  ^'  ENEIDE 


Altri  poscia  d' intorno  ad  altri  fochi 

(Como  quei  che  di  vitto  avean  disagio,  290 

E  lo  biado  trovAr  corrotte  e  molli) 

Si  dier  con  vari  studj  e  vari  ordigni 

A  rasciugarlo,  a  macinarle,  a  cuocerle. 

Intanto  Enea  sovr'un  de* scogli  asceso, 
Quanto  si  discopria  con  V  occhio  intorno,  295 

Stava  mirando  s' alcun  legno  fosso        ^  iss 

Per  alcun  luogo  apparso,  o  quel  d'Anteo, 
O  quel  di  Capi,  o  pur  quel  di  Calco 
Che  in  poppa  avea  la  più  sublime  insegna. 
Niim  no  vide  :  ma  ben  vide  errando  300 

Gir  per  la  spia^jgia  tre  gran  cervi,  e  dietro 
D' altri  minori  mnumerabil  torma  , 
Che  in  sembianza  d' armenti  empìan  lo  vallL 
Formossi:  e  pronto  a  cotal  uso  avendo 
L' arco  e  1  turcasso  (che  quest'  armi  appresso       305 
Gli  portava  mai  sempre  il  lido  Acato) 
Die  lor  di  piglio  :  e  saettando  prima 
\  primi  tre,  che  più  vide  altamente 
Erger  lo  teste  e  inalberar  le  corna , 
Contra  *1  volgo  si  volse  ;  e  '1  lito  e  '1  bosco  310 

Ovunque  gli  scor^jea,  folgorò  tutto. 
No  cacciò,  ne  feri,  strage  ne  fece 
A  suo  diletto:  nò  si  vide  prima 
Sazio,  che  come  sette  eran  le  navi, 
Sette  non  ne  vedesse  a  terra  stesi.  315 

In  questa  guisa  ritornando  al  porto,  io6 

Gli  spartì  parimente  a'  suoi  compagni 
E  con  essi  del  vin ,  che  *1  buon  Aceste 
A  r uscir  di  Sicilia  in  don  gli  diede, 
Molt*  urne  dispensò  per  ricrearli.  320 

Poscia  a  conforto  lor  così  lor  disse  :  200 

Compagni,  rimembrando  i  nostri  affanni, 
Voi  n'  avete  infiniti  omai  sofferti 
Vie  più  gravi  di  qiiesti.  E  questi  fino, 
(Quando  che  sia)  la  dio  mercede ,  avranno.  225 

voi  la  rabbia  di  Scilla,  voi  gli  scogli 
Di  tutti  i  mari  omai ,  voi  do'  Ciclopi 
Varcaste  i  sassi  :  ed  or  qui  salvi  siete. 
Riprendete  l'ardir,  sgombrate  i  petti 
Di  toma  e  di  tristizia.  E'  verrà  tempo  330 

Un  di,  che  tante  e  così  rie  venture, 
Kon  ch'altro,  vi  saran  dolce  ricordo. 
Per  vari  casi  o  per  acerbi  e  duri 
Perigli  ò  d'uopo  far  d'Italia  acquisto. 
Ivi  riposo,  ivi  letizia  piena  ^  335 


LIBRO  nuMo  29 


Vi  promettono  i  Fati,  e  nuova  Troja 

E  nuovi  regni  al  fine.  Itene  intanto: 

SolTrite,  mantenetevi,  serbatevi 

A  questo,  che  dal  ciel  si  serba  a  voi, 

Si  glorioso  e  si  felice  stato.  340 

Cosi  dicendo  a' suoi,  pieno  in  se  stesso 

D' alti  e  gravi  pensier ,  tenea  velato 

Con  la  fronte  serena  il  cuor  doglioso. 
Fecer  tutti  coraggio  :  e  di  cibo  avidi 

Già  rivolti  a  la  preda,  altri  le  tergerà  345 

Le  svelgon  da  le  coste,  altri  sbranandola  215 

Mentre  è  tiepida  ancor,  mentre  che  palpita, 

Lunghi  schidioni  e  gran  caldaje  apprestano, 

E  l'acqua  intorno  e  1  fuoco  vi  ministrano. 

Poscia  d'un  prato  e  seggio  e  mensa  fattisi,  350 

Taciti  prima  sopra  l'erba  agiandosi. 

D'opima  carne  e  di  vin  vecchio  empiendosi , 

Quanto  puon  lietamente  si  ricreano. 
Poiché  lur  sazj ,  a  ragionar  si  diero , 

Con  voce  or  di  timore  or  di  cordoglio ,  355 

De'  perfluti  compagni,  in  dubbio  ancora 

Se  fosser  \ivi,  o  se  pur  giunti  al  fine 

Più  de'  richiami  lor  nulla  curassero. 

Enea  vie  più  di  tutti  e  di  piotate 

E  di  dolor  compunto  il  caso  acerbo  360 

Or  d'Amico,  or  d'  Oronte,  e  Lieo  e  Cria  225 

Ne'  sospir  richiamava  e  '1  buon  Cloanto. 
\      Erano  al  fine  ornai;  quando  il  gran  Giove 
i  Da  r  alta  spera  sua  mirando  in  giuso 
■  La  terra  e  'l  mar  di  questo  basso  globo  ;  365 

i  Mentre  di  lite  in  lito,  e  d'uno  in  altro 
[  Scerne  i  popoli  tutti,  al  cielo  in  cima 
■.   Fermossi,  e  ne  la  Libia  il  guardo  alllsse. 
•    Venere ,  allor  eh'  a  le  terrene  cose 

Lo  vide  intento,  dolcemente  afflitta  370 

I    II  volto,  e  molle  i  begli  occhi  Jucenti 

Gli  si  fece  davanti,  e  così  disse  : 
-        Padre ,  che  de'  mortali  e  de'  Celesti 

Siedi  etemo  monarca,  e  folgorando 

Empi  di  tema  e  di  spavento  il  mondo ,  375 

i    E  quale  ha  centra  te  fallo  sì  ^avo 
\    Commesso  Enea  mio  figlio,  0  i  suoi  Trojan! , 
;    Che  dopo  tanti  affanni  e  tante  stragi, 
'    Ch'han  di  lor  fatto  il  ferro,  il  fuoco  e'I  mare. 

Non  trovin  pace,  nò  pietà,  nò  loco  380 

\    Pur  che  gli  accetti  ?  In  cotal  guisa  omai 

Del  mondo  son ,  non  cho  d' Italia ,  esclusi 


10  mi  croiloa,  Signor  (quel  elio  promesso 
N'  cr.i  (la  to),  che  tornasse  anco  un  giorno, 
Quanilo  cho  l'osflu,  il  mjneroso  germe  ! 
Di  Dànlaiio  a  proiiur  »iuoi  gloriosi                      J39 
Eroi,  quei  Duci  invitti,  qiiui  Hoinani 

De  r  universo  domatori  0  'ionni: 

£  tu  nel  proni  et  testi.  Or  come.  Ridrc, 

11  cicl  cangia  rtostino,  e  tu  consifjlio?  ; 
Questa  sola  cru-loaza  ora  CM^'ionu  tu 
Di  consolarmi  in  parti!  ilo  l'ucciiiio 

De  ia  mia  TrnjM  ,  cii' io  srifflàssi  In  paco 

Tanto  ruine  sue ,  fato  con  fato 

Ricompensando.  Or  la  fortuna  Riessa  : 

E  vie  più  fora  la  persegue  0  ilura. 

E  quanto  durerà,  rii.:,'noro,  ancora? 

Tal  non  fu  già  d'Antenore  l'esilio; 

eh' ei  non  più  tosto  de  l'arhive  schiero 

Per  mezzo  uscio,  che  con  felice  corso 

Penetrò  ifAilriii  i!  seno;  entro  secnro 

Nel  regno  do'  Lilnirni  ;  andò  lìn  sopra 

Al  fonte  di  Timavo;  0  là  've  il  linme 

Fremendo  ii  monte  ìnluuna,  e  là  've  aprendo 

Fa  nove  bocche  in  mare,  e  mar  già  fatto 

Inonda  i  ciimiii  e  rumoreggia  e  frange, 

Patloa  fonilo,  pose  de'  Teucri  il  seggio, 

E  die  lor  nome,  e  le  lor  armi  atll^se. 

Ivi  ridotto  il  suo  regno,  e  cnmptisto 

Quietamente,  or  lo  si  gode  in  iiac-e. 

E  noi,  noi  del  Ino  sangue,  0  che  da  te 

Avemo  anco  del  ciclo  arra  e  possesso, 

Ad  una  sola  indegnamente  in  ira, 

Perdute,  olmo!  lo  proprie  tiavi,  hiori 

Siamo  d' Italia  0  di  speranza  ancora  ■ 

Di  non  mai  più  vederla.  Or  questo  èT  pregio  »5» 

Che  si  (levo  a  pietade?  K  questo  è  il  regno 

Che  da  te,  padre jnio,  ne  si  promolle? 

Sorrise  Giove,  e  con  quel  dolce  aspetto 
Con  che  "1  elei  rasserena  e  le  tempeste,  * 

Rimirolta,  liaciolla,  0  cosi  disse  : 

Non  temer,  Citerea.  che  saldi  e  certi 
Stanno  i  Fati  de' tuoi.  S"  ailempieranno 
Le  mie  promosse;  sorgeran  le  torri 
Do  la  novella  Troja;  vedrai  le  mura  ■ 

Di  Lavinio;  porrai  qui  fra  le  Stelle 
Il  magnanimo  Knea.  Che  nè'l  destino 
In  ciò  si  cangerà,  ne  "1  mio  consiglio. 
Ma  per  trarti  iL'  alTanai,  io  to  T  dirò 


^^';  LIBRO  PRIMO 

Più  chiaramcoto  i  o  Bcoprirotti  intanto 
De'  Fati  i  più  reconditi  secreti. 
Figlia,  il  tuo  Gglio  Enea  tosto  in  Italia 
Sarà,  Cara  gran  guerra,  vincerà  : 
Domerà  fere  genti  :  imporrà  jcggi  : 
Darà  costumi,  e  fnniierà  città: 
E  di  già,  vinti  i  Rutulì,  tre  verni 
E  tre  stati  re.ijnar  Lazio  vodrallo. 
Ascanio  ^iovinutto,  or  «letto  Julo, 
Ed  Ilo  prima  inQn  eh'  Ilio  non  cadde, 
Succederagli  ;  e  trenta  giri  interi 
Del  maggior  lume,  il  sommo  imperio  avrà, 
Trasrcrirallo  in  Alba:  Alba  la  lunga 
Sarà  la  roggia  sua  possente  e  chiara. 
Qui  regneranno  poi  sotro  la  gente 
D'  Ettorre  un  dopo  1'  altro  un  corSo  d' anni 
Tre  volto  cento  ;  Anch'  Ilia  regina 
Vergine  e  sacra,  del  gran  Marte  pregna, 
D' un  parto  produrrà  gemella  prole- 
Indi  capo  ne  Ha  Romolo  invitto. 
Questi,  in  vece  di  manto,  adomo  il  tergo 
De  la  sua  marzia!  nudrice  lupa. 
Di  Marta  fonderà  la  gran  cittade  : 
E  dal  nome  di  lui  Roma  diralla. 
A  Roma  non  pongo  io  termino  o  fine  : 
Che  fla  del  mondo  imperatrice  eterna. 
E  r  aspra  Giuno,  eh'  or  la  terra  e  '1  mare 
E  '1  ciel  per  tema  intorbida  e  scompiglia. 
Con  più  sano  consìglio  al  mio  conforme 
Procurerà,  che  la  romana  gente 
In  arme  e  'n  toga  a  1'  universo  imperi. 
E  cosi  stabilisco  :  e  cosi  toinpo 
Ancor  sarà  ch'Arjjo,  Micene  e  Ftia 
E  i  Greci  tutti  trifnitari  e  servi 
De  la  casa  di  Assàraco  saranno. 
Di  questa  gente,  o  de  la  Julia  stirpe. 
Che  da  quel  primo  Julo  il  nome  ha  preso, 
Cesare  nascerà,  di  cui  l' impero 
È  la  gloria  ila  tal,  che  per  confine 
V  uno  avrà  1'  Oceano,  o  1'  altra  il  Cielo. 
Questi,  già  vinto  il  tutto,  poi  che  onusto 
De  le  spoglio  sarà  do  1'  Oriente, 
Anch'  egli  avrà  da  te  qui  seggio  etemo, 
E  là  giù  fra'  mortali  incensi  e  voti. 
L'aspro  secolo  allor,  l'armi  deposto, 
Si  farà  mito,  Allor  la  santa  Vesta 
£  la  candida  Fede  e  '\  huon  Quirino 


«-w  A  %A%^A  W 


Così  detto,  spedì  tosto  da  Tal 
Di  Maja  il  iv^ho  a  far  si,  eh'  a' 
'  Fosse  Carta. ^0  e  '1  suo  paese  a 

Perchè  del  Fato  la  re.i^'ina  iiJ^na 
Non  fosse  lor,  per  ferità  de'  sur 
O  per  sua  tema,  inospitale  e  ci 
Vassene  il  mcssaggier  per  V  ar 
Velocemente,  e  ne  la  Lihia  giù 
Quel  che  imposto  5IÌ  fu,  ratto  ( 
E  già,  la  dio  merce,  lasciano  i 
La  lor  fierezza  :  e  la  regina  in 
S' imbeve  d' un  affetto  e  d'  una 
Verso  i  Trojani  affabile  e  bcnig 

La  notte  intanto  del  pietoso  £ 
Molti  furo  i  sospir,  molti  i  pcns 
Gonchiuse  al  fin  eh*  a  V  apparir 
Spiar  dovesse,  e  riportarne  avvi 
A^suoi  compagni,  m  qual  paese 
Gli  avesse  spinti  ;  e  s' uommi,  0 

8-^erchò  incolto  il  vedea)  quivi  i 
osi  tra  selve  ombrose  e  cave  r 
Fatti  i  legni  appiattar,  sol  con  A 
E  con  due  dardi  in  mano  in  via 
In  mezzo  della  solva  una  don: 
\         Ch'  era  sua  madre^  si  com*  era  i 
)         Che  madre  fosse,  mcontro  gli  si 
Donzella  a  r  armi,  a  V  abito,  al 
Parea  di  Sparta,  0  quale  in  Tra 
Lemiera  e  sciolta,  il  dorso  affati 
Di  nifirace  dftstriftr  v  fk^m*  *»«««*» 


LIBRO  PRIMO  33 


Di  cervier  inaculato,  o  che  gridando 

W  un  zannuto  cij^nal  sqi^xir  la  traccia  ?  525 

Go?i  ^'ene^e  disse.  Ed  a  rincontro 

Di  Venere  il  fìgliuol  cosi  rispose  : 

Isiuna  ho  de  le  tue  veduta,  o  'ntesa, 
Ycriànc,  q^ual  ti  dico,  e  di  che  nomo 
Chiamar  ti  deggio  ?  che  terreno  aspetto  530 

Kon  è  già  '1  tuo,  nò  di  mortale  il  suono. 
Dea  sci  tu  veramente,  o  suora  a  Feho, 
0  figlia  a  Giove,  o  de  le  Ninfe  alcuna  : 
E  chiunque  ti  sii,  propizia  e  pia 
Ver  noi  ti  mostra,  e  i  nostri  alfanni  ascolta.  535 

Dinne  sotto  qual  cielo,  in  qual  contrada  83i 

Siamo  or  del  mondo.  Che  raminghi  andiamo  J 
E  qui  dal  vento  e  da  fortuna  spinti 
Nulla-  0  de  gli  abitanti,  o  do'  paesi 
Notizia  abbiamo.  A  te ,  s'  a  ciò  m'  aiti ,  540 

Di  nostra  man  cadrà  più  d' una  vittima. 

Venere  allor  soggiunse  :  Io  non  m' arrogo 
Celeste  onore.  In  Tiro  usan  le  verjjini 
Di  portar  arco ,  e  di  calzar  coturm^ 
E  di  Tiro  e  d'Agenore  le  genti  5-15 

Traggon  principio,  che  qui  seggio  han  posto: 
Ma  1  paese  è  di  Libia ,  ed  avvi  in  guerra 
Gente  feroce.  Or  n'  ò  capo  e  regina 
Dido  cho  da  1*  insidie  del  fratello 
Fuggendo  è  qui  venuta.  A  dirne  il  tutto  550 

Lunga  fora  novella  e  lungo  intrico.  345 

Ma  toccandone  i  capi,  avea  costei 
Sichèo  per  suo  consorte,  uno  il  più  ricco 
Di  terra  e  d'  oro ,  che  in  P'enicia  fosse , 
Da  la  meschina  imicamente  amato,  555 

Anzi  il  suo  primo  amore.  Il  padre  intatta 
Nel  primo  lior  di  lei  seco  legoUa. 
Ma  nel  regno  di  Tiro  avea  lo  scettro 
Pigmalion  suo  frate,  un  signor  empio, 
Un  tiranno  crudele  e  scellerato  560 

Più  eh'  altri  mai.  Venne  un  furor  fra  loro 
Tal,  che  Sichòo  da  questo  avaro  e  crudp 
Per  sete  d'oro,  ove  men  guardia  poso, 
Fu  tra  gli  altari  ucciso.  E  non  gli  valSQ 
Che  la  germana  sua  tanto  1'  amasse,  665 

Ciò  fé'  colatamente  ;  e  per  celarlo  854 

Vie  più,  con  iinzloni  0  con  menzogne 
Deluse  un  tempo  ancor  V  afflitta  amante. 
Ma  nel  fin,  di  Sichòo  la  slessa  ima^o, 

Fuor  (i'uQ  sepolcro  usoeuiì^,  sangumosa^  570 


84  ENEIDB 


Pallida,  macilenta  e  spaveiilevolo 

Le  apparve  in  so^'no,  e  prcsentollc  avanti 

Gli  empj  altari  ove  cadde;  il  crndo  l'erro 

Che  lo  trafisse,  e  del  suo  Irate  tutte 

L'occulte  scelleraj,'j3^ini  le  aporse.  575 

Poscia:  Fuggi  di  qua,  fuggi,  le  disse, 

Tostamente,  e  lontano.  E  per  sussidio 

De  la  sua  fuga,  le  scoperse  un  loco 

Sotterra,  ov'era  incslimabil  somma 

D'oro  e  d'argento,  di  molt'anni  ascoso.  580 

Quinci  Dido  commossa  ordine  occulto 

Di  fuggir  tenne,  e  d'adunar  compagni; 

Che  molti  n'  adunò  ;  parte  per  odio, 

Parte  per  tema  di  sì  rio  tiranno. 

Le  navi,  che  trovjir  nel  lito  presto,  585 

Caricar  d' oro,  e  fèr  vela  in  un  subito. 

Così  '1  vento  portossene  la  speme 

De  r  avaro  ladrone.  E  fu  di  donna 

Questo  si  degno  e  memorabil  fatto. 

Giunsero  in  questi  luoghi ,  ov'  or  vedrai  500 

Sorger  la  gran  ciHade  e  l'alta  rocca  369 

De  la  nuova  Gartago  che  dal  fatto 
Birsa  nomossi,  per  l'astuta  merco 
Che ,  per  fondarla ,  fer  di  tanto  sito 
Quanto  cerchiar  di  bue  potesse  un  tergo.  595 

Ma  voi  chi  siete  ?  onde  venite  ?  e  dove 
Drizzato  il  corso  vostro  ?  A  tai  richiesto 
Pensando  Enea,  dal  più  profondo  petto 
Trasse  la  voce  sospirosa,  e  disse: 
O  Dea,  so  da  principio  i  nostri  alfanni  COO 

Io  contar  ti  volessi,  e  tu  con  agio  ^^o 

Udir  una  da  me  si  lunga  istoria , 
Non  Unirei,  che  fine  avrebbe  il  giorno. 
Noi  Siam  Trojani  (se  di  Troja  antica 
n  nome  ti  pervenne  unqua  a  gli  orecchi)  605 

E  la  tempesta  che  per  tanti  miiri 
Già  cotant'  anni  ne  travolve  e  gira , 
N'ha  qui,  come  tu  vctli,  al  fin  gittati. 
Io  sono  Enea,  quel  pio  che  da' nemici 
Scampati  ho  meco  i  miei  patrii  Penati,  610 

Fino  a  lo  stelle  ornai  noto  per  fama. 
Italia  vo  cercando ,  che  per  patria 
Giove  m'assegna  autor  del  sangue  mio. 
Con  diece  e  dicco  ben  guarnite  navi 
Uscii  di  Frigia,  il  mio  destin  seguendo  615 

E  lo  splendor  do  la  materna  stella. 
Or  sotto  me  no  son  restate  appena  • 


Libro  primo  85 


023 


Scommosse,  aperte  e  disarmate  tutte. 

Ed  io  mendico ,  ii^oto  e  peregrino , 

De  l'Asia  in  bando,  da  l'Europa  escluso,  620 

E  'n  fin  dal  mar  pittato  or  no  la  Libia 

Vo  per  deserti  inospiti  e  selvaggi. 

E  aual  m' è  più  del  mondo  or  luogo  aperto  ? 

venere  intenerissi;  e  nel  suo  figlio 
Tant'  amara  doglienza  non  soffrendo , 
Cosi  '1  duol  con  la  voce  gF  interruppe  : 

Chìunrpie  sei,  tu  non  sei  già,  cred'  io, 
Al  cielo  in  ira  ;  poi  eh'  a  si  grand*  uopo 
Ti  die  ricovro  a  si  benigno  ospizio. 
Segui  pur  francamente  :  e  quinci  in  corte  630 

Va  di  questa  magnanima  regina  ;  393 

Ch'io  già  t'annunzio  le  tue  navi,  e  i  tuoi 
Da  miglior'  venti  in  miglior  parte  addotti 
Salvi  e  securi  omai;  se  i  miei  parenti 
Non  m' ingannar  quando  gli  augurj  appresi.  635 

Mira  là  sovra  a  quel  tranquillo  stagno  39g 

Dodici  allegri  cigni,  che  pur  dianzi 
Confusi  e  dissipati  a  cielo  aperto 
Erano  in  preda  al  fero  augel  di  Oiove, 
Com'  or  sottratti  dal  suo  crudo  artiglio  640 

Rimessi  iji  lunga  ed  oziosa  riga 
Si  rivolgono  a  terra,  e  già  la  radono. 
E  si  com'  essi  con  giojose  ruote 
Trattando  l'aria,  col  cantar,  col  plauso 
Mostrato  han  d'  allegria  segno  e  di  scampo  ;  6 15 

Cosi  placato  il  mare ,  a  piene  vele , 
E  le  tue  navi  e  gli  tuoi  naviganti 
0  preso  han  posto,  0  tosto  a  prender  1'  hanno: 
Vaitene  or  lieto  ove  '1  sentier  ti  mena. 

Ciò  detto,  nel  partir  la  neve  e  1'  oro ,  C50 

E  le  rose  del  collo  e  de  le  chiome, 
Come  l'aura  movea,  divina  luce 
E  divino  spirar  d'  ambrosia  odore  : 
E  la  veste,  che  dianzi  era  succinta. 
Con  tanta  maestà  le  si  dislese  655 

Inlìno  a'  piò ,  eh'  a  1'  andar  anco  e  Dea 
Veracemente  e  Venere  mostrossi. 

Poscia  che  la  conobbe,  e  la  sua  fuga 
0  fermare,  0  seguir  più  non  poteo. 
Con  un  rammarco.tal  dietro  le  tenne:  6C0 

Ahi!  madre,  ancora  tu  ver  me  crudele?        4io 
A  che  tuo  figlio  con  mentite  larve 
Tante  volte  deludi  ?  A  che  m' è  tolto 
Di  congìunger  la  mia  con  la  tua  destra  ? 


Quando  Ha  mai  eh*  io  possa  a  viso  aperto 

vederti ,  udirti ,  ragionarti ,  o  vera 

Ricoiiosiccrti  madro  t  Ejjli  in  tal  ^sa 

Si  querelava  I  e  verso  la  ciltade 

So  no  giano  invisibili  ambirluo  : 

Che  1.1  Dea ,  sosiiettanrto  non  tra  via 

Fossero  diBtoninti,  o  trattenuti,  < 

Di  folta  nubbia  intorno  li  covorse. 

Ella  in  allo  levnssi;  e  Cipri  e  l^ifo 

Lieta  rivide,  ov' entro  al  suo  fp-an  tempio 

Da  cento  alhirì  ha  cento  volto  il  KÌoriio 

D' incensai  e  dì  ^'hirlaudc  odori  e  fumi. 

Ed  essi  intanto  inver  le  mura  a  vista 

Giunser  de  la  città ,  che  al  colle  incontro 

Fé'  lor  superba  e  speciosa  mostra. 

Maravigiiasf  Enea,  che  si  gran  macchina 
Già  sorjja,  ove  pur  dianzi  non  vertevasi 
Fors'  altro  che  foreste,  o  che  tuguri!. 
Mira  il  travaglio,  mira  la  froqueuzia 
E  le  porte  e  le  vie  piene  di  strepito. 
Vedo  con  quanto  araor  le  turbe  tirie 
Altri  a  te  mura,  altri  a  la  rocca  intendono: 
E  i  gravi  legni  e  i  gran  sassi  che  volgono 
Questi,  che  i  siti  ai  propri  alberghi  insolcano  ; 
E  quei,  che  del  Senalo  e  de  gli  olllcii 
Piantan  lo  curie  e  i  fòri  e  le  basiliche. 
Scorgo  là  presso  ai  mar,  che  'i  porto  cavano  : 
Qua  sotto  al  colle,  che  un  teatro  fondano. 
Per  le  cui  sceno  i  gran  marmi  che  tagliano, 
E  le  colonne,  che  tant'  alto  s'  ergono 
Le  rupi  e  !  monti,  a  cui  son  tigli,  adegnano. 

Con  tal  sogliono  industria  a  primavera  i 

Lo  sollecito  pecchie  al  solo  esposte 
Per  fiorite  campagne  esercitarsi. 
Quando  le  nuovo  lor  cresciute  genti 
Mandano  in  campo  a  cor  manna  e  rugiada , 
Del  celeste  liquor  le  celle  empiendo: 
O  quando  incontro  a  scaricare  i  pesi 
Van  do  1'  altre  compagne  :  o  quando  a  stuolo 
Scacciano  i  fuchi,  ingonle  bestie  e  pigre, 
Che,  solo  inlente  a  logorar  l'alti'ui, 
De  le  conserve  lor  si  fan  presepi, 
AUor  che  l'opra  ferve,  allor  che  '1  melo 
Sparge  di  timo  d'  ogni  intorno  odore. 

0  mrtnnati  voi,  di  cui  già  sorgo 
Il  desiato  sejriiio!  Enea  dicendo, 
A  pai'le  a  parlo  Io  coiilompta  u  loda. 


LIBRO  pRmo  3t 


Arriva  intanto  a  la  muraglia,  e  cìiiuso 

Ne  la  sua  nube,  maraviglia  a  dirlo  ! 

Tra  gente  e  gent«  va,  che  non  è  vista. 

Era  nel  mozzo  a  la  citta' lo  un  bosco  715 

Di  sacro  rezzo  e  grato,  ove  sospinti 

Da  la  tempesta  capitare  i  Peni 

Primieramente  :  e  nel  fondar  trovare 

Quel  che  pria  da  Giunon  fu  lor  predetto 

Di  barbaro  destrier  teschio  fatale  ;  720 

La  cui  sembianza  imagine  e  presagio 

Fu  poi,  che  quella  gente  e  quella  terra 

Saria  per  molte  età  ferace  e  fera. 

Qui  fabbricava  la  sidonia  Dido 

Un  gran  tempio  a  Giunone,  il  cui  gran  Nume        725 

E  i  doni  e  la  materia  e  rartifizio 

Lo  facean  prezioso  e  venerando. 

Mura  di  marmo  avea;  colonne  e  fregi 

Di  mischi;  e  gradi  e  travi  e  soglie  e  porte 

Di  risonante  e  solido  metallo. 

Qui  si  ristette  Enea  :  qui  vide  cosa 

Che  tema  gli  scemò,  speme  gli  accrebbe, 

E  di  pace  affidoUo  e  di  salute. 

Che  mentre,  in  aspettando  la  regina 

Ch*  ivi  s*  attende,  la  città  vagheggia. 

Mentre  nel  tempio  l'apparato  e  T  opre 

E  '1  valor  de  gli  artefici  contempla, 

A  gli  occhi  una  parete  gli  s'  offerse. 

In  cui  tutta  per  ordine  dipinta 

Era  di  Troja  la  famosa  guerra.  740 

E  conosciuti  a  le  fattezze  conte  46 1 

Prima  il  trojano  re,  poscia  Targivo, 

E  '1  fero  d' ambidue  nimico  Aciiille, 

Permessi  :  e  lagrimando  :  Oh,  disse,  Acato, 

Mira  fin  dove  è  la  notizia  aggiunta  715 

De  le  nostre  mine!  Or  quale  ha  '1  mondo 

Loco  che  pien  non  sia  de*  nostri  affanni  ? 

Ecco  Priamo,  ecco  Troja  ;  e  qui  si  pregia 

Ancor  virtù.  Che  ferità  non  re^a 

Là  've  umana  miseria  si  compiagne.  750 

Or  ti  conforta,  che  tal  fama  ancora 

Di  prò  ti  fia  cagione  e  di  salvezza. 

Così  dicendo,  e  la  ^à  nota  istoria 
liirando,  or  con  sospiri,  ed  or  con  lutto 
Va  di  vana  pittura  u  cor  pascendo*.  755 

E  come  quei  eh'  a  Troja  ii  tutto  vide, 
I  siti  rammentandosi  e  le  zuffe, 

,  Col-  aembiante  ri3Coatra  U  vivo  e  1  vero. 


Quinci  ve  le  fuggir  lo  greche  sciiicro, 
QulDili  lo  frigio:  a  quello  Ettorro  infesto, 
A  questo  Achille;  a  cui  parca  d'inlornu 
Che  foln  il  suon  del  carro  e  solo  il  moto 
Del  cimiero  avrenlasso  orrore  o  morto. 

Kò  scujsa  lacrimar  Reso  conobbe 
A  I  dostrier  bianchi,  a  i  bianchi  pailigliOni 
Fatti  di  sangue  in  niillo  parti  rossi: 
Chò  sotto  v'era  Diomede,  anch' egli 
Insanguinato I  e  si  Tacca  d'intorno 
Alta  strage  di  gente  che  nel  sonno. 
Prima  che  da  lui  morta,  era  sepolta. 
Vedea  quindi  i  cavalli  al  campo  addotti. 
Che  non  poter,  fato  a'  Ti-oiani  avvoi-so  ! 
Di  Troja  erba  gustare,  o  ber  del  Xanlo, 

Scorgo  d' un'  altra  parto  in  fuga  volto 
Trollo,  già  senz'armi  e  senza  vita: 
(giovinetto  infolice,  che  di  tanto 
Disoguale  ad  Achilie,  ebbe  ardimento 
Di  stargli  a  fronte.  Egli  in  su'l  vuto  carro 
Giacea  rovescio,  e  strascinato  e  lacero 
Da'  suoi  cavalli ,  avca  la  destra  ancora 
A  le  redine  involta,  e  '1  collo  e  i  crini 
Traea  per  terra  ;  0  1'  asta,  ondo  trafitto 
Portava  il  petto,  con  la  punta  in  giuso 
Scrivea  note  di  sangue  m  su  la  polve. 

Ecco  in  tanto  venir  di  Palla  al  tempio 
In  lunga  schiera  ed  ordinata  pompa 
Le  donne  d' Ilio  a  far  del  l'oplo  olferta. 
Battonsi  i  petti,  e  scapigliate  e  scalzo 
Pajon  pregar  divolamenlu  afllitto 
Perdono  e  {lace:  ed  ella  inita  e  fora, 
Volto  lo  luci  a  terra  e  '1  tergo  a  lui-o, 
Mostra  fastìdio  di  mirarle  e  sdegno. 
Vedo  il  misero  Kttòr  clic  già  tre  volte 
Tratto  era  d' Ilio  a  la  muraglia  intorno. 
Vede  il  padre  più  misero,  che  in  forza 
Del  dispietato  e  suo  nimico  Achille, 
Oro  in  premio  gli  dà  del  suo  cadavero  : 
Spettacolo  cnidel  che  gli  tralÌK^o 
Profondamente  e  più  d' ogni  aliro  il  coro, 
Ove  il  carro,  gli  arnesi  o  '1  corpo  stesso 
Vedo  d'  un  tanto  amico,  cil  un  re  tale 
Che  solo  0  disarmato  e  PU|iplichevolo 
Stassi  a  l'ucciilitor  dei  tiglio  avanti. 

Vi  riconobbe  ancor  se  slesso,  ov'  era 
A  dura  mischia  Incontro  a' greci  croi. 


MiìTio  r:i!vr>  So 


Riconobbe  lo  stuol  che  iV  OrltMite  A9% 

Addusse  de  l'Aurora  il  negro  figlio  : 
E  lui  raffigurò,  che  di  Vulcano 
Avea  r  usbergo  e  V  armatura  indosso. 

Scorge  d'  altronde  di  lunati  scuili  8iO 

Guidar  Pentesilèa  F  armate  schiere  494 

De  l'Amazzoni  sue  :  guerriera  ardita 
Che  succinta,  e  ristretta  in  fregio  d'  oro 
L'  adusta  mamma,  ardente  e  furiosa 
Tra  miUe  e  mille,  ancor  che  donna  e  vergine,       815 
Di  qual  sia  cavalier  non  tome  intoppo. 

Stava  da  tante  meraviglie  ad  una 
Sola  vista  ristretto,  attento  e  fisso 
Enea  pien  di  vaghezza  e  di  stupore  ; 
Quand  ecco  la  regina  accompagnata  S20 

Da  real  corte,  con  rcal  contegno 
Entro  al  tempio  bellissima  comparvo. 
Qual  su  le  ripe  de  1*  Eurota  suole, 
O  ne'  gioghi  di  Cinto,  allor  Diana 
Ch'  a  r  Oreàdi  sue  la  caccia  indice,  825 

A  mille  che  le  fan  cerchio  d' intorno. 

Divisar  vari  officj,  e  faretrata 

Da  la  faretra  in  su  gir  sovra  l' altre 

Neglettamente  altera,  onde  a  Latona 

S' intenerisce  per  dolcezza  il  core  ;  830 

Tale  era  Dido,  e  tal  per  mezzo  a'  suoi 

Se  ne  già  lieta,  e  dava  ordine  e  forma 

Al  nuovo  regno,  a  i  magisteri,  a  V  opre. 
Giunta  al  cospetto  de  la  Diva,  in  mezzo 

De  la  maggior  tribuna,  in  alto  assisa  835 

Cinta  d'armati  in  maestà  si  pose:  509 

E  mentre  con  dolcezza  editti  e  leggi 

Porge  a  la  gente,  e  con  cgual  compenso 

L'  opre  distribuisce  e  le  fatiche  ; 

Rivolgendosi  Enea,  nel  tempio  stesso  840 

Vede  da  gran  concorso  attorneggiati 

Entrar  Sergesto,  Anteo,  Gioanto  e  gli  altri 

Trojani  che  da  se  disgiunti  e  sparsi 

Avea  dianzi  del  mar  l'aspra  tempesta. 

Stupor,  timor,  letizia,  tenerezza,  845 

E  disio  d*  abbracciarli  e  di  mostrarsi  5i8 

Assalirò  in  un  tempo  Acate  e  lui. 

Ma  dùbbi  del  successo,  entro  la  nube 

Dissimulando  se  ne  stero  e  cheti, 

Per  ritrar  che  seguisse,  e  che  seguito  850 

Fosse  già  do  le  navi  e  de'  compagni. 

Di  coi  quoBtt  eran  primi  9  li  più  scoiti 


\'.n;n 


Dì  ciascun  legno.  E  già  pieno  ora  il  tempio 
Di  tumulto  o  dì  voti  clm  altamente 
Si  sentian  venia  risoniire  o  paco. 

Poiché  tUro  ontromessi,  e  eh'  udienza 
Pu  lor  concessa,  il  sagf^io  Ullnnòa 
Prese  umilmunto  in  cuUil  guisa  a  dire  : 

Sacra  Regina,  a  cui  dal  cielo  è  dato 
Fondar  nuova  cittaile,  e  con  giustizia 
Por  freno  a  gente  iuilomita  e  superba  ; 
Noi  miseri  Trojani  a  tutti  1  venti, 
A  tutti  i  mari  ornai  Itulilirio  e  scherno, 
Caduti  dopo  r  onile  in  preda  al  foco 
Che  Uà'  tuoi  si  minaccia  a  i  nostri  legni, 
Proghiamti  a  provvodor  che  nel  tuo  regno 
Non  si  commetta  un  si  nefando  eccesso. 
Fa  cosa  di  te  degna  :  abbi  di  noi 
Pietà,  che  pii,  che  giusti,  che  innocenti 
Siamo,  non  prodatori,  non  corsjiri 
Do  le  vostre  marino,  o  de  1'  alimi  : 
Tanto  i  vinti  d' anlirc,  o  gì'  infelici 
D'  orgoglio  e  di  superbia,  oimò  !  non  hanno. 

Una  parte  d' Europa  è,  che  da'  Greci 
Si  disse  Esperia,  antica,  bellicosa, 
E  fertil  terra,  da  gli  Enotrii  colta. 
Prima  Enotria  nomossi;  or,  come  ò  fama. 
Preso  d' Italo  il  nome,  Italia  ò  detta. 
Qui  '1  nostro  corso  era  diritto  ;  quando 
Orlon  tempestoso  i  venti  e  '1  maro 
Sì  repento  commosso,  e  mar  si  fero, 
Tenti  ai  pertinaci,  e  nembi  e  tnrbi 
Cosi  rabbiosi,  che  sommersi  in  parte, 
E  dispersi  n'  ha  tutti  :  altri  a  lo  secche. 
Altri  a  gli  scogli,  ed  altri  altrove  ha  spinti  ; 
E  noi  pochi  di  tanti  ha  qui  condotti. 
Ma  cpial  si  cniila  gente,  qual  si  fura 
E  barbara  città  qnest'  uso  approva , 
Che  ne  sia  proibita  anco  1'  arena  ? 
Cho  guerra  ne  si  mova,  o  ne  si  vieti 
Di  star  ne  l' orlo  de  la  terra  .ippcna  ? 
Ah  !  se  de  l'armi  e  de  le  genti  umano 
h'uUa  vi  cale,  a  Dio  mira^  almeno, 
Cho  dal  ciol  vede,  e  riconosce  i  meriti 
E  i  demeriti  allrui.  Capo  e  re  nostro 
Era  pur  dianzi  Enea,  ni  cui  più  giusto. 
Più  pio,  più  prò'  ne  l'  armi,  più  sairaco 
Ouerrior  non  fu  giammai.  Se  questi  è  vÌTO, 
Se  spira,  so  '1  destin  noa  ce  l' lavidia, 


LIBRO  PRIMO  4i 


QiuuUo  no  spoi'iarn  noi,  tnnlo  potrcsli  1)00 

Tu  non  pentirti  a  provocarlo  in  prima 

A  cortesia.  Ne  la  Sicilia  ancora 

Avem  terre,  avem  armi,  avemo  Accste 

Che  n'  è  si^ore,  ed  ò  de'  nostri  anch'  egli. 

Quel  che  vi  domandiamo  è  spiaggia  ò  selva  905 

K  vitto  da  munir,  da  risarcire  555 

I  voti  e  stanchi  e  sconquassati  legni, 

Per  poter  lieti  (ritrovando  il  Duco 

E  gli  altri  nostri,  0  se  pur  mai  n'  è  dato 

Veder  V  Italia)  ne  V  Itana  addurne  :  910 

Ma  se  nostra  salute  in  tutto  è  spenta, 

Se  te,  nostro  signor,  nostro  buon  padre. 

Di  Libia  ha  1  mare,  e  più  speranza  alcuna 

Non  ci  riman  del  giovinetto  Julo  ; 

Almen  tornar  ne  la  Sicania,  ond'  ora  915 

Siam  qui  venuti,  e  dove  il  buon  A  cesto  66 1 

K'è  parato  mai  sempre  ospite  e  rege. 

Al  dir  d' Illonèo  fremendo  tutti 
Assentirono  i  Teucri;  e  la  regina 
Con  gli  occhi  bassi  e  con  benigna  voce  920 

Brevemente  rispose  :  O  miei  Trojani, 
Toglietevi  dal  core  ogni  timore. 
Ogni  sospetto.  Oli  accidenti  atroci, 
La  novità  di  questo  regno  a  forza 
Mi  fan  sì  rigorosa,  e  si  guardinga  925 

De'  miei  confini.  E  chi  di  Troja  il  nome, 
Chi  de'  Trojani  i  valorosi  gesti, 
E  r  incendio  non  sa  di  tanta  ^crra  ? 
Non  han  però  si  rozzo  cuore  1  Peni; 
Non  si  lungo  da  lor  si  gira  il  sole,  930 

Che  nò  pietà,  nò  fama  unqua  v'  arrivo. 
Voi  di  qui  sempre,  0  de  la  grand'  Esperia 
E  di  Saturno  che  cerchiate  1  campi, 
O  che  vogliate  pur  d'Aceste  e  d'  Krico 
Tornare  a  i  liti;  in  ogni  caso  liberi  935 

Ve  11'  andrete  e  siculi.  Ed  io  d'  aita 
Scarsa  non  vi  sarò,  nò  di  sussidio  : 
E  se  qui  dimorar  meco  voleste. 
Questa  ò  vostra  città.  Tirate  al  lito 
Vostri  navili  :  che  da'  Teiicri  a'  Tirj  940 

Nulla  scelta  farò,  nullo  divario.  578 

Cosi  qui  fosse  il  vostro  re  con  voi! 
Cosi  ci  capitasse  !  Ma  cercando 
Io  manderò  di  lui  fino  a  l' estremo  *>- 

De'  miei  confini  la  riviera  tutta,  945 

Se  per  Borte  gittato  in  queste  spiagge 


Por  selve  errando  o  per  ciltaiii  andasse. 

Rincoro&si  a  tal  diro  il  padre  Enea 
E  '1  forte  Acate  ;  e  di  squiirciaro  il  velo 
Stavan  ^ià  disloai.  Acale  il  primo 
Mosse  dicendo  :  Ornai,  sifjnor,  che  pensi  ? 
Tutto  è  sicuro,  e  tutti  a  salvamento 
I  nostri  legni  e  i  nostri  amici  avcmo. 
Sol  un  ne  manca;  e  questo  a  noi  davanti 
n  mar  sorbissi.  Ogni  altra  cosa  al  detto 
Di  tua  madre  risponde.  Appena  Acate 
Ciò  disse,  che  la  nujjola  s' aperse, 
Assottigliossi  e  col  cicl  puro  imissi. 
Rimase  in  chiaro  Enea,  tale  ancor  egli 
Di  chiarezza  e  d'aspetto  e  di  statura. 
Che  come  un  Dio  mostrossi  :  e  hen  a  Dea 
Era  flgliuol,  Che  di  boilezza  è  madre. 
Ei  de  gli  occhi  spirava  e  de  le  chiome 
Quei  chiari ,  lieti  e  giovenili  onori 
Ch'  ella  stessa  di  lui  madre  ci'  infuse. 
Tale  aggiunge  l' arteQce  vaghezza 
A  r  avorio,  a  l' argento ,  al  parlo  marmo. 
So  di  fìn  oro  li  circonda  e  fregia. 
Cotal,  comparso  d'improvviso  a  tutti. 
Si  fece  avanti  a  )a  regina ,  e  disse  : 

Quegli  che  voi  cercate  Enea  trojano, 
Son  qui,  dal  mar  ritolto.  A  le  ricorro 
Vera  regina,  a  te  sola  pietosa 
De  le  nostre  ineffabili  fatiche. 
Tu  noi  rimasti  al  ferro ,  al  fuoco ,  a  T  onda 
D' ogni  strazio  bersaglio ,  A'  ogni  cosa 
Bisognosi  e  mondici ,  nel  tuo  regno 
E  nel  tuo  albergo  umanamente  accogli. 
A  renderti  di  ciò  merito  eguale 
Bastante  non  son  io ,  nò  foran  quanti 
De  la  gente  di  Dardano  discesi 
Vanno  per  l'imiverso  oggi  disporsi. 
Ma  gli  Dei  (s'alcun  Dio  de'ìmoni  ha  cura, 
So  nel  mondo  ò  giustizia ,  se  sì  trova 
Chi  d'altamento  adoperar  s'ainiagUo) 
Te  ne  dian  guùlenlone.  Età  l'elice! 
Avventurosi  genitori  e  grumi i 
Che  ti  diedero  al  mondo  !  inlln  che  i  fiumi 
Si  rivolgono  al  maro,  inlin  eh"  ai  monti 
Si  giran  l' ombre ,  inlin  eh'  ha  stello  il  cielo , 
I  tuoi  pregi ,  il  tuo  nomo  e  Je  lue  lodi 
Mi  saran  sempre ,  ovunque  io  sia ,  davanti. 

Ciò  detto,  lietamente  a' suoi  rivolto, 


LIBRO  PRTSfO  43 


Al  caro  lUonèo  la  destra  porso , 

La  sinistra  a  Scrgcsto  ;  e  poscia  al  forte  995 

Cloanto ,  al  forte  Già  :  V  un  dopo  V  altro 

Tutti  gli  salutò.  Stupì  Didono 

Nel  primo  aspetto  d  un  sì  nuovo  caso , 

E  d' un  uora  tale  ;  indi  ripreso  a  dire  : 

Qual  forza,  o  qual  destino  a  tanti  rischi  1000 

T' hanno  in  si  strani ,  in  sì  feri  paesi 
Esposto ,  o  de  la  Dea  famoso  figlio  ? 
E  sei  tu  queir  Enea  che  in  su  la  riva 
Di  Simoénta  il  gran  Dardanio  Anchise 
Di  Venere  produsse  ?  lo  mi  ricordo  1005 

Quel  che  n  intesi  già  da  Teucro ,  quando 
Fuor  di  sua  patria,  il  suo  padre  fuggendo,  { 

Nuovi  regni  cercava.  Egli  a  Sidone  % 

Venne  in  quel  tempo  a  dar  sussidio  a  Belo. 
Belo  mio  padre  allor  facca  T  impresa  1010 

E  T  conquisto  di  Cipro.  Infìn  d' allora 
Io  del  caso  di  Troja  e  del  tuo  nome 
E  de  r  oste  de'  Greci  ehbi  notizia. 
Ed  ei  ch'era  sì  rio  nimico  vostro, 
Celebrava  il  valor  di  voi  Trojani ,  1015 

E  trar  volea  da  Troja  il  suo  legnag^o.  629 

Voi  da  me  dunque  amico  e  fido  ospizio. 
Giovani,  arete.  É  me  fortuna  ancora 
A  la  vostra  simile  ha  similmente 
Per  molti  affanni  a  questi  luoghi  addotta:  1020 

Sì  che  natura  e  sofferenza  e  prova 
De'  miei  stessi  travagli  ancor  me  fanno 
Pietosa  e  sowenevole  a  gli  altrui. 

Ciò  detto ,  Enea  cortesemente  adduco 
Ne  la  sua  reggia.  In  ogni  tempio  indice  1025 

Feste  e  preci  solenni.  Ordina  appresso  636 

Che  si  mandino  al  mar  venti  gran  tori. 
Cento  gran  porci,  cento  grassi  agnelli 
Con  cento  madri,  e  ciò  eh'  a'  suoi  compagni 
Per  vitto  e  per  letizia  ò  di  mestiere.  1030 

Dentro  al  real  palagio  realmente 
De'  più  gentili  e  sontuosi  arnesi 
H  convito  e  le  stanze  orna  e  prepara: 
Copre  d'  ostro  le  mura  ;  empie  le  mense 
D'argento  e  d'oro,  ove  per  lunga  serie  1035 

Son  de'  padri  e  de  gli  avi  i  fatti  egregi. 

Enea,  cui  la  paterna  tenerezza 
Quetar  non  lascia ,  a  le  sue  navi  innanzi 
Ratto  spedisce  Acato  che  di  tutto 

Ascanio  avvisi  »  ed  a  ^  tosto  il  moni;  1040 


Gilè  in  Ascauio  mai  Hcmprc  intenta  e  fisso 
SU  del  suo  caro  padre  o;,'ni  pensiero. 
Gli  comanda  oltre  a  ciò ,  eh'  a  la  regina 
Porti  alcuno  a  donar  spoglie  superbe 
Che  si  salvar  da  la  ruma  appena 
E  dal  foco  di  Troja:  un  ricco  manto 
Ricamato  a  figure ,  e  di  fin  oro 
Tutto  contesto:  un  prezioso  velo. 
Cui  di  palliilo  acanto  un  ampio  fregio 
Trapunto  era  d' intorno  ;  ambi  ornamenti 
i)'  Elena  argiva ,  e  di  sua  madre  Leda 
Mirabil  dono.  In  questo  avca  le  biondo 
Sue  chiome  avvolte  il  (U  che  di  Micene 
A  nuove  nozze  e  non  concesso  uscio. 
E  porti  anco  lo  scettro,  ondo  superba 
lUone  di  Priamo  se  'n  giva 
Primogenita  figlia ,  o  '1  suo  monile 
Di  gran  lucide  perle;  e  quoUa  slessa, 
Onne'l  fronte  cmgoa,  doppia  corona 
Di  gemme  orientali  ornata  e  d' oro- 
Tutto  ciò  procurando  il  fldo  Acato 
In  ver  le  navi  accelerava  il  piede. 

Venere  intanto  con  nov'arte  e  novi 
Consigli  s'  arj;oTienta  a  far  che  in  vece 
E'n  sembianza  d'Aacanio  il  suo  Cupido 
Se  ne  vada  in  Cartajjo;  e  con  quei  doni. 
Con  le  dolcezze  sue ,  con  la  sua  face 
Alletti ,  incenda ,  amor  desti  e  furore 
Nel  petto  a  la  regina ,  onde  sospetto 
Più  non  aggia  o'I  suo  regno,  o  la  perfidia 
De  la  sua  gente,  o  di  Oiunon  l'insidie 
Che  da  pensare  e  da  vegghiar  le  danno 
Tutte  le  notti.  E  fatto  a  se  venire 
L' alalo  Dio  ,  cosi  seco  ragiona  : 
Figlio,  mia  forza  e  mia  maggior  possanza: 
Figlio ,  che  rie!  gran  padre  anco  non  temi 
L' orribit  telo ,  onde  percosso  giacque 
Chi  ne  die  fin  nel  ciel  briga  e  spavento  : 
A  te  ricorro ,  e  dal  tuo  nnmo  aita 
Chieggio  a  1'  altro  mio  figlio  Enea  tuo  fVate. 
Come  Giuno  il  persegua ,  e  come  l' aggia 
Per  tutti  i  mari  omai  spinto  e  travolto, 
Tu'l  sai,  che  del  mio  duol  li  sei  doluto 
PIÙ  volte  meco.  Or  la  sidonia  Dido 
L'have  in  sua  forza,  e  con  benij^i  e  dolci 
Modi  fin  iiul  r  accoglie  e  lo  trattiene. 
Ha  li  dor  è,  lassa!  chs  vai,  comonqua 


Sia  caramente  accolto  ?  In  casa  a  Giimo 
Da  le  carezze  ancor  chi  m*  assecura  ? 
Cli*ella  più  neghittosa,  e  mono  atroce  1090 

In  un  caso  non  Ila  di  tanto  affare. 
E  però  con  astuzia  e  con  inganno  \ 

Cerco  (li  prevenirla;  e  del  tuo  foco 
Ardere  il  cor  de  la  regina  in  guisa, 
Ch'altro  Nume  noi  mute,  e  meco  l'ami  1095 

D'immenso  tilfetto.  Or  come  agevolmente  «78 

Ciò  porre  in  atto  e  conse^^r  si  possa, 
Ascolta.  Enea  manda  teste  chiamando 
D  suo  regio  fanciullo ,  amor  supremo 
Del  caro  padre,  e  mio  sommo  diletto;  1100 

Perchè  de'  Tirj  a  la  città  sen  vada 
Con  doni  a  la  regina,  che  di  Troja 
A  l'incendio  avanzarono  ed  al  mare. 
Questo  vinto  dal  sonno,  o  sopra  l'alta 
Citerà,  o  dentro  al  sacro  bosco  Llalio  li05 

Terrò  colato  si  ch'ei  non  s'accorga. 
Ed  accorto  di  ciò  non  faccia  altrui 
Con  alcun  suo  rintoppo.  E  tu  che  puoi 
Fanciullo  il  noto  fanciullesco  aspetto 
Ventire  acconciamente,  in  lui  ti  cangia  1110 

Sola  una  notte,  e  li  suoi  gesti  imita. 
E  quando  Dido  al  suo  rea!  convito 
Riceveratti,  e,  come  a  mensa  fassi, 
Sarà  bevendo  e  ragionando  allegra; 
Quando,  come  farà,  cortese  in  grembo  il  15 

Terratti,  abbracceratti,  e  dolci  baci 
Porgeratti  sovente,  a  poco  a  poco 
D  tuo  foco  le  spira  e  1  tu(r  veleno. 
Al  voler  de  la  sua  diletta  madre 
Pronto  mostrossi  e  baldanzoso  Amoro,  1120 

E  gittò  l'ali;  ed  in  un  ten  pò  l'abito  693 

E  '1  sembiante  e  l' andar  prese  di  Julo. 
Ciprigna  intanto  al  gìovìMetto  Ascanio 
Tale  un  profondo  e  dolco  sonno  infuse, 
E  'n  guisa  l'adattò,  che  agiatamente  1125 

Ir  grembo  lo  si  tolse;  e  ne  la  cima 
De  la  selvosa  Idalia,  entro  un  cespuglio 
Di  lieti  fiori  e  d'odorata  persa, 
A  la  dolce  aura,  a  la  frese'  ombra  il  pose. 
Cupido  co' suoi  doni  allegramente,  1130 

Per  far  quanto  gli  avea  la  madre  imposto,      «99 
Con  la  guida  si  pon  d'Acato  in  via. 
Giunse,  che  giunta  era  Didono  appunto 
K^  la  gran  sala,  che  di  Uni  arazzi. 


46  ENEIDE 


Di  fior,  di  frondi  o  di  festoni  intorno  1135 

Era  tutta  vestita ,  ornata  e  sparsa. 

E  già  sopra  la  sua  dorata  sponda 

Con  real  maestà  s' era  nel  mezzo 

A  tutti  gli  altri  alteramente  assisa. 

Appresso,  Enea:  poscia  di  mano  in  mano  1140 

Sopra  drappi  di  porpora  e  di  seta 

Si  stondea  la  trojana  gioventute. 

Già  con  r  acqua  e  con  Cerere  a  Io  mense 

Gli  aurati  vasi  e  i  nitidi  canestri 

E  i  bianchissimi  lini  eran  comparsi.  1145 

Stavano  dentro,  a  le  vivando  intorno, 

Intorno  a'  fochi,  a  dar  ordine  a*  cibi, 

Cinquanta  ancelle ,  ed  altre  cento  fuori 

Con  altrettanti  d*una  stessa  etade 

Tra  scudieri  e  pincerni;  e  gli  atrii  tutti  1150 

Si  riempier  di  Tirj ,  a  cui  le  mense  7  io 

Di  tappeti  dipinti  eran  distese. 

A  r  apparir  del  giovinetto  Julo 
Corser  tutti  a  mirare  il  manto  e  '1  velo 
E  gli  altri  eh*  adducea  leggiadri  arnesi;  1155 

A  sentir  quelle  sue  tìnte  parole, 
A  contemplar  quel  grazioso  aspetto , 
Ch'  ardore  e  deità  ra^^giava  intorno. 
Ma  sopra  tutti  T  indice  Dido 

Kon  potea  nò  la  vista,  nè'l  pensiero  1160 

Saziar,  mirando  or  li  suoi  doni,  or  lui; 
E  com'  più  li  rimira,  e  più  s'accende. 

Poiché  lunga  fiata  umile  e  dolco 
Del  non  suo  genitor  pendè  dal  collo, 
E  finse  di  figliuol  verace  affetto,  11C5 

Si  volse  a  la  regina.  Ella  con  gli  occhi,  720 

Col  pensier  tutto  lo  contempla  e  mira: 
Lo  palpa ,  e  *1  bacia ,  e  'n  grembo  lo  si  reca. 
Misera  !  che  non  sa  quanto  gran  Dio 
S' annidi  in  seno.  Ei  de  la  madre  intanto  1170 

Rimembrando  il  precetto,  a  poco  a  poco 
De  la  mente  Sicheo  comincia  a  trarlo , 
Con  vivo  amore  e  con  visibil  fiamma 
Rompendole  del  core  il  duro  smalto, 
E  introducendo  il  suo  già  spento  affetto.  1175 

Cessati  i  primi  cibi,  e  da* ministri 
Già  le  mense  rimosse ,  ecco  di  nuovo 
Comparir  nuove  tazze  e  vino  0  fiori, 
Per  lietamente  incoronarsi  e  bore. 

Quinci  un  romoregijiare ,  un  riso ,  un  giubilo ,  1180 
Cho  d'allegrezza  ompxaa  Io  salo  e  gli  atriij 


LIBRO  PRIMO  47 


E  i  torchi  0  le  lumiere  che  pendevano 

Da  i  palchi  d' oro ,  poiché  notte  fecesi , 

Tinceano  1  giorno  e  '1  sol ,  non  che  le  tenebre. 

Qui  fattosi  Bidone  un  vaso  porgere  1185 

ly  oro  gravo  e  di  gemme ,  ov*  era  solito 

Ke*  conviti  e  ne'  di  solenni  e  celebri 

Ber  Belo ,  e  gli  altri  che  da  Belo  uscirono 

Di  fiori  ornollo,  e  di  vin  vecchio  empiendolo , 

Orò  cosi  dicendo:  Eterno  Giove,  1190 

Che  albergator  nomato  hai  de  gli  alberghi       785 

E  de  le  cortesie  cura  e  diletto  j 

Priegoti  eh'  a'  Fenicj  ed  a'  Trojani 

Fausto  sia  questo  giorno ,  e  memorando 

Sempre  a' posteri  loro.  E  te,  Lièo  1195 

Largitor  di  letizia;  e  te,  cclcsie 

E  buona  Giuno ,  a  questa  prece  Invoco. 

Voi  co'  vostri  £aivori  e  Tirj  e  Peni 

Prestate  a'  prieghi  miei  divoto  assenso. 

Ciò  detto,  rivcrsoUo,  e  lievemente  1200 

Del  sacrato  liquor  ì^  mensa  asperse,  ^  740 

Poscia  ella  in  prima  con  le  prime  labbia 
Tanto  sol  ne  sorbi  quanto  n  attinse. 
Indi  con  dolce  oltraggio  e  con  rampogno 
A  Bizia  il  die ,  che  valorosamente  1205 

A  piena  bocca  inlìno  a  l'aureo  fondo 
Vi  si  tuffò  col  volto ,  e  vi  s' immerse. 
Ciò  seguir  gli  altri  Eroi.  Comparve  intanto 
Co' capei  lunghi  e  colla  cetra  d'oro 
fl  biondo  Jopa  ;  e  qual  Febo  novello  1210 

Cantò  del  Ciel  le  meraviglie  e  i  moti 
Che  dal  gran  vecchio  Atlante  Alcide  apprese. 
Cantò  le  vie  che  drittamente  torte 
Rendon  vaga  la  luna  e  bujo  il  sole  : 
Come  prima  si  fér  gli  uomini  e  i  bruti  ;  1215 

Com'  or  si  fan  le  pioggie  e  i  venti  e  i  folgori  : 
Cantò  r  làde  e  l' Orse  e  '1  Carro  e  '1  Corno , 
E  perchè  tanto  a  1'  Oceano  il  verno 
Vadan  veloci  i  di ,  tarde  le  notti. 

Un  novo  plauso  incominciaro  i  Tiri:  1220 

Seguirò  i  Teucri  ;  e  l' infelice  Dido , 
Che  già  fea  dolce  con  Enea  dimora. 
Quanto  bevesse  amor  non  s'accorgendo , 
A  hingo  ragionar  seco  si  pose 
Or  di  Priamo,  or  d'Ettorre,  or  con  qual' armi     1225 
Venisse  a  Troia  de  l' Aurora  il  figlio ,  754 

Or  qual  fòsse  Diomede ,  or  cruanto  Achille, 
Anzi,  se  non  t' è  grave ,  al  fin  gU  disse , 


Incomincia  a  contar  fin  da  principio 
£  r  insidie  de'  Qruci  e  la  mina 
E  r  incenilio  '«li  Troja  e  '1  corso  intero 
De  gli  orror  vostri  :  già  Che  '1  sotlim'  anno 
£  oer  terr&  e  per  mar  raminghi  andato. 


FINE  DEL  Msao  ravio. 


/ 


LIBRO  SECONDO 


ARGOMENTO 

I 

ftfnchè  a  malincuore.  Enea  così  racconta,  i  luttuo8l<«(;lml  eventi,  1-18. 
I6rKÌ  affidanti  dalla  decenne  guerra  e  diffidando  del  proprio  valore,  pi- 
eorroDO  all'inganno:  facendo  vista  di  fuggire,  veleggiano  a  Tenedo.  e 
éèìro  qu<>ir  Uola  si  nascondon* ,  dopo  aver  lasciato  sul  lido  un  cavallo 
é  legno,  in  cui  avevano  rinchiuso  l  più  eletti  fra  i  capi  delFesercito,  e 
eh»  avevano  costruito  di  tanta  grandezza ,  da  ììcm  potersi  accogliere 
ntro  le  porte  di  Troja.  I  Trojani  parte  indotti  dalle  rrodi  di  Sinone,  parte 
■meniti  aal  supplizio  di  Laocoonte.  demolita  una  parte  del  muro,  trasci- 
BUK>  il  cavallo  tin  sulla  rt'Scca,  14-249.  A  notte  avanzata  l  Greci  rivenuti 
da  Teuedo  invadono  la  città,  le  cui  guardie  erano  già  state  uccise  dal  guer- 
rieri asciti  dal  cavallo,  250-267.  Intanto  Ettore  apparisce  in  sogno  ad  Enea 
e  \f*  esorta  di  provvedere  al  suo  scampo  colla  fuga,  e  di  salvare  dairin- 
ceodio  gli  Dei  patrii,  263-297.  Ma  egli  ^teponendo  alla  fuga  una  morte 
onorata,  corre  alle  armi  ;  e  in  sul  primo  far  impeto  la  fortuna  arride  al 
Trojani;  onde,  seguendo  il  consiglio  di  Corebo,  indossano  le  armi  del 
BMbid  uccL<ii:  ma  poi  riconosciuti  dai  Greci  e   presi  in  iscambio  dagli 

I     iBiici,  fluiscono  oppressi  dalle  armi  degli  uni  e  degli  altri,  298-437.  Frat- 

I  tuito  si  dà  Tassalto  alla  reggia  di  Priamo,  che  muore  miseramente  tru- 
tì-lato  da  Pirro  figlio  d'Achille,  438-558.  Tentata  indarno  ogni  prova,  Snea, 
T«dRido  ^li  stessi  numi  dar  mano  alla  distruzione  di  Troia,  affida  al  padre 

•  no  Anchise  gli  oggetti  sacri,  e  toltosi  lui  su  le  spalle,  preso  Ascanio  per 
BaDO ,  ingiunto  a  la  moglie  Creusa  di  seguirlo  da  presso ,  si  dà  alla 
tao,  559-729.  I  Greci  V  Inseguono.  Nel  tumulto  si  smarrisce  Creusa  ;  ed 
cni  a  ricercarla;  mentre  invano  ritorna  e  s'aggira  per  gFincendj  della 

'  oaà,  vede  farglisi  incontro  Tornbra  della  consorte  che  gli  fa  vaticinj  in* 
tomo  air  Italia,  e  gli  raccomanda  Ascimio,  730-794.  Allora  ritorna  al  luogo 

'  or'eraDO  i  compagni,  e  vede  che  vi  s*è  accolui  gran  moltitudine  di  uomini 
e  donne,  pronti  tutti  a  seguir  la  sua  sorte,  795-804.     ^ 

Stavan  taciti,  attenti  e  disiosi 
ìy  udir  già  tutti  ;  quando  il  padre  Enea 
In  se  raccolto,  a  così  dir  da  1'  alta 
Sua  sponda  incominciò  :  Dogliosa  istoria 
E  d'  amara  e  d'  orribil  rimembranza ,  5 

Regina  eccelsa,  a  raccontar  m' inviti  : 
Come  la  già  possente  e  gloriosa 
Mia  patria,  or  di  pietà  degna  e  dì  pianto, 
Fosse  per  man  de'  Oreci  arsa  e  distrutta, 
E  (luaf  ne  vid'io  far  ruina  e  scempio:  10 

Gh'  io  stesso  il  vidi,  ed  io  gran  paiie  fui 
Der  suo  caso  infelice.  E  chi  sarebbe. 
Ancor  che  Greco  e  Mirmidone  e  Dòlopo, 
Che  a  ragionar  di  ciò  non  lagrimassoj  |t 

MVBneidc  4 


E  già  la  notte  inchina,  o  già  lo  stelle  1 

Sonno,  dal  eie!  cingendo,  a  gli  occhi  infondono.  » 

Ma  se  tanto  d' udirò  i  nostri  guai. 

So  brevemente  di  saver  t'  aggrada 

L' ultimo  eccidio,  ond'  ella  arse  e  cadco, 

(Benché  lutto  e  dolor  mi  rinnovollo,  i 

E  sol  do  la  memoria  mi  sgomento)  is 

Io  lo  pur  conterò.  Sbattuti  e  stanchi 

Di  guerreggiar  tant'  anni,  e  risappimi 

Ancor  da'  1?  ati  i  greci  condottieri 

A  r  insidie  si  diero  :  e  da  Minerva  ! 

Divinamente  insLrutti  un  gran  cavallo 

Di  bun  contesti  e  ben  conlitti  abeti 

In  sembianza  d'un  monte  ediTicaro. 

Poscia  fìnto  elio  ciò  fosso  per  voto 

Del  lor  ritorno,  di  lornar  semltiante  ; 

Fecero  tal,  che  se  ne  sparso  il  grido. 

Dentro  al  suo  cieco  ventre  o  no  le  grotto. 

Che  molto  orano  e  grandi  in  si  gran  molo, 

Binchiusor  di  nascosto  arme  e  guerrieri 

A  ciò  por  aorte  e  per  valore  cletli.  ! 

Giaco  di  Troja  un'  Isola  in  cospetto 
(Tònedo  è  detta)  assai  famosa  e  ricca, 
^entre  eh'  Ilio  fioriva.  Ora  un  ridotto 
E  sol  di  naviganti  o  di  navili, 
Inildo  seno,  e  mal  sicura  spiaggia.  * 

Qui,  poiché  di  Sigèo  sciolse  o  sparlo. 
La  greca  armata  si  rattenne,  e  dietro 
Appiattossi  al  suo  lilo  ermo  e  deserto. 
E  noi  credemmo  che  veracemente 
Fosse  partila,  e  che  a  spiegate  vele  '. 

Gisse  a  Micene.  Onde  la  Teucrìa  tutta,  ts 

Già  cotant'  anni  lagrimosa  e  mesta, 
Volta  ne  fu  subitamente  in  gìoja. 
S'aprir  le  porte,  uscir  d'Ilio,  e  d'intorno 
Le  genti  tutte ,  disinse  e  liete  f 

Di  veder  vóti  i  campi  e  sgombri  i  lìti, 
Ch'eran  coverti  pria  di  navi  e  d'armi. 

gul  s'accampava  Achille  ;  e  qui  de*  Dòlopi 
ran  le  tende  :  ivi  solean  le  zuffe 
Farsi  de'  cavalieri  ;  e  là ,  de'  fanti  ;  | 

Dicean  parte  vagando:  e  parte  accolti 
Facoan  mirando  al  gran  destriero  intorno 
Meraviglie  o  discorsi;  e  chi  per  sacro, 
E  chi  per  esecrando  il  voto  e  '1  dono 
Avean  di  Palla,  n  primo  fu  Timete  l 

A  dir  eh'  eatro  le  mura ,  ne  la  rócca  ss 


LIBRO  SECONDO  5i 


Quindi  si  conducesse,  o  froda,  o  fato 

Che  ciò  fosse  de'  miseri  Trojani. 

Ma  Capi,  e  ^h  altri,  il  cui  più  sano  avviso 

0  per  insidioso ,  o  per  sospetto  66 

(Quantunque  sacre)  avea  le  greche  offerte, 

Voleano,  o  che  del  mar  fosse  nel  fondo 

Precinitato,  o  che  di  fiamme  ardenti 

Si  circondasse ,  o  che  foralo  e  lacero 

Gh  fosse  il  petto  e  sviscerato  il  fianco.  70 

Stava  tra  questi  due  contrarj  in  forse 
In  due  parti  diviso  il  volgo  incerto: 
Quando  con  ffran  caterva  e  con  gran  furia 
Da  la  rocca  discese ,  e  di  lontano 
Gridò  Laocoonte  :  O  ciechi ,  o  folli ,  75 

0  sfortunati  !  Agli  nemici ,  a'  Greci 
Date  credenza?  A  lor  credete  voi, 
Che  sian  partiti  ?  E  sarà  mai  che  doni 
Siano  i  lor  doni ,  e  non  più  tosto  inganni  ? 
Cosi  v'  è  noto  Ulisse  ?  0  in  questo  legno  80 

Sono  i  Greci  rinchiusi,  o  questa  è  macchina     44 
Contro  a  le  nostre  mura,  0  spia  per  entro 
Ai  nostri  alberghi ,  0  scala  0  torre  o  ponto 
Per  di  sopra  assalirne.  E  che  che  sia. 
Certo  0  VI  cova,  0  vi  si  ordisce  inganno:  85 

Che  de'  Pelasgi  e  de'  nemici  è  il  dono. 

Ciò  detto ,  con  gran  forza  una  grand'  asta 
Awentògli,  0  colpillo,  ove  tremante 
Slette  altamente  infra  due  coste  infissa: 
El  destrier  come  fosse  e  vivo  e  fiero  9O 

Fieramente  da  spron  punto  cotale 
Si  storce ,  si  crollò ,  tonògli  il  ventre , 
E  rintonàr  le  sue  cave  caverne. 
E  se'I  Fato  non  era  a  Troja  avverso. 
Se  le  menti  eran  sane ,  avea  quel  colpo  95 

Già  commossi  infiniti  a  lacerarlo ,  54 

E  del  tutto  a  scovrir  l'aj^guato  argolico: 
Ond'  oggi  e  tu ,  grand'  Ilio ,  e  tu ,  diletta 
Troja,  staresti.  Ma  si  vide  intanto 
De'  pastor  paesani  una  masnada  100 

Venir  gridando  al  re,  eh'  ivi  era  giunto, 
E  trargli  avanti  un  giovine  prigione 
Ch'  avea  dietro  le  mani  al  tergo  avvinte. 
Questi  era  Greco  ;  e  da'  suoi  Greci  avea 
Di  salrare  il  destrier ,  d' aprir  lor  Troja  105 

Assunto  impresa;  e  por  condurla,  a  tempo 
Ascosto,  a  tempo  a  quei  pastori  offerto 
S*  era  per  se  medesmo ,  in  se  disposto 


E  fermo  di  due  coso  una  a  finire, 

O  quest'opra,  o  la  vita,  A  ciò  concorso,  i' 

Per  desio  ili  vedere,  il  popol  tutto 

Pai  c.ival  si  di3tolF:o,  e  iliossi  a  gara 

A  schernire  il  prigione.  Or  ascoltate 

Le  malìzie  dc'ureci:  e  da  quest'uno 

Conosceteli  tutti.  Egli  nel  mezzo  I' 

Cosi  com'era  a  le  tiemiclie  schiere,  « 

Tiirhato,  inerme  e  di  catene  avvinto, 

Fermofisi  :  e  poi  che  rimii'oilo  hitorno , 

Con  voco  di  pietà  proruppe,  e  disse: 

Or  quale  o  terra,  o  m^iro,  o  loco  altrove  t' 

Sarà,  misero  me!  che  mi  racco!;^a, 
O  che  m' affidi  ornai  ?  poiché  tra'  fìreci 
Non  ho  dov'  io  ricovri ,  e  da'  Troj.ini 
Non  deggio  altro  aspettar ,  che  strazio  e  morte  ? 
Ne  commosse  a  pietà ,  n'  acquetò  l' ira  1' 

Si  doglioso  rammarco:  e  con  dolcezza,  7» 

E  con  promesse  il  confortammo  a  diro 
Chi,  di  che  loco,  e  di  che  san^c  fosse; 
E  che  portasse ,  e  qual  fidanza  avesse 
A  dàmesi  prigione.  Egli  in  tal  guisa  1 

AssecuratP ,  al  re  si  volse .  e  disse  ; 
Signor ,  segua  cho  vuole ,  in  tuo  cospetto 

10  dirò  tutto;  o  dirò  vero.  E  prima 
D'esser  Greco  io  non  nicgo.  Lhè  fortuna 

Può  ben  far  che  Sinon  sia  gramo  e  misero,  1 

Ma  non  giammai  che  sia  bugiardo  o  vano. 

Non  so  se,  raginnandoBi,  a  gli  orecchi 
Ti  venne  mai  di  Palamede  il  nome , 
Cile  nomato  e  pregiato  e  glorioso , 
E  da  Belo  altameitie  era  disceso  ;  1 

Se  hen  con  falso  e  scellerato  indizio 
DI  tradigion ,  per  detestar  la  guerra , 
Ei  fti  da'  Greci  indegnamente  ucciso  : 
Com'  or ,  che  ne  son  privi .  i  Greci  stessi 
Lo  piangon  tutti.  A  questo  Palamede ,  1 

A  cui  per  parentela  era  congiunto , 

11  pover  padre  mio  ne'  miei  prim'  anni 
Pria  per  valletto  nel  mesticr  de  l'  armi. 
Poi  per  compagno  a  rpiecla  guerra  diemmL 

Inlln  ch'ei  visse,  e  fii'l  sno  alato  in  llore,  1 

Fiorirò  anco  i  miei  giorni  :  e  l' opre  e  '1  noma  88 
E  '1  grado  mio  no  fur  tal  volta  In  pregio. 
Estinto  lui  (che  per  invidia  avvenne, 
Com'  ognun  sa ,  del  traditore  Ulisse  ) , 
AmaramflDte  il  piansi  £  '1  caso  indegno  i 


LIBRO  SBGONbO  83 


175 


D'un  tanto  amico,  e  la  mia  vita  oscura 

Tra  me  sdegnando,  come  soro  e  follo 

Ch'io  fui,  noi  tacqui.  Anzi  se  mai  la  sorte 

Mei  consentisse ,  o  se  mai  fossi  in  Argo 

Vincitor  ritornato ,  alta  vendetta  160 

Ne  gli  promisi ,  e  con  minacce  e  motti  95 

Acerbi  acerbamente  il  provocai. 

Questo  fu  del  mio  mal  prima  radice  ; 
E  quinci  de*  suoi  falli  e  del  mio  duolo 
Consapevole  Ulisse ,  a  spaventarmi ,  165 

A  travagliarmi,  a  seminar  susurri 
Si  die  nel  vol§:o,  e  procurarmi  inciampi 
Ond'io  cadessi.  E  non  cessò,  ch'ordimmi 
Per  mezzo  di  Calcante . . .  Ma  dov'  entro  > 
Lasso  !  senza  profitto  a  fastidirvi  ITO 

Con  nojose  novelle  ?  A  voi  sol  basta 
Di  saper  eh'  io  son  Greco  ;  già  che  i  Greci 
Tutti  egualmente  per  nimici  avete. 
Or  datemi ,  signor ,  supplizio  e  mòrte 
Qual  a  voi  piace  :  che  piacere  e  gioia 
N'  aranno  i  regi  ancor  d' Itaca  e  d' Argo. 
E  qui  si  tacque.  Allor  brama  ne  venne, 
Non  che  desio,  di  più  sapere  avanti; 
Non  ben  sapendo  ancor,  miseri  noi! 
Quanta  scelleratezza  e  quanta  astuzia  180 

Fosse  ne'  Greci.  Egli  a  seguir  costretto , 
Mostrossi  in  prima  paventoso ,  e  poscia 
Di  nuovo  assicurossi ,  e  finse ,  e  disse  : 

Hanno  molte  fiate  i  Greci,  afQitti 
Già  da  la  guerra ,  e  dal  disagio  astretti ,  185 

Dislato  e  tentato  anco  più  volte  10» 

Di  qui  ritrarsi,  e  lasciar  Troja  in  pace. 
Cosi  fatto  r  avessero  !  Ma  sempre 
Or  il  verno ,  or  i  venti ,  or  le  procelle 
Oli  han  distornati.  E  pur  dianzi  che  l' opra  11K> 

Del  cavai,  che  vedete,  era  fornita  ; 
Di  nuovo  in  sul  partire,  e  'n  sul  far  vela. 
Di  tempeste,  di  turbini  e  di  nembi 
Risonò  'l  cicdo,  e  conturbossi  il  mare. 
Onde  sospesi  Euripilo  mandammo  i^^- 

A  spiar  sopra  a  ciò  quel  che  da  Febo  lU 

Ne  s' avvertisse.  Riportonne  un  empio 
E  spaventoso  oracolo  ;  e  fu  questo  : 
Col  sangue,  e  con  la  morte  d*una  vergine 
Placaste  i  venti  per  condtirvi  in  Ilio  :  2  -  » 

Col  sangue,  e  con  la  morte  ora  rf'  un  giovine 
Convien  placarli  per  ridarvi  in  Grecia. 


64  ENEIDE 


A  cosi  fiera  voce  sbii3M)ttissi , 

Impallidissi,  e  tremò  '1  volgo  tutto, 

Ciascun  per  se  temendo;  e  nessun  certo  205 

Qual  di  loro  accennasse  Apollo  e  *I  Fato. 

Qui  fece  Ulisse  in  mezzo  al  greco  stuolo 
Con  gran  tumulto  appresentar  Calcante: 
E  del  volere  in  ciò  de'  santi  Kumi 
InterrogoUo.  Ed  ei  rispose  in  guisa,  210 

Che  la  sua  fellonia,  benché  da  tutti 
Fosse  prevista,  fu  però  da  molti 
Simulata  e  taciuta,  e  da  molti  anco 
A  me  predetta  :  pur  ei  tacque  ancora 
Per  dieci  f^^iorni;  e  scaltramente  al  niego  215 

Si  mise  di  voler  che  per  suo  detto 
Fosse  alcun  destinato,  o  spinto  a  morte. 
Ma  poi,  come  da  gridi  astretto  e  vinto. 
Di  conserto  con  lui  ruppe  il  silenzio. 
Si,  eh'  io  fui  dichiarato  al  lìn  per  vittima.  220 

Consentir  tutti  :  perchè  tutti  ancora  120 

Finian  con  la  mia  morte  il  lor  periglio. 

Era  già  da  vicino  il  giorno  orribile, 
In  che  doveano  al  sacrifìcio  offrirmi; 
E  già  *1  farro  e  già  '1  sale  e  già  le  bende  225 

Erano  a  le  mie  tempie  intorno  fivvolte  : 
Quando,  rotto  (io  nul  niego)  ogni  rite^o, 
Da  la  morte  mi  tolsi  :  e  fìn  eh'  a'  venti 
Desser  le  vele  (eh'  eran  presti  a  darle) 
Di  buja  notte  in  un  pantan  m'  ascosi,  230 

Ove  nel  fango  infra  le  scarde  0  i  giunchi  las 

Stava  qual  mi  vedete.  Ora  son  qui 
Privo  d'  ogni  conforto  e  d'  ogni  speme 
Di  mai  più  riveder  la  patria  antica, 
I  dolci  ligli  e  '1  desiato  padre,  235 

Che  saran,  lasso  me  !  per  la  mia  fuga. 
Benché  innocenti,  ancor  forse  in  mia  vece 
Incarcerati  e  tormentati  e  morti. 

Òr  io,  signor,  per  quelli  eterni  Dei 
Che  scorgon  di  lassù  se  '1  vero  i'  parlo,  240 

Per  quella  pura  e  intemerata  fede 
(Se  tra'  mortali  in  alcun  loco  è  tale) 
Ond*  io  già  tutto  a  rivelar  ti  vegno  ; 
Priegoti  che  pietà  di  me  ti  prenda, 
E  de'  miei  tanti  0  sì  gravosi  affanni  245 

Che  indegnamente  io  solfro.  A  colai  pianto 
Commossi,  e  da  noi  fatti  anco  pietosi 
Vita  0  venia  gli  diamo.  E  di  sua  Locca 
Comanda  il  re»  che  si  disferri  e  sciolga; 


.1 


LIBRO  SECONDO  55 


Poi  dolcemente  in  tal  guisa  gli  parla  :  250 

Qual  tu  ti  sia,  de'  tuoi  jporduti  Greci 

Ti  dimentica  ornai;  che  per  innanzi 

Sarai  de'  nostri.  Or  mi  rispondi  il  vero 

Di  quel  eh'  io  ti  domando.  A  che  fine  hanno 

Qui  sì  grande  edificio  i  Greci  eretto  ?  255 

Per  consiglio  di  cui,?  con  guai  avviso 

L'  han  fabbricato  ?  E  voto  f  è  magia  ?  ò  macchina  ? 

Che  trama  è  questa  ?  Avea  *1  re  detto  appena, 

Quand'  ei  d' inganni  e  d' arte  greca  instrutto, 

Le  già  disciolte  mani  al  cielo  alzando,  260 

Disse:  Voi  fochi  eterni  e  'nviolabili,  153 

Voi  fascio,  ond'  io  portai  le  tempie  awhate, 

Voi  sacri  altari,  e  voi  cultri  nefandi. 

Cui  fugjjendo  anco  adoro,  a  quel  eh'  io  dico 

Per  testimonj  invoco.  A  me  lece  ora  265 

Ch*  io  mi  disciolga,  e  mi  disacri  in  tutto 

Da  l'obbligo  de'  Greci.  E  mi  lece  anco 

Che  non  gli  ami,  e  che  gli  odii,  e  che  divolghi 

Quel  che  da  lor  si  cela  ;  già  che  astretto 

Più  non  son  de  la  patria  a  legge  alcuna.  270 

Tu,  se  vero  io  ti  dico,  e  se  gran  morto  159 

Di  ciò  ti  rendo,  e  te,  Troja,  conservo  ; 

Conserva  a  me  la  già  promessa  fede. 

Nel  comiribiar  di  questa  guerra  1  Greci 
Bioosero  ogni  speme,  ogni  fidanza  275 

Ne  r  ajulo  di  Palla  ;  e  ben  riposte 
Pur  sempre,  infin  che  l'empio  Diomede, 
E  r  inventor  d'  ogni  mal'  opra  Ulisse , 
D  sacro  tempio  suo  non  violare  : 
Come  fèr  quando  ne  la  rocca  ascesi  280 

N'  uccisero  i  custodi,  e  n'  involare 
Il  Palladio  fatale,  osando  impuri 
Por  le  man  sanguinose  al  sacrosanto 
Suo  simulacro,  e  macular  le  intatte 
E  intemerato  sue  vlrginee  bende.  285 

Da  Indi  in  qua  d'ardir  sempre  e  di  forze 
Scemar,  non  che  di  speme  ;  e  Palla  infesta 
Ne  fu  lor  sempre,  e  ne  dio  chiari  ^egni 
E  portentosi,  allor  che  al  campo  addotta 
Fu  la  sua  statua^  che  posata  appena  290 

Torvamente  mirogh;  e  lampi  e  fiamme  na 

Vibrò  per  gli  occhi,  e  per  le  membra  tutte 
Versò  salso  sudore.  Indi  tre  volte, 
Meraviglia  a  contarlo  !  alto  da  terra 
Surse,  e  'mbraccio  lo  scudo,  e  brandi  Tasta,  293 

Allor  gridando  indovinò  Calc:inte 


58  ENEIDE 


Che  fuggir  si  dovesse,  e  tosto  a'  venti 

Spiegar  le  vele  :  che  di  Troja  in  vano 

Era  l'assedio,  se  con  altri  augurj 

D'Argo  non  si  tornava  un'altra  volta  ;  3' 

E  de  la  Dea  non  si  placava  il  nume.  i?» 

Ch*  or,  per  ciò  fare,  nan  seco  in  Grecia  addotto. 

Onde  giunti  a  Micene,  incontanente 

Si  daranno  a  dispor  l'armi  e  le  genti, 

E  gli  Dei  che  gli  aiti,  e  gli  accompagni.  31 

Poi  ripassando  il  mar,  con  maggior  forza, 

Di  nuovo  assaliranvi,  e  d' improvviso. 

Cosi  Calcante  interpreta,  e  predice. 

Or  questa  mole  che  tant'  alto  sorge, 
ftui  per  consiglio  di  Calcante  è  posta  3 

In  vece  del  Palladio,  e  per  ammenda 
Del  Nume  olTeso,  a  belio  studio  intesta 
Di  legni  cosi  gravi  e  cosi  grandi, 
Ed  a  si  smisurata  altezza  eretta, 
A  fin  che  per  le  porte  entro  a  le  mura  3 

Quinci  addur  non  si  possa,  ove  per  segno 
E  per  memoria  poi  del  Isume  antico 
Riverita  da  voi,  sacrata  e  colta 
Sia  ricovro  e  tutela  al  popol  vostro. 
Che  allor  che  questo  dono  a  Palla  offerto  3 

Per  vostra  man  sia  violato  e  guasto, 
Ruina  estrema  (la  qual  sopra  lui    " 
Caggia  più  tosto)  a  voi  vuol  che  ne  venga, 
Ed  al  gran  vostro  impero  :  ed  a  rincontro. 
Quando  da  voi  sia  dentro  al  vostro  cerchio  3 

Condotto  e  custodito;  allor,  che  l'Asia  19* 

Congiurerà  con  le  sue  forze  tutte 
A  resterminio  d'Argo  ;  e  che  tal  fato 
Sopra  a'  nostri  nepoti  in  cielo  è  fìsso. 

Con  tal' arte  Sinon,  con  tali  insidie  3 

Pe  8i  che  gli  credemmo;  e  quelli  stessi 
Cui  non  poter  né  *1  figlio  di  Tidòo, 
Né  di  Larissa  il  bellicoso  alunno. 
Né  diece  anni  domar,  né  mille  navi, 
Furon  da  lagrimette  e  da  menzogne  3 

Sforzati  e  vinti.  In  questa  a  gì'  infelici 
Un  altro  4Boprawenne  assai  maggiore 
E  più  fiero  accidente;  onde  a  ciascuno 
D' improvviso  spavento  il  cor  turbossL 
\  Era  Laocoonte  a  sorte  eletto  3 

Sacerdote  a  Nettuno;  e  quel  dì  stesso  toi 

^Gli  faceà  d'  un  gran  toro  ostia  solenne: 
Quand'  ecco  che  da  Tùncdo  (  m' agghiado 


LIBRO  SECONDO  -.  57 


A  raccontarlo  )  due  serpenti  immani 

Venir  si  veggon  parimente  al  lito,  345 

Ondeggiando  co  i  dorsi  onde  maggiori 

De  le  marine  allor  tranquille  e  quete. 

Dal  mezzo  in  suiendoan  coi  petti  il  mare, 

E  s' ergean  con  le  teste  orribilmente 

Cinte  di  creste  sanguinose  ed  irte.  350 

H  resto  con  gran  giri  e  con  grand' archi 

Traean  divincoljmdo  ;  e  con  le  code 

L' acque  sferzanao  si  che  lungo  tratto 

Si  facean  suono  e  spuma  e  nebbia  intomo. 

Giunti  a  la  riva,  con  lìcri  occhi  accesi  355 

Di  vivo  foco  e  d' atro  sangue  aspersi, 

Vibrar  le  lingue,  e  gittàr  liscili  orribili. 

Noi  di  paura  sbigottiti  e  smorti 

Chi  mia,  chi  là  ci  dispergemmo;  e  gli  angui 

S'affilar  drittamente  a  Laocoonte,  360 

E  pria  di  due  suoi  pargoletti  figli  «i3 

Le  tenerelle  membra  ambo  avvinchiando, 

Sen  fòro  crudo  e  miscrabil  pasto. 

Poscia  a  lui,  eh'  a'  fanciulli  era  con  l'arme 

Giunto  in  ajuto ,  s'avventare ,  e  stretto  365 

L'  awinser  si  che  le  scagliose  terga  * 

Con  due  spire  nel  petto  e  due  nel  collo 

Gli  racchiusero  il  nato;  e  le  bocche  alte 

Entro  al  suo  capo  fieramente  infìsse , 

Gli  addentarono  il  teschio.  Egli ,  com'  era  370 

D'atro  sangue,  di  bava  e  di  veleno 

Le  bende  e  '1  volto  asperso,  i  tristi  nodi 

Disgroppar  con  le  man  tentava  indarno, 

E  d'orribili  strida  il  ciel  feriva; 

Qual  mugghia  il  toro  allor  che  dagli  altari  375 

Sorge  ferito,  se  del  ma«;lio  appieno  ««s 

Non  cade  il  colpo,  ed  ei  lo  sbatte  e  fugge.- 

I  fieri  draghi  alfin  da  i  corpi  esangui 

Disviluppati,  in  ver  la  rocca  insieme 

Strisciando  e  zufl'olando,  al  sommo  ascesero:         380 

E  nel  tempio  di  Palla,  entro  al  suo  scudo 

Rinvolti,  a*  pie  di  lei  si  raggruppare.  JJ^ 

Rinnovossi  di  ciò  nel  volgo  orrore 

E  tremore  e  spavento;  e  mormorossi  » 

Che  degnamente  avea  Laocoonte  385 

Di  sua  temerità  pagato  il  fio , 

E  del  furor  che  contro  al  sacro  legno 

Gli  armò  l'impura  e  scellerata  mano: 

E  gridar  tutti  che  di  Palla  al  tempio 

Si  conducesse,  e  con  preghiere  e  voti  390 


58  ENEIDB 


De  la  Dea  si  facesse  il  mime  amico. 

A  ciò  seguire  immantinente  accinti 

Riuniamo  la  porta,  apriam  le  mura, 

Adattiamo  al  cavallo  ortlijni  e  travi, 

E  ruote  e  curri  a*  piedi,  e  l'uni  al  collo.  395 

Cosi  mossa  e  tirata  agevolmente  235 

La  macchina  fatale  il  muro  ascendo 

D*  armi  pregna  e  d' armati ,  a  cui  d*  intorno 

Di  verginelle  e  di  fanciulli  un  coro 

Sacro  lodi  cantando ,  con  diletto»  400 

Porgcan  mano  a  la  fune.  Ella  per  mezzo 

Tratta  de  la  città ,  mentre  si  scuoto , 

Mentre  che  ne  l'andar  cigola  e  freme , 

Sembra  che  la  minacci.  O  Patria,  0  Ilio, 

Santo  de' Numi  a!b.:ìr,-^o!  inclita  in  arme  405 

Dardania  terra!  Noi  la  pur  vedemmo 

Con  tanti  occhi  a  l'entrar,  che  quattro  volte 

Fermossi,  e  quattro  volte  anco  n'udimmo 

Il  suon  de  l'armi:  e  pur  da  furia  spinti. 

Ciechi  e  sordi  che  fummo ,  i  nostri  danni  410 

Ci  procurammo  :  che  '1  di  stesso  addotto  244 

E  posto  in  cima  a  la  sacrata  rocca 

Fu  quel  mostro  infelice.  Allor  Cassandra 

La  bocca  aperse  ;  e  quale  esser  solca 

Verace  sempre  e  non  creduta  mai ,  4i5 

L'estremo  une  indarno  ci  predisse: 

E  noi  di  sacra  e  di  festiva  fronde 

Velammo  i  tempj  il  di ,  miseri  noi  ! 

Che  de'  lieti  dì  nostri  ultimo  fue. 

Scende  da  1'  Occàn  la  notte  intanto ,  420 

E  col  suo  fosco  velo  involve  e  copre 
La  terra  e'  1  cielo  e  de'  Pelasgi  insieme 
L'  ordite  insidie.  I  Teucri  a  i  loro  alberghi , 
A  i  lor  riposi  addormentati  e  quoti 
Giaceàn  liocuramente  ;  e  già  da  Tònedo  425 

A  r  usata  riviera  in  ordinanza 
Ver  noi  se  ne  venia  1'  argiva  armata, 
Col  favor  de  la  notte  occulta  e  cheta  ; 
Quando  da  la  sua  poppa  il  regio  legno 
Ne  die  cenno  col  foco.  Allor  S'inone,  430 

Che  per  nostra  mina  era  da  noi 
E  dal  Fato  maligno  a  ciò  serbato, 
Accostossi  al  cavallo ,  e  '1  chiuso  ventre 
Chetamente  gli  aperse;  e  fuor  ne  trasse 
L' occulto  agguato.  Uscirò  a  1'  aura  in  prima         435 
I  primi  capi  baldanzosi  e  lieti,  249 

Tutti  per  una  fune  a  terra  scesi: 


[ 


LIBRO  SECONDO  59 


E  fur  Tisandro  e  Stènelo  ed  Ulisse, 

Ata  mante  e  Toante  e  Macaone 

E  Pirro  e  Menelao  con  lo  scaltrito  440 

Fabbricator  di  questo  incanno  Epòo.  Z6^ 

Assalir  la  città  che  già  ne  V  ozio 

E  nel  sonno  e  nel  vino  era  sepolta; 

Ancisero  le  ^ardie;  aprir  le  porte  ; 

Miser  le  schiere  congiurate  insieme  ;  445 

E  dicr  forma  a  V  assalto.  Era  ne  Torà 

Che  nel  primo  riposo  hanno  i  mortali 

Quel  eh'  e  dal  cielo  a  i  loro  affanni  infuso 

Opportuno  e  dolcissimo  ristoro: 

Quand'  ceco  in  sogno  (  quasi  avanti  gli  occhi  450 

Mi  fosse  veramente)  Ettor  m'apparve 

Dolente ,  lagrimoso ,  e  quale  il  vidi 

Già  strascinato ,  sang;uinoso  e  lordo 

n  corpo  tutto ,  e  i  piò  forato  e  gonfio. 

Lasso  me  !  qiiale  e  quanto  era  mutato  555 

Da  queir  Ettor  che  ritornò  vestito 

De  le  spoglie  d'Achille,  e  rilucente 

Del  foco,  ond'  arse  il  gran  navile  argolico! 

Squallida  avea  la  barba ,  orrido  il  crine 

E  rappreso  di  sangue  ;  il  petto  lacero  460 

Di  quante  unqua  ferite  al  patrio  muro 

Ebbe  d' intorno.  E  mi  parca  che  '1  primo 

Foss'io  che  lagrimando  gli  dicessi: 

0  splendor  di  Dardania ,  o  de'  Trojani 

Securissima  speme ,  e  quale  indugio  465 

T'ha  fin  qui  trattenuto?  Ond' or  ne  vieni 

Tanto  da  noi  bramalo  ?  Ahi  dopo  quanta 

Strage  de'  tuoi ,  dopo  quanti  travagli 

De  la  nostra  città  già  stanchi  e  domi 

Ti  riveggiamo!  E  qual  fero  accidente  470 

Fa  sì  deiforme  il  tuo  volto  sereno?  «ss 

E  che  piaghe  son  queste  ?  Egli  a  ciò  nulla 

Rispose,  come  a  vani  miei  quesiti. 

Ma  dal  profondo  petto  alti  sospiri 

Traendo,  oh!  fuggi,  Enea,  fuggi,  mi  disse;  475 

Togliti  a  queste  namme.  Ecco  che  dentro 

Sono  i  nostri  nemici.  Ecco  già  eh'  Ilio 

Arde  tutto  e  mina.  Infine  ad  ora 

E  per  Priamo  e  per  Troja  assai  s'è  fatto. 

Se  difendere  omai  più  si  potesse,  480 

Fora  per  questa  man  difesa  ancora:  291 

Ma  dovendo  cader,  le  sue  reliquie 

Sacre  e  gli  santi  suoi  Numi  Penati 

A  te  solo  accomanda;  e  tu  li  prendi 


60  ENEIDB 


t 


; 


Per  compagni  a* tuoi  fati;  e,  come  è  d'uopo,         485  \ 

Cerca  loro  altro  torre,  er^i  altre  mura; 

Che  dopo  lungo  e  travaglioso  esiglio 

L'ergerai  più  di  Troja  altere  e  grandi. 

Detto  ciò,  da  le  chiuse  arche  reposte 

Trasse,  e  mi  consegnò  le  sacre  oende  490 

E  r  effige  di  Vesta  e  '1  foco  eterno. 

Spargonsi  intanto  per  diverse  parti 
De  la  presa  città  le  grida  e  'l  pianto 
E  '1  tumulto  de  l'armi;  e  rinforzando 
Via  più  di  mano  in  man ,  tanto  s' avanza  495 

\  Che  a  r  antica  magion  del  padre  Anchise 

(Come  che  fosse  assai  remota ,  e  chiusa 
D' alberi  intorno  )  il  ^ran  rumore  aggiunge. 
Allor  dal  sonno  mi  riscuoto,  e  salgo 
Subitamente  d' un  terrazzo  in  cima ,  500 

E  porgo  per  udir  gli  orecchi  attenti.  «oa 

,  Cosi  rozzo  pastor ,  se  da  gran  suono 
E  da  lungo  percosso,  in  alto  ascende, 
E  mirando  si  sta  confuso  e  stupido 
O  foco ,  che  al  soffiar  d' un  torbid'  austro  505 

Stridendo  arda  le  biade  e  le  campagne, 

0  tempestoso  e  rapido  torrente 
Che  dal  monte  precipiti,  e  le  selve 
Ne  meni  e  i  colti  e  le  ricolte  e  i  campi. 
Allor  tardi  credemmo ,  allor  le  insidie  510 
Ne  ftir  conte  de'  Greci.  E  già  '1  palagio 
Era  di  Delfóbo  arso  e  distrutto; 
Già  '1  suo  vicino  Ucalegon  ardea,"*^ 
E  r  incen'lio  di  lYoia  in  ogni  lato 
Rilucea  di  Sigòo  ne  la  marina;  515 
E  s'udia  gridar  genti,  e  sonar  tube.        ^          8i2 
Io  m'  armo ,  e  forsennato  anco  ne  l' armi 
Non  vegiL^io  ove  m' adopri.  Al  fin  risolvo , 
Raunati  i  compagni ,  avventurarmi , 
Menar  le  mani ,  e  ne  la  Rocca  addurmL                 620 
Mi  fan  r  impeto  e  l' ira  ad  ogni  rischio 
Precipitoso;  e  solo  a  mente  vienmi 
Che  un  bel  morir  tutta  la  vita  onora. 

Eravam  mossi;  quando  ecco  tra  via 
Ne  si  fa  Panto  d' improvviso  avanti ,  525 

Panto  Aglio  d'Otròo,  che  de  la  Rocca 
Era  custode ,  e  sacerdote  a  Febo. 
Questi  scampato  da'  nemici  appena , 
Inverso  il  lito  attonito  fuggendo, 

1  sacri  arre  li  e  i  santi  simulacri  530 
De  gli  Dei  vinti,  e'I  suo  picciol  nipote 


ìf 


LIBRO  SECÒKnO  '61 


Si  traea  seco.  O  Panto,  o  Panto  (io  dissi) 

A  che  Siam  giunti?  Ovo  ricorso  abbiamo, 

Se  la  rocca  è  già  presa  ?  Ei  sospirando 

E  piangendo  rispose:  È  giunto,  Enea,  535 

L' ultimo  giorno  e  '1  tempo  inevitabile  zti 

De  la  nostra  mina.  Ilio  fu  già; 

E  noi  Trojani  lummo.  Or  è  di  Troja 

Ogni  gloria  caduta.  Il  fero  Giove 

Tutto  in  Argo  ha  rivolto;  e  tutti  in  preda  540 

Siam  de'  Greci  e  del  foco.  Il  gran  cavallo , 

Ch'era  a  Palla  devoto,  altero  in  mezzo 

Stassi  de  la  cittade ,  e  d' ogni  lato 

Arme  versa  ed  armati  II  buon  Sinone 

Gode  de  la  sua  frode ,  e  d' ogn'  intorno  545 

Scorrendo  si  rimescola ,  e  s'  aggira 

Gran  maestro  d' incendj  e  di  mine. 

A  porte  spalancate  entran  le  schiere 

Senza  ritegno  ed  a  mi^liaja ,  quante 

Ne  d'Argo  usciron  mai,  ne  di  Micene.  650 

Gli  altri,  che  prima  entrare,  han  già  le  strade  38i 

Assediate:  e  stan  con  Tarmi  infeste 

Parale  a  far  di  noi  strage  e  macello. 

Soli  son  fino  a  qui  sorti  in  difesa 

I  corpi  de  le  guardie:  e  guesti  al  bujo  655 

Fanno  con  lievi  e  repentini  assalti 

Tale  una  cieca  resistenza  appena. 

Dal  parlar  di  costui,  dal  nume  avverso 
Spinto  mi  caccio  tra  le  fiamme  e  l'armi, 
Ove  mi  chiama  il  mio  cieco  furore ,  660 

E  de  le  genti  il  fremito  e  le  strida 
Che  feriscono  il  cielo.  E  per  compagni 
Primieramente  al  lume  de  la  luna 
Mi  si  scopron  Rifèo,  Ifito  il  vecchio 
Ed  Ipano  e  Dimante:  indi  comparvo  565 

n  giovine  Corebo.  Era  costui 
Figlio  a  Migdone ,  insanamente  acceso 
De  r  amor  di  Cassandra  ;  e  come  fosse 
Già  suo  consorte ,  pochi  giorni  avanti 
In  soccorso  del  suocero  e  de' .Frigi  570 

S'  era  a  Troja  condotto.  Infortunato!  su 

Che  non  avea  la  sua  sposa  indovina 
Ben  anco  intesa.  A  questi  insieme  accolti 
Per  accendergli  più  mi  volgo,  e  dico: 

Giovani  forti  e  valorosi,  in  vano  675 

Ornai  fla  la  fortezza  e  '1  valor  vostro; 
Poiché  i)erduti  siamo  e  che  Troja  arde, 
E  gli  Dei  tutti ,  a  cui  tutela  e  cura 


62  fnt:tt>h 


Si  rcggea  questo  impero ,  in  abbandono 

Lasciano  i  nostri  tempj  e  i  nostri  altari  590 

Ma  so  voi  cosi  fermi  e  così  certi 

Siete  pur,  coni' io  veggio,  a  seguitarmi; 

Ancor  che  a  morte  io  vada,  in  mezzo  a  Tarmi 

Avventianci,  e  moriamo.  Un  sol  rimedio 

A  chi  speme  non  havo  è  disperarsi.  585 

Cosi  1  ardir  di  quegli  animi  accesi  351 

Furor  divenne.  Usciam  di  lupi  in  guisa 
Che  rapaci,  lame  liei  e  rabbiosi. 
Gol  ventre  voto  e  con  le  canne  asciutto 
Sentan  de'lupicini  urlar  per  fame  590 

Pieno  un  digiun  covile.  Andiam  per  mezzo 
De' nemici  e  de  Tarmi  a  morte  esposti. 
Senza  riservo,  e  via  dritti  fenrliamo 
La  città  tutta,  a  la  buja  ombra  occulti, 
Che  T  altezza  facea  de  gli  edifici.  -  595 

Or  chi  può  dir  la  strage  e  la  mina 
Di  quella  notte  ?  E  qual  è  pianto  eguale 
A  tanta  uccisione,  a  tanto  eccidio? 
Troja  mina,  la  superba,  antica 
E  gloriosa  Troja  che  tant'anni  600 

Portò  scettro  e  corona.  Era,  dovunque 
S'andava,  di  cadaveri,  di  sangue, 
D' ogni  calamità  pieno  ogni  loco, 
Or  vie,  le  case,  i  tempj.  E  non  pur  soli 
Caddero  i  Teucri:  che  l'antico  ardire  605 

Destossi,  e  surse  alcuna  volta  ancora  366 

Ne  li  lor  petti.  I  vincitori  e  i  vinti 
Giacean  confusamente,  e  d' ogni  lato 
S' udian  pianti  e  lamenti  ;  e  questi  e  quelli 
Eran  da  la  paura  e  da  la  morte  610 

In  mille  guise  aggiunti.  Andrògeo  il  primo 
De'  Greci  fu ,  che  avanti  ne  s'  offerse 
Condottier  di  gran  gente.  Egli  avvisando 
Parte  sollecitar  de  la  sua  schiera, 
Affrettatevi,  disse  ;  a  che  badate  ?  615 

Che  indugio  è'I  vostro?  Altri  espugnata  ed  arsa 
E  depredata  han  di  già  Troja:  e  voi 
Testé  venite  ?  Aveva  ciò  detto  appena. 
Che  T  se^no  e  la  risposta  indarno  attesa . 
Tra  nemici  si  vide:  e  come  attonito  620 

Restando,  con  la  voce  il  piò  ritrasse.  »76 

Come  repente  il  vtator  s' arretra , 
.  Se  d'improvviso  fina  le  s^ine  un  angue 
'  Àwien  che  prema ,  ed  ei  premuto  e  punto 
D' ira  gonfio  e  di  tosco  gli  s' avventi  ;  625 


r_9^«s^ 


LIBRO   SECONDO  63 


Cosi  dal  nostro  subitano  incontro 

Sovraggiunto  in  un  tempo  o  spaventato, 

Andrògeo  per  fuggir  ratto  si  volse. 

Ma  noi  che  impauriti  e  sconcertati 

A  la  sprovvista  gli  assalimmo  in  lochi  630 

A  lor  non  consueti ,  in  breve  spazio 

Li  circondammo,  e  gli  ancidemmo  al  fine: 

Tanto  nel  primo  assalto  amica  e  presta 

Ne  fu  la  sorte.  E  qui  fatto  Gorebo 

D*  un  tal  successo  e  di  coraggio  altero,  635 

Compagni ,  disse ,  poi  che  la  fortuna 

Con  questo  si  felice  a  gli  altri  incontri 

Ne  porge  aita  a  nostro  scampo ,  usianla. 

Mutiam  gli  scudi,  accomodianci  gli  elmi 

E  r  insegne  do'  Greci.  0  biasmo ,  o  lode  640 

Che  ciò  ne  sia ,  chi  co'  nemici  il  cerca  ?  890 

L'arme  ne  daranno  essi.  E  cosi  detto. 

La  celata  e  '1  cimier  d' Andrògeo  stesso 

£  la  sua  scimitarra  e  la  sua  targa 

Per  lui  si  prese ,  armi  onorate  e  conte.  645 

Cosi  fece  Rifèo,  cosi  Dimante  • 

E  cosi  tutti:  che  per  se  ciascuno 

Di  nuove  spoglie  allegramente  armossi. 

Ci  mettemmo  tra  lor ,  che  i  nostri  Dii 
Non  eran  nosco  ;  e  ne  T  oscura  notte  650 

Con  ogni  occasione  in  ogni  loco 
Ci  azzuffammo  con  essi  ;  e  di  lor  molti 
Mandammo  a  l'Orco,  e  ritirar  molt* altri 
Ne  facemmo  a  le  navi:  e  fur  di  quelli 
Che  per  viltà  nel  cavernoso  e  cieco  055 

Ventre  si  racquattàr  del  gran  cavallo.  4oo 

Ma  che?  Gontra'l  voler  de' regi  eterni 
Indarno  osa  la  gente.  Ecco  dal  tempio 
Trar  veggiam  di  Minerva,  con  le  chiome 
Sparse,  e  con  gli  occhi  indarno  al  ciel  rivolti,      COO 
La  vergine  Cassandra.  Io  dico  gli  occhi; 
Perchè  le  regie  sue  tenere  mani 
Eran  da  lacci  indegnamente  avvinte. 

A  si  fero  spettacolo  Corebo 
Infuriato,  e  di  morir  disposto,  CC5 

Anzi  che  di  soffrirlo,  a  quella  schiera 
Scagliossi  in  mezzo;  e  noi  ristretti  insieme 
Tutti  il  seguimmo.  Or  qui  fessi  di  noi 
Una  strage  crudele  e  miserabile, 
E  da' nostri  medesmi,  che  la  cima  670 

Tenean  del  tempio:  e  dardi  e  sassi  e  travi 
Me  versarono  addosso,  immaginando 


64  BNBIDB 


1^ 


Da  r  armi ,  da'  cimieri  e  da  V  insegne 

Di  ferir  Greci  :  e  i  Greci  d' ogn'  intorno  ^ 

Tratti  dal  gran  rumore  e  da  lo  sdegno  675 

De  la  ritolta  vergine ,  s'  unirò  4is 

Ai  nostri  danni.  Il  bellicoso  Ajace, 

I  fieri  Atridi,  i  Dòlopi  e  gli  Argivi, 

Tutti  ne  furon  sopra  in  quella  guisa 

Ch'  opposti  un  centra  V  altTO  Affrico  e  Bòrea  680 

E  Garnino  e  Volturno  accolte  in  mezzo 

Ban  le  selve  stridenti,  o  '1  mare  ondoso, 

Quando  col  suo  tridente  in  fin  dal  fondo 

D  gran  Nereo  il  conturba.  E  tornar  anco 

Incontro  a  noi  guei  che  da  noi  pur  dianzi  685 

Sen  gir  rotti  e  dispersi  ;  e  questi  in  prima 

Scoprir  le  nostre  insidie,  e  fér  palesi 

Le  cangiate  armi  e  li  mentiti  scudi, 

E  1  parlar  che  dal  Greco  era  diverso. 

Cosi  ne  fU  subitamente  addosso  .690 

XJn  diluvio  di  gente.  E  qui  per  mano  4J4 

Di  Peneleo,  davanti  al  sacro  altare 

De  r  armigera  Dea  cadde  Gorebo  : 

Cadde  Rlleo ,  eh'  era  ne'  Teucri  un  lume 

Di  bontà,  di  giustizia  e  d'  equitate  695 

(Cosi  a  Dio  piacque ) ;  ed  Ipane  e  Dimante 

Caddero  anch'essi;  e  questi;  oimè!  trafitti 

Per  le  man  pur  de' nostri.  E  tu,  pietoso 

Panto,  cadesti;  e  la  tua  gran  piotate, 

E  r  infoia  santissima  d' Apollo  700 

In  ciò  nulla  ti  valse.  0  fiamme  estreme, 

O  ceneri  de'  miei  !  fatemi  fede 

Voi,  che  nel  vostro  occaso  io  rischio  alcuno 

ISfon  rifiutai  ne  d'arme,  nò  di  foco. 

Né  di  qual  fosse  incontro ,  né  di  quanti  T05 

Ne  facessero  i  Greci  :  e  so  '1  Fato  era 

Ch'io  dovessi  cader,  caduto  fora: 

Tal  ne  feci  opra.  Ne  spiccammo  al  fine 

Da  quel  mortale  assalto.  Ifìto  e  Pelia 

Ne  venner  meco  ;  Ifito  afflitto  e  grave  710 

Già  d'anni;  e  Pelia  indebolito  e  tardo  435 

D' im  colpo ,  che  di  mano  ebbe  d'  Ulisse. 

Quinci  divelti;  al  gran  palagio  andammo 
Da  le  grida  chiamati.  Ivi  era  un  fremito. 
Un  tumulto,  un  combatter  cosi  fiero,  715 

Come  guerra  non  fosse  in  altro  loco, 
E  quivi  sol  si  combattesse,  e  quivi 
Ogn'un  morisse,  e  nessun  altro  altrove; 
Tal  v*  era  Marte  indomito,  e  de'  Greci 


LIBRO   SECONDO  65 


Tanto  concorso.  Avean  la  porta  cinta  720 

Di  schiere  e  di  testuggini  e  di  travi, 

E  d'  ambi  i  lati  a  la  parete  in  aito 

Appoggiate  le  scale;  onde  saliti 

E  spinti  un  dopo  1*  altro;  con  gli  scudi 

Si  ricoprian  di  sopra;  e  con  le  destre  725 

Rampicando  salian  di  grado  in  grado.  44 1 

A  rincontro  i  Troiani,  altri  di  sopra 
Muri  e  tetti  versando  e  torri  intere, 


I  travi  e  i  palchi  d'  oro  e  i  fregi  tutti 
De  la  reggia  e  de'  resri  avean  nei 


^^  *«  *^c)o*«  -  —  -^ó-  «.v,«xx  per  armi;  730 

Fermi  a  far  si  (  poich'  eran  giunti  al  fine  ) 

Ch'ogni  cosa  con  lor  finisse  insieme: 

Ed  altri  unitamente  entro  a  la  porta 

Stavan  coi  ferri  bassi,  in  folta  schiera 

A  guarflia  de  V  entrata.  E  mii  di  novo  735 

A  sovvenir  la  corte,  a  far  difesa 

Per  entro,  a  dare  a'  vhiti  animo  e  forza 

Mi  posi  in  core  :  e'  n  cotal  guisa  il  feL 

Era  un  andito  occulto  ed  una  porta 

SecreU^mente  accomodata  a  l'uso  740 

De  le  stanze  reali,  onde  solca 

Andromaca  infelice  al  suo  buon  tempo 

Gir  a'  suoceri  suoi  soletta;  é  seco 

Per  domestica  gioja  al  suo  grand'  avo 

n  pargoletto  Ast'ianatte  addurre.  745 

Qmnci  entromesso,  me  ne  salsi  in  cima  457 

A  l'alto  corridore;  onde  i  meschini 

Facean  di  sopra  a  le  nemiche  schiere 

Tempesta  in  vano.  Era  dal  tetto  a  l'aura 

Spiccata,  e  sopra  la  parete  a  filo  750 

tm'  altissima  torre,  onde  il  paese 

Di  Troia,  il  mar,  le  navi  e  '1  campo  tutto 

Si  scopria  de'  nemici.  A  questa  intomo 

Co'  ferri  ci  mettemmo  e  co'  puntelli  ; 

E  da  radice,  ov'  era  al  palco  aggiunta,  755 

E  da'  suoi  tavolati  e  da'  suoi  travi 

Recisa  in  parte,  la  tagliammo  in  tutto, 

£  la  spingemmo.  Alta  mina  e  suono 

Fece  cadendo  ;  e  di  più  greche  squadro 

Fu  strage  e  morte  e  sepoltura  insieme.  760 

Gli  altri  vi  salir  sopra  :  e  d'  ogni  parte  4«« 

Senza'  intermission  d' ogni  arme  un  nembo 

Volava  intanto.  In  su  la  prima  entrata 

Stava  Pirro  orgoglioso,  e  d' armi  cinto 

Si  luminose,  e  da'  rillessi  accese  765 

Di  tanti  incendj,  che  di  foco  e  d' ira 

J)eWJineide  5 


66  ENEIDB 


Parean  liifige  avventar  raggi  e  scintille. 

Tale  un  colubro  mal  pasciuto  e  gonfio, 
Di  tana  uscito,  ove  la  fredda  bruma 
Lo  tenne  ascoso,  a  Taura  si  dimostra,  770 

Quando,  deposto  il  suo  ruvido  spoglio, 
Ringiovenito,  alteramente  al  sole 
Lubrico  si  travolve,  e  con  tre  lingue 
Vibra  mille  suoi  lucidi  colori. 

Seco  il  gran  Peritante  e  '1  grand'  auriga  775 

D'Achille ,  Automedonte ,  e  lo  stuol  tutto 
Era  de'  Sciri  :  e  di  già  sotto  entrati. 
Fiamme  a'  tetti  avventando,  ogni  difesa 
Ne  facean  vana.  E  qui  co'  primi  avanti 
Pirro  con  una  in  man  grave  bipenne  780 

Le  sbarre,  i  legni,  i  marmi,  ogni  ritegno  49o 

De  la  Derrata  porta  abbatte  e  frange , 
E  per  disgangherarla  ogni  arte  adopra. 
Tanto  al  un  ne  recide  che  nel  mezzo 
V  apre  un*  amjjia  finestra.  Appajon  dentro  785 

Gli  atrii  superbi,  i  lunijhi  colonnati, 
E  di  Priamo  a  degli  altri  antichi  regi 
I  reconditi  alberghi  Appajon  l'M-mi 
Che  davanti  erau  pronte  a  la  difesa. 
S'  ode  più  dentro  uti  gemito,  un  tumulto,  700 

¥n  compianto  di  donne,  un  ululato, 
E  di  confusione  e  di  miseria 
Tale  un  suon  che  feria  l'aura  e  le  stelle. 
Le  misere  matrone  spaventate. 

Chi  qua,  chi  là  per  le  gran  sale  errando,  795 

Battonsi  i  petti  ;  e  con  dirotti  pianti  499 

Danno  infine  a  le  porte  amplessi  e  bacL 
Pirro  intanto  non  cessa,  e  furioso. 
In  sembianza  del  padre,  ogni  riparo. 
Ogni  intoppo  sprezzando,  entro  si  caccia,  800 

Già  l'ariete  a  fieri  colpi  e  spessi 
Aperta,  fracassata,  e  d'  ambi  i  lati 
Da'  cardini  divelta  avoa  la  porta  ; 
Quand'  egli  a  forza  urtò,  ruppe  e  conquise 
I  primi  armati  ;  e  quinci  in  un  momento  805 

Di  Greci  s'  allagò  la  reijgia  tutta. 
Qual  ò,  se  rotti  gli  argini,  spumoso 
Esce  e  rapido  un  fiume,  allor  che  gonfio 
E  torbe  e  ruinoso  i  campi  inonda. 
Seco  i  sassi  traendo  e  i  boschi  interi,  810 

E  gli  armenti  e  le  stalle  e  ciò  che  avanti 
Gli  s'  attraversa  ;  in  co  tal  guisa  io  stesso 
"Vidi  PiiTO  menar  ruina  e  strage  : 


LIBRÒ  SECONDO  67 


E  vidi  ne  V  entrata  ambi  ffli  Atridi; 

Vidi  Ecuba  infelice,  ed  a  lei  cento  815 

Nuore  d'  intorno  ;  e  Priamo  vid*  anco 

Ch'  estinguea  col  suo  sangue,  cimò  !  quei  fochi 

Che  da  lui  stesso  eran  sacrati  e  colti. 

Cinquanta  maritali  appartamenti 
Eran  nel  suo  serraglio:  quale,  e  quanta  820 

Speranza  de'lìgliuoli  e  do' nipoti!  603 

Quanti  fregi ,  quant*  oro ,  quante  spoglie  , 
E  quant'  altre  ricchezze  !  e  tutte  insieme 
Perirò  incontanente  :  e  dove  il  foco 
Non  era,  erano  i  Greci.  Or,  per  contarvi  825 

Qual  di  Priamo  fosse  il  fato  estremo , 
E^li,  poscia  che  presa,  arsa  e  disfatta 
Vide  la  sua  cittade ,  e  i  Greci  in  mezzo 
Ai  suoi  più  cari  e  più  riposti  alberghi  ; 
Ancor  che  veglio  e  debole  e  tremante  830 

L'armi,  che  ìli  gran  tempo  avoa  dismesse,      509 
Addur  si  fece  ;  e  d'  esse  inutilmente 
Gravò  gli  omeri  e*l  fianco;  e  come  a  morte 
Devoto ,  ove  più  folti  e  più  feroci 
Vide  i  nemici ,  incontr'  a  lor  si  mosso.  835 

Era  nel  mezzo  del  palazzo  a  T  aura 
Scoperto  un  grand'  altare ,  a  cui  vicino 
Sorgea  di  molti  e  di  molt'  anni  un  lauro 
Che  co' rami  a  l'aitar  facea  tribuna, 
E  con  r  ombra  a'  Penati  opaco  velo.  840 

Qui ,  come  d'  atra  e  torbida  tempesta 
Spaventate  colombe  ,  a  1'  ara  intorno 
Avea  le  care  figlie  Ecuba  accolte; 
Ove  agi'  irati  Dei  pace  ed  aita 

Chiedendo ,  a  li  lor  santi  simulacri  845 

Stavano  con  le  braccia  indarno  appeso. 
Qui ,  poiché  la  dolente  apparir  vide 
Il  vecchio  re  giovenilmentc  armato , 
O  ,  disse ,  infelicissimo  consorte , 
Qual  dira  mente ,  o  qual  follia  ti  spinge  850 

A  vestir  di  quest'armi?  Ove  t'  avventi  siJ? 

Misero?  Tal  soccorso  e  tal  difesa 
Non  è  d'  uopo  a  tal  tempo  :  non ,  s' appresso 
Ti  fosse  anco  Ettor  mio.  Con  noi  più  tosto 
Rimanti  qui;  che  questo  santo  altare  855 

Salverà  tutti  ;  o  morrem  tutti  insieme. 

Ciò  detto ,  a  se  lo  trasse;  e  nel  suo  seggio 
In  maestate  il  pose.  Erco  (V  nvanti 
A  Pirro  intanto  il  giovino  dolilo , 
Un  de'  figli  del  re ,  scampo  cercando 


BCO 


Dal  suo  ftirore ,  e  già  da  lui  fefito , 

Per  portici  e  per  loggie  armi  e  nemici 

Attraversando ,  in  ver  V  aitar  sen  fugge  : 

E  Pirro  ha  dietro  che  lo  segue ,  e  'ncalza 

Si  che  già  già  con  V  asta  e  con  la  mano  865 

Or  lo  prende ,  or  lo  fere.  Alfìn  qui  giunto ,       530 

Fatto  di  mano  in  man  di  forza  esausto 

E  di  sanjj^ue  e  di  vita,  avanti  a  gli  occhi 

D*  ambi  i  parenti  sui  cadde ,  e  spirò. 

Qui ,  perchè  si  vedesse  a  morte  esposto ,  870 

Priamo  non  di  se  punto  oblìossi, 
Ne  la  voce  frenò ,  né  frenò  V  ira  : 
Anzi  esclamando ,  O  scellerato  ,  disse , 
O  temerario  !  Abbiati  in  odio  il  cielo , 
Se  nel  cielo  è  pietate  ;  o  se  i  celesti  875 

Han  di  ciò  cura ,  di  lassù  ti  caglia 
La  vendetta  che  merta  opra  si  ria. 
Empio  ,  eh'  anzi  a'  miei  numi ,  anzi  al  cospetto 
Mio  proprio  fai  governo  e  scempio  tale 
D'  un  tal  mio  figlio ,  e  di  sì  fera  vista  880 

Le  mie  luci  contamini  e  funesti. 
Cotal  meco  non  fu ,  benché  nimico , 
Achille ,  a  cui  tu  menti  esser  figliuolo , 
Quando,  a  lui  ricorrendo,  umanamente 
M'  accolse ,  e  riveri  le  mie  preghiere  ;  885 

Gradi  la  fede  mia  ;  d'  Ettor  mio  figlio  5U 

Mi  rendè  '1  corpo  esangue  :  e  me  securo 
Nel  mio  regno  ripose.  In  questa ,  acceso 
Il  debil  vecchio  alzò  V  asta ,  e  lanciolla 
Si ,  che  senza  colpir  languida  e  stanca  890 

Ferì  lo  scudo ,  e  lo  percosse  appena , 
Che  dal  sonante  acciaro  incontanente 
Risospinta  e  sbattuta  a  terra  cadde. 
A  cui  Pirro  soggiunse  :  Or  va  tu  dunque 
Messaggiero  a  mio  padre,  e  da  te  stesso,  805 

Le  mie  colpe  accusando  i  miei  difetti,  647 

Fa  conto  a  lui  come  da  lui  traligno: 
E  muori  intanto.  Ciò  dicendo,  irato 
AfTcjrrollo ,  e  per  mezzo  il  mollo  sangue 
Del  suo  figlio  tremante ,  e  barcolloni  900 

A  r  aitar  lo  condusse.  Ivi  nel  ciuffo 
Con  la  sinistra  il  prese  ;  e  con  la  destra 
Strinse  il  lucido  ferro,  e  fieramente 
Nel  fianco  infìno  agli  elsi  gli  l'immerse. 

Questo  fin  ebbe,  e  qui  fortuna  addusse  905 

Priamo,  un  re  si  ;jrande,  un  si  superbo 
Dominator  di  genti  e  di  paesi , 


LIBRO  SECONDO  69 


Un  de  r  Asia  monarca ,  a  veder  Troja 

Ruinata  e  combusta;  a  giacer  quasi 

Nel  lito  un  tronco  desolato,  un  capo  910 

Senza  il  suo  busto ,  e  senza  nome  un  corpo. 

Allor  pria  mi  sentii  dentro  e  d' intorno 
Tal  un  orror,  che  stupido  rimasi. 
E  y  di  Priamo  pensando  al  caso  atroce , 
Mi  si  rappresentò  rimago  avanti  915 

Del  padre  mio  eh'  era  a  lui  d'  anni  eguale. 
Mi  sovvenne  V  amata  mia  Grcmsa , 
Il  mio  picciolo  Julo ,  e  la  mia  casa 
Tutta  a  la  violenza,  a  la  rapina, 
Ad  ogni  ingiuria  esposta.  Allora  in  dietro  --^ 

Mi  volsi  per  veder  che  gente  meco  si^ 

Fosse  de  miei  seguaci  ;  e  nullo  intorno 
Più  non  mi  vidi:  che  tra  stanchi  e  morti 
E  feriti  e  storpiati ,  altri  dal  ferro , 
Altri  da  le  ruine ,  altri  dal  foco ,  925 

M' avean  già  tutti  abbandonato.  In  somma 
Mi  trovai  solo.  Onde  smarrito  errando , 
E  d*  ogn  'intorno  rimirando  ,  al  lume 
D6l_grand'  incendio  ecco  mi  s' offre  a  gli  occhi 
Di  Tindaro  la  figlia  che  nel  tempio  930 

Se  ne  stava  di  Vesta ,  in  un  reposto  569 

E  secreto  ridotto  ascosa  e  cheta  : 
Elena  dico ,  origine  e  cagione 
Di  tanti  mali,  e  che  fu  d' Ilio  e  d'Argo 
Furia  comune.  Onde  comunemente  935 

E  de'  Greci  temendo  e  de'  Trojani 
E  de  l'abbandonato  suo  marito, 
S' era  in  quel  loco ,  e  'n  se  stessa  ristretta , 
Confusa,  vilipesa  ed  ab  borrita 

Fin  dagli  stessi  altari.  Arsi  di  sdegno,  940 

Membrando  che  per  lei  Troja  carica; 
E  '1  suo  castigo  e  la  vendetta  insieme 
De  la  mia  patria  rivolgendo,  A<lunque 
(  Dicea  meco  ) ,  impunita  e  trionfante 
Ritornerà  la  scellerata  in  Argo  ?  945 

E  regina  vedrà  Sparta  e  Micene? 
Gkvierà  del  marito,  dei  parenti,* 
De'  figli  suoi?  Farà  pompe  e  grandezze, 
E  d' Ilio  avrà  per  serve  e  per  ministri 
L'altere  donne  e  i  gran  donzelli  intomo t  950 

E  qui  Priamo  sarà  di  ferro  anciso ,  580 

E  Troja  incensa,  e  la  Dardania  terra 
Di  tanto  sangue  tante  volte  aspersa? 
Non  fla  cosi;  che  se  ben  pre^jio  e  lode 


'^^  ENEIDE 


Non  s'acquista  a  punire,  o  vincer  donna,  955 

Io  lodato  e  pregiato  assai  terrommi, 

Se  si  dirà  cu'  aggia  d'  un  mostro  taic 

Purgato  il  mondo.  Appagherommi  almeno 

Di  sfogar  Y  ira  mia:  vendicherommi 

De  la  mia  patria;  e  col  fiato  e  col  sangue  960 

Di  lei  placherò  V  ombre,  e  farò  sazie 

Le  ceneri  de'  miei.  Ciò  vaneggiando , 

Infuriavo;  quand*  ecco  una  luce 

M'  aprio  la  notte,  e  mi  scoverse  avanti 

L'alma  mia  genitrice,  in  un  sembiante,  9C5 

Non  come  V  altre  volte  in  altre  forme 

Mentito  0  dubbio,  ma  verace  e  chiaro, 

E  di  madre  e  di  Dea,  qual  credo  e  quanta 

Su  tra  gli  altri  Celesti  in  ciel  si  mostra. 

Cotal  la  vidi,  e  tale  anco  per  mano  970 

Mi  prese;  e  con  pietà  le  sante  luci  592 

E  le  labbia  rosate  aperse,  e  disse: 

Figlio,  a  che  tanto  affanno?  a  che  tant'ira? 

Che  non  t' acqueti  omai?  Questa  è  la  cura 

Che  tu  prendi  di  noi?  Che  non  più  tosto  975 

Rimiri  ov'  abbandoni  il  vecchio  Anchise 

]•  la  cara  Creusa  e  '1  caro  Julo , 

Cui  sono  i  Greci  intorno?  E  se  non  fosse 

Che  in  guardia  io  gli  a^gio,  in  i)reda  al  ferro,  al  foco, 

Foran  sik  tutti.  Ah  figlio  !  non  il  volto  980 

De  r  odtata  Argiva,  non  di  Pari 

La  biasmata  rapina,  ma  del  cielo 

E  de'  Celesti  il  voler  empio  atterra 

La  trojana  potenza.  Alza  su  eli  occhi, 

(  Ch'  io  ne  trarrò  V  umida  nube  e  '1  velo  985 

Che  la  vista  mortai  t*  appanna  e  grava: 

Poscia  credi  a  tua  madre,  e  senza  indugio 

Turto  fa,  che  da  lei  ti  si  comanda) 

Vedi  là  quella  mole,  ove  quei  sassi 

Son  da' sassi  distì^iunti,  e  dove  il  fumo  990 

Con  la  polve  ondeggiando  al  ciel  si  volve,      «os 

Come  fiero  Nettuno  inhn  da  V  imo 

Le  mura  e  i  fondamenti  e'  1  terren  tutto 

Col  gran  tridente  suo  sveglie  e  conquassa. 

Vedi  qui  su  la  porta  come  Giuno  095 

Infuriata  a  tutti  gli  altri  avanti 

Si  sta  cinta  di  ferro,  e  da  le  navi 

Le  schiere  d'Argo  a'  nostri  danni  invita. 

Vedi  poi  colassù  Pallade  in  cima 

A  i'  afta  rocca,  entro  a  quel  nembo  annata,        1000 

Con  che  lucenti  e  spaventosi  lampi 


MHTio  sECoxno  71 


n  gran  Oor^onc  Fiio  rliscopro  o  vibr«i. 

Che  più?  mira  nel  ciol,  che  T'iove  stesso 

Som  ministra  a  gli  Argivi  animo  e  forza, 

E  incontro  a  le  vostre  armi  a  1'  arme  incita         1005 

Gli  eterni  Dei.  Cedi  lor,  figlio,  e  fuggi,  6i8 

Poi  che  indarno  t*  affanni,  lo  sarò  teco 

Ovunque  andrai,  sì  che  securamente 

Ti  porrò  dentro  a'  tuoi  paterni  alberghi. 

Cosi  disse;  e  per  entro  a  le  folt' ombro  1010 

De  la  notte  s\t scose.  Allor  vid'  io 
orinvisibili  aspetti,  e  i  fieri  volti 
De'  Numi  a  Troja  infesti,  e  Troja  tutta 
In  un  sol  foco  immersa  e  fin  dal  fondo 
Sottosopra  rivolta.  In  quella  guisa  1015 

Che  d*  alto  monte  in  precipizio  cade 
Un  orno  antico ,  i  cui  rami  pur  dianzi 
Facean  contrasto  a'  venti  e  scorno  a]  pql^; 
Quando  con  molle  accette  al  suo  gran  tronco 
Stanno  i  robusti  agricoltori  intorno  1020 

Per  atterrarlo,  e  gli  dan  colpi  a  gara, 
Da  cui  vinto  e  dal  peso,  a  poco  a  poco 
Crollando  e  balenando,  il  capo  incnina; 
E  stride  e  geme  e  dal  suo  gio^o  ai  Une 
O  con  parte  del  gio^o  si  diveglie,  1025 

0  si  scoscende;  e  ciò  che  intoppa  urfando,     63 1 
Di  suono  e  di  mina  empie  le  valli.  ^ 

Allor  discesi;  e  la  materna  scorta 
Seguendo,  da' nemici  e  da  lo  fiamme 
Mi  rendei  salvo:  che  dOTwnque  il  passo  1030 

Volgea,  cessava  il  foco,  e  fùggian  TarmL 

Poich'  io  ftii  giunto  a  la  magione  antica 
Del  padre  mio ,  di  lui  prima  mi  cs^^e 
E  del  suo  scampo ,  e  per  condurlo  a'  monti 
M'apparecchiava:  quand'ei  disse:  0  figlio,  1035 

Io  decrepito,  io  misero,  che  avanzi 
A  i  di  de  la  mia  patria  ?  Io  posso ,  io  deggio 
Sopravvivere  a  Troja  ?  E  fia  eh'  io  sofifra 
Si  vile  esigilo  ?  Voi ,  che  ne'  vostri  anni 
Siete  di  sangue  e  di  vigore  intieri,  Ì04G 

Voi  vi  salvate.  A  me  (  s*  io  pur  dovea  ess 

Restare  in  vita  )  avrebbe  il  ciel  serbato 
Questo  mio  nido.  Assai ,  figlio^,  e  pur  troppo 
Son  vissuto  fin  qui  ;  poi  eh'  altra  volta 
Vidi  Troja  cadere ,  e  non  cadd'  io.  1045 

Fatemi  or  di  pietà  ^li  ultimi  offici  ; 
Iteratomi  il  vale , -e  per  defunto 
Cosi  composto  il  mio  corpo  lasciato; 


és 


Gh'  io  troverò  chi  mi  dia  morte;  e  i  Greci 

Mcdcsmi  0  per  pietate ,  o  per  vaghezza  1050 

De  le  mie  spoglie ,  mi  trarran  di  vita 

E  (li  miseria  :  e  se  d'  esequie  io  manco , 

Se  manco  di  sepolcro,  il  danno  è  lieve. 

Da  r  ora  in  qua  son  io  visso  a  la  terra 

Disutil  peso,  ed  al  gran  Giove  in  ira,  1955 

Che  dal  vento  percosso  e  da  le  fiamme 

Fui  dal  folgore  suo.  Ciò  memorando 

Stava  il  misero  padre  a  morte  additto; 

E  d' intorno  gli  er'  io^  Crcùsa,  JiUo, 

La  casa  tutta  con  preghiere  e  pianti  lOGO 

Stringendolo  a  salvarsi ,  a  non  Irar  seco  ens 

Ogni  cosa  in  mina ,  a  non  offrirsi 

Da  se  stesso  a  la  morte.  Ki  fermo  e  saldo 

Nò  di  proponimento,  ne  di  loco 

Punto  si  cangia  :  ond*  io  pur  V  armi  grido  1065 

Di  morir  desioso.  E  qual  v*  era  altro 

Rime  lio  o  di  consiglio,  o  di  fortuna? 

Ah!  che  di  questa  soglia  io  tragga  il  piemie, 

Palre  mio,  per  lasciarti?  Ah!  che  tu  possa 

Creder  tanto  di  me?  Da  la  tua  bocca  1070 

Tanto  di  scolloranza  e  di  viltate  c:»s 

È  d' un  tuo  tìglio  uscito  ?  Or  s'  ò  destino 

Che  di  sì  gran  città  nulla  rimanga, 

Se  piace  a  te,  se  nel  tuo  core  ò  fermo 

Che  nò  di  te ,  nò  de  gli  tuoi  si  scemi  1075 

La  ruin-i  di  Troja;  e  così  vada, 

E  così  111:  ch'Io  veggio  a  mano  a  mano 

Qui  del  sangue  del  re  tutto  cosperso , 

E  bramoso  del  nostro,  apparir  Pirro 

Che  i  padri  uccido  anzi  a  gli  altari,  e  i  figli         1080 

Anzi  agli  occhi  de' padri.  Ah!  madre  mia, 

Per  questo  line  qui  salvo  e  difeso 

M'hai  da  Tarmi  e  dal  fuoco,  acciò  ch'io  veggia 

Con  gli  occhi  miei  ne  la  mia  casa  stessa 

I  miei  nemici  e  '1  mio  padre  e  '1  mio  figlio  1085 

E  la  mia  donna  crudelmente  uccisi 
il  L'  un  nel  sangue  de  l'  altro  ?  Mano  a  r^iiQgj 
//  £IIil  mi  dà  r  armi  ?  Ecco  che  i  giorno  estremo 

Vinti  a  morte  ne  chiama.  Or  mi  lasciato, 

Ch'  io  torni  infra  nemici,  e  che  di  nuovo  1090 

Mi  razzufll  con  essi:  che  non  tutti 

Abbiam  senza  vendetta  àsgì  a  perire. 
E  già  di  ferro  cinto,  a  la  sinistra 

M' adattava  lo  scudo ,  e  fuori  uscia , 

Quand'  ecco  in  bu  la  soglia  attraversata  1006 


LIBRO  SECONDÒ  73 


Greùsa  avanti  a'  j)iò  mi  si  distende,  673 

E  me  gli  abbraccia;  e  '1  fanciuletto  Julo 

M'  appresenta ,  e  mi  dice  :  Ah  !  mio  consorte , 

Dove  ne  lasci?  Se  a  morir  ne  vai, 

Che  non  teco  n'  adduci  ?  E  se  ne  V  armi  1100 

E  ncir  esperienza  hai  speme  alcuna , 

Che  non  difendi  la  tua  casa  in  prima? 

OvQ  Ascanio  abbandoni  ?  ove  tuo  padre  ? 

Ove  Cretisa  tua ,  che  tua  s*  è  detta 

Por  alcun  tempo?  E  ciò  gridando  empiea  1105 

Di  pianto  e  di  stridor  la  ma^ion  tutta; 

Quand'ecco  innanzi  agli  occhi  e  fra  le  mani 

De  gli  stessi  parenti  un  repentino 

E  mirabile  a  dir  portento  apparve; 

(^hè  sopra  il  capo  del  fanciullo  Julo  1110 

Chiaro  un  lume  si  vide ,  e  via  più  chiara       688^ 

TJna  fiamma  che  tremola  e  sospesa 

Le  sue  tempie  rosate  e  i  biondi  crini 

Son  già  come  leccando,  e  senza  otTesa 

Lievemente  pa<?cendo.  Orrore  e  tema  1115 

No  presi  in  prima.  Indi  a  quel  santo  foco 

D'intorno,  altri  con  acqua,  altri  con  altro, 

0;5mun  facea  per  ammorzarlo  ogni  opra. 

Mi  1  padre  Anchise  a  coiai  vista  allegro , 

Le  man,  ffli  occhi  e  la  voce  al  ciel  rivolto,  1120 

Orò  dicenao:  Eterno,  onnipotente 

Signor,  se  umana  prece  unqua  ti  mosse, 

Ver  noi  rimira ,  e  ne  fla  questo  assai. 

Ma  se  di  morto  alcuno  in  tuo  cospetto 

K  la  nostra  pietà,  padre  benigno,  1125 

Danne  anco  aita;  e  con  felice  segno 

Questo  annunzio  ratifica  e  conferma. 

Avea  di  ciò  pregato  il  vecchio  appena, 
Che  tonò  da  sinistra  e  dal  convesso 
Del  ciel  cadde  una  stella  che  per  mezzo  1130 

Fendè  l'ombrosa  notte,  e  lunga  striscia  «93 

Di  face  e  di  splendor  dietro  si  trasse. 
Koi  la  vedemmo  chiaramente  sopra 
Da' nostri  tetti  ire  a  celarsi  in  Ida 
Si  che  lasciò,  quanto  il  suo  corso  tenne,  1135 

Di  chiara  luce  un  solco;  e  lungo  intorno 
Fumò  la  terra  di  sulfùreo  odore. 

Allor  vinto  si  diede  il  padre  mio; 
E  tosto  a  l'aura  uscendo,  al  santo  segno 
De  la  stella  inchinossi ,  e  con  gli  Dei  1140 

Parlò  devotamente  :  O  de  la  patria 

Sacri  nomi  Pe^aU.  a  voi  mi  rendo» 


4 


74  FA-I-.Ih:^. 

Voi  questa  casa,  voi  questo  nipote 

Mi  conservate.  Questo  augurio  è  vostro, 

E  nel  poter  di  voi  Troja  rimansi.  1145 

Poscia,  rivolto  a  noi:  Fa,  fìgliuol  mio,  703 

Ornai,  disse,  di  me  che  più  t'aggrada; 

Che  al  tuo  voler  son  pronto ,  e  d' uscir  teco 

Più  non  recuso.  Avea  già  '1  foco  appresa 

La  città  tutta:  e  già  le  lìammg  e  i  vampi  1150 

Ne  ferian  da  vicino ,  allor  che  *1  vecchio 

Così  dicea.  Caro  mio  padre ,  adunque , 

Soggiuns'  io ,  com'  è  d'  uopo ,  in  su  le  spalle 

A  me  ti  reca ,  0  mi  t'  adatta  al  collo 

Acconciamente;  ch'io  robusto  e  forte  1155 

Sono  a  tal  poso  :  0  sia  poscia  che  vuole  : 

Che  un  sol  periglio  ,  una  salute  sola 

Fia  d'ambidue.  Sejjuami  Julo  al  pari; 

Greùsa  dopo:  e  voi,,  miei  servi,  udite 

Quel  eh'  io  diviso.  È  de  la  porta  fuori  1160 

IJn  colle ,  ov*  ha  di  Cerere  un  antico 

E  deserto  delubro ,  a  cui  vicino 

Sorge  un  cipresso ,  già  molt'  anni  e  molti 

In  onor  de  la  Dea  serbato  e  colto. 

Qui  per  diverse  vie  tutti  in  un  loco  1165 

Vi  ridurrete;  e  tu  con  le  tue  mani 

Sosterrai ,  padre  mio ,  de'  santi  arredi 

E  de'patrii  Penati  il  sacro  incarco. 

Che.  a  me ,  si  lordo  e  si  recente  uscito 

Da  tanta  uccislon .  toccar  non  lece  1170 

Pria  che  di  vivo  fiume  onda  mi  lave.  719 

Ciò  detto ,  con  la  veste  e  con  la  pelle 
D'  un  villoso  leon  m'  adeguo  il  tergo  ; 
E  '1  caro  peso  a  gli  omei-i  m' impongo. 
Indi  a  la  destra  u  fanciulletto  Julo  1175 

Mi  s' aggavigna ,  e  non  con  moto  eguale         7S8 
Ei  segue  i  passi  miei ,  Greùsa  l' orme. 
Andiam  per  luoghi  solitarj  e  bui  :  * 
E  me,  cui  dianzi  intrepido  e  sicuro 
Vider  de  V  arme  i  nemlìi  e  de  gli  armati  1180 

Le  folte  schiere,  or  ogni  suono,  ogni  aura 
Empie  di  tema:  si  geloso  fammi 
E  la  soma  e  *1  compagno.  Era  vicino 
A  r  uscir  de  la  porta ,  e  fuori  in  tutto , 
Com'io  credeaj  d'ogni  sinistro  incontro;  1185 

Quand*  ecco  d' improvviso  udir  mi  sembra 
IJn  calpestio  di  gente ,  a  cui  rivolto 
Disse  il  vecchio  gridando  :  Oh  !  fùgff  1 ,  figlio, 
Fuggi ,  che  ne  soa  presso.  Io  veggio ,  io  sento 


LIBRO  SBCONBO  75 


Sonar  gli  scudi ,  e  lampeggiar  i  ferri.  1190 

Qui  ridir  non  saprei  come ,  né  quale 

Avverso  Nume  a  me  stesso  mi  tolse  : 

Che  mentre  da  la  fretta  e  dal  timore 

Sospinto  esco  di  strada ,  e  per  occulte 

E  non  usate  vie  m*  aggiro  e  celo ,  1195 

Restai ,  misero  me  !  senza  la  mia 

Diletta  moglie,  in  dubbio  se  dal  fato 

Mi  si  rapisse ,  o  traviata  errasse , 

O  pur  lassa  a  posar  posta  si  fosse. 

Basta ,  eh'  unqua  dipoi  non  la  rividi  :  1200 

Ne  per  vederla  io  mi  rivolsi  mai  :  74o 

Né  mai  me  ne  sovvenne ,  infìn  che  giunti  / 

Di  Cerere  non  fummo  al  sagro  poggio.  \ 

Ivi  ridotti ,  ne  mancò  di  tanti 

Sola  Greùsa ,  oimè  ,  con  quanto  scorno ,  1205  ' 

E  con  quanto  dolor  del  suo  consorte 

E  del  figlio  e  del  suocero  e  di  tutti  ! 

Io  che  non  feci  allora,  e  che  non  dissi? 

Qual  degli  uomini ,  folle  !  e  degli  Dei 

Non  accusai  ?  Qual  vidi  in  tanto  eccidio ,  1210 

O  eh*  io  provassi ,  o  che  avvenisse  altrui ,       746 

Caso  più  miserando  e  più  crudele  ? 

Qui  mio  figlio ,  mio  padre  e  i  patrii  Numi 
Lascio  to  guardia  accompagni,  ed  io  de  Tarmi 
Pur  mi  rivesto ,  e  'ndietro  me  ne  tomo ,  1215 

Disposto  a  ritentare  ogni  fortuna, 
A  cercar  Troja  tutta ,  a  por  la  vita 
Ad  o§ni  ripentaglio.  Incominciai 
In  pnma  da  le  mura  e  da  la  porta, 
Ond*  era  uscito;  e  le  vie  stesse  e  V  orme  1220 

Ripetei  tutte ,  per  cui  dianzi  io  venni , 
Gli  occhi  portando  per  vederla  intenti. 
Silenzio,  solitudine  6  spavento 
Trovai  per  tutto.  A  casa  aggiunsi  in  prima 
Cercando  se  per  sorte  ivi  smarrita  1225 

Si  ricovrasse.  Era  già  presa  e  piena 
Di  nemici  e  di  foco;  e  già  da* tetti 
Uscian  da' venti  e  da  le  furie  spinte 
Rapide  fiamme  e  minacciose  al  cielo. 
Torno  quinci  al  palagio  ;  indi  a  la  rocca  :  1230 

Seguo  a  le  piazze ,  a*  portici ,  a  1*  asilo 
Di  Giunon ,  che  già  fatti  eran  conserve 
De  la  preda  di  Troja ,  a  cui  Fenice 
E  '1  fiero  Ulisse  eran  custodi  eleltL 
Qui  d' orni  parte  le  trojane  spoglile  1235 

Fin  de  le  sacristte ,  fin  de  gli  altari  768 


76  ENEIDIS 


Le  sacre  mense,  i  preziosi  vasi 

Di  solicV  oro ,  e  i  paramenti  e  i  drappi 

E  le  delizie  e  le  ricchezze  tutte 

A  gli  incendi  ritolte ,  erano  addotte,  1240 

jy  intorno  innuraerabili  prigioni 

Slavan  di  funi  e  di  catene  avvinti, 

E  matrone  e  donzelle  e  pargoletti. 

Che  di  sordi  lamenti  e  di  muggiti 

Faccan  ne  V  aria  un  tuono  ;  e  men  tra  loro  1245 

Era  la  donna  mia  :  né  dove  fosse, 

Più  ripensar  sapendo ,  osai  dolente 

Grillar  per  le  vie  tutte;  e,  benché  in  vano. 

Mille  volte  iterai  V  amato  nome. 

Mentre  cosi  tra  fUrioso  e  mesto  1250 

Per  la  città  m' aggiro  ,  e  senza  fine  77 1 

La  ricerco  e  la  chiamo,  ecco  davanti 

Mi  si  fa  r  infelice  simulacro 

Di  lei,  maggior  del  solito.  Stupii, 

M' aggricciai ,  m'  ammutii.  Prese  ella  a  dirmi ,     1255 

E  consolarmi  :  O  mio  dolco  consorte , 

A  che  si  folle  affanno  ?  A  ^li  Dei  piace 

Che  cosi  segua.  A  te  quinci  non  lece 

Di  trasi)ortarmi.  Il  gran  Giove  mi  vieta 

Gli'  io  sia  teco  a  provar  gli  alffanni  tuoi  :  1260 

Che  soffrir  lunghi  esisli ,  arar  gran  mari  • 

Ti  converrà  pria  eh'  al  tuo  seggio  arrivi , 

Che  fìa  poi  ne  1*  Esperia ,  ove  il  Tirreno 

Tebro  con  placid'  onde  opimi  campi  1265 

Di  bellicosa  gente  impingua  e  riga. 

Ivi  riposo  e  regno  e  regia  moglie 

Ti  si  prepara.  Or  de  la  tua  diletta 

Creùsa ,  signor  mio ,  più  non  ti  doglia  : 

Che  i  Dolopi  superbi ,  o  i  Mirmidoni  1270 

Non  vedranno  già  me  dardania  prole,  785 

E  di  Priamo  figlia  e  nuora  a  Venere  • 

Né  donna  lor ,  né  di  lor  donne  ancella  : 

Che  la  gran  Genitrice  degli  Dei 

Appo  se  tlemmi.  Or  il  mio  caro  Julo , 

Nostro  comune  amore,  ama  in  mia  voce;  1275 

E  lui  conserva,  e  te  consola.  Addio. 

Cosi  detto ,  disparve.  Io  che  dal  pianto 
Era  impedito ,  ed  avea  molto  a  dirle, 
Me  le  avventai ,  per  ritenerla ,  al  collo  : 
E  tre  volte  abbracciandola,  altrettante,  1280 

Come  vento  stringessi  o  fumo  o  sogno,  79S 

Ide  ne  tomai  con  le  man  vote  al  petto* 

E  cosi  scorsa  e  consumata  indarno 


if,. 


^  — -. 


LiD^v)  sr.o  ìNDO 


77 


Tutta  la  notte ,  al  poggio  mi  ritrassi 

A'  miei  compagni ,  ove  trovai  con  molta  1285 

Mia  maraviglia  d'  ogni  parte  accolta 

Una  gran  gente ,  un  miserabil  volgo 

D'ogni  età,  d'ogni  sesso  e  d*  ogni  grado, 

A  r  esigilo  parati ,  e  'nsieme  additti 

A  seguir  me,  dovunque  io  gli  adducessi,  1290 

O  per  mare  o  per  terra.  L'scia  già  d' Ida 

La  mattutina  stella,  e'I  dì  n'apria; 

Quando  in  dietro  mi  volsi,  e  vidi  Troja 

Fumar  già  tutta  ;  e  de  la  rocca  in  cima , 

E  di  sovr'  ogni  porta  inalberate  1295 

Le  greche  insegne  :  onde  nò  via ,  né  speme 

Rimanendomi  niù  di  darle  aita , 

Cedei;  ripresi  u  carco ,  e  salsi  al  monte.  1298 

804 


rari  DBL  LIBRO  gBGOXOH). 


LIBRO  TERZO 


A 


RGOMBNTO 


Caduta  Troia,  Enea  raccoglie  i  superstiti,  e  messa  in  punto,  presso  Mn^ 
tandro,  un'armata  di  venti  navi  fa  vela,  ed  approda  primieramente'  in 
Tracia.  Quivi  mentre  sta  gettando  le  fondamenta  di  una  città,  è  atterrito 
dal -pi'odiglo  di  Polidoro,  ucciso  già  da  Polimnestore  ;  onde  salpa  di  nuovo 
e  prende  terra  a  Delo,  1-77  ;  dove  consultando  l'oracolo  di  Apollo,  ne  ha 
il  responso  che  «  dee  ritornare  airantica  madre  della  sua  genyB  :  »  il  quale 
oracolo  male  interpretato  da  Anchise  fa  volgere  i  Troiani  a  Creta.  Ivi, 

Suando  già  sorgevan  le  mura,  sono  travajgliuti  da  una  derissima  pestilenza, 
nde  Enea  ammonito  in  sogno  dai  Penati,  abbandona  Creta  e  muove  Terso 
ritalia,  121-2G9.  In  questa  navigazione  editi  da  improvvisa  tempesta,  son 

flettali  alle  isole  Stroftidi,  di  dove  respinti  dalle  offese  delle  Arpie  e  dai 
risti  presagi  di  una  di  esse.  Celeno,  l92-2tì9,  riparano  ad  Azzio,  e  vi  cele- 
brano i  giuochi  in  onore  d' Apollo ,  270-290.  Di  là  passano  i^  Corcira , 
e  nell'Epiro,  che  allora  era  soggetto  all'indovino  Eleno,  un  figlio  di 
Priamo,  il  quale  dope  le  accoglienze  oneste  e  liete  espone  ad  Enea  tutti  i 

Sericoli  di  (erra  e  ai  mare  che  gli  restano  a  correre,  e  jgli  apre  l'arcano 
ei  ftiti,  291-505.  Lasciatosi  dietro  l' Epiro,  Enea  costeggiando  Taranto  in 
sulla  punta  d' Italia,  arriva  in  Sicilia,  in  luogo  non  lontano  dal  monte 


di  Eleno,  per  causare  Scilla  è  Cariddi,  fa  il  lungo  giro  della  Sicilia,  finché, 
giunto  a  Drepano,  ivi  perde  Anchine,  che  se  ne  muore  per  vec^iezza,  684-711 . 
Di  là,  mentre  naviga  verso  Italia,  è  sbalzato  in  Affrica  da  quella  bufera 
che  è  narrata  nel  primo  libro.  —  Qui  finisce  la  narrazione  d'Enea,  712-718. 

Poiché  fti  d' Asia  il  glorioso  regno 
E  '1  suo  re  seco  e  '1  suo  legnaggio  tutto , 
Come  al  elei  piacque,  indegnamente  estinto, 
Ilio  abbattuto  e  la  Nettunia  Troja 
Desolata  e  combusta  j  i  santi  augurj  5 

Spiando ,  a  vari  esigli ,  a  varie  terre 
Per  ricovro  di  noi  pensando  andammo: 
E  ne  la  Frigia  stessa  a  piò  d*  Antandro 
Ne'  monti  d  Ida  a  fabbricar  ne  demmo 
La  nostra  armata,  non  ben  certi  ancora  10 

Ove  il  ciel  ne  chiamasse ,  e  quale  altrove 
Ne  desse  altro  ricetto.  Ivi  le  genti 
D'intorno  accolte,  al  mar  ne  riducemmo, 
E  n'  ♦mbarcammo  al  fine.  Era  do  V  anno 
La  stagion  prima,  e  i  primi  giorni  appena  j  15 


LIBRO  TERZO  79 


25 


Quando  sciolte  le  sarte  e  date  a' venti  8 

Le  vele ,  come  volle  il  padre  Anchise 

Piangendo  abbandonai  le  rive  e  i  porti 

E  i  campi,  ove  fu  Troja,  i  miei  compagni 

Meco  traendo  e  *1  mio  figlio  e  i  miei  Numi  20 

A  r  onde  in  preda,  e  de  la  patria  in  bando.         is 

E  de  la  Frigia  incontro  un  gran  paese 
Da'  Traci  arato ,  al  fiero  Marte  additto , 
Ampio  regno  e  famoso ,  e  seggio  un  tempo 
Del  feroce  Licurgo.  Ospiti  antichi 
S'  eran  Traci  e  Trojani  :  e  fin  eh*  a  Troja 
Lieta  arrise  fortuna,  ebbero  entrambi 
Comuni  alberghi.  A  questa  terra  in  prima 
Drizzai '1  mio  corso,  e  qui  primieramente 

(f  Nel  curvo  lito  con  destino  avverso  30 

Una  città  fondai ,  che  dal  mio  nomo 
Enèade  nomossi  :  e  mentre  intorno 
Me  le  travaglio,  e  i  santi  sacrificj 

.  A  Venere  mia  madre,  ed  a  gli  Dei, 
Che  sono  al  cominciar  propizj ,  indico  ;  35 

Mentre  che  'n  su  la  riva  un  bianco  toro 
Al  supremo. Tonante  oifro  per  vittima, 
Ddite  che  m'avvenne.  Era  nel  lito 
Un  picciol  monticello,  a  cui  sor^^a 
Di  mirti  in  su  la  cima  e  di  comiali  40 

Una  folta  selvctta.  In  questa  entrando  zz 

Per  di  fronde  velare  i  sacri  altari, 
Mentre  de*  suoi  più  teneri  e  più  verdi 
Arbusti  or  questo,  or  quel  diramo  e  svelgo; 
Orribile  a  veder,  stupendo  a  dii'e,  45 

M' apparve  un  mostro  ;  che  divelto  il  primo 
Da  le  prime  radici ,  uscir  di  sangue 
Luride  goccio ,  e  ne  fu  '1  suolo  asperso. 
Ghiado  mi  strinse  il  core  ;  orror  mi  scosse 
Le  membra  tutte  ;  e  di  paura  il  sangue  50 

Mi  si  rapprese.  Io  le  cagioni  ascose 
Di  ciò  cercando ,  un  altro  ne  divelsi  ; 
Ed  altro  sangue  uscinne  :  onde  confuso 
Vie  più  rimasi;  e  nel  mio  cor  diversi 
Pensier  volgendo  ,  or  de  V  agresti  Ninfe ,  55 

Or  del  scitico  Marte  i  santi  Numi 
Adorando,  poijgea  preghiere  umili, 
Che  di  si  fiera  e  portentosa  vista 
Mi  si  togliesse,  o  si  temprasse  almeno 
H  diro  annunzio.  Ritentando  ancora,  60 

Vengo  al  terzo  virgulto ,  o  con  più  forza  37 

Mentre  lo  scerpo,  e  i  piedi  al  suolo  appunto, 


*    — 


tSU  BN8IDS 

E  lo  scuoto  e  lo  sbarbo  (il  dico ,  o  '1  taccio  ?) 

Un  sospiroso  e  lagrimabil  suono 

Da  r  imo  poggio  odo  che  grida  e  dice  :  65 

Ahi  !  perchè  si  mi  laceri  e  mi  scempi  ? 
Perchè  di  cosi  pio ,  cosi  spietato , 
Enea,  ver  me  ti  mostri  ?  A  che  molesti 
Un  eh'  è  morto  e  sepolto  ?  A  che  contamini 
Gol  sangue  mio  le  consanguinee  mani  ?  70 

Che  né  di  patria,  ne  di  gente  esterno 
Son  io  da  te  ;  nò  questo  atro  liquore 
Esce  da  sterpi ,  ma  da  membra  umane. 
Ah  !  fuggi ,  Enea ,  da  questo  empio  paese  : 
Fuggi  da  questo  abbominevol  lito.  75 

Che  Polidoro  io  sono;  e  qui  confìtto 
M' ha  nembo  micidiale ,  e  ria  semenza 
Di  ferri  e  d' aste,  che  dal  corpo  mio 
•    Umor  preso  e  radici ,  han  fatto  selva. 

A  cotal  suon  da  dubbia  tema  oppresso  .  80 

Stupii ,  mi  raggricciai ,  muto  divenni ,  47 

Di  Polidoro  udendo.  Un  de*  figliuoli 
Era  questi  del  re ,  che  al  tracio  rego 
Fu  con  molto  tesoro  occultamente 
Accomandato  allor,  che  da'  Trojani  85 

Incominciossi  a  diffidar  do  l'armi, 
E  temer  de  V  assedio.  Il  rio  tiranno , 
Tosto  che  a  Troja  la  fortuna  vide 
Volger  le  spalle,  anch' ci  si  volse,  0  Tarmi 
E  la  sorte  segui  de' vincitori;  00 

Si  che  de  1'  amicizia  e  de  1'  ospizio  51 

E  de  1*  umanità  rotta  ogni  legge , 
Tolse  al  regio  fanciul  la  vita  e  Toro. 

Ahi  de  r  oro  empia  ed  csccrabil  fame  ! 
E  che  per  te  non  osa,  e  che  non  tenta  05 

Quest'  umana  ingordigia  ?  Or  poiché  '1  gelo 
Mi  fu  da  r  ossa  uscito ,  a'  primi  ca])i 
Del  popol  nostro  ed  a  mio  padre  in  prima 
Il  prodigio  rcfersi ,  e  di  ciascuno 
Il  parer  ne  spiai.  Via ,  disser  tutti  iOO 

Concordemente ,  abbandoniam  quest'  empia 
E  sccUcrata  terra;  andiam  lontano 
Da  c\vie8to  infame  e  traditore  ospizio. 
RimeUianci  nel  mare.  Indi  1' eseqiEo 
Di  Polidoro  a  celebrar  ne  demmo;  105 

E,  composto  di  terra  un  alto  cumulo, 
Oli  aitar  vi  consacrammo  a  i  ISumi  inforni , 
Che  di  cerulee  bon«1o  0  di  funesti 
Cipressi  ora.n  covoni.  Ivi  io  Jouuo 


L1IU\0   TLRZO  Si 


D' Ilio ,  com'  è  fra  noi  rito  solenne ,  110 

Vestile  a  bruno  e  scapigliate  e  mesto 

Ulularono  intorno;  e  noi  di  sopra 

Di  caldo  latte  e  di  sacrato  sangue 

Piene  tazze  spargemmo ,  e  con  supremi 

Richiami  amaramente  al  suo  sepolcro  115  ' 

Rivocammo  di  lui  T  anima  errante.  «7 

Né  pria  ne  si  mostrar  V  onde  sicuro ,  > 

E  fidi  i  venti ,  che  del  porto  usciti 

Incontanente  ne  vedemmo  avanti 

Sparir  T  odiosa  terra ,  e  gir  da  noi  120 

Di. mano  in  man  fuggendo  i  liti  e  i  monti 

E  nel  mezzo  a  T  Egèo,  diletta  a  Dori 
Ed  a  Nettuno ,  un*  Isola  famosa, 
Che  già  mobile  e  vaga  intorno  a*  liti 
Agitata  da  T  onde  errando  andava  ;  125 

Ma  fatta  di  Latona  e  de'  suoi  figli 
Ricetto  un  tempo,  dal  pietoso  arciero 
Tra  Giare  e  Micon  fu  stretta  in  guisa, 
Che  immota  e  colta  e  consacrata  a  lui 
Ebbe  poi  le  tempeste  e  i  venti  a  scherno.  130 

Qui  porto  placidissimo  e  securo  77 

Stanchi  ne  ricovette;  0  già  smontati 
Veneravam  d*  Apollo  il  santo  nido  ; 
Quand'  ecco  Anio  suo  rege ,  e  rege  insieme 
E  sacerdote,  che  di  sacre  bende  135 

E  d'onorato  alloro  il  crine  adorno 
Ne  si  fa'ncontro.  Era  al  mio  padre  Anchise 
Già  di  molt'  anni  amico  ;  onde  ben  tosto 
Lo  riconobbe,  e  con  sembiante  allegro 
Lui  primamente  ,  indi  noi  tutti  accolti ,  140 

W  abbracciò,  ne  invitò,  seco  n*  addusse. 

Quinci  al  delubro ,  che  ad  Apollo  in  ciiua 
Era  d' un  sasso  anticamente  estrutto , 
Tutti  salimmo  :  ed  io  devoto  orai  : 
Danne,  Padre  Timbrèo,  propria  magione,  145 

E  propria  terra,  ove  ^ià  stanchi  abbiamo 
Posa  e  ristoro,  e  ne  da  stirpe  e  nido 
Opportuno ,  durabile  e  securo  : 
Danne  Troja  novella  ;  e  de*  Trojani 
Serba  queste  reliquie,  che  avanzate  150 

Sono  appena  a  gh  storpi,  a  le  mine,  «7 

Al  foco  ,  a'  Greci ,  al  dispietato  Achille. 
Mostrane  chi  ne  guidi,  ove  s*  indrizzi 
Il  nostro  corso  ;  e  qual  fìa  *l  nostro  seggio. 
Coi  tuoi  più  chiari  e  manifesti  augurj ,  155 

Signor ,  tu  no  predici ,  e  tu  n*  inspira, 
I>clVEneid9  .    -  ft 


»4     ENEIDE 


Rinavigando  il  navigato  maro , 

Si  tornasse  in  Ortigia ,  e  che  di  nuovo 

Ricorrendo  di  Febo  al  santo  oracolo, 

Perdon  gli  si  chiedesse ,  aita  e  scampo 

Da  si  maligno  e  velenoso  influsso;  255 

Ed  al  fm  del  cammino  e  de  la  stanza 

Chiaro  ne  si  traesseindrizzo  e  lume. 

Era  già  notte,  e  già  dal  sonno  vinta 
Posa  e  ristoro  avea  V  lunana  gente  ; 
Quando  le  sacre  effigie  de*  Penati ,  260 

Quelle  che  meco  avea  tratte  dal  foco  148 

Se  la  mia  patria,  quelle  stesse  in  sogno 
"Vive  mi  si  mostrar  veraci  e  chiare: 
Tal  piena,  avversa  e  luminosa  luna 
Penetrava  per  entro  al  chiuso  albergo  265 

Di  puri  vetri  i  lucidi  spiragli; 
E  come  eran  visibili,  appressando 
La  sponda  ov'  io  giacca ,  soavemente 
Mi  SI  fecero  avanti,  e  *n  cotal  guisa 
Mi  confortare:  Quel  che  Apollo  stesso,  270 

Se  tornaste  in  Ortigia,  a  voi  direbbe,  i54 

Qui  mandati  da  lui  vi  diciam  noi  : 
E  noi  Siam  quei  che  dopo  Troja  incensa 
Per  tanti  mari ,  a  tanti  affaimi  teco 
N*  uscimmo,  e  te  seguiamo  e  V  armi  tue.  275 

Noi  compagni  ti  siamo;  e  noi  saremo 
Gh'a  la  nova  città,  che  tu  procuri. 
Daremo  eterno  imperio,  e  i  tuoi  nipoti 
Ergeremo  a  le  stelle.  Alto  ricetto 
Tu  dunque  e  degno  de  Y  altezza  loro  280 

Prepara  intanto  ;  e  i  rischi  e  le  fatiche 
Nsn  rifiutar  di  più  lontano  esiglio. 
Cerca  loro  altro  seggio;  ergi  altre  mura 
Vie  più  chiare  di  queste  :  che  di  Greta 
Né  curiam  noi,  nò  lo  ti  dice  Apollo.  285 

Una  parte  d*  Europa  è ,  che  da'  Greci 
Si  disse  Esperia,  antica,  bellicosa 
E  fertil  terra.  Da  gli  Enotrj  colta 
Prima  Enotria  nomossi:  or,  com'è  fama, 
Preso  d' Italo  il  nome  ,  Italia  è  detta.  290 

Questa  è  la  terra  destinola  a  noi.  i65 

Quinci  Dardano  in  prima  e  Jasio  uscirò; 
E  Dardano  è  l' autor  del  sangue  nostro. 
Sorgi  dunque  e  riporta  al  padre  Anchiso 
Quel  ch'or  noi  ti  diciam,  che  diciam  vero:  295 

E  tu  cerca  di  Gerito ,  e  d' Ausonia 
L' antiche  terre:  che  da  Giovo  in  Greta 


LIBRO  TERZO  85 


Re.iniar  ti  s' interdice.  Io  di  tal  vista, 

E  rìi  lai  voci,  ch'cran  voci  e  corpi 

De*  nostri  Dei,  non  simulacri  e  sogni,  300 

(Clic  Ilo  vid'  io  le  sacre  bende  e  i  volti 

Spirami  e  vivi)  attonito  e  cosperso  * 

Di  j:clato  sutlorc,  in  un  momento 

Salto  dal  letto;  e  con  le  mani  al  cielo 

E  con  la  voce  supplicando,  spargo  305 

Di  doni  intemerati  i  santi  fochi.  177 

Riveriti  i  Penati,  al  padre  Anchise 

Lieto  men  vado ,  e  del  portento  intera- 

Mente  il  successo  e  V  ordine  gli  espongo. 

Incontanente  riconobbe  il  doppio  310 

Nostro  legnaggio,  e  i  due  padri  e  i  due  tronchi 

Di  cui  rami  siam  noi  vette  e  rampolli; 

E  d'erra  uscito:  Ora  io  m*avveggio,  disse, 

Figlio,  che  segno  sei  delle  fortune 

E  del  Fato  di  Troja;  e  ciò  rincontro  315 

Che  Cassandra  dicea.  Sola  Cassandra 

Lo  previde  e  *1  predisse.  Ella  al  mio  sangue 

Augurò  questo  regno;  e  questa  Italia 

E  questa  Esperia  avea  sovente  in  bocca. 

Ma  chi  mai  ne  V  Esperia  avria  creduto  320 

Che  regnassero  i  Teucri?  E  chi  credea 

In  quel  tempo  a  Cassandra?  Ora,  mio  figlio, 

Cediamo  a  Febo;  e  ciò  che  '1  Dio  del  vero 

Ke  dà  per  meglio ,  per  miglior  s*  elegga. 

Ciò  disse,  0  i  detti  suoi  tosto  eseguimmo;  325 

Ed  ancor  questa  terra  abbandonammo,  i89 

Se  non  se  pochi.  N'  andavamo  a  vela 
Con  second!^  aura  ;  e  già  d'alto  mirando, 
Non  più  terra  apparìa,  ma  cielo  ed  acqua 
Vedevam  solamente;  quando  oscuro  330 

E  denso  e  procelloso  un  nembo  sopra 
Mi  stette  al  capo ,  onde  tempesta  e  notte 
No  si  fece  repente  e  di  più  siti 
Rapidi  uscendo  imperversaro  i  venti; 
S'  abbujò  r  aria  ;  abbaruffossi  il  mare  ;  335 

E  gonfìaro  altamente  e  mugghiar  T  onde. 
n  ciel  fremendo ,  in  tuoni ,  in  lampi ,  in  folgori 
Si  squarciò  d' ogni  parte.  Il  giorno  notte 
Fessi ,  e  la  netto  abisso  ;  e  1'  un  da  1*  altro 
Non  discernendo  'Palinuro  stesso  34  ' 

De  la  via  diffidossi  e  de  la  vita.  %o% 

Cosi  tolti  dal  corso ,  e  quinci  0  quindi 
Per  lo  gran  golfo  dissipati  e  ciechi, 
Da  bujo  e  da  caligine  coverti. 


88  ENEIDE 


Tre  Soli  interi  senza  luce  errammo;  345 

Tre  notti  senza  stelle.  Il  quarto  giorno 
"Vedemmo  al  fin  (juasi  dal  mar  risorta 
La  terra  aprirne  i  monti  e  gittar  fumo. 
Cagi^on  le  vele  ;  e  1  remiganti  a  prova , 
DiDianche  schiume  il  gran  ceruleo  golfo  350 

Segnando,  inverso  i  liti  i  legni  affrettano. 
\  Né  prima  fui  di  si  gran  rischio  uscito , 

'  Che  giunto  ne  le  Strofadi  mi  vidL 

Strofadi  grecamente  nominate 

Son  certe  isole  in  mezzo  al  gran  Ionio ,  355 

Da  la  fera  Celeno  e  da  quell  altre 
Rapaci  e  lorde  sue  compagne  Arpie 
Fin  da  l'ora  abitate  ,  che  per  tema 
Lasciar  le  prime  mense ,  e  di  Fineo 
Fu  lor  chiuso  V  albergo.  Altro  di  queste  3G0 

Più  sozzo  mostro ,  altra  più  dira  peste  214 

Da  le  tartaree  grotte  unqua  non  venne. 
Sembran  vergini  a*  volti  ;  uccelli  e  cagne 
A  r  altre  membra  :  hanno  di  ventre  un  fedo 
Profluvio  ,  ond'  è  la  piuma  intrisa  ed  irta  :  365 

Le  man  d' artigli  armate  ;  il  collo  smunto  ; 
'   La  faccia  per  la  fame  e  per  la  rabbia 
Pallida  sempre  e  raggrinzata  e  magra. 

Tosto  che  qui  sospinti  in  porto  entrammo, 
Ecco  sparsi  veggiam  per  la  campagna  370 

Senza  custodi  andar  gran  torme  errando 
Di  cornuti  e  villosi  armenti  e  greggi. 
Smontiamo  in  terra  ;  e  per  far  carne ,  prese 
L'armi,  a  predare  andiamo,  e  de  la  preda 
Gli  Dei  chiamiamo  e  Giove  stesso  a  parte.  275 

Fatta  la  strage  e  già  parati  i  cibi  223 

E  distese  le  mense,  eravam  lungo 
Al  curvo  lito  a  ricrearne  assisi  ; 
Quand'  ecco  che  da'  monti  in  un  momento 
Con  dire  voci  e  spaventoso  rombo  380 

Ne  si  fan  sopra  lo  bramose  Arpie  : 
E  con  gli  urti  e  con  T  ali  e  con  gli  ugnoni , 
Col  tetro ,  osceno  ,  abbominevol  puzzo 
Ne  sgominar  le  mcns(3 ,  ne  rapirò , 
Ne  infettar  tutti  e  i  cibi  e  i  lochi  e  noi.  385 

Era  presso  un  ridotto ,  ove  alta  e  cava 
^^--^  r.  Rupe  a  arbori  chiusa  e  d'  ombre  intorno 
^"'■■■0        Facea  capace  ed  opportuno  ostello. 
Ivi  ne  rivincemmo ,  e  ne  le  mense 
Riposti  i  cibi  e  ne  gli  altari  i  fochi  390 

4  convivar  tornammo  ;  ed  ecco  un'  altra 


LIBRO   TERZO  87 


Volta  cV  uiV  altra  parto  per  occulto 

E  non  previsto  vie  no  si  scovcrso 

L'orribil  torma;  e  con  gli  arlunchi  artigli, 

Co'  fieri  denti  e  con  le  bocche  impuro  395 

Ghermir  la  preda,  e  ne  lasciar  di  novcf 

Vote  le  mense  e  scompigliate  e  sozze. 

Allor,  via  (dico  a' mici)  di  guerra  è  d'uopo 
Contra  sì  dira  gente;  e  tutti  a  Tarme 
Ed  a  battaglia  mcito.  E^ino  in  guisa  400 

Ch'  io  li  disposi ,  i  ferri  ignudi  e  V  asto  «»3 

E  gli  scudi  e  le  frombe  e  i  corpi  stessi 
Infra  V  erba  acquattaro  ;  il  lor  ritorno 
Stero  aspettando.  Era  Miseno  in  alto 
A  la  veletta  asceso;  e  non  più  tosto  405 

Scoprir  le  vide,  e  schiamazzare  udille, 
Che  col  canoro  suo  cavo  oricalco 
Ne  die  cenno  a*  compagni.  Uscir  d*  agguato 
Tutti  in  un  tempo,  e  nuova  zulTa  e  strana  ^% 

Tentar  contra  i  marini  uccelli  in  vano  :  410 

Che  le  piume  e  le  terga  ad  ogni  colpo  wo 

Aveano  impenetrabili  e  secure  ; 
Onde  securamente  al  ciel  rivolte 
Se  ne  fuggirò ,  e  ne  lasciar  la  preda 
Sgraffiata,  smozzicata  e  lorda  tutta.  415 

Sola  Geleno  a  V  alta  rupe  in  cima 
Disdegnosa  fcrmossi ,  e  d*  infortuni 
Trista  indovina  infuriossi ,  e  disse  : 
Dunque  non  basta  averne ,  ardita  razza 
Di  Laomedonl^,  depredati  e  scorsi  420 

Gli  armenti  e  i  campi  nostri ,  che  ancor  guerra , 
Guerra  ancor  ne  movete  ?  E  le  innocenti 
Arpie  scacciar  del  patrio  regno  osato? 
Ma  sentite ,  e  nel  cor  vi  riponete 
Quel  ch'io  v'annunzio.  Io  son  Furia  suprema,      425 
Che  annunzio  a  voi  quel  che  '1  gran  Giove  a  Febo , 
E  Febo  a  me  predice.  11  vostro  corso 
È  per  r  Italia  ;  e  ne  T  Italia  avrete 
E  porto  e  seggio.  Ma  di  mura  avanti, 
La  città  che  dal  ciel  vi  si  destina ,  430 

Non  cingerete ,  che  d'  un  tale  oltrag^o 
Castigo  arcte;  e  dira  fame  a  tanto 
Vi  condurrà  ,  che  fino  anco  le  menso 
Divorerete.  E  cosi  detto ,  il  volo 
Riprese  in  ver  la  selva ,  e  dileguossi.  435 

Sgomentaronsi  i  miei ,  cadde  lor  V  ira  ;  858 

E  pricghi ,  invece  d'  armi ,  e  voti  oprando , 
Mercè  chiesero  e  paco ,  o  Dive  o  Dire 


88  ENKIDT? 


Che  si  fosser  V  alato  ingorde  belve  : 

E 1  padre  Anchise  in  su  la  riva  sporte  440 

Al  ciel  le  palme ,  e  i  gran  celesti  Numi 

Umilmente  invocando ,  indisse  i  sacri 

A  lor  dovuti  onori  :  O  Dii  possenti , 

0  Dii  benigni ,  voi  rendete  vane 

Queste  minacce  ;  voi  di  caso  tale  445 

Ne  liberate  ;  e  voi  giusti  e  voi  buoni  j«3 

Siate  pietosi  a  noi  eh*  empi  non  siamo. 

Indi  ratto  comanda  che  dal  lito 
Si  disciolgano  i  legni.  Entriam  nel  marò, 
Spieghiam  le  vele  a  gli  austri ,  e  via  per  V  onde    450 
Spumose  a  tutto  corso  in  fuga  andiamo 
La  've  *1  vento  e  '1  nocchier  ne  guida  e  spinge* 
E  già  d' alto  apparir  veggiam  le  selve 
Di  Zacinto:  passiam  Dulichio  e  Samo: 
Varchiam  iS^rito  alpcstro;  e  via  fuggendo  455 

E  bestemmiando  trapassiam  gli  scogli 
D' Itaca ,  imperio  di  Laerte  e  nido 
Del  fraudolente  Ulisse.  Indi  ne  s' apre 
n  nimboso  Leucàte ,  e  quel ,  che  tanto 
A'  naviganti  è  spaventoso  ,  Apollo.  460 

Ivi  stanchi  approdammo;  ivi  gittate 
L'  ancore ,  ed  accostati  i  legni  al  lito , 
Ne  la  picciola  sua  cittade  entrammo. 

Grata  vie  più  quanto  sperata  meno 
Ne  fu  la  terra  ;  onde  purgati  ergemmo  465 

Altari  e  voti,  ed  ostie  a  Giove  offrimmo.  «78 

E  d'Azio  in  su  la  riva  festeggiando 
Ignudi  ed  unti ,  uscir  de'  miei  compagni 

1  più  robusti,  e  com'è  patria  usanza, 

"Varie  palestre  a  lotteggiar  si  diero;  470 

Gioiosi  che  per  tanto  mare  e  tanto 

Greche  terre  inimiche  a  salvamento 

Fosser  tant'  oltre  addotti.  Era  de  l' anno 

Compito  il  giro ,  e  i  gelidi  aquiloni 

Infestavano  il  mare:  ond'io  lo  scudo  475 

Che  di  forbito  e  concavo  metallo  ts^ 

Fu  già  del  grande  Abanto  insegna  e  spoglia, 

Con  un  tal  motto  in  su  le  porte  appesi: 

A' GRECI  VINCITORI  ENEA  LEVÒLLO, 

ED  A  TE'L  SACRA,  APOLLO.  Indi  al  mar  giunti  480 

Ne  rimbarcammo  :  e  remigando  a  gara 

Fummo  in  un  tempo  de'  Feaci  a  vista, 

E  gli  varcammo  :  poi  rivolti  a  destra , 

Costeggiammo  1*  Epiro ,  e  di  Gaonia 

Giungemmo  al  porto,  ed  in  Butroto  entrammo.     485 


Mimo  Tnnzo  89 


Qui  cosa  udii,  che  meraviglia  e  gioja 

Mi  porse  insieme  ;  e  fu ,  eh'  Eleno ,  Aglio 

Di  Priamo  re  nostro,  era  a  quel  re^no 

Di  greche  terre  assunto,  e  cne  di  Puro 

E  del  suo  scettro  o  del  suo  letto  erede  490 

Trojano  sposo  a  la  trojana  Andromache 

S' era  congiunto.  Arsi  d*  immenso  amoro 

Di  visitarlo,  e  di  spiar  da  lui 

Come  ciò  fosse;  e  de  l'armata  uscendo 

Scesi  nel  lito ,  e  me  n'  andai  con  pochi  495 

A  ritrovarlo.  Era  quel  giorno  a  sorte 

Andromache  regina  in  su  la  riva 

Del  novo  Simoénta  a  far  solenne 

Sepolcral  sacriiìcio  ;  e  come  è  rito 

De  la  naia  patria,  avea  fra  due  grandmare  500 

Di  verdi  cespi  una  gran  tomha  eretta ,  3(fc 

Monumentò  di  lagrime  e  di  duolo; 

Ove  con  tristi  doni  e  con  lugubri 

Voci  del  grand'  Etlòr  1'  anima  e  '1  nome 

Chiamando,  il  fìnto  suo  corpo  onorava,  505 

Poiché  venir  mi  vide ,  e  che  di  Troja 
Avvisò  l'armi,  e  me  conobbe,  un  mostro 
Veder  le  parve ,  e  forsennata  e  stupida 
Permessi  in  prima  :  indi  gelata  e  smorta 
Disvenne  e  cadde  ;  e  dopo  molto  appena  510 

Risensando ,  mirommi ,  e  così  disse  : 

Oh!  sei  tu  vero,  o  pur  mi  sembri  Enea? 

)i  corpo  od  ombra  ?  Se  da'  morti  udito 

1  mio  richiamo,  Ettòr  perchè  te  manda? 
Perchè  teco  non  viene  ?  E  sei  tu  certo  515 

Nunzio  di  lui  ?  Ciò  detto ,  lagrimando,  ai« 

Empia  di  strida  e  di  lamenti  i  campi. 

Io  di  pietà  e  di  duol  confuso ,  appena 
In  poche  voci,  e  quelle  anco  interrotte, 
Snodai  la  lingua,  io  vivo ,  se  pur  vita  520 

E  menar  giorni  sì  gravosi  e  duri: 
Ma  cosi  spiro  ancora,  e  veramente 
Son  io  quel  che  ti  sembro.  0  da  qual  grado 
Scaduta ,  e  da  quanto  inclito  marito  ! 
Andromache  d' Ettòr  a  Pirro,  a  Pirro  525 

Fosti  congiunta?  Or  qual  altra  più  lieta 
r  incontra ,  e  più  di  te  degna  fortuna  ? 
Abbassò  '1  volto,  e  con  sommessa  voce 
Cosi  risposo  :  0  fortunata  lei 

Sovr'ogni  donna,  che  re^na  e  vergine  530 

Ne  la  sua  patria  a  sacriiìcio  offerta 
Del  nimico  fu  vittima  e  non  preda, 


90  BNEIDB 


CMnA^K*tij 


Né  del  suo  vincitor  serva,  ne  donna! 
Io  dopo  Troja  incensa,  e  dopo  tanti 
E  tanti  arati  mari,  a  servir  nata ,  535 

De  la  stirpe  d' Achille  il  giogo  e  '1  fasto , 
E  '1  superbo  suo  figlio  a  sollVir  ebbi. 
Questi  poi  con  Ermione  conjjiunto, 
E  lei ,  che  de  la  razza  era  di  Leda 
E  del  sangue  di  Sparta ,  a  me  preposta ,  540 

Volle ,  eh'  Eleno  ed  io ,  servi  ambidue ,  3«8 

N'  accoppiassimo  insieme.  Oreste  intanto , 
Che  tòr  V  amata  sua  donna  si  vide , 
^^tr^rw*^'**^'  Da  l'amore  infiammato  e  da  le  faci 

De  le  furie  materne,  anzi  a  gli  altari  545 

Del  padre  Achille,  insidiosamente 

Tolse  la  vita  a  lui.  Per  la  sua  morte 

Fu  '1  suo  regno  diviso  ;  e  questa  parte 

De  la  Gaonia  ad  Eleno  ricadde, 

Che  dal  nome  di  Gàone  trojano  550 

Cosi  l'ha  detta,  come  disse  ancora  335 

Dio  da  r  Ilio  nostro  questa  rocca 

Che  qui  su  vedi;  e  Simoénta  e  Pergamo 

Queste  picciolo  mura  e  auesto  rivo. 

Ma  te  quai  venti ,  0  qua!  nostra  ventura  555 

Ha  qui  condotto,  fuor  d'ogni  pensiero 

Di  noi  certo ,  e  tuo  forse  ?  Ascanio  nostro 

Vive?  cresce?  che  fa?  come  ha  sentito 

La  morte  di  Greiisa?  E  qual  presagio 

Ne  dà,  ch'Enea  suo  padre,  Ettor  suo  zio  560 

Si  rinnovino  in  lui  ?  Cotali  Andromache 

Spargea  pianti  e  parole;  ed  ecco  intanto 

D  teucro  eroe  che  de  la  terra  uscendo 

Con  molti  intorno  a  rincontrar  ne  venne. 

Tosto  che  n'  adocchiò ,  meravigliando  505 

Ne  conobbe ,  n'  accolse ,  e  lietamente 

Seco  n'addusse,  de' comuni  affanni 

Molto  con  me,  mentre  andavamo,  anch' egli 

Ragionando  e  piangendo.  Entrammo  al  fine 

Ne  la  picciola  Troja,  e  con  diletto  570 

Un  arido  ruscello,  un  cerchio  angusto 

Sentii  con  finti  e  rinnovati  nomi 

Chiamar  Pergamo  e  Xanto;  e  de  la  Scea 

Porta  entrando  abbracciai  1'  amata  soglia 

Così  fecero  i  miei,  meco  godendo  575 

L' amica  terra ,  come  propria  e  vera  352 

Fosse  lor  patria.  Il  re  le  sale  e  i  portici 

Di  mense  empiendo ,  fé'  lor  cibi  e  vini 

Da'  regj  servi  realmente  esporre 


^ 


LIBRO  TERZO  91 


Con  vaselli  d' argento  e  coppe  d*  oro.  58o 

Passato  il  primo  giorno  e  T  altro  appresso , 

Soffiar  prosperi  i  venti  :  ond'  io  commiato 

A  l'indovino  re  chiedendo,  seco 

Mi  ristrinsi  e  gli  dissi  :  Inclito  sire , 

Cui  non  son  de  gli  Dei  le  menti  occulte,  585 

Che  Febo  spiri  e  '1  tripode  e  gli  allori  359 

Del  suo  tempio  dispensi,  e  de  le  stelle 

E  de' volanti  ogni  secreto  intendi; 

Danne  certo,  ti  priego,  indicio  e  lume 

De  le  nostre  venture.  Il  nostro  corso,  690 

Com'  ogni  augurio  accenna ,  ed  ogni  Niune 

Ne  persuade ,  è  per  Italia  ;  e  lieto 

E  fortunato  ancor  ne  si  promette 

Infine  a  qui.  Sola  Geleno  Arpia 

Novi  e  tristi  infortunj  e  fame  ed  ira  595 

De  gli  Dei  ne  minaccia.  Io  da  te  chieggio 

Avvertenze  e  ricordi,  onde  sia  saggio 

A  tai  perigli,  e  forte  a  tanti  affanni. 
Qui  pria  solennemente  Eleno,  uccisi 

I  dovuti  giovenchi,  in  atto  umile  600 

Impetrò  da  gii  Dei  favore  e  pace  ; 

Poscia ,  raccolto  in  se ,  le  bende  sciolse 

Del  sacro  capo  ;  e  me ,  cosi  com'  era 

A  tanto  officio  attonito  e  sospeso, 

Per  man  prendendo  a  la  febea  spelonca  605 

M' addusse  avanti ,  e  con  divina  voce 

Intonando  proruppe:  O  de  la  Dea 

Predato  figlio  (  quando  a  gran  fortuna 

E  cniaro  in  prima  che  '1  tuo  corso  è  volto  ; 

Tal  è  del  ciel ,  de'  Fati  e  di  colui  610 

Che  li  regge ,  il  voler ,  1*  ordine  e  'I  moto  ) ,      37» 

Io  di  molte  e  ^an  cose  che  antiveggo 

Del  tuo  peregrinaggio ,  acciò  più  franco 

Navighi  i  nostri  mari,  e'I  porto  ausonio, 

Quando  che  sia,  securamente  attinga,  615 

Poche  ne  ti  dirò;  che  a  te  le  Parche 

Vietan  che  più  ne  sappi;  ed  a  me  Giuno, 

Ch'  io  più  te  ne  riveli.  In  prima  il  porto, 

E  r  Italia  che  cerchi ,  e  si  vicina 

Ti  sembra ,  è  da  tal  via,  da  tanti  intrichi  620 

Scevra  da  te ,  ch'anzi  che  tu  v'  aggiunga,        388 

Ti  parrà  malagevole  e  lontana 

Più  che  non  credi;  e  ti  fia  d' uopo  avanti 

Stancar  più  volte  i  remiganti  e  1  remi, 

E 1  mar  de  la  Sicilia  e  '1  mar  Tirreno ,  025 

£  i  laghi  inferni  e  r  isola  di  Circo 


\ 


92 


ENEIDB 


•«  .    •■  aar  I 


Cercar  ti  converrà ,  pria  che  vi  fondi 
Securo  seggio.  Io  di  ciò  chiari  segni 
Darotti,  e  tu  ne  fa  nota  e  conserva. 

Quando  più  stanco  e  travagliato  a  riva 
Sarai  d*un  fiume,  u' sotto  un'elee  accolta 
Sarà  candida  troja,  ed  ara  trenta 
Candidi  figli  a  le  sue  poppe  intorno; 
AUor  di'  :  Questo  è  il  segno  e  *1  tempo  e  *1  loco 
Da  fermar  la  mia  sede ,  e  questo  è  '1  fine 
De'  miei  travagli.  Or  che  V  ingorda  fame 
Addur  ti  deggia  a  trangugiar  le  mense , 
Comunque  avvenga,  i  Fati  a  ciò  daranno 
Opportuno  compenso  ;  e  questo  Apollo 
Invocato  da  voi  presto  saravvi. 

Queste  terre  d' Italia  e  questa  riva  895 

Ver  noi  volta  e  vicina  a  i  liti  nostri 
É  tutta  da'  nemici  e  da'  malvagi 
Greci  abitata  e  colta;  e  però  lungo 
Fuggi  da  loro.  I  Locri  (h  Narizia 
Qui  si  posare  ;  e  qui  no'  Salentini 
I  suoi  Cretesi  Idomenòo  condusse. 
Qui  Filottete  il  Melibòo  campione 
La  piccioletta  sua  Petilia  eresse. 
Fuggili  dico;  e  quando  anco  varcato 
Sarai  di  là  ne  1'  alto  lite ,  intento 
A  sciorre  i  voti,  di  purpureo  ammanto 
Ti  vela  il  capo;  acciò  tra  i  santi  fochi 
Mentre  i  tum  Numi  adori,  ostile  aspetto 
Te  co'  tuoi  sacrifici  non  conturbi. 
E  questo  rito  poi  sia  castamente  40d 

Da  te  servato  e  da'  nepoti  tuoi. 

Quinci  partito,  allor  che  da  vicino 
Scorgerai  la  Sicilia,  e  di  Pelerò 
Ti  si  discovrirà  V  angusta  foce , 
Tienti  a  sinistra;,  e  del  sinistro  mare 
Solca  pur  via  quanto  a  di  lungo  intorno 
Gira  r  Isola  tutta ,  e  da  la,  destra 
Fuggi  la  terra  e  l' onde.  E  fama  antica 
Che  questi  or  due  tra  lor  disgiunti  lochi 
Erano  in  prima  un  solo ,  che  per  forza 
Di  tempo,  di  tempeste  e  di  rumo 
(Tanto  a  cangiar  queste  terrene  cose 
Può  de'  secoli  il  corso  )  un  dismembrato 
Fu  poi  da  r  altro.  11  mar  fra  mezzo  entrando 
Tanto  urtò ,  tanto  rose ,  che  l' Esperio 
Dal  Sicolo  terreno  al  iìn  divis(3  : 
E  i  campi  e  le  città,  che  in  su  le  rivo 


630 


635 


640 


645 


650 


655 


660 


665 


670 


-i 


LIBRO  TERZO  03 


Uostaro,  angusto  freto  or  bagna  o  sparte. 

Nel  destro  lato  è  Scilla;  nel  sinistro  675 

È  r  ingorda  Gariddi.  Una  vorago  4So 

D'un  gran  baratro  è  questa,  che  tre  volte 

I  vasti  flutti  rigirando  assorbe , 

E  tre  volte  a  vicenda  li  ributta 

Con  immenso  boiler  fino  alle  stelle.  680 

Scilla  dentro  a  le  sue  bujo  caverne 

Stassene  insidiando  ;  e  con  le  bocche 

De'  suoi  mostri  voraci ,  che  distese 

Tien  mai  sempre  ed  aperte ,  i  naviganti 

Entro  al  suo  speco  a  se  tra^ge  e  trangugia*  685 

Dal  mezzo  in  su  la  faccia ,  il  collo  e  '1  petto 

Ha  di  donna  e  di  vergine  ;  il  restante , 

D'una  pistrice  immane  che  simili 

A'  delfini  ha  le  code ,  a  i  lupi  il  ventre. 

Meglio  è  con  lungo  indugio  e  lunga  volta  690 

Girar  Pachino  e  la  Trinacria  tutta , 

Che  j  non  eh'  altro ,  veder  queir  antro  orrendo , 

Sentir  quegli  urli  spaventosi  e  fieri 

Di  (Tuei  cerulei  suoi  rabbiosi  cani. 

Oltre  a  ciò ,  se  prudenti ,  se  fedeli  695 

Sembrar  ti  può  che  sian  d'Elcno  i  detti,  43S 

E  se  scarso  non  m' ò  del  vero  Apollo  ; 
Sovr'  a  tutto  io  t'  accenno  ,  ti  predico  , 
Ti  ripeto  più  volte  e  ti  rammento  , 
La  gran  Giunone  invoca  ;  a  Giunon  voti  700 

E  preghi  e  doni  e  sacrifìci  offrisci 
Devotamente  :  che ,  lei  vinta ,  al  fine 
Terrai  d' Italia  il  desiato  lite. 

Giunto  in  Italia,  allor  che  ne  la  spiaggia 
Sarai  di  Cuma ,  il  sacro  Arcrno  lago  705 

Visita ,  e  quelle  solve  e  quella  rupe ,    ^ 
Ove  la  vecchia  vergine  Sibilla 
Profetizza  il  futuro ,  e  'n  su  le  foglio 
Ripone  i  Fati  :  in  su  le  foglie ,  dico , 
Scrive  ciò  che  prevede ,  e  ne  la  grotta  710 

Distese  ed  ordinate ,  ove  sian  lette , 
In  disparte  lo  lascia.  Elle  serbando 
L' ordine  e  i  versi ,  ad  uopo  de'  mortali 
Parlan  de  1'  avvenire  ;  e  quando  ,  aprendo 
Talor  la  porta ,  il  vento  le  disturba  ,  715 

E  van  per  1'  antro  a  volo ,  ella  non  prende       448 
Più  di  ricorle  e  d'  accozzarle  aff*anno  : 
Onde  molti  delusi  e  sconsigliati 
Toman  sovente ,  e  mal  di  lei  s' appagano. 
Tu  per  soverchio  che  ti  sembri  indugio ,  720 


04  ENEIDK 


Per  richiamo  de' venti ,  o  de*  compagni. 

Non  lasciar  di  vederla ,  e  d' impetrarne 

Grazia  ,  che  di  sua  hocca  ti  risponda , 

E  non  con  Irondi.  Ella  daratti  avviso 

D' Italia  ,  de  le  guerre  e  de  le  genti  725 

Che  ti  lìan  contra;  e  mostreratti  il  modo  458 

Di  l'uggir,  di  sollrir,  d'espugnar  tutto 

Le  tue  fortune  ,  e  di  condurti  in  porto. 

Questo  è  quel  che  nf  occorre ,  o  che  mi  lice 

Ch'  io  ti  ricordi.  Or  vanne,  e  co' tuoi  gesti  730 

Te  porta  e  i  tuoi  con  la  gran  Troja  al  ciclo. 

Poscia  che  ciò  come  profeta  disse , 
Comandò  come  amico,  che  a  le  navi 
Gli  portassero  i  doni,  opre  e  lavori 
Che  avea  d' oro  e  d'  avorio  apparecchiati ,  735 

E  gran  masse  d'  argento  e  gran  vaselli 
Di  dodonèo  metallo:  una  lorica 
Di  forbite  azzimine,  e  rinterzatc 
Maglie  ,  dentro  d'  acciaro,  e'ntorno  d'oro; 
Una  targa,  un  cimiero,  una  celata,  740 

Ond'  era  a  pompa  ed  a  difesa  armato 
Neottolemo  altero.  11  vecchio  Anchiso 
Ebbe  anch'  egli  i  suoi  doni  ;  ebber  poi  tutti 
Cavalli  e  guide;  e  fu  di  remi  e  d'armi 
Ciascun  legno  provvisto  :  e  perchè  '1  vento  745 

Che  secondo  feria ,  non  punto  indarno 
Sj)irasse  ,  ordine  avea  di  scior  le  velo 
Già  dato  Anchise,  a  cui  con  molto  onoro 
Si  fece  Kleno  avanti ,  e  cosi  disse  : 

0  b(»n  degno,  a  cui  fosse  amica  e  sposa  750 

La  gran  madre  d'Amore  ;  o  de'  Celesti  475 

Sovrana  cura ,  che  a  1'  eccidio  avanzi 
Già  due  volte  di  Troja,  eccoti  a  vista 
Giunto  d'Italia.  A  questa  il  coi-so  indrizza; 
Ma  fa  meslier  di  volte^^giarla  ancora  755 

Con  lungo  {firo;  poiché  hmge  assai 
K  la  parte  ai  lei  che  Apollo  accemia. 
Or  lieto  te  ne  va ,  padre  felice 
Di  sì  pietoso  lìglio.  Io,  già  che  l'aura 
Si  vi  spira  propizia,  indarno  a  bada  760 

Più  non  terrovvi.  Indi  la  mi»sta  Andromacho    4Si 
Fece  con  tutti ,  e  con  Ascanio  al  fine 
La  suprema  [jartenza.  Arnesi  d'oro 
Guarniti  e  ricamati,  e  drappi  e  giubbe 
Di  mon^sco  lavoro,  ed  altri  «legni  705 

Di  lui  vestili  e  fregi ,  e  ricca  e  larga 
0)[)\'d  di  l.ii.uicherie  donògli ,  e  disse: 


ì 


Lir,?.o  Tr.nzo  05 


Prendi  figlio  da  me  quest'  opre  uscito 
Da  le  mie  mani,  e  per  memoria  lienle 
Del  grande  e  lungo  amor  che  sempre  avratti         770 
Andromache  d*  Ettorre  ;  ultimi  doni 
Che  ricevi  da' tuoi.  Tu  mi  sei,  lìglio, 
Quell'unico  sembiante  che  mi  resta 
D' Astlanatte  mio.  Cosi  la  bocca. 
Cosi  le  man,  cosi  gli  occhi  movea  775 

Quel  mio  figlio  infelice  ;  e  d'  anni  eguale 
A  te,  del  pari  or  saria  teco  in  fiore. 
Ed  io  da  loro ,  anzi  da  me  partendo , 
Con  le  lagrime  agli  occhi  al  fin  soggiunsi  : 

Vivete  lieti  voi,  cui  già  la  sorte  780 

Vostra  è  compita:  noi  di  fato  in  fato,  493 

Di  mare  in  mar  tapini  andrem  cercando 
Quei  che  voi  possedete.  A  noi  V  Italia 
Tanto  ognor  se  ne  va  più  lungo,  quanto 
Più  la  sediamo  ;  e  voi  già  la  sembianza  785 

D' Ilio  e  di  Troja  in  pace  vi  godete , 
Regno  e  fattura  vostra.  Ah  !  che  de  V  altra 
Sia  sempre  e  più  felice  e  meno  esposta 
A  le  forze  de'  Oreci.  Io  s'  unqua  il  Tebro 
Vedrò,  se  fia  giammai  che  ne*  suoi  campi  790 

Sorgan  le  mura  destinate  a  noi; 
Come  la  nostra  Esperia  e  '1  vostro  Epiro 
Si  son  vicini,  e  come  ambe  le  terre 
Fien  vicine  e  colmate,  ed  ambe  avraimo 
Dardano  per  autore,  e  per  fortuna  795 

Un  caso  stesso  ;  così  d'  ambedue 
Mi  proporrò  che  d*  animi  e  d'  amore  603 

Siamo  una  Troja:  e  ciò  perpetua  cura 
Sia  de*  nostri  nipoti.  Entrati  in  mare 
Ne  spingemmo  oltre  a  gli  Gerauni  monti  800 

A  Butroto  vicini,  onde  a  le  spiagge 
Si  fa  d' Italia  il  più  breve  tragitto. 

Già  declinava  il  sole ,  e  crescean  V  ombre 
De' monti  opachi;  quando  a  terra  volti 
Col  desire ,  e  co'  remi  in  su  la  riva  805 

Pur  n'adducemmo,  e  procul'ammo  a' corpi 
Cibo,  riposo  e  sonno.  Ancor  la  notte 
Non  era  al  mezzo,  che  del  suo  stramazzo 
Surse  il  buon  Palinuro  ;  e  poscia  eh'  ebbe 
Con  gli  orecchi  spiati  il  vento  e  *1  mare ,  810 

Mirò  le  stelle,  contemplò  l'Arturo, 
L' ladi  piovose ,  i  gemini  Trioni , 
Ed  Orione  armato  ;  e ,  visto  il  cielo 
Sereno  e*l  mar  sicui^o,  in  su  la  poppa 


or,  i:  ni: 'DI'. 


Il(MV)ssi,  (^'l  S(';;iio  (Ucnno.  Tnimniitinento  8151 

Movoiiirno  il  campo,  e  quasi  in  un  baleno         519 
Giunti  e  posti  nel  mar,  vola  facemmo. 

Avca  r  Aurora  j;ià  vormiglia  e  rancia 
Scoloi'ile  le  stelle,  allor  che  lungo 
Scoprimmo,  e  non  ben  chiari,  i  monti  in  prima,  820 
Poscia  i  liti  d' Italia.  Italia  Acato 
Gridò  primieramente:  Italia,  Italia 
Da  ciascun  legno  ritornando  alle^^ri 
Tutti  la  salutammo.  Allora  Anchiso 
Con  una  inghirlandata  o  piena  tazza  825 

In  su  la  poppa  alteramente  assiso, 
O  del  pelago,  disse,  e  de  la  terra, 
E  de  le  tempesLà  numi  possenti, 
Sfnrate  aure  seconde,  e  ver  l'Ausonia 
De'  nostri  legni  agevolate  il  corso.  890 

Rinforzaronsi  i  venti;  apparve  il  porto  sto 

Più  da  vicino;  apparve  al  monte  in  cima 
Di  Pallade  il  delubro.  Allor  le  velo 
Ca[ammo,  e  con  le  prore  a  terra  demmo. 

É  di  ver  r  Oriente  un  curvo  seno      .  835 

In  guisa  d' arco,  a  cui  di  corda  in  vece 
Sta  d' un  lungo  macigno  un  dorso  avanti , 
Ove  spumoso  il  mar  percuote  e  frange. 
Ke'suoi  corni  ha  (hie  scogli,  anzi  due  torri, 
Che  con  due  braccia  il  mar  dentro  accogliendo,    840 
Lo  fa  porto  e  l'asconde;  e  sovra  al  porto 
Lunge  dal  lito  è'I  tempio.  Ivi  smontati, 
//  Quattro  destrier  vie  più  che  neve  lùanchiy.^. 
'  Che  pascevano  il  campo,  al  primo  incontro 
Per  nostro  augurio  avemmo.  Oh!  disse  Anchise     845 
lUierra  ne  si  minaccia;  a  guerra  additti 
Sono  i  cavalli;  o  pur  sono  anco  al  carro 
Talvolta  aggiunti,  e  van  del  pari  a  giogo: 
Guerra  lìa  (hnique  in  prima,  e  pace  dopo. 

Quinci  devoli  venerammo  il  nume  850 

De  l'armigiu-a  Palla,  a  cui  giojosi  544 

Prima  il  corso  indrizzammo.  In  su  la  riva 
Altari  ergemmo;  e  noi  d'intorno,  come 
Eleno  ci  ammoni,  le  teste  avvolte 
Di  frigio  ammanto  a  la  gran  Giuno  argiva  855 

l*r(\L:hiere  o  doni  e  sacriiizj  offrimmo. 

Poiché  sol«Mmemente  i  prieghi  e  i  voti 
Furon  compili,  al  mar  ne  rafiducemmo 
Immantinente;  e  rivolgendo  i  corni 
]>e  l'.'  velale  antenna,  il  .^tcco  ospizio  860 

£  '1  sospjll  j  piiese  abbjin  '.o.uimnio. 


LIBRO  TEK70  -  97 


E  prima  il  tarentino  erculeo  seno 
(Se  la  sua  fama  è  vera)  a  vista  avemmo. 
Poscia  a  rincontro  di  Lacinia  il  tempio, 
La  rocca  di  Gaulone  e*l  Scillacèo,  865 

Onde  i  navilj  a  ai  gran  rischio  vanno.  ssa 

iDdi  ne  la  Trinacria  al  mar  discosto 
D*Etna  il  monte  vedemmo  e  lungo  udimmo 
n  fremito,  il  muggito,  1  tuoni  orrendi 
•     Che  facean  ne' suoi  liti  e 'ritorno  a' sassi  870 

E  dentro  a  le  caverne  i  flutti  e  1  fuochi , 
Al  ciel  ruttando  insieme  il  mare  e  *1  monte 
Fiamme,  fumo,  faville,  arene  e. schiuma. 
Qui  disse  il  vecchio  Anchise:  E  forse  questa 

Suella  Gariddi?  Questi  scogli  certo,  875 

questi  sassi  orrendi  Eleno  dianzi  * 

Ne  profetava.  Via  compagni  a'  remi 
Tatti  in  un  tempo,  e  vincitori  usciamo 
D'un  tal  x>eriglio.  Palinuro  il  primo 
Rivolse  la  sua  vela  e  la  sua  proda  880 

Al  manco  lato  :  e  ciò  ^li  altri  seguendo, 
Con  le  sarte  e  co*  remi  in  un  momento 
Ne  gittammo  a  sinistra  :  e  '1  mar  sorgendo , 
Prima  al  ciel  ne  sospinse  ;  indi  calando , 
Ne  r  abisso  ne  trasse.  In  ciò  tre  volte  885 

Mugghiar  sentimmo  i  cavernosi  scogli,  m% 

E  tre  volte  rivolti  in  ver  le  stelle 
D'umidi  sprazzi  e  di  salata* schiuma 
n  ciel  vedemmo  rugiadoso  e  molle. 

Eravam  lassi;  e T vento  e'I  sole  insieme  890 

Ne  mancar  si,  che  del  viaggio  incerti 
Disavvedutamente  a  le  contrade 
De*  Ciclopi  approdammo.  É  per  se  stesso 
A*  venti  inaccessibile  e  capace 

Di  molti  legni  il  porto ,  ove  sorgemmo;  895 

Ma  si  d*  Etna  vicino,  che  i  suoi  tuoni 
E  le  sue  spaventevoli  mine 
Lo  tempestano  ognora.  Esce  talvolta 
Da  questo  monte  a  V  aura  un'  atra  nube 
Mista  di  nero  fumo  e  di  roventi  900 

Faville,  che  di  cenere  e  di  pece  S78 

Fan  turbi  e  groppi,  ed  ondegiriando  a  scosse 
Vibrano  ad  ora  ad  or  lucide  fiamme 
Che  van  lambendo  a  scolorir  le  stelle: 
E  talvolta,  le  sue  viscere  stesse  905 

Da  se  divelto,  immani  sassi  e  scogli 
Liquefatti  e  combusti  al  ciel  vomendo 
In  im  dal  fondo  romoreggia  e  bolle. 


. •  f 


100  ENEIDE 


Gli  trivellammo,  venflicanlo  al  Ano 
Gol  tor  la  luco  a  lui  T  ombre  de'  nostri. 

Ma  voi  che  fato  qui  ?  che  non  fuggito ,  1005 

Miseri  voi?  Fuggite,  e  senza  indugio  «89 

Tagliate  il  fune  e  v'  allargate  in  mare  ; 
Che  cosi  smisurati  e  cosi  fieri, 
Com'è  costui  che  Polifcmo  è  detto, 
Ne  son.via  più  di  cento  in  questo  lito,  1010 

Tutti  Ciclopi,  e  tutti  antropofagi 
Che  vanno  il  di  per  questi  monti  errando. 
Già  visto  ho  la  cornuta  e  scema  luna 
Tornar  tre  volte  luminosa  e  tonda, 
Da  che  son  qui  tra  selve  e  tra  burroni  1015 

Con  le  fere  vivendo.  Entro  una  rupe 
È'I  mio  ricetto;  e  quindi  benché  lungo 
Gli  miri,  ad  or  ad  or  d' avergl' intorno 
Mi  sembra,  e'I  suon  n'  abborro  e'I  calpestio 
De  la  voce  e  de' piò.  Pascomi  d'Srbe,  1020 

Di  coccole  e  di  more  e  di  corgnali, 
E  di  tali  altri  cibi  acerbi  e  fieri  : 
Vita  e  vitto  infelice.  In  questo  tempo, 
Quanto  ho  scoperto  intorno,  unqua  non  vidi 
Gh'  altro  legno  giammai  qui  capitasse,  1025 

Salvo  che  i  vostri.  A  voi  dunque  del  tutto        65» 
Af  addico:  e  che  che  sia,  parammi  assai 
Fuggir  questa  nefanda  e  flira  gente. 
Voi,  pria  che  qui  lasciarmi,  ogni  supplicio 
Mi  date  ed  ogni  morte.  Appena  il  Greco  1030 

Avea  ciò  detto,  ed  ecco  in  su  la  vetta 
Del  monte  avverso,  Poliremo  apparve. 
Sembrato  mi  sarebbe  un  altro  monte, 
A  cui  la  gregge  sua  pasccsse  intorno  ; 
Se  non  che  si  movea  con  essa  insieme ,  1035 

E  torreggiando  inverso  la  marina 
P(5r  r  usato  sentier  se  ne  calava  : 
Mostro  orrendo,  difforme  e  smisurato, 
Che  avea  come  una  grotta  oscura  in  fronte 
In  vece  d'  occhio ,  e  per  bastone  un  pino ,  1040 

Onde  i  passi  fermava.  Avea  d' intorno  «59 

La  greggia  a'  pie  li ,  e  la  sampogna  al  collo , 
OuoTla  il  suo  amore,  e  questa  il  suo  trastullo, 
Ond'orbo<illeggeriva  il  duolo  in  parte. 
Giunto  a  la  riva  entrò  ne  l'onde  a  gu?nzo:  1045 

E  pria  de  l' occhio  la  sanguigna  cispa 
Lavossi ,  ad  or  ad  or  per  ira  i  denti 
DiOTgnando  e  fremenao  ;  indi  si  stese 
Por  entro  '1  mare ,  e  nel  più  basso  fondo 


LIBRO  TERZO  lOl 


V 


Fu  pria  co'  pie ,  che  non  ftir  V  onde  a  Y  anche.     1050 

Noi  per  paura  (ricevuto  in  prima, 
Come  Ben  meritò ,  l' ospite  greco) 
Di  fuggir  n'  affirettammo  ;  e  chetamente 
Sciolte  le  ftmi  a  remigar  ne  demmo 
Più  che  di  fùria.  Udì  1  Giclopo  il  suono  1055 

E'I  tramhusto  de' remi;  e  volti  i  passi 
Ver  quella  parte  e  '1  suo  gran  pino  a  cerco 
Poiché  lun^  sentinne ,  e  lungamente 
Pensò  segmrne  per  l'Ionio  in  vano, 
Trasse  un  mugghio,  che'l  maro  e  i  liti  intorno    1060 
Ne  tremar  tutti;  ne  senti  spavento  «tjb 

Fino  a  ritalia;  ne  tonaron  quanti 
La  Sicania  avea  seni,  Etna  caverne. 
L' udir  gli  altri  Ciclopi ,  e  da  le  selve 
E  da'  monti  calando ,  in  un  momento  1065 

Corsero  al  porto,  e  se  n'  empierò  i  litL 
Gli  vedevam  da  lunge  in  su  l'arena , 
Quantunque  indarno,  minacciosi  e  torvi 
Stender  le  braccia  a  noi ,  le  teste  al  cielo , 
Concilio  orrendo  :  che  ristretti  insieme  1070 

Erano  quai  di  querce  annose  a  Giove , 
Di  cipressi  coniferi  a  Diana  . 
S' ergono  i  boschi  alteramente  a  Y  aura. 

Fero  timor  n'  assalse  ;  e  da  l' un  canto 
Pensammo  di  lasciar  che  '1  vento  stesso  1075 

Ne  portasse  a  seconda  ovunque  fosse,  683 

Purché  lunge  da  loro  ;  ma  da  l' altro , 
D' Eleno  cel  vietava  il  detto  espresso , 
Che  per  mezzo  di  Scilla  e  di  Cariddi 
Passar  non  si  dovesse  a  si  ^ran  rischio,  1080 

E  di  si  poco  spazio  e  quinci  e  quindi 
Scevri  dfa  morte.  In  questa  che  già  fermi 
Eravam  di  voltar  le  vele  a  dietro , 
Ecco  che  da  lo  stretto  di  Peloro , 
Ne  vien  Borea  a  grand'  uopo ,  onde  repente  1085 

A  la  sassosa  foce  di  Pantagia ,  ' 
Al  Megarico  seno,  a  i  bassi  liti 
Ne  trovammo  di  Tapso.  In  cotal  guisa 
Riferiva  Achemenide ,  compagno 
Che  8*  è  detto  d' Ulisse,  esser  nomati  •  10 

Quei  lochi ,  onde  pria  seco  era  passato. 

Giace  de  la  Sicania  al  ^olfo  avanti 
Un*  isoletta  che  a  Plemmirio  ondoso 
E  posta  incontro ,  e  dagli  antichi  è  detta 
Per  nome  Ortigia.  A  quest'  isola  ò  fama ,  1 

Che  per  vie  sotto  il  mare  il  greco  Alfeo  004 


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102  ENEIDE 


Vieri,  da  Doride  intatto,  infìn  d'Arcadia 

Per  bocca  d' Aretusa  a  mescolarsi 

Con  r  onde  di  Sicilia.  E  (jiii  del  loco 

Venerammo  i  gran  Numi;  indi  varcammo  liOO 

Del  paludoso  Eloro  i  campi  opimi  ; 

Rademmo  di  Pachino  i  sassi  alpestri; 

Scoprimmo  Gamarina  ,  e  '1  fato  udimmo , 

Che  mal  per  lei  fora  il  suo  stagno  asciutto. 

La  pianura  passammo  de'  Geloi,  1105 

Di  cui  Gela  e  la  terra ,  e  Gela  il  fiume. 

Molto  da  lunge  il  gran  monte  Agragante 

Vedemmo,  e  le  sue  torri  e  le  sue  spiagge 

Che  di  razze  fur  già  madri  famose. 

Col  vento  stesso  in  dietro  ne  lasciammo  11 10 

La  palmosa  Seline;  e  'n  su  la  punta  705 

Giunti  di  Lilibèo,  tosto  girammo 

Le  sue  cieche  seccagne ,  e  *1  porto  al  fine 

Del  mal  veduto  Dnepano  afferrammo. 

Qui,  lasso  me!  da  tanti  affanni  oppresso ,  1115 

A  tanti  esposto,  il  mio  diletto  padre. 
Il  mio  paare  perdei.  Qui  stanco  e  mesto. 
Padre,  m'  abhandonasti:  e  pur  tu  solo 
M'eri  in  tante  gravose  mie  fortune 
Quanto  avea  di  conforto  e  di  sosterò.  1120 

Oimè  !  che  indarno  da  sì  gran  perigli 
Salvo  ne  ti  rendesti.  Ah ,  che  fra  tanti 
Orrendi  e  miserabili  infortunj, 
Ch'Eleno  ci  predisse  e  Temnia  Arpia, 
Questo  non  era  già,  ch'era  u  maggiore!  Ii25 

Oh  fosse  cruesto  ancor  l'ultimo  affanno, 
Com'è  l'ultimo  corso!  Che  partendo 
Da  Dimenano ,  se  ben  fera  tempesta 
Qui  m' na  gittate,  certo  amico  Nume 
M'ha,  beniicna  regina,  a  voi  condotto.  1130 

Cosi  da  lutti  con  silenzio  udito, 
Poich'  ebbe  Knoa  distesamente  esposto 
La  mina  di  'i'roj/i  e  i  rischi  e  i  fati 
E  gli  crror  suoi,  fece  qui  fine  e  tacque.  ii34 

71d 


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FINB  DEL  LIBRO  TERZO. 


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••   *  •». 


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LIBRO  QUARTO 


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a  O  M  £  N  T  O 


Dldone  accesa  d*amore  per  Enea,  scopre  la  sua  passione  alla  sorella 
Inna,  e  seguendo  il  consiglio  di  lei  volge  ranimo  aUTdoa  delle  uozze,  I-8tf. 
lUora  Giunone  per  potere  più  agevolmente  allontanare  Enea  dall*  Italia, 
trutta  con  Venere  perchè  anch'essa  consenta  a  queste  nozze ^  ed  a  lei  stessa 
commette  di  trovarne  il  modo  e  Topportunità.  90-128.  La  dimane  Enea  con 
Dldone  usciti  ad  una  gran  caccia  sono  sorpresi  da  un  turbine  mandato  da^ 
Giunone  :  onde  la  numerosa  comitiva  è  dispersji,  ed  Enea  con  sola  Didone^ 
ripara  ad  una  caverna;  quivi  seguono  le  infauste  nozze,  129-172.  Jarba 
re  de*  Oetuli,  alla  notizia  che  gli  reca  la  fuma  di  questo  amore,  niul  sop- 

Sortando  di  vedersi  da  Didone  posposto  ad  un  forestiero,  ne  chit^de  ven- 
etta  a  Giove*  il  quale,  spedito  ad  Enea  Mercurio,  gì*  ingiunge  di  abban- 
donar subito  rAffiica  e  navigare  verso  Tltaliu,  173-2t8.  Al  cenno  di  Giovo, 
Enea  dà  ordine  che  di  nascosto  si  mettano  in  punto  le  navi,  279-295.  M:i 
Mdone  insospettita  di  questi  apparecchi  ne  muove  gravi  querele  ad  KiKfa, 
e  pregando  e  piang*'ndo  si  studia   di  stornarlo  da*  suoi  propositi  ;  quindi 


una  gran  pira,  Ange  di  voler  c<*lebrare  certe  cerimonie  magiche  p^n*  libf»- 
rar*i  di  queiramore,  474-521.  il  quale  invece,  diventando  furore,  la  fa  darò 
in  i  smanie,  522-563.  Intanto  Enea,  nuovamente  avvisato  in  sogno  da  Mer- 
curio, entra  in  mare,  553-583.  IHdone.  la  mattina  vedendo  i  TroiaxugiA  in  ulto, 
impreca  ogni  male  ad  Enea,  consacnindolo  alle  furie,  584-629;  posciu  per  al- 
lontanare da  sé  anche  Burce,  la  nutrice  del  i>rimo  suo  marito  Ficlu'O.  la 
manda  con  un  pretesta  dulia -iiorella,  e  in  quel  mezzo  si  dà  la  morte,  0U0-70Ù. 

Ma  la  restia  d'  amoroso  strale 
Già  punta. li  core ,  e  ne  le  vene  accesa 
D' occulto  foco ,  intanto  arde  e  si  sl'ace  ; 
E  de  r  amato  Enea  fra  se  volgendo 
n  legnaggio ,  il  valore ,  il  senno  ,  V  opre ,  5 

E  quel ,  che  più  le  sta  ne  V  alma  impresso , 
Soave  ragionar,  dolce  sembiante, 
Tutta  notte  no  pensa  e  mai  non  dorme. 

Sorgea  V  Aurora,  quando  surse  anch'olla. 
Cui  le  piume  parean  già  stecchi  e  spini  j 
E  con  la  sua  diletta  e  llda  suora 
Si  ristrinse  e  le  disse  :  Anna  sorella , 
Che  vigilie,  che  sogni,  che  spaventi 
Son  questi  miei  ?  che  peregrino  è  questo 
Che  qui  novellameute  e  capitato  ?  i5 


10 


104  ENEIDE 


\ 


Vedestù  mai  si  grazioso  aspetto  ? 

Conoscesti  ungua  il  più  saggio,  il  più  forte, 

E  '1  più  guerriero  ?  Io  credo  (  e  non  è  vana 

La  mia  credenza  )  che  dal  ciel  discenda 

Veracemente.  L' alterezza  è  segno  20 

D*  animi  generosi  E  che  fortune ,  i3 

E  che  guerre  ne  conta  !  Io ,  se  non  fusse 

Che  fermo  e  stabilito  ho  nel  cor  mio 

Che  nodo  maritai  più  non  mi  stringa , 

Poiché  '1  primo  si  ruppe  ,  e  se  d'  ognuna  25 

Schiva  non  fossi ,  solamente  a  lui 

Forse  m' inchinerei  Che  a  dirti  '1  vero , 

Anna  mia,  da  che  morte  e  V  empio  frate 

Mi  privar  di  Sichèo,  sol  questi  ha  mosso 

I  miei  sensi  e  '1  mio  core ,  e  solo  in  lui  30 

Conosco  i  segni  de  V  antica  &ammii. 

Ma  la  terra  m' ingoj ,  e  *1  ciel  mi  fùlmini , 

E  ne  r  abisso  mi  trabocchi  in  prima 

Ch'  io  ti  violi  mai ,  pudico  amore. 

Col  mio  Sichèo ,  con  chi  pria  mi  giungesti ,  35 

Giungimi  sempre ,  e  'ntemerata  e  puro 

Entro  al  sepolcro  suo  seco  ti  serba. 

E  qui  piangendo  e  sospirando  tacque.  * 

Anna  rispose  :  O  più  de  la  mia  vita 

Stessa ,  amata  sorella,  adunque  sola  40 

Vuoi  tu  vedova  sempre  e  sconsolata 

Passar  questi  tuoi  verdi  e  florid'  anni , 

Che  frutto  non  ne  colga ,  e  mai  non  gusti 

La  dolcezza  di  Venere  e  '1  contento 

De'  cari  fl^li  ?  Una  gran  cura  certo  45 

Han  di  ciò  V  ombre  e  '1  cener  de'  sepoltL  t4 

Abbiti  insino  a  aui  fatto  rifiuto 

E  del  getulo  Jarba  e  di  tant'  altri 

Possenti ,  generosi  e  ricchi  duci 

Peni  e  Fenicj  ;  eh'  io  di  ciò  ti  scuso,  50 

Com'allor  dolorosa,  e  non  amante. 

Ma  poich'  ami ,  ad  amor  sarai  rubella, 

E  ritrosa  a  te  stessa?  Ah!  non  sowienti 

Qual  cinga  il  tuo  reame  assedio  intorno  t 

Com'  ha  gì'  insuperabili  Getuli  55 

Da  r  una  parte ,  i  Numidi  da  l' altra ,  4i 

Fera  gente  e  sfrenata  ?  indi  le  secche. 

Quinci  i  deserti,  e  più  da  lungo  infesti 

I  feroci  Barcei  ?  Taccio  le  guerre 

Che  già  sorgon  di  Tiro;  e  le  minacce  W 

Del  nero  tuo  fratello.  Io  penso  certo 

Che  la  sn'W  Giuno ,  e  tutto  '1  ciel  benigno 


LIBRO  QUARTO  105 


Ne  si  mostrasse  allor  che  a'  nostri  liti 

Questi  legni  approdaro.  O  qual  cittade , 

Qual  imperio  ila  questo  !  Qiianto  onore,  65 

Quanto  prò,  quanta  gloria  a  questo  regno 

Ne  verrà,  quando  ei  teco,  e  Y  armi  sue 

Saran  giunte  a  le  nostre!  Or  via,  sorella, 

Porgi  preci  a  gli  Dei,  fa  vezzi  a  lui, 

Assecuralo,  onoralo,  intrattienlo  :  70 

Chè'l  crudo  verno,  il  tempestoso  mare, 

n  piovoso  Orione,  i  venti,  il  cielo. 

Le  sconquassate  navi  in  ciò  ne  danno 

Mille  scuse  di  mora  e  di  ritegno. 

Con  questo  dir ,  che  fu  qual'  aura  al  foco  ,  75 

Ond'  era  il  cor  de  la  regina  acceso ,  m 

L' infiammò ,  Y  incitò ,  speme  le  diede , 
E  vergogna  le  tolse.  Anaaro  in  prima 
A  visitare  i  tempj ,  a  chieder  pace 
E  favor  da'  Celesti ,  a  porger  doni,  80 

A  far  d'elette  pecorelle  offerta 
A  Cerere ,  ad  Apollo ,  al  padre  Bacco , 
E  pria  che  a  tutti  gli  altri  a  la  gran  Giunp^ 
Cui  son  le  nozze  e  i  maritaggi  a  cura. 
La  re^na  ella  stessa  ornata  e  hella  85 

Tien  a'  oro  un  nappo ,  e  fra  le  corna  il  versa 
D' una  candida  vacca  :  o  si  ravvolge 
Intorno  a' pingui  altari ,  ed  ogni  giorno 
Rinova  i  doni ,  e  de  le  aperte  vittime 
Le  palpitanti  fibre  ,  i  vivi  moti ,  SO 

E  le  spiranti  viscere  contempla, 
E  con  lor  si  consiglia.  O  menti  sciocche 
De  gì'  indovini  !  E  che  ponno  i  delubri , 
E  i  voti ,  esterni  ajuti ,  a  mal  eh'  è  dentro  ? 
Nel  cuor,  ne  le  midolle  e  ne  le  vene  ^5 

E  la  piaga  e  la  fiamma ,  ond'  arde  e  pere.         «« 
Arde  Dido  infelice ,  e  furiosa 
Per  tutta  la  città  s' aggira  e  smania  : 
Qual  ne'  boschi  di  Creta  incauta  cerva 
D' insidioso  arcier  fugge  lo  strale 
Che  l'ha  già  colta;  e  sec^,  ovuncpe  vada,  iOO 

Lo  porta  al  fianco  infisso.  Or  a  diporta 
Va  con  Enea  per  la  città  mostrando 
Le  fabbriche,  i  disegni  e  le  ricchezze 
Del  suo  novo  reame  ;  or  desiosa  105 

Di  scoprirgli  il  suo  duol  prende  consiglio  : 
Poi  non  osa ,  o  s' arresta.  E  quando  il  giorno 
Va  dechinando ,  a  convivar  ritorna , 
E  di  nuovo  a  spiar  de  gli  accidenti 


106  BNEIDB 


E  de' fati  di  Troja,  e  nuovamente  110 

Pende  dal  volto  del  facondo  amante. 

Tolti  da  mensa,  allor  che  notte  oscura 

In  disparte  li  traggo  ,  e  che  le  stelle 

Sonno ,  dal  elei  ca  ggendo ,  a  gli  occhi  infondono  ; 

Dolente,  in  solitudine  ridotta,  115 

Ritirata  da  gli  altri,  è  sol  con  lui  82 

Che  le  sta  lun«je,  e  lui  sol  vede  e  sente. 

Talvolta  Ascanio  il  pargoletto  figlio 

Per  sembianza  del  padre  in  grembo  accolto. 

Tenta,  se  cosi  può ,  1*  ardente  amore  120 

0  spegnere,  o  scemare,  o  farli  inganno. 

Le  torri,  i  tempj,  ogni  edifìcio  intanto 
Cessa  di  sormontar  ;  cessa  da  V  arme 
La  gioventù.  Le  porte,  il  porto,  il  molo 
Non  sorgon  più  :  dismosse  od  interrotto  125 

Pendon  r  opere  tutte  e  la  gran  macchina  ss 

jl  Che  fea  dianzi  ira  a'  monti  e  scorno  al  cielo. 

Vide  da  Y  alto  la  saturnia  Giuno 
n  furor  di  Didone ,  e  tal  che  fama 
E  ^spetto  d'onor  più  non  V  alfrena  :  130 

Onde  Venere  assalse ,  e  'n  cotal  guisa 
Disdegnosa  le  disse  :  Una  gran  loda 
Certo ,  un  gran  morto ,  un  memorabil  nome 
Tu  col  fanciullo  tuo ,  Ciprigna ,  acquisti 
D' aver  due  si  gran  Dii  vinta  una  femmina.  135 

10  so  ben  che  guardinga  e  sospettosa 
Di  me  ti  rende  e  de  la  mia  Cartago 

11  temer  di  tuo  Aglio.  Ma  fla  mai 
Che  q[uesta  tema  e  ouesta  gelosia 

Si  finisca  tra  noi  ?  Cnè  non  più  tosto  140 

Con  una  etema  pace  e  con  un  saldo 

Nodo  di  maritaggio  unitamente 

Ne  ristringemo?  Ecco  hai  già  vinto;  e  vedi 

Quel  che  più  desiavi.  Ama,  arde,  infuria; 

Con  ogni  affetto  ò  verso  Enea  tuo  figlio  145 

La  mia  Dido  rivolta.  Or  lui  si  prenda; 

E  noi  concordemente  in  pace  aoblamo 

Ambedue  questo  popolo  in  tutela  : 

Ne  ti  sdegnar  che  si  nobil  regina 

Serva  a  frigio  marito ,  e  oh'  ei  le  genti  ^^ 

N'  aggia  di  Tiro  e  di  Cartago  in  dote.  *08 

Venere,  che  ben  vide  ove  mirava 
n  colpo  di  Giunone ,  e  che  V  occulto 
Suo  bersaglio  era  sol  con  questo  avviso 
Distor  d' Italia  il  destinato  impero  *^ 

E  trasportarlo  in  Libiai  incontro  a  lei 


LIBRO  QUARTO  107 


Così  scaltra  rispose  :  E  chi  si  folle 

Sarebbe  mai  che  un  tal  fesse  rifiuto 

Di  quel  eh'  ei  più  desia',  per  teco  averne , 

Teco,  che  tanto  puoi^  gara  e  tenzone,  IGO 

Quando  ciò ,  che  tu  di ,  possibil  fosse  ?  los 

Ma  non  so  che  si  possa ,  né  che  '1  Fato , 

Né  che  Giove  il  permetta,  che  due  genti 

Diverse ,  come  son  Tiri  e  Trojani , 

Una  sola  divenga.  Tu  consorte  165 

Gli  sei:  tu  ne'l  dimanda,  e  tu  V  impetra: 

Ch'  io  per  me  ne  son  paga.  Ed  io  (  soggiunse 

Giuno  )  sopra  di  me  T  incarco  assumo, 

Ch*  ei  ne  '1  consenta.  Or  odi  brevemente 

Il  modo  che  a  ciò  Ikr  già  ne  si  porge.  170 

Tosto  che  '1  sol  dimane  uscirà  fuori , 
Uscir  ancor  V  innamorata  Dido 
Col  trojan  Duce  a  caccia  s*  apparecchia, 
Ove  opportunamente  a  la  foresta, 
Mentre  de'  cacciatori  e  de'  cavalli  175 

Andran  le  schiere  in  volta,  io  loro  un  nembo 
Spargerò  sopra  tempestoso  e  nero, 
Con  un  turbo  di  grandine  e  di  pioggia; 
E  di  si  fieri  tuoni  il  ciel  empiendo , 
Ch'indi  percossi  i  lor  seguaci  tutti  180 

Andran  oispersi  e  d'  atra  nube  involtL 
Solo  con  sola  Dido  Enea  ridotto 
In  un  antro  medesimo  accorrassi. 
Io  vi  sarò  :  saravvi  anco  Imeneo  ; 
E  se  del  tuo  voler  tu  m'assecuri,  t85 

Io  farò  si ,  eh'  ivi  ambidue  saranno  i25 

Di  nodo  indissolubile  congiunti. 

Venere  in  ciò  non  disdicendo ,  insieme 
Chinò  la  testa  ;  e  de  la  dolce  froda 
Dolcemente  sorrise.  Uscio  del  mare  190 

L*  aurora  intanto  j  ed  ecco  fuori  armati 
Di  spiedi  e  di  zagaglie  a  suon  di  corni 
Venirne  i  cacciatori ,  altri  con  reti , 
Altri  con  canL  Ha  questi  un  gran  molosso, 
Quelli  un  veltro  a  guinzaglio,  e  lunghe  filo  195 

Van  di  segugi  incatenati  avanti. 
Scorrono  intorno  i  cavalicr  massilj  : 
E  i  maggior  Peni ,  e  più  chiari  Fenicj 
Stanno  in  sella  aspettando  anzi  al  palagio , 
Mentre  ad  uscir  fa  la  regina  indugio;  200 

E  presto  intanto  d'  ostro  e  d'  oro  adorno  134 

n  suo  ginnetto ,  e  vagamente  fiero 
Ringhia ,  e  sparge  la  terra ,  e  morde  il  freno. 


SNEIDB 


Esce  a  la  flnet  accompagnata  intorno 
Da  regio  stuolo ,  e  non  con  regio  arnese ,  205 

Ma  leggiadro  e  ristretto.  E  la  sua  veste 
Di  tirio  drappo ,  e  d'  arabo  lavoro 
Riccamente  fregiata  :  è  la  sua  chioma 
Con  nastri  d'  oro  in  treccia  al  capo  avvolta , 
Tutta  di  gemme  come  stelle  aspersa,  210 

E  d*  oro  son  le  fìbbie ,  onde  sospeso 
Le  sta  d' intorno  de  la  gonna  il  lembo. 
Da  gli  omeri  le  pende  una  faretra, 
Dal  fìanco  un  arco.  I  Fri^i,  e  '1  bello  Julo 
Le  cavalcano  avanti;  e  via  più  bello,  '     215 

Ma  di  beltà  feroce  e  graziosa 
Le  ^iva  Enea  con  la  sua  scbuera  a  lato. 
Qua!  se  ne  va  da  Licia  e  da  le  rive 
Di  Xanto ,  ove  soggiorna  il  freddo  inverno , 
A  la  materna  Delo  il  biondo  Apollo ,  220 

Allor  che  festeggiando  accolti  e  misti  144 

Infra  gli  altari  i  DrXopi ,  i  Cretesi , 
E  i  dipinti  Agatirsi  in  varie  tresche 
Gli  s*  aggirano  intorno  ;  0  (mando  spazia 
Per  le  piagge  di  Cinto ,  a  1*  aura  sparsi  225 

I  bei  crin  (f  oro ,  e  de  T  amata  fronde 
Le  tempie  avvolto,  e  di  faretra  armato: 
Tal  fra  la  gente  si  mostrava,  e  tale 
Era  ne'  gesti  e  nel  sembiante  Enea 
Sovra  d*  ogni  altro  valoroso  e  vago.  230 

Poscia  che  furo  a' monti,  e  nel  più  folto        iso 
Penetrar  de  le  selve,  ecco  da  i  balzi 
De  r  alte  rupi  uscir  capri  e  camozze  ; 
E  cervi  altronde,  che  d'armenti  in  gruisa. 
Quasi  in  un  gruppo  spaventati  a  torme  235 

Fuggono  al  piano ,  e  fan  nubi  di  polve. 
Di  CIÒ  giojoso  il  giovinetto  Julo 
Sul  feroce  destrier  per  la  campagna 
Gridando  e  traversando,  or  questo  arriva, 
Or  quel  trapassa:  e  nel  suo  core  agogna  240 

Tra  le  timide  belve  o  d' un  cignale 
Aver  rincontro ,  0  che  dal  monte  sfienda 
Un  velluto  leone.  In  questa  il  cielo 
Mormorando  turbossi,  e  pioggia  e  grandine 
Diluviando,  d'  ogni  parte  m  niga  245 

Ascanio ,  i  Teucri ,  1  Tiri  a  i  più  propinqui 
Tetti  si  ritirare  j  e  fiumi  in  tanto 
Sceser  da'  monti ,  ed  allagaro  i  piani 
Solo  con  sola  Dldo  Enea  ridotto 
In  un  antro  medesimo  s' accolse.  250 


»"•. 


^ 


LIBRO  QUARTO  ,  109 


Die  di  quel  ,  che  seguì,  la  terra  segno  165 

E  la  pronuba  Giuno.  I  lampi ,  i  tuoni 

Pur  de  le  nozze  lor  le  faci  e  i  canti: 

Testimonj  assistenti  e  consapevoli 

Sol  ne  fur  Y  aria  e  V  antro  :  e  sopra  1  monte  255 

N'  ulularon  le  Ninfe.  Il  primo  giorno 

Fu  questo ,  e  questa  fu  la  prima  origine 

Di  tutti  i  mali,  e  de  la  morte  al  fine 

De  la  Regina:  a  cui  poscia  non  calso 

Né  de  r indegnità,  né  de  l'onore,  260 

Né  de  la  secretezza.  Ella  si  fece 

Moglie  chiamar  d*Enea:  con  ^esto  nome 

Ricoverse  il  suo  fallo    e  di  ciò  tosto 

Per  le  terre  di  Libia  andò  la  fama. 

E  questa  fama  un  mal,  di  cui  nuli'  altro  265 

É  più  veloce  ;  e  com'  più  v^ ,  più  cresce ,         i74 

E  maggior  forza  acquista.  E  da  principio 

Picciola  e  debil  cosa,  e  non  s'arrischia 

Di  palesarsi;  poi  di  mano  in  mano 

Si  discopre  e  s'  avanza  ;  e  sopra  terra  270 

Sen  va  movendo  e  sormontando  a  l' aura , 

Tanto  che'l  capo  infra  le  nubi  asconde. 

Dicon  che  già  la  nostra  madre  antica 

Per  la  mina  dei  Giganti  irata 

Centra  i  Celesti  al  mondo  la  produsse,  275 

D' Encelado  e  di  Ceo  minor  sorella  ; 

Mostro  orribile  e  grande ,  e  d' ali  presta 

E  veloce  de' pie;  che  quante  ha  pmme, 

Tanti  ha  sott  occhi  vigilanti ,  e  tante 

(Meraviglia  a  ridirlo )  ha  lingue,  e  bocche  280 

Per  favellare ,  e  per  udir  orecchi 

Vola  di  notte  per  l' oscure  tenebre 

De  la  terra  e  del  elei  senza  riposo. 

Stridendo  sempre ,  e  non  chiude  occhi  maL 

n  giorno  sopra  tetti ,  e  per  le  torri  285 

Sen  va  de  le  città  spiamlo  tutto  i86 

Che  si  vede ,  e  che  s' ode  ;  e  seminando 

Non  men  che  '1  bene  e  '1  vero ,  il  male  e  '1  falso , 

Di  rumor  empie  e  di  spavento  i  popoli. 

Questa  giojosa,  bisbigliando  in  prima,  290 

Poscia  crescendo ,  del  seguito  caso 

Molte  cose  dicea  vere ,  e  non  vere. 

Dìcea,  eh' un  di  trojana  stirpe  uscito 
Venuto  era  in  Cartago,  a  cui  degnata 
S' era  la  bella  Dido  esser  congiunta,  295 

Chi  con  nodo  dicea  di  maritag^o,  i9f 

Chi  di  lascivo  amore  ;  e  eh'  ambedue 


Posti  i  regni  in  non  calo,  a  l'ozio,  al  lusso, 
A  la  lascivia  bnitlaniciite  addilli 
Consuiìiavan  del  verno  i  giorni  tutti. 
Questo ,  e  cose  altre  assai  la  sozza  Dea 
Per  le  bocche  de  gli  uomini  spargendo, 
Tosto  in  Oetulia  al  gran  Jarba  pervenne  : 
E  con  parole  e  con  punture  acerbe 
Si  de  1  olfeso  re  1'  animo  acceso , 
Ch'arse  d'ira  e  di  sdegno.  Era  d' Ammone, 
E  de  la  Oaramanlide  ?<apea 
Già  rapita  da  lui  questa  re  nato. 
Ondo  a  Giove  suo  padrj  entro  a  suoi  regni 
Cento  gran  tempi  e  conto  pingui  altari 
Avea  sacrati,  e  di  continui  fochi 
Mantenendo  agli  Dei  vigilie  eterne. 
Di  vittime,  di  uori  e  di  ghirlande 
Gli  tenca  sempre  riveriti  e  cólti. 
Ei  sì  com'  era  afflitto  e  conturbato 
Da  r  amara  novella,  anzi  a  gli  altari, 
£  fra  gli  Dei,  le  mani  al  ciclo  alzando  « 
Colali ,  umile  insieme  e  dis  legnoso , 
Porse  prieghi  e  querele  :  Onnipotente 
Padre ,  a  cui  tanti  opimi  e  sontuosi 
Conviti ,  e  di  Lcnèo  sì  larghi  onori 
OfTrisco  oggi  de' Mauri  il  gran  paese, 
Vedi  tu  queste  cose  ?  o  pure  invano 
Tonando  e  folgorando  ci  spaventi  ? 
Una  femmina  errante,  una  che  dianzi 
Ebbe  a  prezzo  da  me  nel  mio  paepe , 
Per  fonnar  la  sua  terra,  un  piccini  sito; 
Dna  che  arena  ha- per  arare,  ha  vitto, 
Loco  e  leggi  da  me,  me  per  marito 
Rifiuta  ;  e  di  sé  donno  e  nel  suo  regno 
Ha  fatto  Enea.  Questo  or  novello  Pari 
Con  quei  suoi  delicati  e  molli  eunuchi, 
Mitrato  il  mento,  e  profumato  il  crine, 
"Va  del  mio  scorno  e  del  suo  ftirto  altero  : 
Ed  io  qui  me  ne  sto  vittime  e  doni 
A  te  porgendo;  e  son  tuo  Q^Iio  Indarno. 

Cosi  Jarba  dicca  ;  né  da  l' altare 
S'era  ancor  tolto,  ornando  il  Padre  udLllo; 
E  gli  occhi  in  ver  Cartajjine  torcendo 
Vide  gli  amanti  che  a  gioire  intesi 
Aveau  posti  in  obblio  la  fama  e  i  regni 
Onde  volto  a  Mercurio  :  Va ,  Qgliuolo , 
Gli  disse  :  chiama  i  venti,  e  ratto  scendi 
Là  've  bÌ  ueghittoBo  il  trojan  duce 


LIBRO   OUARTO  HI 


bte- 


Bada  in  Gartago,  e*l  deàtinato  impero  345 

Non  gradisce  e  non  cura;  e  ciò  gii  annunzia    ^ 

Da  parte  mia:  che  Venere  sua  madre 

Non  per  tal  lo  mi  diede  ;  e  che  a  tal  fine 

Non  e  stato  da  lei  da  T  armi  greche 

Già  due  volte  scampato.  Ella  promise  350 

Gh'ei  sarebbe  atto  a  sostener  gV  imperi, 

È  le  guerre  d' Italia  ;  a  trar  qua  suso 

La  progenie  di  Teucro;  a  porre  il  freno, 

A  dar  le  leggi  al  mondo.  A  ciò  se  '1  pregio 

Di  si  gran  cose  e  de  la  gloria  stessa  355 

Non  muove  lui ,  perche  non  guarda  al  figlio? 

Perchè  di  tanta  sua  grandezza  il  froda , 

Di  quanta  fian  Lavinio  ed  Alba  e  Roma 

Ne'  secoli  a  venire  ?  E  con  che  speme , 

Con  che  disegno  in  Libia  fa  dimora?  360 

E  co' nemici  suoi?  Navighi  in  somma.  235 

Questo  digli  in  mio  nome.  Udito  ch'ebbe 

Mercurio ,  ad  eseguir  tosto  s' accinse 

I  precetti  del  Padre  ;  e  prima  a'  piedi 

I  talari  adattossi.  Ali  son  oneste  365 

Con  penne  d' oro ,  ond'  ci  r  aria  trattando , 

Sostenuto  da'  venti  ovunque  il  corso 

Volga ,  o  sopra  la  terra ,  o  sopra  '1  mare , 

Va  per  lo  ciel  rapidamente  a  volo. 

Indi  prende  la  verga  ,  ond'  ha  possanza  370 

Fin  ne  l' Inferno ,  onde  richiama  in  vita  248 

L' anime  spento,  onde  le  vive  adduce 

Ne  r  imo  abisso ,  e  dà  sonno  e  vigilia 

E  vita  e  morte  ;  aduna  e  sparge  i  venti , 

E  trapassa  le  nubi.  Era  volando  375 

Giunto  là  've  d' Atlante  il  capo  e  '1  fianco 

Scorffca ,  de  le  cui  spalle  il  cielo  è  soma  ; 

D'Atlante ,  la  cui  testa  irta  di  pini , 

I>i  nubi  involta  a  piogge  a'  venti  a'  nembi 

È  sempre  esposta  ;  il  cui  mento ,  il  cui  dorso        380 

E  per  nevi  e  per  gel  canuto  e  gobbo 

È  da  fiumi  rigato.  In  questo  monte , 

Che  fti  padre  di  Maja,  avo  di  lui. 

Primamente  fermossi.  Indi  calando 

Si  gittò  sovra  l' onde,  e  lungo  al  lito  3S5 

Di  Libia  se  n'  andò  1'  aure  secando 

In  quella  guisa  che  marino  augello 

D'  un'  alta  ripa  a  nuova  pesca  mteso 

Terra  terra  scn  va  tra  rive  e  scogli 

Umilmente  volando.  Appena  giunto  300 

Era  in  Gartago ,  che  d'avanti  Enea  95» 


ut  BNBIDS 

Si  vide ,  intento  a  dar  siti  e  disegni 

A  i  superbi  ediflcj.  Avea  dal  manco 

LTito  una  storta ,  di  diaspro  e  d' oro 

Guarnita ,  e  di  stellate  gemme  adorna.  395 

Dal  tergo  gli  jpendea  di  tiria  ardente 

Porpora  un  ricco  manto,  arnesi  e  doni 

De  la  sua  Dido  :  eh*  ella  stessa  intesta 

Avea  la  tela,  e  ricamati  i  fregi. 

Né  '1  vide  pria ,  che  gli  fti  sopra ,  e  disse  :  400 

Te  ne  stai  si  neghittosamente,  tts 

Enea,  servo  d'  amor,  ligio  di  donna,   . 
A  fondar  V  altrui  iregno ,  e  '1  tuo  non  curi , 
A  te  mi  manda  il  Regnator  celeste, 
Ch'  io  ti  dica  in  sua  vece:  che  pensiero ,  405 

Che  studio  è  il  tuo?  Con  che  speranza  indugi 
In  queste  parti  ?  Se  '1  tuo  proprio  onore, 
Se  la  propria  grandezza  non  ti  snin^o; 
Che  non  miri  a*  tuoi  posteri ,  al  aestmo, 
A  la  speranza  del  tuo  figlio  Julo,  410 

A  cui  si  deve  il  glorioso  impero 
De  r  Italia  e  di  Roma  ?  E  più  non  disse, 
Né  più  risposta  attese  ;  anzi  dicendo , 
Uscio  d'  umana  forma,  e  dileguossi. 

Stupi,  si  raggricciò,  tremante  e  fioco  415 

Divenne  il  trojan  duce ,  il  gran  precetto, 
E  chi'l  portava,  e  chi'l  mandava  udendo. 
Già  pensa  di  ritrarsi  Ma  che  modo 
Terra  con  Dido  ad  impetrar  commiato  ? 
Con  quai  parole  assalirà ,  con  quali  420 

Disporrà  mai  la  furiosa  amante  ? 
Pensa,  volge,  rivolge:  in  un  momento 
Or  questo ,  or  quel  partito ,  or  tutti  insieme 
Va  discorrendo;  ed  ora  ad  un  s'  appiglia, 
Ed  ora  a  l'altro.  Si  risolve  al  fine  :  425 

E  fatto  a  se  venir  Memmo,  Sergesto,  ^^^ 

E  l'ardito  Gloanto:  Andate,  disse, 
Rannate  i  compagni.  Itene  al  porto: 
E  con  bel  modo  chetamente  l'arme 
Apprestate  e  1'  armata;  e  non  mostrate  *30 

Segno  di  novità ,  né  di  partenza. 
Intanto  io  troverò  loco  opportuno , 
E  tempo  accomodato  e  oestro  modo 
D' ottener  da  quest'  ottima  regina , 
Che  da  lei  con  dolcezza  mi  diparta,  *^ 

Kulla  sapendo  ancor  di  mia  partita. 
Né  sperando  tal  fine  a  tanto  amore. 

A  r  ordme  d' Enea  lieti  i  compagni 


lib:\o  quarto  H3 


Obbedir  tutti;  e  prestamenfe  in  punto 

Fu  ciò  che  impose.  Ma  Didon  del  tratto  4i0 

Tosto  s' avvide  :  e  che  non  vede  Amore  ? 

Ella  pria  se  n*  accorse  ;  eh'  ojpii  cosa 

Temea ,  benché  secura.  E  già  la  stessa 

Fama  importunamente  le  rapporta 

Armarsi  i  legni,  esser  i  Teucri  acciAti  445 

A  navigare.  Onde  d'amore  e  d'ira  Ì#P 

Accesa ,  infurliata ,  e  fuori  uscita 

Di  se  medesma^  imperversando  scorre 

Per  tutta  la  citta.  Quale  a  i  notturni 

Gridi  di  Giteron  Tlade ,  allora  450 

Che  '1  trìennal  di  Bacco  si  rinnova , 

Nel  suo  moto  maggior  si  scaglia  e  fireme  t 

E  scapigliata  e  Aera  attraversando, 

E  mugolando  al  monte  si  conduce; 

Tal  era  Dido ,  e  da  tal  furia  spinta  455 

Enea  da  se  con  tai  parole  assalse  : 

Ah  perfido  !  Gelar  dunque  sperasti 
Una  tal  tradigione,  e  di  nascosto 
Partir  da  la  mia  terra  ?  E  del  mio  amore , 
De  la  tua  data  fé,  di  quella  morte  460 

Che  ne  farà  la  sfortunata  Dido , 
Punto  non  ti  sovviene ,  e  non  ti  cale  f 
Forse  che  non  t'arrischi  in  mezzo  al  verno 
Tra'  più  fieri  Aquiloni  a  1*  onde  esporti  f. 
Crudele!  Or  che  faresti,  so  straniere  465 

Non  ti  fosser  le  terre ,  ignoti  i  lochi  su 

Che  tu  procuri  ?  E  che  faresti ,  quando 
Fosse  ancor  Troja  in  piede  ?  A  Troja  andresti 
Di  questi  tempi  ?  E  me  lasci ,  e  me  fuggi  I 
Deh  per  queste  mie  lagrime ,  per  (luello  470 

Che  tu  della  tua  fé  pegno  mi  desti 
(Poiché  a  Dido  infelice  altro  non  resta 
Che  a  se  tolto  non  ajjgia) ,  per  lo  nostro 
Maritai  nodo ,  per  Y  imprese  nozze  , 
Per  quanti  ti  fci  mai ,  se  mai  ti  fci  475 

Comodo ,  0  grazia  alcuna ,  o  s'  alcun  dolco 
Avesti  uncrua  da  me  ;  ti  priego ,  eh'  abbi 
Pietà  del  dolor  mio ,  de  la  mina 
Che  di  ciò  m' avverrebbe  ;  e  (se  più  luogo 
Han  le  preci  con  te)  che  tu  del  tutto  480 

Lasci  questo  pensiero.  Io  per  te  sono  sia 

In  odio  a  Libia  tutta ,  a'  suoi  tiranni , 
A' miei  Tirj ,  a  me  stessa.  Ilo  già  macchiato 
La  pudicizia;  e  (quel  che  più  mi  duole) 
Ho  perduta  la  fama ,  ond'  io  pur  dianzi  485 

Dell'Eneide  % 


lì  A  BNEIDB 

iiwn— ■— <^  Il         ni         II  mmtmmmtmtf^mm 


Sorvolava  le  stelle.  Or  come  in  preda 

Solo  a  morte  mi  lasci ,  ospite  mio  ? 

Ch*  ospite  sol  mi  resta  di  chiamarti 

Di  marito  che  m'eri.  E  perchè  deggio, 

Lassa,  viver  io  più?  Per  veder  forse  490 

Che'  1  mio  fratel  Pigmalion  distrugga 

Queste  mie  mura,  o'  1  tuo  rivale  Jarba 

In  servitù  m'  adduca  ?  Almeno  avanti 

La  tua  partita  avess'  io  fatto  acquisto 

D'  un  pargoletto  Enea  che  per  le  sale  495 

Mi  scherzasse  d' intorno ,  e  solo  il  volto , 

E  non  altro,  di  te  sembianza  avesse; 

Ch'  esser  non  mi  parrebbe  abbandonata , 

Ne  delusa  del  tutto.  A  tai  parole 

Enea  di  Giove  al  gran  precetto  affìsso  ^  500 

Tenea  il  pensiero  e  gli  occhi  immoti  e  saldi,    ssi 

E  brevemente  le  rispose  al  fino  : 

Regina ,  e'  non  fla  mai  eh'  io  non  mi  tenga 
Doverti  quanto  forse  unoua  potessi 
Rimproverarmi.  E  non  na  mai  eh'  Elisa  505 

Non  mi  ricordi  infìn  che  ricordanza 
Avrò  di  me  medesmo ,  e  che  '1  mio  spirto 
Reggerà  q^ucste  membra.  Ora  in  discarco 
Di  me  diro  sol  questo,  che  sperato, 
Nò  pensato  ho  pur  mai  d'  allontanarmi  5i0 

Da  te  (come  tu  di')  furtivamente; 
Né  d'esserti  marito  anco  pretendo: 
Ch'  unqua  di  maritaggio ,  o  di  soggiorno 
Teco  non  patteggiai.  Se  '1  mio  destmo 
Fosse  chela  mia  vita,  e  i  miei  pensieri  515 

A*  mia  voglia  reggessi ,  a  Troja  in  prima         8*0 
Farei  ritorno  :  raccorrei  le  dolci 
Sue  disperse  reliquie  :  a  la  mia  patria 
Di  novo  renderei  la  vita  e  i  figli , 
E  la  reggia  e  le  torri  e  me  con  loro.  580 

Ma  ne  P  Italia  il  mio  fato  mi  chiama. 
Italia  Apollo  in  Delo,  in  Licia,  ovunque 
Vado ,  0  mando  a  spiarne ,  mi  promette. 
Quest'  è  r  amor ,  quest'  è  la  patria  mia. 
Se  tu,  che  di  Fenicia  sei  venuta,  525 

Siedi  in  Gartago ,  e  ti  diletti  e  godi 
Del  tuo  libico  regno  ;  qual  divieto , 
Qual  invidia  è  la  tua,  che  i  miei  Trojan! 
Prendano  Ausonia?  Non  lece  anco  a  noi 
Cercar  de'  regni  esterni  ?  E  non  copre  ombra         630 
La  terra  mai,  non  mai  sorgon  le  stelle ,  350 

Che  dal  mio  padre  una  turbata  imago 


LIBRO  QUAHTO  115 


luna  r.35 


Non  veggia  in  sogno ,  e  che  di  ciò  ricordo 

Non  mi  porga  e  spavento.  A  tutte  Y  ore 

Del  mio  ngiio  sowiemmi ,  e  de  T  ingiuri 

Che  riceve  da  me  si  caro  pegno, 

Se  del  regno  d*  Italia  io  lo  defraudo , 

Che  gli  son  padre ,  quando  il  fato  e  Giovo 

Ne  '1  privilegia.  E  pur  dianzi  mi  venne 

Dal  ciel  mandato  il  messaggier  celeste  540 

A  portarmi  di  ciò  nuova  imbasciata 

Dal  CTan  re  de  gli  Dei.  Donna,  io  ti  giuro 

Per  la  lor  deità ,  per  la  salute 

D*  ambedue  noi ,  che  con  quest'echi  il  vidi 

Qui  dentro  in  chiaro  lume  ;  e  la  sua  voce  515 

Con  quest'  orecchi  udii.  Rimanti  adunque         839 

Di  più  dolerti;  e  con  le  tue  querele 

Né  te,  nò  me  più  conturbare.  Italia 

Non  a  mia  voglia  io  seguo.  E  più  non  disse.// 

Ella,  mentre  dicea,' crucciata  e  torva  ■       550 

Lo  rimirava ,  e  volgea  gli  occhi  intorno 
Senza  far  motto.  Allìn  da  sdegno  vinta 
Cosi  proruppe:  Tu,  perfido,  tu 
Sei  di  Venere  nato  ?  Tu  del  sangue 
Di  Dardano  ?  Non  già  ;  che  T  aspre  rupi  555 

Ti  produsser  di  Caucaso ,  e  T  Ircane 
Tigri  ti  fur  nutricL  A  che  tacere  ? 
Il  simular  che  giova  ?  E  che  di  meglio 
Ne  ritrarrei  ?  Forse  eh'  a'  miei  lamenti 
Ha  mai  questo  crudel  tratto  un  sospiro,  560 

0  gittata  una  lagrima,  0  pur  mostro 
Atto  o  se§no  d'  amore ,  0  di  pictade  ? 
Di  che  prima  mi  dolgo  ?  di  cne  poi  ? 

Ah  !  che  nò  Giuno  omai ,  nò  Giove  stesso 

Cura  di  noi;  nò  eoa  giust' occhi  mira  5G*> 

Più  r  opre  nostre.  Ov'  ò  qua  giù  più  fede  ?        872 

E  chi  più  la  mantiene?  Èra  costui 

Dianzi  nel  lite  mio  naufrago,  errante. 

Mendico.  Io  V  ho  raccolto ,  io  gli  ho  riflotti 

1  suoi  compagni ,  e  i  suoi  navigli  insieme ,  570 
Ch'  eran  morti  e  dispersi  ;  ed  io  T  ho  messo 

(Folle !  )  a  parte  con  me  del  regno  mio , 

È  di  me  stessa.  Ahi  da  furor,  da  foco 

Rapir  mi  sento  !  Ora  il  profeta  Apollo , 

Or  le  sorti  di  Licia,  ora  un  araldo,  475 

Che  dal  ciel  f:li  si  manda,  a  gran  faccende 

Quinci  lo  chiama.  Un  gran  pensiero  han  ccìrto 

Di  ciò  gli  Dei.  D' un  gran  travaglio  e  questo 

A  lor  quiete.  Or  va ,  che  per  imi:uui 


116  ENEIDE 


Più  non  ti  te^no ,  e  più  non  ti  contrasto,  580 

Va  pur ,  segui  V  Italia ,  acquista  i  remi 

Che  ti  dan  l'onde  e  i  venti.  Ma  so  i  Numi 

Son  pietosi ,  e  se  ponno ,  io  spero  ancora 

Che  da'  venti  e  da  1'  onde  e  da  gli  scogli 

N'  avrai  degno  castigo  ;  e  che  più  volte  385 

Chiamerai  Dido ,  che  lontana  ancora  888 

Co'  neri  fuochi  suoi  ti  fla  presente  : 

E  tosto  che  di  morte  il  freddo  gelo 

L'anima  dal  mio  corpo  avrà  disgiunta, 

Passo  non  moverai ,  che  V  ombra  mia  590 

Non  ti  sia  intorno.  Avrai ,  crudele ,  avrai 

Ricompensa  a'  tuoi  morti ,  e  ne  T  Inferno 

Tosto  me  ne  verrà  lieta  novella. 

Qui'l  suo  dire  interruppe;  e  lui  per  tema 

Confuso  e  molto  a  rephcarle  inteso  595 

Lasciando ,  con  disdegno  e  con  angoscia 

Gli  si  tolse  d'  avanti.  Incontanente 

Le  fur  r  ancelle  intomo  ;  e  siccom'  era 

Egra  e  dolente ,  entro  al  suo  ricco  albergo 

Le  dier  sovra  lo  piume  agio  e  riposo.  600 

Enea ,  quantunque  pio ,  craantunquo  afflitto   8W 
E  d'amore  infiammato,  e  ai  desire 
Di  consolar  la  dolorosa  amante, 
Nel  suo  core  ostinossi.  E  fermo  e  saldo 
D' obbedire  a  gli  Dei  fatto  pensiero ,  605 

Calessi  al  mare ,  e  i  suoi  legni  rivide. 
Allor  furo  in  un  tempo  unti  e  rispinti 
E  posti  in  acqua  :  e  per  la  fretta ,  i  remi 
Diventarono  i  rami  che  dal  bosco- 
Si  portavano  allor  frondosi  e  rozzi.  610 

Era  a  veder  da  la  cittade  al  porto 
De'  Teucri ,  de  le  ciurmo ,  e  do  le  robe 
Ch'  al  mar  si  conducean  ,  pieno  il  sentiero  ; 
Qual  è ,  quando  le  provide  formiche 
De  le  lor  vernaricce  vettovaglie  615 

Pensose  e  procaccievoli  si  danno  403 

A  depredar  di  biade  un  grande  acervo: 
Che  va  dal  monte  ai  ripostigli  loro 
La  negra  torma ,  e  per  angusta  e  lunga 
Semita  le  campagne  attraversando ,  620 

Altre  al  carreggio  intese  o  lo  s'addossano, 
0  traendo,  o  spingendo  lo  conducono; 
Altre  tengon  le  schiere  unite ,  ed  altre 
Castiganr  infingarde;  e  tutt^  insieme 
Pan  che  tutta  la  via  brulica  e  ferve.  625 

Che  cor ,  misera  Dido ,  che  lamenti 


V' 


unno  QUARTO  H7 


Erano  allora  i  tuoi,  quando  da  Tnlto 

Un  tal  moto  scorinovi ,  e  tanti  gridi 

Ne  sentivi  dal  mare  ?  Iniquo  amore , 

Che  non  puoi  tu  ne'  petti  de*  mortali  ?  ggo 

Ella  di  nuovo  al  pianto ,  a  le  preghiere , 

A  sottoporsi  a  T  amoroso  giogo 

Da  la  tua  forza  e  suo  malgrado  astretta. 

Ma  per  fare  ogni  schermo,  anzi  che  muoja, 

La  sorella  chiamando ,  Anna ,  le  disse ,  03 

Tu  vedi  che  s*alIì'ettano ,  e  scn  vanno.  ^tr. 

Vedi  già  loro  in  su  la  spiaggia  accolti, 

Le  vele  in  alto,  e  le  corone  in  poppa. 

Sorella  mia ,  s' avessi  un  tal  doloro 

Antiveder  potuto  ,  io  potrei  forse  •     C40 

Anco  sofirurlo.  Or  questo  solo  affanno 

Prendi  per  la  tua  misera  sirocchia. 

Poiché  te  sola  quel  crudele  ascolta, 

E  sol  di  te  si  fida ,  e  i  lochi  e  i  tem^i 

Sai  d' esser  seco ,  e  di  trattar  con  lui  ;  645 

Trova  questo  superbo  mio  nimico, 

E  suppuchevolmente  gli  favella. 

Digli  che  Dido  io  sono ,  e  che  non  ftii 

In  Aulide  co'  Greci  a  far  congiura 

Contro  a'  Trojani  ;  e  che  di  Troja  a*  danni  650 

Nò  i  miei  legni  mandai ,  né  le  mie  genti. 

Digli  che  né  le  ceneri ,  né  Y  ombre 

Né  del  suo  padre  mai,  né  d'  altri  suoi 

Non  vIolaL  Qual  dunque  0  mio  de  merlo, 

O  sua  durezza  fa  eh'  ei  non  ascolti  655 

D  mio  dire ,  e  me  fu^ga ,  e  se  precipiti  ?  428 

Chiedigli  per  mercé  delFamor  mio, 

Per  salvezza  di  lui ,  per  la  mia  vita , 

Che  induj^  il  suo  partir  tanto  che  'I  mare 

Sia  più  sicuro  e  più  propizj  i  venti.  660 

Né  più  del  maritaggio  io  lo  ricliieggio , 

Ch'ha  già  tradito ,  né  vo'  più  che  manchi 

Del  suo  bel  Lazio ,  0  i  suoi  re^ni  non  curi 

Un  picciol  tempo,  e  d'ogni  obbligo  sciolto 

Io  eli  dimando ,  e  tanto  0  di  quiete ,  665 

O  d'intervallo  al  mio  cieco  furore, 

Che  in  partp  il  duol  disacerbando ,  impari 

A  men  dolermi.  Questo  é  'l  dono  estremo 

he  da  lui  per  tuo  mezzo  agogna  e  brama 
Questa  tua  miserabile  sorella  :  670 

E  se  tu  lo  m'impetri,  altro  che  morte 
Forza  non  avrà  mai  eh'  io  me  n'  obbliL 

Questo  0  tali  alti«  coso  olla  piangendo 


~/4 


1 13  fiNElDE 


Dicea  con  Anna,  ed  Anna  al  frigio  Duce 
Disse ,  ridisse ,  e  riportò  più  volte  675 

Or  da  r  una ,  or  da  V  altro ,  e  tutto  in  vano  ;   438 
Che  nò  pianti ,  nò  preci ,  né  querele 
Punto  lo  muovon  più.  Gli  ostano  i  fati , 
E  solo  in  ciò  gli  ha  Dio  chiuse  V  orecchie  ; 
Benché  dolce  e  trattabile  e  benigno  680 

Fusse  nel  resto.  Como  annosa  e  valida 
Quercia ,  che  sia  ne  V  alpi  esposta  a  Borea , 
§'  or  da  r  uno,  or  da  V  altro  de'  suoi  turbini 
E  combattuta,  si  scontorce  e  tituba:* 
Stridono  i  rami  e  '1  suol  di  frondi  spargcsi ,  685 

E  *1  tronco  al  monte  infisso  immoto  e  solido    448 
Se  ne  sta  sempre  ;  e  quanto  sorge  a  T  aura 
Con  la  sua  cima,  tanto  in  giù  stendendosi 
Se  ne  va  con  le  barbe  infine  agi*  inferi  : 
Cosi  da  preci,  e  da  querele  assidue  690 

Battuto  Quolsi  il  gran  Trojano  ed  angosi, 
E  con  la  mente  in  se  raccolta  e  rigida 
Gitta  indarno  per  lei  sospiri  e  lagrime. 
La  sfortunata  Dido,  poiché  tronca 

/Si  vide  ogni  speranza ,  spaventata  695 

Dal  suo  fato ,  e  di  se  schiva  e  del  sole , 
Disiò  di  morire  ;  e  ctSiì  portenti 
Di  ciò  presagio ,  e  fretta  anco  le  fero. 
Ella,  mentre  a  gli  altari  incensi  e  doni 
Offtia  devota  (  orribil  cosa  a  dire  !  ) ,  700 

Vide  avanti  di  se  cogli  occhi  suoi 
Parsi  lurido  e  negro  ogni  liquore, 
E  *1  puro  vin  cangiarsi  in  tetro  sangue  : 
E 1  vide ,  e  '1  tacque ,  e  'nflno  a  la  sorella 
Lo  tenne  ascoso.  Entro  al  suo  regio  albergo  705 

Avea  di  marmo  un  bel  delubro  eretto,  457 

E  dedicato  al  suo  marito  antico. 
Questo  con  molto  studio,  e  molt' onore 
Fu  mai  sempre  da  lei  di  bianchi  velli, 
E  di  festiva  fronde  ornato  e  cinto.  710 

Quinci  notturne  voci  udir  le  parve 
Del  suo  caro  Sicheo  che  la  chiamasse  : 
E  nel  suo  tetto  un  solitario  gufo 
Molte  fiate  con  lugubri  accenti 
Fé'  di  pianto  una  lunga  querimonia,  715 

Oltre  a  ciò  da  l'antiche  profezie. 
Da  pronostichi  orrendi  e  spaventosi 
De  fa  vicina  morte  era  ammonita. 
Vedcnsi  Enea  tutte  le  notti  avanti 
Con  l'or.'i  imago,  che  turbata  o  mesta  720 


■r 

LlUaO  QUARTO  ild 


La  tenea  sempre.  Le  parea  da  tutti 

Restare  abbandonata,  e  per  un  lungo 

E  deserto  cammino  andar  solinga 

De'  suoi  Tirj  cercando.  In  cotal  guisa 

Le  schiere  de  l'Eumenidi  vedea  725 

PentSo  forsennato,  e  doppio  il  sole  469 

E  doppia  Tebe.  In  cotal  guisa  Oreste 

Per  le  scene  imperversa,  e  furioso 

Vede,  fugjjendo,  la  sua  madre  armata 

Di  serpenti  e  di  faci,  e  'n  su  le  porte  730 

Le  furie  nitrici.  Or  poi  che  la  meschina 

Fu  da  tanto  furor,  da  tanto  affanno 

Oppressa  e  vinta,  e  di  morir  disposta. 

Divisò  fra  se  stessa  il  tempo  e'I  modo: 

Ed  Anna,  si  com'  era  afflitta  e  mesta,  735 

A  se  chiamando,  il  suo  Aero  consiglio 

Celò  nel  core,  e  nel  sereno  volto 

Spiegò  gioja  e  speranza:  Anna,  dicendo. 

Rallegrati  con  me,  che  al  fin  trovato 

Ho  com* io  debba  o  racquistar  quell'empio,  740 

O  ritormi  da  lui  Nel  lito  estremo 

De  r  Oceàn,  là  dove  il  sol  si  corca. 

De  l'Etiopia  a  l'ultimo  confino, 

E  presso  a  dove  Atlante  il  ciel  sostiene. 

Giace  un  paese,  ond'ora  è  qui  venuta  745 

Una  sacerdotessa  incantatrice  48 1 

Che  Massila  di  gente  è  stata  poi 

Del  tempio  de  l'Esperidi  ministra, 

E  del  drago  nudrice,  e  de  le  piante 

Del  pomo  d'oro  guardiana  un  tempo,  750 

Questa  d'umido  mele  e  d'obbllosi 
Papaveri  composto  un  suo  miscuglio. 
Promette  con  parole  e  con  malie 
Altri  scior  da  l'amore,  altri  legare, 
Com' a  lèi  piace;  distornare  i  numi,  755 

Ritrar  le  stelle,  e  convocar  per  forza  489 

Le  notturne  fantasme.  Udrai  la  terra 
Mugghiar  sotto  a'  tuoi  piò.  Vedrai  da*  monti 
Calar  gli  orni  e  le  querce.  Io  por  gli  Dei, 
Per  te,  per  la  tua  vita  a  me  si  cara,  7C0 

Ti  giuro,  suora  mia,  che  mal  mio  grado 
M'adduco  a  questi  magici  incantcsmi; 
Ma  gran  forza  mi  spinge.  Or  va,  sorella; 


Sce^Mi  per  entro  a  le  mie  stanze  un  luogo 
Il  più  remoto  e  solo,  a  Taura  esposto. 
Ivi  ergi  una  gran  pira,  e  vi  conduci 
L'armi  che  a  la  mia  c;m-cra  sospese 


'05 


i20  ENElDfi 


Lasciò  quel  disleale^  e  quelle  spoglio 

Tutte  e  quel  letto,  ov*  io,  lassa  !  perii  : 

In  somma  ogni  ^uo  arnese.  Che  la  maga  770 

Cosi  m' impone,  e  vuol  eh'  ogni  memoria. 

Ogni  segno  di  lui  si  spenga  e  pera. 

Cosi  detto,  si  tacque,  e  di  pallore 
Tutta  si  tinse.  Non  però  s'avvide 
Anna,  che  sotto  a'  nuovi  sacriiìcj  775 

Si  celasse  di  lei  morte  si  fera  :  500 

Che  si  fero  concetto  non  le  venne, 
E  non  temè  che  peggio  le  avvenisse. 
Che  in  morte  di  Sichoo.  Tosto  fé'  dunque 
Quel  ch'imposto  le  fu.  Fatta  la  pira,  780 

E  d'ilici  e  ai  tede  aride  e  scisse 
Altamente  composta;  la  regina 
D'atre  ghirlande  e  di  funeste  frondi 
Ornar  la  foce  intorno  :  indi  lo  spoglie 
E  la  spada  e  refllgie  de  l' amante  785 

Sopra  a  giacer  vi  pose ,  hen  secura  507 

Di  ciò  che  n'avverrebbe.  Eran  d'intorno 
Gli  altari  eretti  :  era  tra  lor  la  maga 
Scapigliata  e  discinta;  e  con  im  tuono 
Di  voce  formidabile  invocava  790 

Trecento  Deità,  1'  Èrebo ,  il  Gao , 
Ecato  con  tre  forme ,  o  con  tre  facce 
La  vergine  Diana.  Avea  già  sparso 
Le  fìnto  acquo  d' Averne ,  e  i  suffumigi 
Fatti  de  le  nocivo  erbe  novello  795 

Che  por  punti  di  luna,  e  con  la  falce 
D'incantato  metallo  eran  segate. 
Si  fé*  venir  la  maliosa  carne 
Che  de  la  fronte  al  tenero  pulledro 
Con  r  amor  de  la  madre  si  divelle.  800 

Essa  stessa  regina  il  farro  e'  1  sale 
Con  ^0  man  pie  sovr'  a  gli  altari  impone , 
E  d'  un  pio  scalza ,  e  di  tutt'altro  sciolta , 
Solo  accinta  a  morir ,  per  testimonj 
Chiama  li  Dei.  Protestasi  a  lo  stello  805 

Del  suo  fato  consorti:  e  s' alcun  ^'ume  sio 

Mira  a  gli  afflitti  e  sfortunati  amanti , 
Questo  prega  e  scongiura  che  raffione 
E  ricorflo  no  tenga ,  e  ne  gli  caglia. 

Era  la  notte  ;  e  già  di  mozzo  u  corso  810 

Cadeau  le  stelle  :  onde  la  terra  e*  1  mare , 
Le  selve,  i  monti  e  le  campagne  tutte, 
E  tutti  gli  sgiimali,  i  bruti,  i  pesci, 
S  i  volanti  e  i  Berpenti  e  ciò  che  vive 


LinnO  QUARTO  121 


Avea  da  ciò  che  la  lor  vita  affanna  815 

Tregua ,  silenzio ,  obblio ,  sonno  e  riposo. 
Ma  non  Dido  infelice,  a  cui  la  notte 
Kè  gli  occhi  grava,  nò'l  pensiero  alleggia; 
Anzi  maggior  col  tramontar  del  sole 
In  lei  risorge  V  amorosa  cura  :  820 

E  non  men  che  d'amor,  d' ira  avvampando     63 1 
Cosi  fra  se  farnetica  e  favella  : 
E  che  farò  cosi  delusa  poi  ? 
Chi  più  mi  seguirà  do' primi  amanti? 
Proferirommi  per  consorte  io  stessa  825 

D' im  Zingaro ,  d'  un  Moro ,  o  d' un  Arabo , 
Quando  n'  ho  vilipesi  e  rifiutati 
Tanti  e  tai ,  tante  volte  ?  Andrò  co'  Teucri 
In  su  l'armata?  Mi  farò  soggetta 
Di  regina  ch'io  sono,  e  serva  a  loro?  830 

Si  certo,  che  gran  prò  fin  jui  riporto 
De  le  mie  loro  usate  cortesie  ; 
E  grado  me  n'  avranno ,  e  grazia  poL 
Ma  ciò  dato  eh'  io  voglia ,  chi  permette 
Ch'io  l'eseguisca?  Chi  così  schernita  835 

Volentier  mi  raccoglie  ?  Ahi  sfortunata 
Dido  !  eh'  ancor  non  vedi  a  che  sei  giunta, 
E  le  fì'ode  non  sai  di  questa  iiiimia 
Schiatta  di  Laomedonte.  E  poi  che  fia 
Per  questo  ?  Deggio  sola  in  compagnia  840 

Di  marinari  anofar  femmina  errante  ?  548 

O  condur  meco  i  miei  Fenicj  tutti 
Con  altra  armata  ?  e.  trarli  un'  altra  volta 
D' un'  altra  patria  in  mare  in  preda  a'  venti 
Senz' alcun  prò,  senza  cagione  alcuna;  845 

Quando  anco  appena  di  Sidon  li  trassi 
Per  ritorli  da  man  d*  empio  tiranno  ? 
Ah  !  muor  più  tosto ,  come  degnamente 
Hai  meritato  ;  e  pon  col  ferro  fine 
Al  tuo  grave  dolore.  Ah ,  mia  sorella  !  850 

Tu  sei  prijma  cagion  di  tanto  male  ; 
Tu  vinta  dal  mio  pianto  in  quest'  angoscia 
M' hai  postai  e  data  ad  un  nemico  in  preda: 
Che  dovca  vita  solitaria  e  fera 
Menar  più  tosto ,  che  commetter  fallo  855 

Si  dannoso  e  si  grave,  e  romper  fede 
Al  cener  di  Sicheo.  Questi  lamenti 
Uscian  del  petto  a  1'  affannata  Dido; 
Quando  già  di  partir  fermo  e  parato 
Enea ,  per  riposar  pria  che  sciogliesse  »  800 

S*  ttft  a  dormir  sopra  la  poppa  agiato.  tn 


Quoati  rioni  al  mio  cenere  mandato, 
Morta  ch'Io  sia.  Nò  mai  tra  questo  gotiti 
Amor  nasca,  nò  pace;  anzi  alcu«  sorga 
De  l' ossa  nue ,  cne  di  mia  morto  prenda 
Alta  veniletta  ,  e  la  dardania  gente  aoo  ' 

Con  lu  flamnm  a  col  lerro  assalj^a  e  spenga     osa 
Ora ,  in  ftituro  e  sem_pre  ;  o  sian  Io  fono 
A  qnest' animo  eguali:  i  liti  a  i  liti 
Contrari  eternamente ,  l' onde  a  1'  onde , 
E  r  armi  incontro  a  l' armi ,  e  i  nostri  ai  loro        965 
In  ogni  tempo.  E  ciò  detto  imprecando , 
,fictlìva  di  più  veder  l'eterea  luce, 
Affronò  dì  morire.  E  Barce  in  prima 
Vistasi  intorbo,  una  nutrico  antica 
Del  suo  Sicheo  (chò  la  sua  propria  in  Tiro  970 

Era  cenere  già) ,  Cara  nutrico  , 

ÌLo  disse!, va,  mi  chiama  Anna  mia  suora, 
;  le  di'cnó'soUociti,  e  che  l'onda 
Del  fiume  e  J'  ostie  o  i  sultUmiKi  adduca, 
E  ciò  eh'  è  d' uopo  (come  pria  le  dissi)  (05 

A  prepararmi;  cnè  Unire  intendo 
Il  sacrifizio  Che  a  Plutone  inferno 
Soionneihente  ho  di  già  lare  impreso^ 
Per  fine  imporro  a'mioi  gravi  mnrtiii, 
E  dar  foco  a  la  pira,  ov'o  l'imago  980 

DI  quell'  empio  trojano.  A  tal  precetto 
Mossa  la  vecchiarella  a  suo  poterò 
Lentamente  alTrettossi  ad  eseguirlo, 

Dido  nel  suo  pensiero  immano  e  fiero 
Fieramente  ostinata ,  in  atto  prima  9SS 

DI  paventosa,  poi  di  sangue  infetta  64i 

Le  torve  luci ,  di  pallore  il  volto , 
E  tutta  di  color  di  morte  aspersa 
Se  n'  entrò  ftirtosa  ove  secreto 

Era  il  suo  rogo  a  l' aura  apparecchiato.  890 

Sopra  vi  salse i  e  la  dardania  spada, 
Ch  ebbe  da  lui  non  a  tal  uso  in  dono, 
Distrinse  :  e  rimirando  i  frlgj  arnesi 
E  '1  noto  letto  ,  poich'  in  se  raccolta 
Lagrimando  e  pensando  alqunnto  stetto ,  895 

Sopra  vi  s' inchinò  col  ferro  al  petto , 
E  mandò  fuoi"  quost'  ultime  parole  : 
Spoglie  mentre  al  ciel  piacque  amate  fl  caro, 

A  voi  rend'  io  quost'  anima  dolente. 

Voi  r  accogliete  :  e  voi  di  questa  angosda  1000 

Mi  liberate.  Ecco  lo  son  giunta  al  fine  VSB 

Da  la  mia  vita ,  e  di  mia  sorte  11  corso 


LIBRO  QUARTO  Ì2S 


Ho  già  compito.  Or  la  mia  grande  imag[0 

ly  andrà  sotterra:  e  qui  di  me  che  lascio? 

Fondata  ho  pur  (juesta  mia  nobil  terra:  1005 

Viste  ho  pur  le  mie  mura:  ho  vendicato 

D  mio  consorte  :  ho  castigato  il  fiero 

Mio  nimico  fratello.  Ah  che  felice , 

Felice  assai  morrei,  so  a  questa  spiaggia 

Giunte  non  fosser  mai  vele  trojane!  1010 

E  qui  su  '1  letto  ahhandonossi ,  e  1  volto 

Vi  tenne  impresso;  indi  soggiunse:  Adunque 

Morrò  senza  vendetta  ?  Eh  che  si  muoja 

Comunque  sia.  Cosi ,  cosi  mi  giova 

Girne  tra  l'ombre  inferno:  e  poich'il  crttdo,        1015 

Mentre  meco  era,  il  mio  foco  non  vide,  «co 

Veggalo  di  lontano  ;  e  '1  tristo  augurio 

De  la  mia  morte  almen  seco  ne  porte* 

Avea  ciò  detto,  quando  le  ministre 

La  vider  sopra  al  ferro  il  petto  infissa,  1020 

Col  ferro  e  con  le  man  di  sangue  intrise 

Spumante  e  caldo.  In  pianti ,  in  ululati 

Di  donne  in  un  momento  si  converse 

La  reggia  tutta ,  e  insino  al  ciel  n*  andato 

Voci  alte  e  fioche ,  e  suon  di  man  con  elle-  1025 

N*  andò  per  la  città  grido  e  tumulto , 

Come  se  presa  da'  nemici  a  forza 

Fosse  Tiro,  o  Cartago  arsa  e  distrutta. 

Anna ,  tosto  eh'  udillo ,  il  volto  e  '1  petto 
Battessi  e  lacerossi  ;  e  fra  la  gente  ^^30 

Verso  la  moribonda  sua  sorella,  5'^* 

Stridendo ,  e  '1  nome  suo  gridando  corde  : 
E  per  questo  (dicea),  suora,  son  io 
Da  te  cosi  tradita  ?  Io  t'ho  per  questo 
La  pira  e  l' are  e  *1  foco  apparecchiato  ?  ^^^ 

Deserta  me  !  Di  che  dorrommi  in  prima  ? 
Perchè  morir  dovendo,  una  tua  suora 
Per  compagna  rifiuti  ?  E  perchè  teco 
(Lassa!  )  non  m' invitasti  ?  Ch'un  dolore , 
Un  ferro ,  un'  ora  stessa  ambe  n'  avrebbe  1040 

Tolte  d' aflanno.  Oimè  !  con  le  mie  mani 
T' ho  posto  il  rogo.  Oimò  !  con  la  mia  voce 
Ho  gli  Dei  de  la  patria  a  ciò  chiamati. 
Tutto  (  folle  !  )  ho  fatt'  io,  perchè  tu  muoja , 
Perch'  io  nel  tuo  morir  teco  non  sia.  ^"^^ 

Con  te ,  me ,  (juesto  popol ,  questa  terra 
E  '1  sidonio  senato  hai ,  suora ,  estinto. 
Or  mi  date  che  '1  corpo  omai  componga 
Che  lavi  la  ferita ,  che  raccolga 


BENEID 


Con  le  mì6  labbia  li  suo  spirito  estromo. 
Se  pili  spirto  lo  rosta.  E  ciò  dicendo, 
Già  do  la  pira  era  salita  in  cima. 
Ivi  lei ,  che  spirava ,  in  seno  accolta , 
Lasan^inosa  pìa;;a  la^imaniio 
Con  le  sue  vesti  le  rasciuga  e  terge. 
Ella  talor  le  gravi  luci  alzando 
La  mira  appena ,  che  di  nuovo  a  forza 
Morte  le  chiude  ;  e  la  ferita  intanto 
Sangue  e  flato  spargendo  anela  e  stride. 
Tre  volte  sopra  il  cubito  risorse  : 
Tre  volte  cadde ,  ed  a  la  terza  giacque  : 
■E  eli  occhi  volti  al  ciel,  quasi  corcando 
Veder  la  luco,  poiché  vista  l'ebbe. 
Ne  sospirò.  De  l'affannosa  morte 
Patta  Giuno  pietosa,  Iri  dal  cielo 
Mandò,  che  'f  groppo  disciogllcssc  tosto. 
Che  la  tenea  malgrado  anco  di  morte 
Col  suo  mortai  si  strettamente  avvinta: 
Ch'anzi  tempo  morendo,  e  non  dal  fato. 
Ma  dal  furore  anciaa,  non  le  avea 
Froserpina  divelto  anco  il  fatale 
Suo  dorato  capello)  n^  dannata 
Era  ancor  la  sua  testa  a  l'Orco  inferno. 

Ratto  spiegò  la  rugiadosa  Dea 
Le  suo  penne  dorate,  e  'ncontra  al  sole 
Di  quei  tanti  suoi  lucidi  colori 
Lunga  striscia  traendo,  indi  sospesa 
Sopra  al  caps  le  stette,  e  d'oro  un  Alo 
Jic  svelse  e  disse:  Io  qui  dal  ciel  mandata 
Questo  a  Fiuto  consacro,  e  te  disciolgo 
Da  le  tue  membra.  Ciò  dicendo  spiirve. 
Ed  ella,  io  aura  il  suo  spirto  converso. 
Restò  senza  calore  e  senza  vita. 


Firn  DBL  LIBRO  QUANTO, 


LIBRO    QUINTO 


A 


RG  OMENTO 


ùoea.  mentre  yeleg^fla  yei^o  r  Italia,  è  trasportato  in  Sicilia  dalla  ylo- 
iza  d^una  procella,  1-34.  Quivi  amorevolmente  accolto  da  Aceste,  celebra 
aaivemano  solenne  ai  Mani  di  suo  padre  Anchlse,  cui  lo  stesso  giorno 
iranoo  precedente  aveva  seppellito  a  Drepano,  e  gli  consacra  il  tumulo 

giuochi,  85-103.  Nella  corsa  delle  navi  vince 'ClOanto,  IOi-885;  In  Quella 
jMì  vince  Eurialo  per  inganno  di*  Niso,  2^0-362.  lì  vecchio  Entello  al 
gilato  abbatte  Darete,  ohe  menava  giovanili  jattanze,  868-484.  Nel  trar 
irco  supera  tutti  Eurizione^  ma  per  un  prodi|gio  il  premio  viene  «tggiu- 
'Ato  al  vecchio  Aceste,  4d5-544.  Quindi  Aicanio  in  compagnia  di  nobili 
iciulii  rallegra  tutti  con  lo  spettacolo  di  giuochi  equestn  in  finta  bat- 
tila, 545-603.  In  questo  mezzo  le  donne  trojane,  stanche  della  lunga  uà- 
{azione  ed  istigate  da  Iride,  appiccano  il  fuoco  alle  navi,  e  ne  incen- 
ino  quattro  ;  le  altre  salva  Giove  con  una  pioggia  improvvisa,  fi04-«99. 

noUe  seguente  Anchise  apparisce  in  sogno  ad  Enea,  ed  a  ncgne  di  fìlovn 
avverte  di  lasciare  donne  e  vecchi  in  Sicilia  ;  e  che  egli  col  forte  dei 
>vani  prosegua  alla  volta  d'Italia;  e  là  vada  all'antro  della  Si- 
la, la  quale  deve  condurlo  ai  Campi  Elisi  per  udire  da  lui  ste^o  il 
ilo  de*  iati,  700-740.  A  queste  ingiunzioni  obbedisce  Enea  dopo  aver  fab- 
icato  in  Sicilia  una  città,  cui  die  nome  Acesta,  741-778.  Mentre  è  in  maro, 
ttuno  a  preghiera  di  Venere  gli  fa  sicuro  11  viaggio,  779-884.  Ma  I'p li- 
re il  piloto,  vinto  dal  sonno,  cade  in  mare  con  esso  il  timone,  835-d7l. 

In  tanto  Enea  spinto  dal  vento  in  alto 
Veleggiava  a  dilungo  ;  e  pur  con  gli  occhi 
Da  la  forza  d'amor  rivolto  indietro 
Rimirava  a  Gartago.  Ardea  la  pira 
Già  d' Elisa  infelice:  e  le  sue  uamme  5 

Raggiavan  di  lontan  gran  luce  intorno. 
La  cagion  non  sapea;  ma  la  temenza 
Lo  rimordea  del  violato  amore, 
E*  1  saper  quel  che  puote  e  quel  che  ardisco 
Femmma  mriosa;  e'I  tristo  augurio  10 

Del  foco,  che  lugubre  era  e  ftmesto. 
Lo  tenea  con  lo  stuol  de'  Teucri  tutti 
Disanimato  e  mesto.  Eran  di  vista 
Già  de  la  terra  usciti ,  e  cielo  ed  acqua 
Apparian  solamente  d'  ogn*  intorno ,  i5 

ADor  eh' un  denso  e  procelloso  nembo 
Si  fé'  lor  sopra  :  onde  tempesta  e  notte 
Sorse  repente,  e  Palinuro  stesso 
Da  r  alta  poppa  il  ciel  mirando ,  Oh  ,  disse , 


1 


123  BNEIDB 


Che  fla  con  tante  intorno  accolte  nubi  ?  -20 

E  che  pensi  e  che  fai ,  padre  Nettuno  ?  is 

Indi  comanda:  Via  compagni,  armianci. 
Oprarne  i  remi,  accomodiam  le  vele, 
Tegniamo  al  vento  avverso  obliquo  11  seno. 
E  rivolto  ad  Enea  :  Con  questo  cielo  ,  25 

Signor  (  diss'  egli  ) ,  ornai  più  non  m'  affido 
Prender  Italia  ,  ancor  che  Oiove  stesso 
Kcl  promettesse ,  ed  ei  nocchier  ne  fosse. 
Vedi  il  vento  mutato ,  vedi  il  mare 
Di  ver  Ponente  ,  che  s*  annera  e  gonfia  :  30 

Vedi  nel  ciel  crual  ne  s*  accampa  stuolo 
Di  folte  nubù  Traversia  di  certo 
N*  assalirà  si  che  ne  girle  incontro , 
Né  durar  la  potremo.  Or  poi  eh'  a  forza 
Cosi  ne  spinge ,  noi  per  nostro  scampò  35 

Assecondianla.  Che  già  presso  i  porti 
Ne  son  de  la  Sicilia  e  '1  fido  ospizio 
D' Erico  tuo  fratello ,  se  abbastanza 
De  r  arte  mi  rammento  e  de  le  stelle. 
,  Rispose  Enea  :  Ben  coiiosch'  io  che  duro  40 

E  '1  contrasto  de'  venti ,  e  *1  nostro  è  vano.         «« 
Vol^i  le  vele.  E  qual  più  grata  altrove, 
O  più  comoda  riva,  o  più  sicura 
Aver  mai  ponno  le  mie  stanche  navi, 
Di  quella  che  no  serba  il  caro  Accste,  45 

E  r  ossa  accoglie  del  buon  padre  mio  ? 

Cosi  volti  a  Levante ,  e  preso  in  poppa 
n  vento  e  *1  flutto ,  a  tutta  vela  il  golfo 
Correndo,  Air  subitamente  a  proda 
De  r  amica  riviera.  Avea  di  cima  TiO 

Visto  d'un  monte  il  cacciatore  Acesto  83 

Venir  la  frigia  armata.  Onde  in  un  tempo 
Fu  con  essi  a  la  riva  ;  e  rincontrolli 
Allegramente,  si  com'era  incolto, 
Di  dardi  armato  e  d' irta  pelle  cinto  55 

Di  libic'  orso ,  umano  insieme  e  rozzo , 
De  la  trojana  Egesta  e  di  Griniso 
Fiume  onorato  figlio.  Ei  de  gli  antichi 
Suoi  parenti  mcmbrando,  con  giojoso 
Volto,  se  ben  con  rustico  apparecchio,  CO 

QV  invita ,  li  riceve  e  li  consola. 

Era  de  1*  altro  di  l' aurora  e  '1  sole 
Già  fuor  de  l'onde ,  allor  che'l  frigio  duco 
Convocati  i  suoi  tutti ,  alto  in  un  greppo 
Posto  in  mezzo  di  lor  cosi  lor  disse:  65 

Generosi  e  magnamini  Trojaoi, 


LIBRO  QUINTO  ..  129 


Degna  prole  di  Bardano  e  del  cielo , 

Questa  è  V  amica  terra ,  ove  oggi  è  V  anno 

Ch  a  le  sante  ossa  del  mio  padre  Anchise 

Demmo  requie  e  sepolcro ,  e  i  mesti  altari  70 

Gli  consecrammo.  Oggi  è  (s'io  non  m'inganno)  48 

Quel  sempre  acerbo  ed  onorato  giorno , 

Che  onorato  ed  acerbo  mi  fìa  sempre 

(  Poiché  sì  piacque  a  Dio  ) ,  quantunque  ovunque 

Questo  csiglio  imelice  mi  trasporti  :  75 

Pongami  ne  T  arene  e  ne  le  secche 

De  la  Oetulia;  spingami  a  gli  scogli 

Del  mar  di  Grecia;  ne  la  Grecia  stessa 

Idi  chiugga ,  e  dentro  al  cerchio  di  Micene  ; 

Ch'  io  r  arò  sempre  per  solenne,  e  voti  80 

Farogli  ogni  anno  e  sacrifìcj  e  ludi. 

Or  poiché  da  Celesti,  oltre  ogni  avviso 

Nostro,  tra'  nostri  siamo  in  prova  addotti 

Per  onorar  le  sue  ceneri  sante, 

Onorianle,  adorianle,  e  dal  suo  nume  85 

Imploriamo  devoti  amici  i  venti, 

E  stabil  seggio,  ove  gli  s'erga  un  tempio. 

In  cui  sian  quest'esequie  e  guesti  onori 

Rinovellati  eternamente  ogni  anno. 

Due  pingui  buoi  per  ciascun  nostro  legno  90 

Vi  profferisce  il  buon  tfojano  Aceste.  ei 

Voi  d'Aceste  e  di  Troja  i  patrj  numi 

Ne  convitate:  ed  io,  quando  l'Aurora 

Tranquillo  e  queto  il  nono  giortio  adduca,* 

A'  solenni  spettacoli  v'  invito  95 

Di  navi,  di  pedoni  e  di  cavalli, 

Al  corso,  a  la  palestra,  al  cesto,  a  Y  arco. 

Ognun  vi  si  prepari,  ognun  ne  speri 

Degna  del  suo  valor  mercede  e  palma. 

E  voi  datevi  assenso,  e  tutti  insieme  100 

V  inghirlandate.  E  ciò  dicendo,  il  primo 

I)el  suo  mirto  materno  il  crin  si  cinse. 

Elimo  lo  segui,  seguillo  Alete, 

Un  di  verd'aiini  e  l'altro  di  maturi; 

Poscia  il  fanciullo  Julo;  e  dietro  a  loro  105 

D'ogni  età  gli  altri  tutti.  Enea  disceso 

Dal  parlamento,  in  mezzo  a  quante  intomo 

Avea  schiere  di  genti,  umile  e  mesto 

Al  sepolcro  d*  Anchise  appresentossi.  { 

E  con  rito  solenne  in  terra  sparte  110 

Due  gran  coppe  di  vino  e  due  diciatto  77  \ 

E  due  di  sangue,  di  purpurei  fiori 

Vi  nevigò  di  sopra  un  nembo,  e  disse; 


130  BNEIDB 


A  voi  sant'  ossa,  a  voi  ceneri  amato 
E  famose  e  felici,  anima  ed  ombra  115 

Del  padre  mio,  torno  di  nuovo  indarno 
Per  onorarvi  ;  poiché  Italia  e  '1  Tebro 
(Se  pur  Tebro  è  per  noi)  ne  si  contende. 
Or  miei  eh'  io  posso,  con  devoto  affetto 
V'aaoro,  e'nchmo  come  cosa  santa.  120 

Mentre  cosi  dicea,  di  sotto  al  cavo 
De  l'alto  avello  un  gran  lubrico  serpe 
Uscì  placidamente  ;  e  sette  volte 
Con  sette  giri  al  tumulo  s'avvolse. 
Indi  strisciando  infra  gli  altari  e  i  vasi,  12S 

Le  vivande  lambendo,  in  dolce  guisa  • 

Con  le  cerulee  sue  squamose  terga 
Sen  gio  divincolando,  e  quasi  un'  Iri 
A  sole  avverso  scintillò  d' intorno 
Mille  vari  color  di  luce  e  d'oro.  130 

Stupissi  Enea  di  cotal  vista;  e  l'angue 
Di  lungo  tratto  infra  le  mense  e  1*  aro, 
Ond'era  uscito,  al  lìn  si  ricondusse. 
Rinovellò  gì'  incominciati  onori 
n  frigio  duce,  del  serpente  incerto,  135 

Se  del  loco  era  il  Genio,  o  pur  del  padre 
Sergente  o  messo.  E  com'  era  uso  antico. 
Cinque  pecore  elette  e  cmque  porci. 
Con  cinque  di  morello  il  tergo  aspersi 
Grassi  giovenchi  anzi  a  la  tomba  uccise,  140 

Nuoye  tazze  vepsando,  e  nuovamente 
Fin  d'Acheronte  richiamando  il  nome 
E  r  anima  d' Anchise.  Indi  i  compagni, 
Ciascun  secondo  la  sua  possa  offrendo. 
Lieti  colmar  di  doni  i  santi  altari.  145 

Altri  di  lor  le  vittime  immolaro,  loi 

Altri  cibi  ne  fero;  e  tutti  insieme 
Sul  verde  prato  a  convivar  si  diero. 

Era  già'l  nono  destinato  giorno 
Sereno  e  lieto  a  l' Oriente  apparso,  150 

E  già  la  vaga  fama  e  '1  chiaro  nome 
Avea  d' Aceste  convocati  intorno 
I  vicin  tutti  ;  e  pieni  erano  i  liti 
Di  gente ,  cui  traea  parte  vaghezza 
Di  vedwe  i  Trojani ,  e  parte  ardire  155 

Di  provarsi  con  loro.  In  prima  esposti  los 

Con  pompa  riguardevole  e  solenne 
Furo  in  mezzo  del  Circo  armi  indorate, 
Purpuree  vesti ,  e  tripodi  e  corono 
E  più  guise  d'arnesi  e  di  moneto  100 


LIBRO  QUINTO  131 


D*  argento  e  d*  oro ,  e  palme  ed  altri  premj 

Di  vincitori.  Indi  sonora  tromba 

D' alto  die  segno  a  i  desiati  ludi , 

E  dal  mar  cominciossi.  Avean  di  tutta 

La  teucra  armata  quattro  legni  scelti  165 

Più  di  remi  e  di  rèmigi  guarniti, 

E  di  tutti  più  destri.  Un  fu  la  Pistri, 

E  Mommo  la  rcggea ,  Mommo  che  poi 

L*  Italo  fu  nomato ,  e  diede  il  nome 

A  la  stirpe  de*  Mommi.  La  Chimera  170 

Fu  l'altro,  a  cui  preposto  era  il  gran  Qìa,       ii7 

Un  gran  vascello  che  a  tre  palchi  avea 

Disposti  i  remi  ;  e  i  remiganti  tutti 

Eran  Trojani  e  giovani  e  robusti. 

Fu'l  gran  Centauro  il  terzo;  e  di  quest'era  175 

Sorgeste  il  capo ,  che  a  la  Sergia  prole 

Diede  principio.  U  ultimo ,  la  Scilla 

Guidata  da  Cloanto ,  onde  i  jCluenti 

Trasser  nome  e  legnaggio.  E  lungo  incontra 

A  la  spumosa,  riva  un  basso  scoglio  180 

Che  da*  flutti  percosso  è  talor  tutto 

Innondato  e  sommerso.  Il  verno  i  venti 

Vi  tendon  sopra  un  nubiloso  velo 

Che  ricopre  le  stelle  ;  e  quando  è  il  tempo 

Tranquillo ,  ha  ne  l' asciutto  una  pianura  185 

Ch*  è  di  marini  uccelli  aprica  stanza. 

Qui  d*  un  elee  fipondoso  il  segno  pose 
D  padre  Enea,  fin  dove  il  corso  avanti 
Stender  pria  si  dovesse ,  e  poi  dar  volta. 
Indi ,  sortiti  i  luoghi ,  al  suo  ciascuno  190 

Si  pose  in  fila.  I  capitani  in  poppa  iss 

Addobbati  di  bisso  e  d'  ostro  e  d*  oro 
Risplendean  di  lontano  ;  e  gli  altri  tutti 
D*  una  livrea  di  pioppo  incoronati 
Stavano  con  le  terga  ignudi  ed  unti,  195 

Si  che  tra  Y  olio  e*  1  sol  lumiere  e  specchj 
Parean  da  lungo.  E  già  ne*  banchi  assisi , 
Tese  a*  remi  le  braccia ,  al  suon  V  orecchia 
Aspettavano  il  segno.  I  cori  intanto 
Palpitando  movea  disio  d*  onore  200 

E  timor  di  vergogna.  Avea  la  tromba 
Squillato  appena ,  che  in  un  tempo,  i  remi 
Si  tuffar  tutti,  e  tutti  i  legni  insieme 
Si  spiccar  da  le  mosse.  I  gridi  al  cielo 
W  andar  de'  marinari.  Il  mar  di  schiuma  205 

S'asperse  intorno;  e'n  quattro  solchi  eguali     ui 
Fu  con  ipolto  stridor  da*  rostri  aperto , 


13 


^ 


BNEIDB 


E  da'  remi  stracciato.  Impeto  pari 

Non  fér  nel  Circo  mai  bighe  o  quadrighe 

Da  le  carceri  uscendo ,  allor  eh*  a  sciolte  210 

Ed  onde.ip'gianti  redini  gli  aurighi 

A  volanti  dostrier  sfcrzan  le  terga. 

Le  grida,  il  plauso,  il  fremito  e  le  voci 

In  favore  or  di  (juesti  ed  or  di  quelli 

Tra  i  curvi  liti  avvolte ,  e  da  le  selve  215 

E  da*  colli  riprose  e  ripercosse 

Pacean  V  aria  intonar  fino  a  le  stelle. 

Kel  primo  uscire  il  primo  avanti  a  tutti 
Si  vide  Oia ,  mentre  la  gente  freme  : 
E  dopo  lui  Cloanto  che  de'  remi  220 

Migliore  assai  per  la  gravezza  indietro 
Rimanoa  del  suo  legno.  Indi  del  pari, 

0  di  poco  infra  loro  avean  contesa 

n  Centauro  e  la  Pistri;  e  quando  questa. 

Quando  quello  era  avanti  ;  e  quando  entrambi       225 

Or  le  fronti  avean  §:iunte  ed  or  le  code.  i67 

Eran  del  sasso  già  presso  a  la  meta  ; 
E  di  buon  tratto  vincitore  avanti 
Già  se  ne  già ,  quand'  ei  sen  vide  in  alto 
Da  la  ripa  più  lungo  ;  onde  rivolto  ^  230 

Al  suo  nocchiero:  E  dove  (disse  )  andrai 
Monete  ?  Attienti  al  lito  e  radi  il  sasso  : 
Vadano  gli  altri  in  alto.  Ei  tuttavia 
D'urtar  temendo,  in  pelago  si  mise. 
E  Già  di  nuovo  :  In  qua ,  Monete  :  al  sasso ,  235 

Al  sasso  :  a  la  sinistra ,  a  la  sinistra , 
Dicea  gridando  ;  e  volto  indietro  vide 
Gh*  avea  Cloanto  addosso.  Era  Cloanto 
Già  tra  lo  scoglio  e  la  Chimera  entrato; 
E  via  radendo  la  sinistra  riva ,  240 

Tenne  giro  sì  breve  e  sì  propinquo , 
Che  lui  tosto  e  la  meta  anco  varcando , 
Si  vifle  avanti  il  mare  ampio  e  sicuro. 
Grand'  ira ,  gran  dolore  e  gran  vergogna 
Ne  senti  '1  fiero  giovane  ;  e  piangendo  245 

Di  slizza ,  e  non  mirando  il  suo  decoro , 
Né  che  Monete  del  suo  legno  seco 
Fosse  guida  e  salute ,  in  mezzo  il  prese , 
E  da  la  poppa  in  mar  lungo  avventollo. 
Poscia  ei  nocchiero  e  capitano  insieme  250 

Die  di  piglio  al  timone ,  e  rincorando 

1  suoi  compagni,  al  sasso  lo  rivolse. 
Monete  cae  di  veste  era  gravalo 

E  via  più  d*  anni ,  inlìno  a  V  imo  fondo 


LIBRO  QUINTO 


138 


-»— ta 


Ricevè  '1  tuffo  :  e  risorgendo  appena 
Rampicossi  a  lo  scoglio  ,  e  si  com*  era 
IdoUe  e  guazzoso ,  de  la  rupe  in  cima 
Qual  bagnato  mastino  al  sol  si  scosse. 
Rise  tutta  la  gente  al  suo  cadere  : 
Rise  al  notare  :  e  più  rise  anco  allora 
Che  a  '  flutti  vomitar  gli  vide  il  mare. 

Mommo  intanto  e  Scrgesto ,  che  del  pari 
Erano  addietro ,  parimente  accesi 
Su  r  indugio  di  Già  preser  baldanza. 
Sergesto  inver  lo  scoglio  avea  '1  vantaggio 
Del  primo  loco;  ma  non  tutto  ancora 
Era  il  suo  legno  avanti ,  che  la  Pistri 
Premea  col  rostro  del  Centauro  il  fianco. 
E  Mommo  confortando  i  suoi  conipami 
E  'n  su  e  'n  giù  per  la  corsia  gridando , 
Yia  fratelli ,  dicea ,  via  degni  alunni 
D'Ettore  invitto,  via  compagni  eletti 
Al  grand*  uopo  di  Troja.  Ora  è  mcstiero 
De'  remi ,  de  le  forze  e  del  coraggio , 
Che  a  le  Sirti ,  a  Cariddi ,  a  la  Malea 
Mostraste  già.  Non  più  vincer  contendo, 
Che  pur  dovrei,  se  pur  Mommo  son  io. 
Vinca  cui  ciò  da  te,  Nettuno,  è  dato. 
Ma  eh'  ultimi  arriviamo ,  ah  non ,  fratelli , 
Questa  vergogna;  e  ciò  vincasi  almeno 
Che  di  tanto  rossor  tinti  non  siamo. 

A  cotal  dir  tutti  insorgendo ,  a  gara 
Steser  Te  braccia,  ed  inarcare  i  dorsi, 
E  fèr  per  avanzarsi  estremo  sforzo. 
Tremava  a  i  colpi  il  ben  ferrato  legno  : 
Fugj^a  di  sotto  u  mare  :  ansando  i  rèmigi 
Aprian  le  asciutte  bocche  :  e  spesso  i  fianchi 
Sattendo ,  a  gronde  di  suaor  colavano. 

Die  lor  fortuna  il  desiato  onore  : 
Che  mentre  furioso  oltre  si  spinge 
Scrgesto ,  e  con  la  prora  arditamente 
Rafie  la  ripa,  ebbe  il  meschino  intoppo. 
Urtando  de  lo  scoglio  in  una  roccia 
Che  nel  mar  si  sporgea.  Schoggiossi  U  sasso  : 
Fiaccarsi  i  remi:  si  scoscese  il  rostro: 
E  d' un  lato  pendente  e  scossa  tutta 
Tremò  la  nave,  e  scompigliossi  e  stetto, 
I  remiganti  attoniti,  con  gridi. 
Con  ferrate  aste,  con  tridenti  e  pali 
Stavan  spingendo,  e  puntellando  il  legno, 
£  ripescando  i  remi.  In  tanto  ^egro. 


256 


'2C0 


182 


270 


275 


280 


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2:3 


^^'30 


295 


È06 


300 


^ 


E  del  siicpc?F.o  coragyiaso  e  lialO.o 
Mommo  ratto  s'avanza,  e  vince  il  sasso; 
K  via  voij'aiiilo  cJ  invocando  i  venti 
Fanilo  a  la  china  ed  a  1'  aporto  il  mare. 

Qiial  d' una  grotta,  ov'  a^i^a  i  dolci  flgU 
E  '1  caro  nido,  spavontata  in  prima 
iJa  subito  sctiìaniazzo  esce  rombando, 
Kd  arrostando  una  colomba  a  l'aura; 
Che  poi  giunta  ne'  campi  a  1'  acr  queto 
QuctameoLe  per  via  dritta  e  sicura 
Sen  va  con  P  ali  immobili  e  veloci  ; 
Cosi  la  Pistri  pria  travolta  e  vaga 
Venia  da  sozzo  ;  indi  aOtlata  e  stretta 
Passò  prima  Sergeato  che  nel  sasso. 
Come  da  vischio  rattenuto  augello  t 

E  spennacchiato,  ì  suoi  spezzati  remi 
Dibattendo,  cbiedea  soccorso  in  vano. 
Poscia  spingendo  la  Chimera  aggiunse 
E  trapassoUa  :  che  la  sua  gran  mole 
£  '1  perduto  nocchier  la  fea  più  tarda. 

Sol  restava  Cloanto  :  e  vorso  lui 
Affllandosi,  al  ibi  quasi  del  corso 
Con  ogni  sforzo  il  segue,  e  già  l' incalza. 
Levossi  al  cielo  un'  altra  volta  il  grido 
Del  favor  che  facoa  la  gente  tutta 
Porche  i  secondi  divenissar  primL 
Quelli  caccia  lo  sdegno  e  la  vergogna 
Di  non  toner  il  conseguito  onore  ; 
Chù  la  gloria  antepongono  a  la  vita. 
Questi  lI  successo  manima  e  la  speme  t 

Di  ciò  poter  ;  poich'  altrui  par  che  possaDO. 
S' eran  gii  presso,  e  pareggiati  i  rostri 
Pel  pan  i  promj  avrian  forse  ottenuti; 
Se  non  ch'ambe  lo  mani  al  cielo  alzando, 
Cotal  foce  a  gli  Dei  Cloanto  un  voto; 

Santi  numi  del  pelago  eh'  io  corro, 
Se'l  corso  agevolalo  al  legno  mio, 
Noi  medesimo  litn  un  bianco  toro 
Lieto  consacrerovvi,  e  de  l' opime 
Suo  visccro,  e  di  vin  limpido  e  nuro 
L"  arena  spargotowi  e  l' ondo  salso. 

Furon  da  l'imo  fondo  i  preghi  uditi 
Del  buon  Cloanto  da  la  schiera  tutta 
Do  le  Kinfe  di  Nereo  e  dì  Forco, 
E  da  la  Panopea  vergine  intatta: 
E'I  gr^n  padre  Portunno  di  sua  mano 
Gli  spinso  il  legno;  onde  qual  vonto,  o  Ptrale 


LIBRO   QUINTO  135 


Lanciossi  a  terra ,  e  si  scagliò  nel  porto. 

n  padre  Enea  (com'è  costume)  avanti  350 

Convocati  a  se  tutti ,  a  suon  di  tromba  tu 

Dichiarò  vincitor  Gloanto  il  primo, 
E  le  tempie  di  lauro  incoronogli. 
Poscia  a  ciascuna  do  le  navi  in  dono 
Die  tre  grassi  giovenchi,  e  tre  grand' umo  Só't 

Di  prezioso  vino ,  e  di  contanti 
Un  ^ran  talento.  Ornò  di  maggior  doni 
I  primi  condottieri.  Al  vincitore 
Presentò  di  broccato  un  ricco  arnese 
Che  d*  ostro  a*  groppi  sopra  T  oro  avea  360 

Doppio  un  lavoro  di  ricamo  e  d'  aco. 

Nel  mezzo  entro  al  frondoso  bosco  ideo 
Un  real  giovinetto  era  tessuto , 
Che  anelo  e  fiero  con  un  dardo  in  mano         ^ 
Seguia  per  la  foresta  i  cervi  in  caccia;  305 

E  poco  indi  lontano  un'  altra  volta  £53 

Era  il  medesmo  da  Tuccel  di  Giove 
Rapito  in  alto  :  e  i  suoi  vecchi  custodi 
E  udi  cani  lo  miravan  sotto , 

Quegli  indarno  le  mani  al  cielo  alzando,  370 

E  questi  il  muso ,  ed  abbajando  a  l' aura. 

A  r  altro  poi ,  che  per  valore  il  primo 
Fu  per  sorto  secondo,  in  premio  diede 
Per  ornamento  e  per  difesa  in  arme 
Una  lorica  che  d' antica  maglia ,  375 

E  di  lucente  e  rinterzato  acciaro, 
Di  massiccio  oro  avea  le  fìbbie  e  gli  orli. 
Questa  di  Simoenta  in  su  la  riva 
Sotto  l'alto  Ilio,.o  di  sua  propria  mano 
Tolse  al  vinto  Demòleo.  Era  si  grave,  330 

Che  da  Fegeo  e  da  Sàgari ,  due  forti 
E  robusti  sergenti,  ivi  condotta 
Era  stata  a  gran  pena  :  e  pur  in  dosso 
L'  avea  Demoleo  u  di  che  combattendo 
Mise  in  quella  riviera  i  Teucri  in  volta.  385 

I  terzi  doni  due  gran  nappi  foro  166 

Di  forbito  metallo ,  e  due  gran  coppe 
Di  puro  argento  figurate  intomo 
Con  mirabile  intaglio.  E  già  donati , 
E-  de'  lor  doni  alteri  e  festeggianti  390 

Se  ne  gian  tutti  di  purpuree  bende 
Le  tempie  avvinti,  e  di  lentischio  ftdomi; 
Quando  ecco  da  lo  scoglio  con  grand'  arte 
fi  con  molta  fatica  appena  svelto 
Sor^e^to ,  col  suo  legno  infranto  e  monco  ^  ^"^ 


•••u 


i36  ENEIDE 


E  tarpato  ùe'remi  in  ver  la  terra 
Se  no  venia  disonorato  e  mesto. 

Gom'  angue  suol ,  eh*  o  sia  da  ruota  oppresso         ^ 
Tra  la  ripa  e  *l  sentiero ,  o  sia  di  sasso 
Dal  v'iator  pei*cosso  o  di  randello ,  400 

Procacciando  fuggir,  con  lunghe  spire  t75 

S*  arrosta  indarno ,  e  inalberato  e  hero 
Dal  mezzo  in  suso  arde  ne  gli  occhi  e  fischia; 
E  d*  altra  parte  dilombato  e  tardo 
Debilmente  guizzando ,  in  se  medesmo  405 

Si  ripiega ,  s' attorce  e  si  raggroppa  : 
Cosi  co'  remi  la  fiaccata  nave 
Se  ne  già  lenta ,  e  con  le  vele  a  volo , 
Ch'a  piene  vele  al  fine  in  porto  aggiunse. 

Ed  a  Sorgeste  anco  i  suoi  doni  assegna  410 

H  padre  Enea,  di  ricovrar  contento 
21  suo  buon  legno  e  i  suoi  fidi  compagni 
E  furo  i  doni  una  cretese  ancella, 
Fòloe  di  nome ,  e  di  telare  e  d'  aco 
Maestra  esperta  e  da  Minerva  instrutta,  415 

Giovine  e  bella ,  e  con  due  fìì;\ì  al  petto. 
Questo  primo  spettacolo  compito , 
Enea  por  gli  altri  una  nianura  elegge 
Che  di  teatro  in  guisa  a*ogn'  intorno 
Ha  selve  e  colli ,  ed  un  gran  circo  avanti ,  420 

Ove  in  un  palco  alteramente  estrutto  888 

Tra  molti  mila  collocossi  in  mezzo. 
Qui  prima  al  corso  i  corridori  invita 
Con  preziosi  premj ,  e  i  premj  espone. 
E  de^  Teucri  e  de'Sicoli  mostrarsi  425 

I  più  famosi.  Appresentossi  in  prima 
Eurìalo  con  Niso.  Un  giovinetto 
Di  singoiar  bellezza  Eurjtalo  era: 
E  Niso  un  di  lui  fido  e  casto  amante. 
Dopo  questi  Dioro,  Era  costui  *3^ 

Del  Icgnaggio  di  Priamo  un  rampollo, 
Giovine  generoso:  e  Salio  e  Patro 
Vennero  appresso:  d'Acarnania  Tuno, 
D'  Arcadia  1  altro  e  del  Tcgeo  paese  : 
E  due  Siciliani  Elimo  e  Pànope ,  435 

Ambedue  cacciatori ,  ambi  seguaci 
Del  vecchio  Aceste  ;  e  con  questi  altri  assai 
D*  oscura  nominanza.  A  cui  nel  mezzo 
Stando  il  gran  padre  Enea ,  cosi  ragiona  : 

Nissun  da  me  di  questa  schiera  eletta  *40 

Andrà  senza  miei  doni ,  e  parHnento  t^^ 

Una  coppia  di  dardi  avrà  ciascuno 


mìj:\o  quinto  137 


Di  riliiconto  acciaro,  ed  una  d*  oro 

E  d'  ar-^ciifo  commosso  a  T  arabesca 

Isoli  più  vista  bipenne.  I  principali  445 

Tre  vincitori  i  primi  preij'i  avranno, 

E  lian  tutti  d'  oliva  incoronatL 

E  *1  primiero  de'  tre  d'  un  buon  destriero 

Sarà  provvisto  ben  guarnito  e  bollo. 

L*  altro  avrà  d'  un'  Amazzone  un  turcasso  450 

Pien  di  tracie  saetto ,  e  un  arco  d'  osso , 

Ed  un  bel  cinto ,  a  cui  sono  ambi  appesi , 

Ch'  han  di  gemme  il  fermaglio  e  d*  or  la  fibbia. 

Il  terzo  d' un'  argolica  celata 

Se  ne  vada  contento  j  o  sarà  questa.  455 

Ciò  detto  ;  e  presi  i  luoghi ,  e  'l  segno  dato 
S*  avventar  da  la  sbarra  :  e  quasi  un  nembo 
L' un  da  V  altro  dispersi ,  insieme  tutti 
Volar ,  mirando  al  une.  Il  primo  avanti 
Si  tragge  NLso ,  e  di  gran  lunga  avanti;  460 

Che  va  di  vento  e  di  saetta  in  evulsa.  ais 

Prossimo  a  lui ,  ma  pro^ifiio  d  un  tratto 
Molto  lontano,  è  Balio.  À 'Salio,  Eurlalo: 
Eurìalo  ha  di  poco  Elimo  addietro  : 
Ad  Elimo,  Dioro  appresso  tanto  465 

Che  già  sopra  gli  anela  e  già  l' incalza  ; 
E  se  l  corso  durava,  anco  Tarobbo 
O  prevenuto  o  pareggiato  almeno. 
Eran  presso  a  la  meta ,  ed  eran  lassi  ; 

guanrlo  ne  V  erba  pria  di  sangue  intrisa  470 

e  gli  uccisi  giuvenchi  il  piò  fermando 
Sinistramente  e  sdrucciolando  a  terra 
Cadde  Niso  infelice ,  e  '1  volto  impresso 
Nel  sacro  loto,  si  che  gramo  e  sozzo 
Ne  surse  poi.  Ma  del  suo  amore  intanto  475 

Non  obbliossi  :  che  sorgendo ,  intoppo  3S4 

Si  fece  a  Salio;  oi)de  con  esso  avvolto 
Stramazzò  ne  l' arena  ;  e  mentre  ei  giacque , 
Eurialo  del  danno  e  del  favore 
S'avanzò  de  l'amico,  e  de  le  grida,  480 

Con  che  gli  dier  le  genti  animo  e  forza: 
Ond'ei  fu'l  primo,  el  Elimo  il  secondo; 
Dioro  il  terzo.  E  tal  fin  ebbe  il  corso. 

Ma  di  rumor  se  n'  empie  e  di  tenzone 
n  Circo  tutto;  e  Salio  anzi  al  cospetto  485 

Do'  Giudici  0  de'  Padri  or  si  protesta 
Or  detesta  or  esclama  ;  e  del  tradito 
Suo  valor  si  rammSrca ,  e  ragion  chiede. 
In  difesa  d' Eurlalo  a  riacoatro 


188  ENEfM^ 


È  il  favor  de  la  gente ,  e  quel  decoro  490 

Suo  dolce  lagrimare ,  e  queir  invitta 

Forza  ch'ha  la  virtù  con  beltà  mista. 

Grida  Dloro  anch' egli,  e  lui  sovviene 

E  se  stesso  difende  :  poich'  il  terzo 

Esser  non  può  quando  sia  Salio  il  primo.  495 

Enea  cosi  decise:  Aggiate  voi,  347 

Generosi  garzoni,  i  pregi  vostri; 

E  nulla  in  ciò  do  V  ordine  si  muti  : 

Ch'  io  supplirò  con  degna  ammenda  al  caso , 

Ond*  ha  fortuna  indegnamente  afflitto  500 

L'amico  mio.  Ciò  detto,  una  gran  pelle 

Presenta  a  Salio  d'un  Icon  getulo, 

Gh'  ha  il  tergo  irto  di  velli,  e  l'unghie  d'oro. 

£  gui  Niso,  0  Signor  (disse),  di  tanto 

Guiderdonate  i  perditori,  e  tale  505 

Di  chi  cade  pietà  vi  prende  ;  ed  io  ss» 

Di  pietà  non  son  degno  nò  di  pregio, 

Io  che  son  di  fortuna  a  Salio  eguale, 

E  di  valore  a  tutti  gli  altri  avanti  ? 

E  ciò  dicendo ,  sanguinoso  il  volto  610 

E  livido  mostrossi  e  lordo  tutto. 
Rise  il  buon  padre  Enea  ;  poscia  un  pregiato 

E  degno  scudo ,  eh'  a  le  porte  appeso 

Era  già  di  Nettuno ,  ed  ei  riscosso 

L'avea  da' Greci,  con  mirabil  arte  515 

Dal  saggio  Didimàone  construtto. 

Venir  tosto  si  fece ,  e  Niso  armonne. 

Finiti  i  corsi  e  dispensati  i  doni , 

Or  (  disse  Enea)  qual  sia  che  vaglia  ed  osi 

Di  forxa  e  d'ardimento,  al  cesto  invito.  520 

Chiunque  accetta,  col  suo  braccio  in  alto 

Si  mostri  accinto.  E  ciò  dicendo ,  in  mezzo 

Propon  due  pregi:  al  vincitore  un  toro 

Di  bende  il  tergo  adorno  e  d'x)r  lo  corna; 

Un  elmo  ed  un  cimiero  ed  una  spada  625 

Per  conforto  del  vinto.  Incontanente 

Uscio  Darete  poderoso  in  campo, 

E  con  gran  plauso  si  mostrò  del  volgo. 

Bra  Darete  un  che  di  forze  estreme 
I         Fu  solo  ardito  a  star  con  Pari  a  fronte,  630 

I         E  che  a  la  tomba  del  famoso  Ettorre  sto 

In  su  r  arena  il  gran  Bute  distese  : 

E  fu  Bute  un  atleta,  anzi  un  colosso 

Di  corpo  immane ,  che  in  B()^rizia  nato 

D*  Amico  si  vantava  esser  discoso.  535 

Per  tal  da  tutti  avuto ,  e  ^  comparso 


LICRO  QUINTO  13& 


In  su  la  lizza ,  altero  ed  orgoglioso 

Squassò  la  testa  :  e  i  grandi  omeri  ignudo 

Le  muscolose  braccia  e'I  corpo  tutto 

Brandi  più  volto ,  e  meaò  colpi  a  V  aura.  540 

Gercossi  un  pari  a  lui,  nò  m  tra  tanti  »77 

Chi  rispondesse ,  o  che  di  cesto  armato 
S' appresentasse.  Ond*ei  lieto  e  sicuro, 
Come  d'ogni  tenzon  libero  fosso, 
Al  toro  avvicinossi,  e'I  destro  corno  545 

Con  la  sinistra  sua  5IÌ  prese,  e  disse: 
Signor,  poiché  non  e  cni  meco  ardisca 
Di  star  a  prova ,  a  che  più  bado  ?  e  quanto 
Badar  più  deggio  ?  Or  di  che  '1  pregio  è  mio  ; 
Perch'io  meco  l'adduca.  A  ciò  fremendo  550 

Assentirono  i  Teucri;  e  già  co' gridi 
De  r  onor  lo  facean  degno  e  del  dono  : 
Quando  verso  d'Entello  il  vecchio  Aceate, 
Si  com'  egli  era  in  un  cespuglio  a  canto , 
Si  volse:  e  rampognando.  Ah  (disse),  Entello,     555 
Tu  sei  pur  fra  gli  eroi  de'  nostri  tempi 
Il  più  noto  e  '1  più  forte  ;  e  come  sotèi 
Ch'  un  si  gradito  pregio  or  ti  si  tolga 
Senza  contesa?  Adunque  è  stato  in  vano 
Fin  qui  da  noi  rammemorato  e  colto  560 

Erice ,  in  ciò  nostro  maestro  e  Dio  ? 
Ov*  è  la  fama  tua  che  ancor  si  spande 
Per  la  Trinacria  tutta  ?  Ove  son  tante 
Appese  a  i  palchi  tue  famose  spoglie? 

llispose  Entello  :  Né  desio  d' onoro  ,  565 

Né  vaghezza  di  gloria  unqua,  signore,  W4 

Mi  lasciar  mai,  né  mai  viltà  mi  prese; 
Ma  r  incarco  de  gli  anni ,  il  fredoo  sangue , 
E  la  scemata  mia  destrezza  e  forza 
Mi  ritraggono  addietro.  Io  quando  avessi  570 

0  men  quei  giorni ,  0  non  men  quei  vigore , 
Onde  costui  di  se  tanto  presume, 
Già  per  diletto  mio  seco  a  le  mani 
Sarei  venuto,  e  non  dal  premio  indotto: 
Che  premio  non  ne  chero.  E  pur  qui  sono  575 

Disse ,  e  sorgendo ,  due  gran  cesti  e  gravi       4M 
Dittò  nel  campo,  e  quelli  stessi,  ond'era 
Solito  a  le  sue  pu^jne  Erice  armarsi. 
Stupir  tutti  a  quell'armi  che  di  sette 
Dorsi  di  sette  buoi,  di  grave  piombo     '  580 

E  di  rigido  ferro  eran  conserti. 
Stupi  Darete  in  prima ,  e  ricusolle 
A  viso  aperto  :  onde  d' Ancbiso  il  figlio 


140  BNEIBB 


Le  prese  avanti,  e  i  lor  volumi  e'I  pondo 

Stava  mirando;  quando  il  vecchio  Entello  585 

Così  soggiunse  :  Òr  che  dirla  costui 

So  visto  avesse  1  cesti  e  V  armi  stesse , 

D'  Ercole  invitto,  e  V  infelice  pu^na , 

Onde  in  su  questo  lito  Erice  calide  ? 

D'  Erice  tuo  fratello  eran  quest'  armi.  590 

Vedi  che  sono  ancor  di  sangue  infette 

E  d' umane  cervella.  Il  grande  Alcide 

Con  queste  Erice  assalse  :  e  con  guest'  io 

M' esercitai ,  mentre  le  forze  e  gli  anni 

Eran  più  verdi,  e  non  canuti  i  crini  505 

Ma  poscia  che  Darete  or  le  rifiuta,  «le 

Se  piace  a  te ,  se  mei  consente  Aceste 

Per  cui  son  q^ui,  di  ciò,  Trojano  ardito. 

Non  vo*  che  ti  sgomenti.  Io  mi  rimetto , 

E  cedo  a  queste;  e  tu  cedi  a  le  tue.  COO 

Combattiam  con  altr*  armi  e  Siam  del  pari 

Cosi  detto  spogliossi  ;  e  si  com'  era 
De  le  braccia,  de  gli  omeri  e  del  collo 
E  di  tutte  le  membra  e  d'ossa  immane, 
Quasi  un  pilastro  in  su  l'arena  stette.  605 

AUor  Enea  fece  due  costi  addurre 
D'  ugual  peso  e  grandezza  ;  ed  egualmente 
Ne  furo  armati  In  prima  su  le  punte 
De' pie  l'un  centra  l'altro  si  levare: 
Brandir  le  braccia  :  ritirarsi  in  dietro  610 

Con  le  teste  alte  :  in  guardia  si  posaro  428 

Or  questi  or  quelli  :  al  line  ambi  ristretti 
Mischiar  le  mani,  ed  a  ferir  si  diero. 
Era  giovine  l' uno ,  agile  e  destro 
In  su  le  gambe:  era  membruto  e  vasto  615 

L'altro;  ma  fiacco  in  su'  ginocchi  e  lento j 
E  per  lentezza  (il  fiato  ansio  acotendo 
Le  gravi  membra  e  l' affannata  lena  ) 
Palpitando  anelava.  In  molte  guise 
In  van  pria  si  tentare,  e  molte  volte  620 

S' avvisar  ,  s'  accennare  e  s' investirò. 
A  le  piene  percosse  un  suon  s' udia 
De'  cavi  fianchi ,  un  rintonar  di  petti , 
Un  crosciar  di  mascelle  orrendo  e  fiero. 
Cadeau  le  pugna  a  nembi ,  e  ver  le  tempie 
Miravan  la  più  parte  ;  e  s' eran  vote , 
Rombi  facean  per  l' aria  e  fischj  e  vento. 

Stava  Entello  fondato:  e  quasi  immoto 
Poco  de  la  persona,  assai  do  gli  occhi 
Si  valea  per  suo  sche^^mo.  A  cui  Darete  630 


625 


r.TTì^o  orrxro  141 


Girava  intorno ,  qual  chi  rocca  oppugna ,        439 
Quantunque  indarno,  cho  per  ogni  via 
Con  ogni  arte  la  stringe  e  la  combatte. 
Alzò  la  destra  Entello,  ed  in  un  colpo 
Tutto  s*  abbandonò  contro  Darete  ;  635 

Ed  ei,  che  lo  previde,  accorto  e  presto 
Con  un  salto  schivoUo:  onde  ne  Taura 
Percosse  a  vóto ,  e  dal  suo  pondo  stesso 
E  da  l'impeto  tratto  a  terra  cadde. 
Tal  un  alto,  ramoso,  antico  pino  640 

Carco  de*  gravi  suoi  pomi  si  svelle 
D' un  cavo  greppo ,  e  con  la  sua  ruìua 
D*Ida  una  parte,  0  d*  Erimanto  ingombra. 
Allor  gridò ,  gioì ,  temè  la  gente , 
Siccom'  eran  de'  Sicoli  e  de  Teucri  645 

Gli  animi  e  i  voti  a  i  duo  compa^  aflbttL 
Le  grida  al  ciel  ne  giro.  Aceste  il  primo 
Corse  per  sollevare  il  vecchio  amico. 
Ma  né  dal  caso  ritardato  Entello, 
Né  da  tema  sorpreso ,  in  un  baleno  630 

Risurse  e  più  spedito  e  più  feroce;  453 

Che  Tira,  la  vergogna  e  la  memoria 
Del  passato  valor  forza  gli  accrebbe. 
Tornò  sopra  a  Darete,  e  per  lo  campo 
Tutto  a  forza  di  colpi  orrendi  e  spessi  655 

Lo  mise  in  volta  or  con  la  destra  in  dito. 
Or  con  la  manca ,  senza  posa  mai 
Dargli,  né  spazio  di  fuggirlo  almeno. 
Non  con  si  folta  grandine  percuote 
Oscuro  nembo  de' villaggi  i  tetti,  660 

Come  con  infiniti  colpi  e  fieri 
Sopra  Darete  riversossi  Entello. 
Allor  il  padre  Enea,  l'un  ritogliendo 
Da  maggior  ira  e  l' altro  da  stanchezza 
E  da  periglio,  entrò  nel  mezzo;  e  prima  665 

Fermato  Entello,  a  consolar  Darete 
Si  rivolse  dicendo  :  E  che  follia 
Ti  spinge  a  ciò?  Non  vedi  a  cui  contrasti? 
Non  senti  e  le  sue  forze  e  i  Numi  avversi? 
Cedi  a  Dio ,  cedi.  E  cosi  detto  impose  670 

Fine  a  l'assalto.  I  suoi  fidi  compagni  4«7 

Così  com'era  afflitto,  infranto  e  lasso, 
Col  capo  spenzolato,  e  con  la  bocca 
Che  sangue  insieme  vomitava  e  denti, 
Lo  portare  a  le  navi;  e  fu  lor  dato  675 

L' elmo ,  il  cimiero  e  la  promessa  spada. 
Himase  al  vincitor  la  palma  e'I  toro, 


Di  che  lieto  e  superbo,  O  de  la  Dea 

(Disse)  famoso  uglio,  e  voi  Trojani, 

Quinci  vedete  qua!  ne'  miei  verd*  anni  680 

Fu  la  mia  possa,  e  da  qual  morte  aggiate       475 

Liberato  Darete.  E  ciò  dicendo , 

Recossi  anzi  al  giovenco ,  e'I  duro  cesto 

Gli  vibrò  fra  le  corna.  Al  fiero  colpo 

S' aperse  il  teschio ,  si  schiacciaron  T  ossa ,  685 

Schài?ò*l  cervello:  e'I  bue  tremante  e  chino 

Si  scosso,  barcollo,  morto  cado. 

Ed  ei  soggiunse  :  Erico ,  a  te  quest'  alma 

Più  (tema  di  morire  offrisco  in  vece 

Di  miella  di  Darete;  e  vincitore  690 

QuiU  cesto  appendo,  e  qui  l'arte  ripongo. 

Immantinente  Enea  1*  altra  contesa 
Propon  de  l'arco,  e  i  suoi  premj  dichiara. 
Ma  l' albero  condur  pria  de  la  nave 
Fa  di  Sorgeste,  e  ne  l'arena  il  pianta:  695 

Suwi  una  fune ,  e  ne  la  funo  appende 
Una  viva  colomba,  e  per^bersaglio 
La  pon  de  le  saette  e  de  gli  arcieri. 
Fèrsi  i  più  chiari  avanti,  e  i  nomi  loro 
Del  fondo  si  cavar  d'un  ehno  a  sorte.  700 

Uscio  primiero  Ippocoonte ,  il  figlio 
D' Irtaco  generoso ,  a  cui  con  lieto 
Grido  la  gente  applauso.  A  lui  secondo 
Fu  Mommo  che  pur  dianzi  il  pregio  ottenne 
Del  naval  corso  ;  e  Mommo ,  si  com'  era  705 

Di  verde  oliva  incoronato,  apparve.  492 

Apparve  Eurizio  il  terzo;  ed  era  questi 
Minor,  ma  ben  di  te  degno  fratello, 
Pandaro  glorioso,  che  de*  Teucri 
Rompesti  i  patti,  e  saettasti  in  mezzo  710 

A  r  oste  greca  il  gran  campione  argivo. 
Ultimo  si  restò  de  1*  elmo  in  fondo 
Il  vecchio  Aceste,  che  sì  vecchio  anch' egli 
Ardi  di  porsi  a  giovenil  contrasto. 
Tesero  gli  archi,  e  trasser  le  quadrella  715 

Da  le  faretre.  A  tutti  gli  altri  avanti 
D' Irtaco  il  figlio  a  saettare  accinto 
Col  suon  del  nervo  e  del  pennuto  strale 
L'aura  percosse,  e  si  dritto  fendella 
Che  l'albero  investi.  Tremonne  il  legno,  720 

Spaventossi  l'augello;  e  d'alte  grida  504 

Risonò  '1  campo  e  la  riviera  tutta. 

Mommo  vien  dopo,  e  pon  la  mira,  e  scocca; 
E  '1  misero  fj:a'  piò  colpisce  appunto 


LIBRO  QUIKTO  143 


In  sn  la  corda,  e  ne  recide  il  nodo.  725 

Libera  la  colomba  a  volo  alzossi , 

E  per  lo  ciei  veloce  a  fuggir  diossi. 

Eiirizio  allor,  ch'avea  già  l'arco  teso 

E  la  cocca  in  sul  nervo,  ai  suo  fratello 

Votossi,  e  trasse;  e  ne  le  nubi  stesse  730 

(Si  come  lieta  se  ne  giva  e  sciolta) 

La  feri  sì  che  con  lo  strale  a  terra 

Cadde  trafitta,  e  lasciò  Talma  in  cielo. 
Sol  vi  restava  Aceste ,  a  cui  la  palma 

Era  già  tolta  :  ond*  ei  scoccò  ne  T  alto  735 

Lo  strale  a  voto,  e  la  destrezza  e  l'arte 

Mostrò  nel  gesto  e  nel  sonar  de  V  arco. 

Quinci  subitamente  un  mostro  apparve 

Di  meraviglia  e  di  portento  orrendo, 

Come  8i  vide ,  e  come  interpretato  740 

Fu  poi  da  formidabili  inrìovmi.  «3 

Che  la  saetta  in  su  le  nubi  accesa 

Quanto  volò,  tanto  di  fiamma  un  solco 

Si  trasse  dietro,  infìn  ch'ella  nel  foco, 

E*l  foco  in  aura  dilesuossi  e  sparve.  745 

Tal  sovente  dal  ciel  divelta  cade 

Notturna  stella,  e  trascorrendo  lascia 

Dopo  sé  lungo  e  luminoso  il  crine. 

A  jpiesto  augurio  attoniti  i  Sicani 

E  i  Teucri  tutti,  umilemente  a  terra  750 

Gittàrsi,  ed  a  gli  Dii  pace  chiederò. 

Solo  Enea  per  sinistro  e  per  infausto 

Non  l'ebbe;  e'I  vecchio  Aceste,  che  giojoso 

Era  di  ciò,  giojosamcnte  accolse, 

E  molti  doni  appresentogli,  e  disse:  755 

Prendi,  padre,  da  me  questi  che  scevri        63« 

Da  gli  altri  onori  a  te  destina  il  cielo 

Con  questi  auspicj ,  e  questa  coppa  in  prima, . 

Un  de' più  cari  a  me  paterni  arredi, 
.  E  caro  e  prezioso  al  padre  mio ,  760 

E  per  l'intaglio  e  per  la  rimembranza 

Del  buon  re  Cisso  che  fra  gli  altri  doni 

Questo  in  Tracia  gli  die  pegno  e  ricordo 

De  r  amor  suo.  Cosi  dicendo,  il  fronte 

Gli  ornò  di  verde  alloro ,  e  dichiaroUo  7C5 

Vincitor  primo.  Nò  di  ciò  sentissi 

Il  buon  Éurizio  olFeso,  ancor  ch'ei  solo 

Fosse  de  la  colomba  il  feritore. 

Di  lui  fu  poscia  il  guiderdon  secondo 

Chi  recise  la  corda  ottenne  il  terzo;  770 

E  rultira'obbc  chi  cunlisso  il  Ic^no, 


Hi  tìttvùt 


««■ 


3J 


Non  era  ancor  questa  contesa  alfine, 

Quando  in  disparte  EpitMe  chiamando 

Un  che  di  Julo  era  custode  e  guida  ; 

Va  (gli  disse  a  T orecchio)  e  fa,  che  Ascanio  775 

Si  spinga  avanti,  se  le  schiere  in  punto 

Ha  ae*  lanciulli ,  e  eh' arme^gi;indo  onori 

La  memoria  de  V  avo.  Impone  intanto 

Che  la  gente  s'apparti,  e  l  circo  tutto 

Quanto  e  largo  si  sgombri  e  quant'ò  lungo. 

Già  si  mettono  in  via;  già  noi  cospetto  552 

Vengon  de'pxlri  i  pargoletti  eroi 
Su  frenati  ncstrier  lucenti  e  vaghi. 
Solo  a  veder  gli  abbiglianienti  e  i  gesti 
Ne  sta  di  Troja  e  di  Sicilia  il  volgo  785 

Maraviglioso ,  e  ne  gioisco  e  freme. 
Parte  ha  di  loro  una  ghirlanda  in  testa, 
E  sotto  accolto  e  raccorciato  il  crine  ; 
Parte  ha  l'arco  e'I  turcasso,  e  d'oro  un  fregio 
Che  da  le  spalle  attraversando  il  petto  790 

Sen  va  di  serpe  attorcigliato  in  guisa.        ^       558 

Eran  tutti  in  tre  schiere  ;  avean  tre  duci , 
E  ciascun  duce  conducea  di  loro 
Tre  volte  quattro ,  e  'n  tre  luoghi  spartiti 
Pacean  pomposa  ed  ordinata  mostra.  795 

L' una  de  le  tre  schiere  avea  per  capo 
Priamo  novello,  di  Polito  il  figlio, 
E  di  cui  nomo  avea  nipote  illustre  : 
Grand'  acquisto  d' Italia.  Il  suo  destriero 
Era  nato  di  Tracia,  d'un  mantello  80» 

Vario ,  balzan  d' un  pie ,  stellato  in  fronte. 

Ati  fu  l'altro,  onde  i  Latini  han  dato 
Nome  a  l' Attia  famiglia  :  un  fanciul  caro 
Al  garzonetto  Julo.  Julo  il  terzo , 
Ma  di  bellezza  e  di  valore  il  primo,  800 

Cavalcava  un  corsier  che  Soriano  570 

Era  di  razza,  e  da  la  bolla  Dido 
L'  avea  per  un  ricordo  e  per  un  pegno 
De  r  amor  suo.  Gli  altri  fancuilli  tutti 
Eran  d' Aceste  in  su' cavalli  assisi.  81; 

Con  gran  letìzia ,  e  con  gran  plauso  i  Teucri 
Gli  ricover,  come  che  timi  letti 
Fossero  in  prima  ;  e  le  sembianze  in  loro 
Avvisare  e'I  valor  de'  padri  stessi. 

Poscia  che  passeggiando  al  circo  intorno  5 

Girarsi  in  lenta  e  graziosa  mostra,        ^  &77 

Si  disposero  al  corso  :  0  mentre  accolti 
Se  no  stavano  a  ciò  schierati  in  fila 


LIBRO  QUINTO  145 


Da  r  un  de'  capi ,  Epitide  da  1*  altro 

Die  lor  col  suon  de  la  sua  sferza  il  cenno.  820 

Corsero  a  tre  per  tre,  pari,  e  discanti 

L' una  schiera  da  T  altra ,  e  rivolgendo 

Tornar  di  dardi  e  di  saette  armati 

Indi  a  cacciarsi,  a  rincontrarsi,  a  porsi 

In  varie  assise,  ad  imo,  ad  uno,  a  molti,  825 

A  tutti  insieme ,  a  far  volte ,  rivolte , 

E  giri  e  mischie  in  più  modi  si  diero  : 

Or  fuggendo .  or  seguendo  :  or  come  infesti 

Or  come  amici.  In  (quante  guise  a  zufh. 

Si  viene  in  campo  ;  in  quante  si  discorre  830 

Per  le  molte  intricate  e  cieche  strade 

Del  Labirinto  che  si  dice  in  Greta 

Esser  costrutto  ;  in  tante  s*  aggirare , 

Si  confusero  insieme ,  e  si  spartirò 

De'  Teucri  i  fisli  ;  e  tali  anco  i  delfini  835 

Per  r  Ionio  scherzando ,  o  por  V  Egeo 

Fan  ^avolte  e  scorribande  e  tresche. 

Questi  tornìamenti  e  queste  giostre 

Rinnovò  poscia  Ascamo ,  allor  eh'  eresse 

Alba  la  lunga  :  appreser^li  i  Latini  ;  349 

Gli  mantenner  gh  Albani  ;  e  d' Alba  a  Roma  «ov 

Pur  trasportati ,  e  vi  son  oggi  ;  e  come 

E  Fuso  e  Roma  e  i  giuochi  derivati 

Son  da  Trojani ,  hanno  or  di  Troja  il  nome» 

Questi  eran  fìno  a  qui  del. santo  vecchio  845 

Celebrati  al  sepolcro  onori  e  ludi  ; 
Allor  che  la  fortuna  a  i  Teucri  infida 
Un  nuovo  storpio  a  gli  infelici  ordio. 
Che  mentre  erano  in  ciò  parte  occupati, 
E  tutti  intesi,  la  saturnia  Giuno  850 

Da  l'antico  odio  spinta,  0  de'  lor  danni 
Non  ancor  sazia,  Iri  coi  venti  in  jprima 
Venir  si  fece;  e  poiché  instrutta  rebbe 
Di  ciò  eh'  er'  uopo ,  a  la  troiana  armata 
Le  commise  eh'  andasse.  Ella  veloce  856 

Infra  mille  suoi  lucidi  colori 
Occulta  ed  invisibile  calessi. 
Vide  sul  lite  una  gran  gente  accolta 
Da  Tun  de' lati;  il  porto  abbandonato 
Da  l'altro,  e  vóti  e  senza  ^ardia  i  legnL  800 

Vide  poi  che  da  gli  uomini  in  disparte  eit 

Stavan  le  donne  d' Ilio,  il  morto  Anchlse 
Piangendo  anch'  esse  :  e  ne'  lor  pianti  il  mare 
Mirando,  0  (dlcean  tutte)  ancor  di  t^to, 
E  con  tanti  perigli  e  tanti  affanni  885 


146  ENBIDB 


X\!>^ 


k 


No  resta  a  naviga  rio,  e  siam  già  vinte 
f  Da  la  stanchezza  !  in  ciò  desio  mostrando 
;  Di  ricetto  e  di  posa,  e  tema  e  tedio 
Di  rimbarcarsi  Ella ,  che  a  nuocer  luogo 
E  tempo  vide  accomodato  ed  atto,  B70 

Deposto  de  la  Dea  V  abito  e  '1  volto , 
Tra  lor  si  mise,  e  Beróe  si  fece  : 
Una  vecchia  d' aspetto  e  d' anni  grave , 
Che  del  tracio  Doriclo  era  già  moglie, 
Di  famiglia,  di  nome  e  di  figliuoli  875 

Matrona  illustre,  e  taf  sembrando  disse  : 

O  meschinelle,  a  cui  per  man  de*  Greci 
Non  fti  sotto  Dio  di  morir  concesso , 
Gente  infelice,  a  che  strazio,  a  che  scempio 
La  fortuna  vi  serba!  Ecco  già  volge  880 

n  settim*  anno,  da  che  Troja  cadde,  6S5 

Che  1  mar,  la  {erra,  il  ciel,  gli  uomini,  i  sassi 
Avete  incontro;  e  pur  Lazio  seguite 
Che  vi  fugge  d*  avanti  ?  Or  che  vi  toglie 
Di  qui  fermarvi?  Non  fur  questi  liti  885 

D*un  già  frate  d*Enea?  Non  son  d'Aceste 
Ospite  nostro'?  E  perchè  gui  non  s'erge 
La  città  che  dal  ciel  ne  si  destina? 
O  patria  !  o  da'  nemici  invan  ritolti 
Santi  numi  Penati  !  Invano  adunque  890 

Aspetterem  de  la  novella  Troja  «32 

Le  desiate  mura  ?  e  non  Ha  mai 
Che  più  Xanto  veggiamo,  0  Simoenta  ?    , 
Su,  figlie;  mano  al  foco:  e  queste  infauste 
Navi  ardete  con  me  :  eh*  io  da  Cassandra  895 

Di  cosi  far  son  ammonita  in  sogno. 
,u^  Ella  con  un'ardente  face  in  mano 

^v—        Questa  notte  m'apparve,  e  m'era  avviso 
D' esser  com*  or  son  vosco,  e  eh'  ella  volta 
Ver  noi,  prendete,  ne  dicesse,  e  Troja  900 

Cercate  qui;  che  qui  posar  v'  è  dato. 
Or  questa  è  nostra  patria,  e  questo  è  '1  tempo 
Di  compir  l' opra  che  '1  prodigio  accenna. 
Più  non  s' indugi  Ecco  Nettuno  stesso 
Con  questi  quattro  a  lui  sacrati  altari  905 

Nèjdà  l'occaslon,  l'animo  e'I  foco. 

ardente 


Confuse  ne  restaro  e  stupefatte  ^10 

Le  donne  d' Ilio  ;  e  Pirgo  una  di  loro ,  Wi 

Ch'  era  d' anni  maggiore,  e  fu  di  molti 


LIBRO  QUINTO  ^ 147 


Figli  del  ^an  re  Priamo  nutrice , 
Donne  (  disse  )^  non  è,  non  è  costei 
Né  Trpiana,  ne  BerOe,  né  moglie  916 

Fu  di  Doriclo  :  è  Dea.  Notate  i  segni  : 
Com'  arde  ne  la  vista,  e  quali  spira 
Ne  r  andar,  ne  la  voce  e  nel  sembiante 
Celesti  onori.  Io  pur  testé  mi  parto 
Da  Beroe ,  che  di  corpo  egra  languendo  920 

Stassi ,  e  sdegnando  cne  a  guest*  atto  sola 
Nosco  nop  intervenga.  E  ^qui  si  tacque. 
Le  madri  paventose  e  dubbie  in  prima 

Con  gli  occhi  biechi  rimirar  le  navi, 

Sospese  le  meschine  infra  V  amore  925 

Di  godersi  la  terra ,  e  la  speranza  655 

Che  perdean  de'  reami ,  a  cui  chiamate 

£ran  dal  Fato.  Intanto  alto  in  su  V  ali 

La  Dea  levossi  :  e  tra  le  opache  nubi 

Per  entro  al  suo  grand'  arco  ascese ,  e  sparve.       9i0 
Allor  dal  mostro  spaventate ,  e  spinte 

Da  cieca  furia ,  s' avventar  fidando  : 

E  di  faci  e  di  fronde  e  di  virgulti 

Spogliare  altre  gli  altari,  altre  infocare 

I  legni  si  che  in  un  momento  appresi  935 

I  banchi ,  i  remi  e  l' impeciate  poppe 

Mandar  fiamme  e  scintille  e  ftimo  al  cielo. 

Portò  di  questo  incendio  Eumelo  avviso 

Là 've  al  sepolcro  era  la  gente  accolta, 

E  de  l'incendio  stesso  un  atro  nembo  940 

Ne  die  fumando  e  scintillando  indicio. 
Ascanio  il  primo  (  siccom'  era  avanti 

Duce  del  corso  )  al  mar  si  spinse  in  guisa 

Che  i  suoi  maestri  impalUdlr  per  tema,' 

E  richiamando  lo  seguirò  in  vano.  945 

Giunto  che  fu ,  che  furor  (  disse  )  è  questo  ? 

Dove ,  dove  ne  gite  ?  e  che  tentate , 

Misere  cittadine  ?  Ah  !  che  non  questi 

De'  Greci  i  legni ,  o  gli  steccati  sono. 

Voi  di  voi  stesse  ìe  speranze  ardete.  950 

Io  sono  il  vostro  Ascanio.  E  qui  1*  elmetto        «7t 

Onde  a  la  giostra  era  comparso  armato, 

Gittossi  a  pie.  Corsevi  intanto  Enea  : 

Vi  corsero  de'  Teucri  e  de'  Sicani 

Le  schiere  tutte.  Allor  per  tema  sparse  955 

Le  donne  per  lo  lite  e  per  le  selve 

Se  ne  fuggirò  ;  ed  appiattarsi  ovunque 

Ebber  di  rupi ,  o  di  spelonche  incontro  ; 

Chò  peqtite  del  fallo  odi&r  la  luce , 


143  ENEIDE 


Cangiar  pensieri ,  e  con  r  amor  de'  suoi  geo 

Iri  dei  petto  disgombrarsi  e  Giuno.  ers 

Ma  non  però  T  indomito  furore 
Cessò  del  foco  :  che  la  secca  stoppa , 
E  r  unta  pece ,  e  gli  aridi  fomenti 
L' avean  un  dentro  a  le  giunture  appreso  :  965 

Onde  nel  molle ,  ancor  vivo ,  esalava 
Un  lento  fumo,  e  penetrava  i  fondi 
Si  eh'  ogni  forza ,  ogni  argomento  umano , 
E 1  mare  stesso ,  che  da  tante  genti 
Sopra  gli  si  versava ,  erano  in  vano.  970 

Squarciossi  Enea  da  gli  omeri  la  veste 
Ch'  avea  lugubre  ;  0  da^Celcsti  aita 
Chiedendo ,  ai  ciel  volse  le  palme ,  e  disse  : 

Onnipotente  Giove  ,  se  de'  Teucri 
Ancor  non  t'  è  senza  riservo  in  ira  975 

La  gente  tutta ,  e  se  (  qual  sei  )  pietoso 
Min  a  gli  umani  alfanni ,  a  tanto  incendio 
Ritogli ,  padre ,  i  male  addotti  le^ni  ; 
Ritogli  a  morto  queste  poche  atllitte 
Reliquie  de'  Troiani  ;  0  quel  che  resta  980 

Tu  col  tuo  proprio  telo ,  e  di  tua  mano  691 

(  Se  tale  è  il  merto  mio  )  folgora-  e  spegni. 

Ciò  disse  appena ,  che  da  torbidi  austri , 
E  da  nera  tempesta  il  cielo  involto 
In  disusata  piogjjia  si  converse.  985 

Tremare  i  campi ,  si  crollare  i  monti 
Al  suon  de' tuoni:  a  cataratte  aperto 
Traboccar  da  le  nubi  i  nembi  e  i  iìumi. 
Cosi  sotto  dal  mar,  sovra  dal  cielo 
Le  già  quasi  arse  navi  in  mezzo  accolte  900 

Fnit)n  da  l'acque:  onde  le  fiamme  in  prima, 
Poscia  il  vapor  s'  estinse  :  e  tutte  spente , 
Se  non  se  quattro ,  si  salvare  al  line. 

Di  si  fero  accidente  Enea  turbato , 
Molli  e  gravi  pensier  tra  se  volgendo,  995 

Stnva  intra  due ,  se  per  suo  novo  seggio 
(l'osto  il  fato  in  non  cale)  ei  s'eleggesse 
ho  la  Sicilia  i  campi,  0  pur  di  lun^^o 
Cercasse  Italia.  In  ciò  Naute ,  un  vecchione 
ClTera  (mei-cò  di  Pallade  e  de  gli  anni)  1000. 

T>i  molta  esperienza  e  di  gran  seimo,  7oi 

C)  '.osse  ira  di  Dio ,  che  lo  movesse , 
0  pur  ch'era  cosi  nel  ciel  prescritto, 
In  cotal  guisa  a  suo  conforto  disse  : 

Magnanimo  signor,  comunque  il  fato  i005 

^Q  tragga  |  0  M  ritragga ,  e  che  che  sia  | 


/'   •;•    ^^ 


* 


LIBRO  QUINTO  149 


Vincasi  col  soffrire  ogni  fortuna. 

Aceste  è  qui ,  eh*  è  del  dardanio  seme 

E  di  stirpe  celeste  un  ramo  anch*  egli 

Prendi  lui  per  compagno  al  tuo  consiglio,  1010 

E  con  lui  ti  confedera  e  t*  aduna, 

Che  in  grado  prenderaiio  ;  e  tu  de'  tuoi 

Ciò  che  t*  avanza  per  gli  adusti  legni , 

O  fastidito  è  di  si  lungo  esigilo , 

0  che  langua ,  o  che  tema  ,  o  che  sia  manco       1015 
Per  etate ,  o  per  sesso ,  a  lui  si  lasci 

Ch*  è  pur  Trojano  ;  ed  ei  lor  patria  assegni 
Che  dal  nome  di  lui  si  nomi  Acesta. 

S*  accese  al  detto  del  suo  vecchio  amico 
H  trojan  duce;  e  trapassando  d*uno  1020 

In  un  altro  pensiero,  era  già  notte,  750 

Quando  l' immago  del  suo  padre  Anchise 
Veder  gli  parve ,  che  dal  ciel  discesa 
In  tal  ^isa  dicesse:  O  figlio  amato 
Vie  più  de  la  mia  vita  infin  eh*  io  vissi,  1025 

Figlio  che  segno  sei  de  le  fortime, 
E  del  fato  di  Troja  :  io  qui  mandato 
Son  dal  gran  Giove ,  eho  dal  eicl  pietoso 
Ti  mirò  dianzi,  e  i  tuoi  legni  ritolse 
Da  1*  orribile  incendio.  Attendi  ai  detto  1030 

Del  vecchio  Naute  ,  e  ne  1*  Italia  adduci  72s 

(Si  come  ei  fedelmente  ti  consiglia) 
De  la  tua  gioventù  soli  i  più  scelti , 

1  più  sani ,  i  più  forti  e  i  più  famosi  : 

Gh*  ivi  aspra  gente  e  ruviaa  e  feroce  1035 

Domar  convienti.  Ma  convienti  in  prima 

Per  via  d'Averne  ne  l'inferno  addurti, 

E  meco  ritrovarti ,  ov'  ora  io  sono , 

Figlio ,  non  già  nel  Tartaro ,  0  fra  V  ombre 

De  le  perdute  genti ,  ma  felice  1040 

Tra  i  felici  e  tra*  pii  per  quegli  ameni 

Elisj  campi  mi  diporto  e  godo. 

A  questi  lochi ,  allor  che  molto  sangue 

Avrai  di  negre  pecorelle  sparso , 

Ti  condurrà  la  vergine  Sibilla ,  1045 

Ivi  conto  saratti  il  tuo  legnagg^o  » 

E'I  tuo  seggio  &tale:  é  qui  ti  lascio; 

Già  che  varcato  è  de  la  notte  il  mezzo , 

E  del  nimico  sol  dietro  anelando- 

I  veloci  destrier  venir  mi  sento.  i050 

E  ciò  dicendo  allontanossi ,  e  sparve.  ''S» 

Dove,  padre,  ne  vai,  dove  t'ascondi? 
Dicendo  Knoa ,  chi  fuggi  ?  0  chi  U  toglìA 


Aceste  non  recusa;  e  già  descritti 
I  nomi  de  le  madri  ,  e  de  gì'  infermi . 
E  de  le  f,'enti  che  mcsticro,  i  cura 
Avean  più  di  riposo ,  che  di  lodo. 
Essi  ppchi ,  ma  Rceiti,  e  guemer  tutti 
Rivolti  a  risarcir  gli  adusti  legni 
Rinnovaron  le  sarte ,  i  remi ,  i  banchi , 
E  ciò  che'l  foco  avea  corroso  ed  arso. 

Enea  de  la  città  lo  mura  intanto 
Insolca,  e  i  lochi  assegna;  e  parto  Troja, 
E  parte  Ilio  ne  chiama ,  o  ro  n'  appella 
n  Buon  trojano  Acoste.  Ei  lieto  il  carco 
Ne  prende  :  indice  i!  foro ,  elegge  i  padri , 
Ode ,  giuiiica ,  e  manda.  Allora  in  cuna 
De  r  ericino  giogo  il  gran  delubro 
Surso  a  Venere  idalia  :  e  i  sacerdoti 
Gli  8' addissero  in  prima.  AUor  s'aggiunse 
Al  tumulo  d' Anctuse  il  sacro  bosco. 

Avea  già  nove  di  fatti  solenni 
Sacrifìci  e  conviti;  e'i  mare  e  i  venti 
Eran  placidi  e  queti.  Austro  sovente 
Spirando  in  alto  i  lor  legni  invitava  : 
Quando  un  pianto  dii-otto  per  lo  lito 
Levossi,  un  condolersi,  un  abbracciarsi 
Che  tutto  '1  di  durò ,  tutta  la  notte. 
Le  meschinelle  donne,  e  ouegU  stessi. 
Cui  dianzi  spaventosa  era  la  faccia 
£1  '1  nome  intollerabile  del  mare . 


LIBRO  QUINTO  151 


Cinto  il  capo  d'oliva,  una  gran  tazza  775 

In  man  si  reca ,  e  di  leneo  liquore , 
E  di  viscere  sacre  il  mare  asperge^ 

Sorgea  da  poppa  H  vento ,  e  le  sals'  onde 
Ne  gian  solcando  i  remiganti  a  gara»;  1105 

Quando  del  figlio  Giterea  gelosa 
Nettuno  assalse ,  e  seco  guerclossi 
In  cotal  guisa  !  La  grav'  ira  e  V  odio 
Di  Giuno  insaziabile  m*  inchina 


Ad  ogni  priego  ;  poscia  che  nò  *1  tempo 
Né  la  pietà,  nò  Giove,  nè'l  destino 


ino 


Acquetar  non  la  ponno.  E  non  le  basta 
D' aver  già  Troja  desolata  ed  arsa, 
Che  le  reliquie ,  il  nome  e  V  osda  e  '1  cenere 
Ne  perse^mta  ancora.  Ella  ne  sappia,  1115 

Ella  ne  dica  la  cagione.  Io  chiamo  788 

Te  per  mio  testimon  de  V  improvvisa 
^  Micidlal  tempesta  che  pur  dianzi 
Per  mezzo  de  Teolide  procelle 
Mosse  lor  centra  (tua  mercede)  in  t'ano.  1120 

Or  ha  r  iniqua  per  le  mani  stesse 
De  le  teucre  matrone  i  teucri  legni 
Dati  si  bruttamente  al  foco  in  ^reda. 
Perchè  i  meschini,  arse  le  navi  loro, 
Sian  di  lasciare  i  lor  compagni  astretti  1125 

Per  le  terre  straniere.  Or  quel  che  resta, 
E  eh' a  te  chieffgio,  è  eh*  ima  volta  al  fine 
Tocchin  del  Tenro  e  di  Laurento  i  campi, 
Se  però  quel  eh*  io  chieggio  è  che  dal  cielo  1130 

Al  mio  figlio  si  debba,  e  se  quel  seggio  798 

Ne  dan  le  Parche  e  1  Fato.  A  lei  de  T  onde 
Rispose  il  domatore  :  Ogni  fidanza 
Prender  puoi  Citerea  ne' regni  miei, 
Onde  tu  pria  nascesti.  E  non  son  pochi  1135 

Ancor  teco  i  miei  merti;  che  più  volte 
Ho  per  Enea  l' ira  e  '1  furore  estinto 
E  del  mare  e  del  cielo.  Ed  anco  in  terra 
Non  ebb'  io  (  Xanto  e  Simoenta  il  sanno  ) 
De  la  salute  sua  cura  minore,  1140 

Allor  eh'  Achille  a  le  trojane  schiere 
Sì  parve  amaro,  che  fin  sotto  al  muro 
Le  cacciò  d' Ilio,  e  tal  di  lor  fé'  strage , 
Che  ne  gir  gonfi  e  sanguinosi  i  fiumi; 
E  Xanto  de' cadaveri  impedito  1145 

Sboccò  ne'  campi,  e  devio  dal  mare. 
Era  (juel  giorno  Enea  d*  Achilli^  a  fronte, 
Né  Diiy  né  forzo  avea  eh'  a  lui  del  pari 


stessero  ìiiL-ontro,  Io  fui  che  no  la  nuho 

Allor  l'accolsi:  io  che  dì  maa  nel  trassi, 

Quando  più  d'atterrar  avea  desio 

Quelle  mura  odiose  e  disleali. 

Che  pur  de  le  mie  mani  eran  Mtura. 

Or  ti  conforta,  che  ver  luì  son  io 

Qual  fui  mai  sempre,  e  come  agogni,  il  porto 

Attingerà  sicuramente;  e'I  lago  e 

"Vedrà  d' Averne,  e  de'  suoi  tutti  nn  solo 

Gli  mancherà.  Sol  un  convien  che  pera 

Per  condur  gli  altri  suoi  lieti  e  sicuri. 

Poiché  di  Cìterea  la  mente  rfueta 
Ebbe  de  l'onde  il  patire;  i  suoi  cavalli 
Giunti  insieme  e  frenati,  a  lente  briglie 
Sovra  de  l'alto  suo  ceruleo  carro 
Abbandonossi,  e  lievemente  scorso 
Per  lo  mar  tutto.  S'adcguaron  l'onde: 
Si  dileguar  le  nubi:  ovunque  apparve,  s 

Tutto  sgombroRsi,  del  suo  corso  al  suono, 
Ch'  avea  di  torho  il  ciel,  di  gonfio  il  mare. 

Cingenn  Nettuno  allor  da  la  man  destra 
Torme  di  pistri  e  di  balene  immani , 
Di  Glauco  il  vecchio  coro,  e  d'Ino  il  Aglio, 
E  i  veloci  Tritoni,  e  tutto  insieme 
Lo  stuol  di  Forco.  Da  sinistra  intorno 
Gli  era  Teli,  Melite  e  Panopea, 
Spio,  Nisca,  Gimodoce  e  Talia. 

Qui  per  r  amara  dipartenza  afflitto 
Il  padre  Enea  rasserenossi  in  parte, 
E  ciò  che  a  navigar  facea  mostiero 
Gioiosamente  a"  suoi  C3mpagni  impose 
Tirar  l'antenne,  inalberar  le  vele. 
Sciolsero,  ammainar,  calaro,  alzaro  , 
Fèr  le  marinaresche  lor  bisogne 
Tutti  in  un  tempo:  ed  in  un  tempo  insieme 
Drizzar  lo  prore  al  mar,  le  poppo  al  vento. 
Innanzi  a  tulli  con  più  legni  in  frotta 
Ola  Palinuro  il  provido  nocchiero, 
E  gli  altri  dietro  lui  di  mano  in  mano. 

Era  l'umida  notte  a  mezxo  il  cerchio 
Del  eie!  salita,  e  già  languidi  e  stanchi 
Su  i  duri  legni  i  naviganti  agiati 
Prendean  quiete;  quando  ecco  da  l'alte  g 

Stelle  placido  e  lieve  il  Sonno  sceso 
Si  fece  quanto  avea  d'aere  intorno 
Sereno  e  queto:  e  te,  buon  Palinuro, 
Senza  tua  colpa,  insidioso  aasalae , 


LIBRO  QUI^•TO  153 


Portando  a  gli  occhi  tuoi  tenebre  eterne. 

Ei  di  Forbante  marinaro  esperto 

Presa  la  forma,  come  noto,  appresso 

In  su  la  poppa  gli  si  pose,  e  disse  : 

Tu  vedi ,  Paiinuro  :  il  mar  ne  porta  1200 

Con  le  stesse  onde ,  e  'l  vento  ugual  ne  spira. 

Temp'è  che  posi  ornai:  china  la  testa- 

E  ftira  gli  occhi  a  la  fatica  un  poco  ; 

Poscia  eh'  io  son  qui  teco ,  e  per  te  veglio. 

Cui  Paiinuro  ,  già  gravato  il  ciglio ,  1205 

Cosi  rispose  :  Ah  tu  non  credi  adunque  847 

Cb'  io  conosca  del  mar  le  perfid'  onde , 
E  '1  làlso  aspetto?  A  tale  infido  mostro 
Ch'  io  fidi  il  mio  signore  e  i  legni  suoi  ? 
Ch'ai  fallace  sereno ,  a  i  venti  instabili  1210 

Presti  fede  io ,  che  son  da  lor  deluso 
Già  tante  volte  ?  E  ciò  dicendo ,  avea 
Le  man  ferme  al  timon ,  gli  occhi  a  le  stelle. 

Il  Sonno  allora  di  leteo  liquore , 
E  di  stiido  veleno  un  ramo  asperso  1215 

Sovra  gli  scosse ,  e  r  una  tempia  e  1*  altra 
Gli  spruzzò  si  che  gli  occhi  ancor  rubelli 
Gli  strinse ,  gli  gravò ,  gli  chiuse  al  fine. 

Appena  avean  le  prime  gocce  infusa 
La  lor  virtù ,  che  '1  Duon  nocchier  disteso  1220 

Ne  giacque  ;  e  *l  Dio  col  suo  mentito  corpo 
Sopra  gli  si  recò ,  pinse  e  sconfìsse 
Un  gheron  de  la  poppa ,  e  lui  con  esso 
E  col  temon  precipitò  nel  mare. 
Né  gli  valse  a  gridar  cadendo  aita  ; 
Che  Tun  crual  pesce,  e  T altro  qual  augello,    eoo 
Questi  ne  r  onda ,  e  quei  ne  V  aura  sparve. 
Né  r  armata  ne  gio  però  men  ratta , 
Né  men  sicura  ;  che  Nettuno  stesso , 
Come  promesso  avea ,  la  resse  e  spinse. 

Era  delle  Sirene  omai  solcando 
Giunta  a  gli  scogli ,  perigliosi  un  tempo 
A'  naviganti  :  onde  di  teschi  e  d*  ossa 
D'  umana  gente  si  vedean  da  lungo 
Biancheggiar  tutti.  Or  sol ,  di  canti  in  vece,        1233 
Se  n'ode  un  roco  suon  di  sassi  e  d'onde. 
Era  (  dico  )  qui  giunta ,  allor  eh'  Enea 
Al  vacillar  del  suo  legno  s'  accorse  : 


1225 


Che  di  ^ida  era  scemo  e  di  temone  : 

Ond'  egli  stesso  in  fin  che  '1  giorno  apparve  1240 

Se  ne  pose  al  governo,  e  '1  caso  indegno 

Del  caro  amico  in  tal  guisa  ne  pianse  : 


'  SHBIDB 


Troppo  al  sereno,  v  troppo  a  ìa  bonaccia 

Credesti ,  Palinurc.  Or  ne  1'  arena 

Dal  mar  gittato  in  qualche  strano  lito 

Ignudo  e  sconosciuto  giacerai , 

Né  chi  t' onori  avrai ,  uè  chi  ti  copra. 


vitrm  DKL  Limo  QDuno 


LIBRO  SESTO 


^l^GOMBNTO 

Sorto  a  Omna,  Enea  va  neirantro  della  Sibilla;  e  celebrato  secondo  lì 
rito  un  sacrLflcio  nel  tempio  di  Febo,  dall*  intasata  Sibilla  apprende  gli 
imminenti  pericoli  e  i  casi  della  vicina  guerra,  1-97.  Seguono  le  istruzioni 

rr  Impetrare  licenza  di  scendere  in  Inferno,  96-155.  Trovato  sul  lido 
cadavere  di  Mlseno,  lo  bruciano  e  gli  dan  sepoltura  ai  piedi  del  vicin 
monte,  che  ne  prende  il  nome  di  Miseno,  156-235.  Quinci,  edito  il  ra- 
moscello d*oro  e  sacrificate  le  vittime.  Enea  guidato  dalla  Sibilla,  per  le 
grotte  fl*Àvemo  discende  ali*  Inferno,  di  cui  si  descrive  V  ingresso,  236-336. 
Palinuro  errante  intomo  alla  Palude  Stigia,  perchè  il  suo  corpo  è  privo 
di  sepoltura,  desidera  traghettare  insieme  con  loro  ;  ma  la  Sibilla  lo  vieta, 
e  lui  consola  con  la  speranza  di  un  cenotaflo  e  di  esequie ,  337-383.  Pas- 
sata la  Stige  e  assopito  Cerbero  con  focacce  medicate,  Ènea  trascorre  per 
le  sedi  d^*  infanti  e  dei  condannati  e  morti  a  torto  ;  e  di  là  giunge  ai 
violenti  contro  sé  per  insofferenza  d*  amore,  e  fra  <iuesti  parla  a  Dido- 
ne,  che  sdegnosa  non  gli  risponde,  ma  gli  siHoglie  dinanzi,  384-476.  Pas- 
sando oltre,  scorge  Delfobo  fra  le  ombre  dei  valorosi  in  arme,  tutto  mal- 
concio da  molte  perite,  e  da  lui  gli  è  narrato  il  misero  modo  della  sua 
morte,  477-584.  Lasciatosi  quindi  a  sinistra  il  Tartaro,  e  'Capute  dalla  Si- 
billa le  pene  dei  malfattori,  585-627,  va  alla  reggia  di  Plutone,  e  sulla  soglia 
di  essa  configge  il  ramoscello  d*oro,  628-436.  Dopo  ciò  perviene  alle  sedi 
de*  beati,  e  laMuseolo  conduce  al  cospetto  del  padre,  637-678.  Allora  An-i 
chise  spiega  ad  Enea  Torigine,  la  purgazione  e  rultima  sorte  dolle  anime,  ' 
679-755;  gli  racconta  dei  re  d*  Alba  e  di  Roma,  e  ricordati  alcuni  nomi 
d*illustri  Romani,  viene  alle  lodi  di  Giulio  Cesare  e  d'  Augusto,  756-859  ;  e 
finisce  levando  a  cielo  Marcello,  figlio  di  Ottavia,  rapito  ixcrbo  da  niortp, 
860-888.  Enea  uscito  alFaria  perla  porta  d*avorio,  rivede  i  compagni  ed 
arriva  a  eaeta,  889-901. 

Cosi  piangendo  disse  ;  e  navigando 
Di  Gnma  in  ver  Teubolca  riviera 
Si  spinse  a  tutto  corso,  onde  ben  tosto 
Vi  furon  sopra ,  e  v'  approdaro  al  fine. 
Volser  le  prue,  gittàr  1  ancore  ;  e  i  legni, 
Si  come  stero  un  dopo  T  altro  in  fila , 
Di  lungo  tratto  ricovrir  la  riva. 

Lieta  la  gioventù  nel  lito  esperio 
Gittossi  :  ed  in  un  tempo  al  vitto  intesi , 
Chi  qua  chi  là  si  diero  a  picchiar  selci ,  10 

A  tagliar  boschi,  a  cercar  fiumi  e  fonti. 

Intanto  Enea  verso  la  rocca  ascese , 
Ove  in  alto  sorgea  di  Febo  il  tempio, 
E  là  dov*  era  la  spelonca  immane 


< 


150  ENEIDE 


I 


De  r  orrenda  Sibilla ,  a  cui  fu  dato  15 

Dal  gran  Delio  profeta  animo  e  mente 
D*  aprir  T  occulte  e  le  future  cose. 

Avea  di  Trivia  già  varcato  il  bosco, 
Quando  avanti  di  marmo  ornato  e  d'oro 
Il  bel  tempio  si  vide.  È  fama  antica  20 

Che  Dedalo,  di  Greta  allor  fuggendo  i4 

Gh'  ebbe  ardimento  di  levarsi  a  volo 
Con  più  felici  e  con  più  destre  penne 
Che  1  suo  tìglio  non  mosse  ,  il  freddo  polo 
^     Vide  più  presso;  e  per  sentier  non  dato  25 

A  r  uman  seme ,  a  questo  monte  al  fine 
Del  calcidico  seno  il  corso  volse. 
Qui  giunto  e  fermo  a  te,  Febo,  de  Tali 
L' ordigno  appese ,  e  '1  tuo  gran  tempio  eresse , 
Ne  le  cui  porte  era  da  Tun  de'  lati  30 

D' AndrogGo  la  morte ,  e  quella  pena 
Ghe  di  Gecrope  i  figli  a  dar  costrinse 
Sette  lor  corpi  a  1'  empio  mostro  ogni  anno  : 
Miserabil  tributo  !  e  v'  era  V  urna, 
Onde  a  sorte  eran  tratti.  Eravi  Greta  35 

Da  r  altro  lato ,  alto  dal  mar  levata , 
Gh'  avea  del  tauro  istoriata  intorno  » 
E  di  Pasife  il  bestiale  amore , 

E  la  bestia  di  lor  nata  biforme ,  . 

Di  si  nefando  ardor  memoria  infame.  40       w 

Eravi  r  intricato  Laberinto  :  to  ^ 

Eravi  il  filo,  onde  gl'intrighi  suoi 
E  le  sue  cieche  vie  Dedalo  stesso , 

Per  pietà  eh'  ebbe  a  la  regina ,  aperse.  i 

E  tu,  se'l  pianto  del  tuo  padre  e  1  duolo  45 

Noi  contendea,  saresti,  Icaro,  a  parte 
Di  si  nobil  lavoro.  Ma  due  volte  " 

Tentò  ritrarti  in  oro;  ed  altrettante 
Si  r  abborri  che  Y  opera  e  lo  stile 
Di  man  gli  cadde.  Era  con  gli  altri  Enea  50 

Tutto  a  mirar  sospeso,  quando  Acate  ss 

Tornò ,  eh'  era  precorso  ,  e  seco  addusse 
Delfobe  di  Glauco ,  una  ministra 
Di  Diana  e  d' Apollo.  Ella  rivolta 
Al  frigio  duce  ,  Non  è  tempo  (  disse  )  85 

Ch'  a  ciò  si  badi.  Or  è  d' oflrir  mestiero 
Sette  non  domi  ancor  giovenchi ,  e  sette 
Negre  pecore  elette.  E  ciò  spedito 
Tosto ,  come  s' impose ,  ejla  nel  tempio 
Seco  i  Teucri  condusse.  E  da  T  un  canto  fiO 

Do  r  eubolca  rupe  un  antro  immenso 


'*«t  ' 


LIBRO  SESTO  157 


Che  nel  monte  penetra.  Hawi  d'intorno 

Cento  vie ,  cento  porte  ;  e  cento  voci 

K  escono  insieme  allor  che  la  Sibilla 

Le  sue  risposte  intuona.  Era  a  la  soglia  65 

n  padre  Enea ,  quando  ,  Ora  è  '1  tempo  (disse 

La  Vergine  )  :  df ,  di'  ;  chiedi  tue  sorti  : 

Ecco  lo  Dio  eh'  è  già  comparso  e  spira. 

Ciò  dicendo ,  de  l'antro  in  su  la  bocca 

In  più  volti  cangiossi  e  'n  più  colori  ;  70 

Scompigliossi  le  chiome  ;  aprissi  il  petto  ; 

Le  batte  '1  fianco,  e  *1  cor  di  rabbia  1'  arso. 

Parve  in  vista  maggior  :  maggior  il  tuono 

Fu  che  d'  umana  voce  ;  e  poiché  '1  ISume 

Più  le  fu  presso  ,  A  che  badi ,  soggiunse  ,  75 

Figlio  d' Anchise  ?  Se  non  di* ,  non  s'  apro         6i 

Questa  di  Febo  attonita  cortina. 

E  qui  si  tacerne.  Orror  per  1'  ossa  e  gelo 

Corse  allor  de'  Trojani ,  e  '1  teucro  duce 

Infln  da  1*  imo  petto  orò ,  dicendo  :  80 

Febo ,  la  cui  pietà  mai  sempre  a  Troja 
Fu  propizia  e  benigna ,  onde  di  Pari 
Già  reggesti  la  man ,  drizzasti  il  telo 
Contro  al  corpo  d'  Achille  ;  io  dal  tuo  lume 
Scorto  fin  qui  tanto  di  mare  ho  corso,  85 

Tante  terre  ho  girate ,  a  tanti  rischi 
Mi  son  esposto  ;  insino  a  le  remote 
Massile  genti ,  insin  dentro  a  le  Sirti 
Son  penetrato  ;  ed  or  ,  pur  tua  mercede  , 
Di  questa  fuggitiva  Itaha  il  lito  90 

Ecco  ho  già  tocco ,  e  ci  son  giunto  al  fino.        ei 
Ah  che  questo  sia  il  fine,  e  qui  rimanga 
L'infortunio  di  Troja!  È  tempo  omaì, 
Dii  tutti  e  Dee ,  cui  la  dàrdania  gente 
Unqua  fece  onta ,  che  pcrrlono  e  pace  95 

Le  concediate.  E  tu ,  Vergine  santa 
Del  futuro  presaga ,  or  ne  dimostra 
Il  seggio  e  1  regno  che  ne  danno  i  fati 
(  Se  pur  ne  '1  danno  )  ove  i  Trojani  afflitti , 
Ove  di  Tro^a  i  tra  variati  Numi , 
E  i  dispersi  Penati  alberghi  e  posi  ; 
Ch'  allor  di  saldo  marmo  a  Trivia ,  a  Febo 
Ergerò  tempj ,  e  del  suo  nome  i  ludi 
Consacrerogli ,  e  i  di  fosti  e  solenni. 
Ed  ancor  tu  nel  nostro  regno  avrai  105 

Sacri  luoghi  reposti ,  ove  serbati  7i 

Per  lumi  e  specchi  a  le  futiu'e  genti 
Da  venerandi  a  ciò  patrizj  eletti 


100 


ENEIDE 


Saranno  i  dotti  e  ì  vaticinj  tuoi. 

Quel  che  prima  ti  chieggio  è  che  1  tuoi  carmi        110 

S' odan  per  la  tua  lingua ,  e  non  clic  in  foglie 

Sian  da  te  scritti ,  onde  ludibrio  poi 

Sian  di  rapidi  venti.  E  più  non  disse. 

Ella  già  presa,  ma  non  doma  ancora 
Dal  febeo  nume,  per  di  sotto  trarsi  115  ** 

A  si  gran  salma ,  quasi  poltra  e  fiera  ^ 

Scapestrata  giumenta ,  per  la  grotta  • 

Imperversando  e  mugolando  andava.  S 

Ma  com*  più  si  scotea ,,  più  dal  ffran  Dio 
Era  affrettata,  e  le  rabbiose  labbia  120 

E  l'efferato  core  al  sMo  mistcrio 
Più  mansueto  e  più  vinto  rendea. 
Eran  da  lor  già  de  la  erotta  aperte 
Le  cento  porte ,  allor  cn'  ella  gridando 
Così  manaò  la  sua  risposta  a  V  aura  :  125 

Compiti  son  del  mar  tutti  i  pericoli  ;  ss 

Restan  quei  de  la  terra ,  che  terribili 
Saran  veracemente  e  formidabili. 
Verranno  i  Teucri  al  regno  di  Lavinio  : 
Di  ciò  t'affido.  Ma  ben  tosto  d'esservi  130 

Si  pentiranno.  Guerre  ,  guerre  orribili 
Sorger  ne  veggio ,  e  pien  di  sangue  il  Tevere. 
Sarawi  un  altro  Xanto ,  un  altro  Simoi , 
Altri  Greci,  altro  Achille  che  progenie 
Ancor  egli  è  di  Dea.  Giuno  implacabile  135 

Allor  più  ti  sarà ,  che  supplichevole 
Andrai  d' Italia  a  quai  non  terre ,  o  popoli 
D' aita  mendicando  e  di  sussidii  ? 
E  fian  di  tanto  mal  di  nuovo  ori^e 
D' esterna  moglie  esterne  sponsalizie.  140 

Ma'l  tuo  cor  non  paventi,  anzi  con  l'animo 
Supera  le  fatiche  e  gì'  infortunii  ; 
Che  tua  salute  ancor  da  terra  argolica 
(  Quel  che  men  credi  )  avrà  lume  e  principio. 

Questi  intricati  e  spaventosi  detti  145 

Dal  più  reposto  loco  alto  mugghiando,  os 

La  cuipea  profetessa  empiea  lo  speco 
D'  orribil  tuoni  :  e  come  il  suo  furore 
Era  da  Febo  raffrenato  o  spinto , 
0  dal  suo  raggio  avea  barbaglio  o  lume ,  150 

Così  miste  le  tenebre  col  vero 
Sciogliea  la  lingua,  e  disgombrava  il  petto. 

Poiché  la  fùria  e  la  rabbiosa  bocca 
Quetossi ,  Enea  ricominciando  disse  : 
Vergine ,  a  me  nulla  0i  mostra  ornai  155 


1 


LIBRO  SESTO  159 


Faccici  né  di  fatica  né  d' affanno ,  i04 

Che  mi  sia  nuova,  o  non  pensata  in  prima. 

Tutto  ho  previsto ,  tutto  ho  presentito , 

Che  da  te  m' è  predetto  ;  e  tutto  io  sono 

A  soffrir  preparato.  Or  sol  ti  chieggo  160 

(  Poscia  cne  qui  si  dice  esser  V  intrata 

De'  regni  inferni ,  e  d' Acheronte  il  lago  ) 

Che  per  te  quinci  nel  cospetto  io  venga 

Del  mio  diletto  padre  ;  e  tu  la  porta , 

Tu'l  sentier  me  ne  mostra,  e  tu  mi  guida.  165 

Io  lui  dal  foco  e  da  miir  armi  infeste 

Tratto  ho  di  mezzo  a  le  nimiche  schiere 

Su  queste  spalle  ;  ed  ei  scorta  e  compagno 

Del  mio  viaggio  e  del  mio  esigilo,  meco 

I  perigli,  i  disagi  e  le  tempeste  170 

Del  mar,  del  cielo  e  de  l'età  soflElpendo, 

Veglio,  debile  e  stanco  ha  me  seguito; 

Ed  egli  stesso  m*  ha  nel  sonno  imposto 

Che  a  te  ne  venga,  e  per  tuo  mezzo  a  lui 

Mi  riconduca.  Abbi  pietà ,  ti  priego  ,  175 

E  del  padre  e  del  figlio;  ed  ambi  insieme        ii 

Come  puoi  ( che  puoi  tutto) ,  or  ne  congiungi: 

Ch'  Ecate  non  inoarno  a  (meste  selve 

T' ha  d' Averne  preposta.  Il  tracio  Orfeo 

(  Sola  mercè  de  la  sonora  cetra  )  180 

Scender  potewi ,  e  richiamarne  in  vita 

L' amata  donna.  Ne  potè  Polluce 

Ritrarre  il  frate ,  ed  a  vicenda  seco 

Vita  e  morte  cangiando  irvi  e  redirvi 

Tante  fiate.  Andovvi  Teseo  ;  andowi  185 

n  grande  Alcide  ;  ed  ancor  io  dal  cielo 

Traggo  principio ,  e  son  da  Giove  anch'  io. 

Cosi  pre&;ando  avea  le  braccia  avvinte 
Al  sacro  altare ,  allor  che  la  Sibilla 
A  dir  riprese  :  Enea  germe  del  cielo ,  190 

Lo  scender  ne  T  Averne  è  cosa  agevole;  i25 

Che  notte  e  di  ne  sta  V  entrata  aperta  :  ^^^z,^ 
Ma  tornar  poscia  e  riveder  le  stelle, |l  ^^ 
Qui  la  fatica  e  (jui  V  opra  consiste. 
Questo  a  pochi  e  concesso ,  ed  a  quei  pochi  195 

Gh*  a  Dio  son  cari ,  o  per  uman  valore 
Se  ne  poggiano  al  cielo.  A  questi  è  dato 
Qome  a'  Celesti  II  loco  tutto  in  mezzo 
E  da  selve  intricato ,  e  da  negre  acque 
De  r  infornai  Cocito  intorno  è  cinto.  200 

Ma  se  tanto  disio,  se  tanto  amore 
T' invoglia  di  veder  due  volte  Stige 


V»^\». 


£lfEn)9 


E  due  volte  l'abisso,  e  sofirir  osi 

Un  cosi  grave  affanno  ;  odi  che  prima 

Oprar  convientL  È  ne  la  selva  opaca 

Tra  valli  oscure  e  dense  ombre  riposto 

E  ne  r  arbore  stesso  un  lento  ramo 

Con  foglie  d' oro ,  il  cui  tronco  è  sacrato 

A  Giuno  inferna;  e  chi  seco  divelto 

Questo  non  porta ,  ne'  secreti  regni 

Penetrar  di  Plutone  unqua  non  potè. 

Ciò  la  bella  Pròserpina  comanda, 

Che  per  suo  dono  u  chiede;  e  svelto  l'uno 

Tosto  r  altro  risorge ,  e  parimente 

Ha  la  sua  verga  e  le  sue  chiome  d' oro. 

Entra  nel  bosco,  e  con  le  luci  in  alto 

Lo  cerca,  il  trova,  e  di  tua  man  lo  sterpa; 

Ch'agevolmente  sterperassi,  quando 

Lo  ti  consenta  il  fato.  In  altra  guisa 

Né  con  man  nò  con  ferro  né  con  altra 

Umana  forza  mai  Ila  che  si  schianti, 

O  che  si  tronchi  Oltre  di  ciò  nel  lito 

(Mentre  qui  badi  e  la  risposta  attendi  ) 

Giace,  lasso!  d'un  tuo,  cne  tu  non  sai, 

Disanimato  e  non  sepolto  un  corpo 

Che  tutti  rende  i  tuoi  legni  funesti. 

A  c[uesto  procurar  seggio  e  sepolcro 

Pria  converratti.  Or  per  sua  purga  in  prima 

Negre  pecore  adduci ,  e  'n  cotal  guisa 

Vedrai  gli  elisj  campi  e  i  stigj  regni , 

Cui  vedere  a'  mortali  anzi  a  la  morte 

Non  è  concesso.  E  qui  la  bocca  chiuse. 

Enea  gli  occhi  abbassando  afflitto  e  mesto 
De  r  antro  uscio ,  tra  se  stesso  volgendo 
L'oscure  profezie.  Giva  con  lui 
Il  fido  Acato,  e  con  lui  parimente 
Traea  pensieri  e  passi.  Erano  entrambi 
Ragionando  in  pensar  di  qual  amico. 
Di  qual  corpo  insepolto  ella  parlasse , 
Che  coprir  si  dovesse;  allor  che  giunti 
Nel  secco  lito  in  su  l' arena  steso 
Vi'^ler  Miscno  indegnamente  estinto; 
Miseno  il  figlio  d' Eolo ,  che  araldo 
Era  supremo,  e  col  suo  fiato  solo 
Possente  a  suscitar  Marte  e  Bellona. 
Era  costui  del  grand'  Ettor  compagno , 
E  de'  più  segnalati  intomo  a  lui 
Combattendo  or  la  tromba  ed  or  la  lancia 
Adoperala  ;  e  poi  che  1  Aero  Achilia 


205 


210 


215 


144 


220 


225 


230 


154 


235 


240 


245 


LIBRO  SESTO  .161 


Ettore  ancise,  come  ardito  e  fido  250 

Seguì  Tarme  d'  Enea;  che  non  fti  punto  iti 

Inferiore  a  lui.  Stava  sul  mare 

Sonando  il  folle  con  Tritone  a  gara, 

Quando  da  lui ,  eh'  aschio  sentinnò  e  sdégno , 

TSe  creder  dessi  )  insidiosamente  255 

Tratto  giù  da  lo  scoglio,  ov*  era  assiso , 

Fu  ne  r  onde  sommerso.  Al  corpo  intornb 

Convocati  ^ià  tutti,  amaro  pianto 

Ed  alte  strida  insieme  ne  gittaro  ; 

E  più  de  gli  altri  Enea.  Poscia  seguendo  t6Q 

Quel  eh*  era  lor  da  la  Sibilla  imposto,  «70 

Gli  apprestaron  1*  esequie.  Entrar  nel  bosco 

Di  fere  antico  albergo;  ed  elei  ed  orni 

E  frassini  atterrando,  alzar  gli  ^tari, 

Poser  la  tomba,  fabbricar  la  pira ,  «65 

E  la  spinsero  al  cielo.  Il  frigio  duce 

Fra  le  sue  schiere  di  bipenne  armato 

A  par  de  gli  altri,  e  più  di  tutti  ardente 

Di  propria  mano  adoperando,  a  V  opra 

Esortava  i  compagni;  e  fra  se  stesso  270 

Pensoso,  inverso  u  bosco  il  guardo  intèso, 

Cosi  pregava  :  Oh  se  quel  ramo  d'  oro 

Ne  si  scoprisse  in  questa  selva  intanto, 

Come  n'  ha  la  Sibilla  (  oimè  )  pur  troppo 

Di  te,  Miseno,  annunziato  il  vero!  275 

Ciò  disse  appena,  ed  ecco  da  traverso 
Due  colombe  venir  dal  ciel  volando, 
Ch'  avanti  a  lui  sul  verde  si  posàro. 
Conobbe  il  magno  eroe  le  messaggere 
De  la  sua  madre,  e  lieto  orando.  O  (  disse  )  280 

Siatemi  guide  voi  materni  augelli,  193 

S' a  ciò  sentier  si  trova  ;  ite  per  V  aura 
Drizzando  il  nostro  corso,  ov  è  de  l'ombra 
Del  prezioso  arbusto  il  bosco  opaco. 
E  tu,  madre  benigna,  in  si  dubbióso  285 

Passo,  del  lume  tuo  ne  porgi  aita.  • 

E  ciò  detto  fermossi.  Elle  pascendo. 
Andando,  saltellando,  a  scosse,  a  volo 
*  Quanto  rocchio  scorgea  dì  mano  in  mano 
Giunser  ove  d'Averne  era  la  bocca:  290 

E  '1  tetro  alito  suo  schivando,  in  alto 
Ratte  r  ali  spiegare,  e  dal  ciel  puro 
Al  desiato  loco  m  giù  rivolte 
Si  posar  sopra  a  la  gemella  pianta. 
Indi  tra  frondi  e  frondi  il  color  d' oro ,  295 

Che  diverso  dal  verde  uscia  raggiando  $  so4 

J>ai'Sneid9  U 


162  KKKIDA 


305 


Di  tremulo  splendor  V  aura  percosse. 

Come  ne*  boschi  al  brumai  tempo  suole 
Di  vischio  un  cesto  in  altrui  scorza  nato 
Spiegar  verdi  le  frondi  e  gialli  i  pomi,  300 

E  con  le  sue  radici  a  i  non  suoi  rami 
Abbarbicarsi  intorno  ;  cosi  'I  bronco 
Era  de  V  oro  avviticchiato  a  T  eleo , 
Ond'  era  surto,  e  così  lievi  al  vento 
Crepitando  movea  V  aurate  foglie. 
Tosto  che  *1  vide  Enea  di  piglio  dielli, 
E  disioso,  ancor  che  duro  e  valido 
Gli  sembrasse,  a  la  fin  lo  svelse,  e  seco 
A  l'indovina  Vergine  lo  trasse. 

Non  s' intermise  di  Miseno  in  tanto  310 

Condur  V  esequie  al  suo  cenere  estremo. 
E  primamente  la  gran  pira  estrutta. 
Di  pingui  tede  e  di  squarciati  roveri 
V  alzar  cataste  :  di  funeste  frondi 
D*atri  cipressi  ornAr  la  fronte  e  i  lati,  315 

E  piantar  ne  la  cima  armi  e  trofei.  tiò 

Parte  di  loro  al  fuoco,  e  parte  a  V  acque , 
E  parte  intorno  al  freddo  corpo  intenti , 
Chi  lo  spogliò,  chi  lo  lavò,  chi  l'unse. 

Poiché  fu  pianto,  in  una  ricca  bara  320 

Lo  collocare,  e  di  purpuree  vesti 
De'  suoi  più  noti  e  più  graditi  arnesi 
OHI  feron  fregi  e  mostre  e  monti  intorno. 
Altri  (pietoso  e  tristo  ministero) 
n  gran  feretro  a  gli  omeri  addossarsi;  3^5 

Altri,  com'è  de'  più  stretti  congiunti 
Antica  usanza ,  vòlti  i  volti  indietro 
Tenner  le  faci ,  e  dier  foco  a  la  pira  j 
E  gran  copia  d' incenso  e  di  liquori 
E  di  cibi  e  di  vasi  ancor  con  essi ,  ^^0 

Sì  come  è  V  uso  antico ,  entro  gittàrvL 

Poiché  cessar  le  fiamme ,  e'  ncenerissi 
n  rogo  e  '1  corpo ,  le  relinuie  e  1*  ossa 
Furon  da  Gorineo  tra  le  faville 
Ricerche  e  scelte ,  e  di  vin  puro  asperse  ;  335 

Poi  di  sua  mano  acconciamente  in  una 
Di  dorato  metallo  urna  riposte. 
Lo  stesso  Gorineo  tre  volte  intorno 
Con  un  rampollo  di  felice  oliva 


Spruzzando  di  chiar'  onda  i  suoi  compagni , 
Li  purgò  tutti ,  e'  1  vale  ultimo  disse. 
Oltre  a  ciò  léce  Enea  per  suo  sepolcro 
Ergere  un'  alta  e  sontuosa  molo , 


340 


229 


V.VrXO  SESTO  *■ -"'  163 


E  r  armi  e'  1  remo  e  la  sonora  tuba 

Al  monte  appeso ,  che  d' Aerio  il  nome  345 

Fino  allor  ebbe ,  ed  or  da  lui  nomato 

Miseno  è  detto,  e  si  dirà  mai  sempre. 

Ciò  finito ,  a  finir  quel  che  gli  impose 

La  profetessa,  incontanente  mosse. 

Era  un'  atra  spelonca ,  la  cui  bocca  350 

Fin  nel  baratro  aperta ,  ampia  vora^o 
Facea  di  rozza  e  di  scheggiosa  roccia. 
Da  negro  lago  era  difesa  intorno , 
E  da  selve  ricinta  annose  e  folte. 
Uscia  de  la  sua  bocca  a  V  aura  un  fiato ,  -  3">5 

Anzi  ana  peste  ,  a  cui  volar  di  sopra  2  io 

Con  la  vita  a  gli  uccelli  era  intercletto  : 
Onde  da'  Greci  poi  si  disse  Avemo. 

Qui  pria  quattro  giovenchi  Enea  condotti 
Di  negro  tergo ,  la  Sibilla  in  fronte  300 

Riversò  lor  di  vin  le  tazze  intere  ; 
E  da  ciascun  di  mezzo  le  due  coma 
Di  setole  ma^^giori  il  ciuflb  svelto , 
Die  per  saggio  primiero  al  santo  foco , 
Ecate  ad  alta  voce  in  ciò  chiamando,  305 

De  r  Èrebo  e  del  cicl  Nume  possente.  257 

Parte  di  lor  con  le  coltella  in  mano 
Le  vittime  svenando ,  e  parte  in  vasi 
Stava  il  sangue  accogliendo.  Egli  a  la  Notte 
Che  de  le  Furie  è  madre ,  ed  a  la  Terra  370 

Ch'è  sua  sorella,  con  la  propria  spada 
Di  negro  vello  un'  agna ,  ed  una  vacca 
Storila  a  te,  Proserpina,  percosse. 
Poscia  a  r  imjierador  do'  regni  inferni 
Notturni  altari  ergendo ,  i  tauri  interi  575 

Sopra  a  le  fiamme  impose ,  e  di  pingue  olio 
Le  bollenti  lor  viscere  conspcrse. 

Ed  ecco  a  1'  apparir  del  primo  sole 
Mugghiò  la  terra,  si  crollare  i  monti, 
Si  sgominar  le  selve ,  urlar  le  furie  5?»0 

Al  venir  de  la  Dea.  Via ,  via  profani , 
Gridò  la  profetessa  ;  itene  lunge 
Dal  bosco  tutto  :  e  tu  meco  te  n'  entra , 
E  la  tua  spada  impugna.  Or  d'  uopo ,  Enea , 
Fa  d'  animo  e  di  cor  costante  e  fermo.  383 

Ciò  disse  ;  e  da  furor  spinta  ,  con  lui , 
Ch'adeguava  i  suoi  passi  arditamente  y  _ 
Si  mise  dentro  a  le  scerete  cose./      2^^"^ 
,    O  Dii ,  che  sopra  l' alme  impLMio  avete , 
0  tacit'  ombre ,  o  Fieuetoato  ,  o  Cao ,  390 


► 


i04  -.  fiNBIDB 

0  ne  la  notte  e  nel  silenzio  eterno  tos 
Luoghi  sepolti  e  bui ,  con  pace  vostra 

Siami  (ii  rivelar  lecito  a'  vivi 

Quel  eh'  ho  de'  morti  udito.  Ivan  per  entro 

Le  cieche  §^otte,  per  gli  oscuri  e  voti  395 

Regni  di  Dite  ;  e  sol  d'  errori  e  d'  ombre 

Avean  rincontri.  Come  chi  per  selve 

Fa  notturno  viaggio,  allor  che  scema 

La  nuova  luna  e  da  le  nubi  involta, 

E  la  grand'  ombra  del  terrestre  globo  400 

Priva  di  luce  e  di  color  le  cose. 

Nel  primo  entrar  del  doloroso  regno 
Stanno  il  Pianto ,  l' Angoscia  e  le  voraci 
Cure  e  i  pallidi  Morbi  e  '1  duro  Affanno 
Con  la  doDil  Vecchiezza.  Ewi  la  Tema ,  405 

Ewi  la  Fame  :  una  eh'  è  freno  al  bene  ;  t75 

L' altra  stimolo  al  male  :  orrendi  tutti 
E  spaventosi  asnettl  Hawi  il  Disagio, 
La  Povertà ,  la  Morte ,  e  de  la  Morte 
Parente  il  Sonno.  Hawi  de'  cor  non  sani  410 

Le  non  sincere  Gioje.  Hawi  la  Guerra 
De  le  genti  omicida ,  e  de  le  Furie 

1  ferrati  covili ,  il  Furor  folle , 

L'empia  Discordia  che  di  serpi  ha'l  crine, 

E  di  sangue  mai  sempre  il  volto  intriso.  415 

Nel  mezzo  erge  le  braccia  annose  al  cielo 
Un  olmo  opaco  e  grande ,  ove  si  dice 
Che  s'  annidano  i  Sogni ,  e  eh'  ogni  fronda 
V  ha  la  sua  vana  immago  e'I  suo  fantasma. 
Molte  oltre  a  ciò  vi  son  di  varie  fere  420 

Mostruose  apparenze.  In  su  le  porte  t85 

I  biformi  Centauri ,  e  le  biformi 
Due  Scille  :  Briareo  di  cento  doppj  : 
La  Chimera  di  tre,  che  con  tre  bocche 

II  foco  avventa  :  il  gran  serpe  di  Lema  425 
Con  sette  testo  :  e  con  tre  corpi  umani 

Erilo  e  Gè  rione  ;  e  con  Medusa 

Le  Gorgoni  sorelle  ;  e  l' empie  Arpie 

Che  son  vergini  insieme ,  augelli  e  cagne. 

Qui  preso  Enea  da  subita  paura  430 

Strinse  la  spada ,  e  la  sua  punta  volse  .  ««o 

Incontro  a  1  ombre  ;  e  se  non  eh'  ombre  e  vite 

Vote  de'  corpi  e  nude  forme  e  lievi 

Conoscer  ne  le  fé'  la  saggia  guida , 

Avrebbe  impeto  fatto,  e  vanamente  439 

In  vane  cose  ar.lir  mostro  e  valore. 

Quinci  presor  la  via  là'  ve  si  varca 


LIBRO  SES^O  iCÒ 


Il  tartareo  Acheronte.  Un  fìume  è  questo 

Fangoso  e  torbo ,  e  fa  gorgo  e  vorago , 

Che  bolle  e  frange,  e, col  suo  negro  loto  HO 

Si  devolve  in  Gocito.  È  guarUano 

E  passeggioro  a  questa  riva  imposto 
f  Caron  Demonio  spaventoso  e  sozzo , 
j  A  cui  lunga  dal  mento ,  incolta  ed  irta 

Pende  canuta  barba.  Ha  gli  occhi  accesi  445 

Come  di  bragia.  Ha  con  un  groppo  al  collo 

Appeso  un  lordo  ammanto ,  o  con  un  palo , 

Cne  gli  fa  remo ,  e  con  la  vela  reggo 

L' amimicato  legno ,  onde  tragitta 

Su  l'altra  riva  ognor  la  gente  morta.  450 

Vecchio  è  d'aspetto  e  d'anni^  ma  di  forzo, 

Come  Dio ,  vigoroso  e  verde  e  sempre. 
A  questa  riva  d'ogn' intorno  ognora 

D'  ogni  età ,  d' ogni  sesso  e  d'  ogni  grado 

A  schiere  si  traean  1'  anime  spente,  455 

£  de*  figli  anco  innanzi  a' padri  estinti  sos 

Non  tante  foglie  ne  1'  estremo  autunno 

Per  le  selve  cader ,  non  tanti  augelli 

Si  veggon  d'alto  mar  calarsi  a  terra, 

Quando  il  freddo  li  caccia  a  i  liti  aprichi,  460 

Quanti  eran  questi.  I  primi  avanti  orando 

Chiedean  passaggio ,  e  con  le  sporte  mani 

Mostravano  il  disio  de  V  altra  npa. 

Ma'l  severo  nocchiero  or  questi  or  quelli 

Scegliendo  o  rifiutando ,  una  gran  parte  465 

Lungo  tenea  dal  porto  e  da  l' arena. 
Enea  la  moltitudine  e'  1  tumulto 

Maravigliando,  Ond'è,  Vergine  (disse), 

Questo  concorso  al  fiume?  e  qua!  disio 

Mena  quest'  alme  ?  e  oual  grazia ,  o  divieto  470 

Fa  che  queste  dan  volta,  e  quelle  approdano  ?  8i9 
A  ciò  la  profetessa  brevemente 

Cosi  rispose  :  Enea ,  stirpe  divina 

Veracemente  (che  di  ciò  n'  accerta 

n  qui  vederti)  là  Gocito  stagna;  475 

Quinci  va  Stige ,  la  palude  e'  1  nume 

Per  cui  di  spergiurar  fino  a  gli  Dei 

Del  cielo  è  formidabile  e  tremendo. 

Questi  è  Caronte  il  suo  tristo  nocc^iliero: 

Quella  turba  che  passa ,  è  de'  e^polti  :  480 

Questa  che  torna ,  è  de'  m.^schinf  estinti 

Che  nò  tomba ,  ne  lagrime ,  nò  polve 

Ebber  morendo.  A  lor  non  ò  concesso 

7rajettar  queste  ripe  e  questo  fiume , 


i6ft  ENCIBE 


Se  pria  Y  ossa  non  han  seg^o  e  coverchio.  485 

Erran  cent'anni  vagolando  intorno 

A  qpiesti  liti ,  e'  1  desiato  stagno 

Visitando  sovente ,  infin  eh'  al  passo 

Non  sono  ammessi.  Enea  di  ciò  pensando, 

Mosso  a  pietà  de  la  lor  sorte  iniqua ,  490 

Permessi;  ed  ecco  incontro  gli  si  fanno  zz% 

Mesti ,  d' esequie  privi  e  di  sepolcro 

Leucaspi ,  e'  I  conduttor  de'  Licii  Oronte , 

Ambi  Trojani,  ambi  dal  vento  insieme 

Co  i  Licii  tutti ,  e  con  l' intera  nave  495 

Nel  mar  sommersi  Appresso,  Palinuro 

Il  gran  nocchier  de  la  troiana  armata, 

Che  dianzi  nel  tornar  di  Libia ,  il  cielo 

E  le  stelle  mirando ,  in  mar  fu  tratto. 

A  costui  si  rivolse  ;  e  poiché  V  ebbe  500 

Per  entro  ima  grand' ombra  appena  scorto, 

Così  prima  gli  disse  :  0  Palinuro , 

E  qual  fu  de  gli  Dei  eh'  a  noi  ti  tolse. 

Ed  a  r  onde  ti  diede  ?  Or  lo  mi  conta  : 

Che  deluso  da  Febo  unqua  non  ftii ,  505 

Se  non  se  In  te.  Febo  predisse  pure  s 

Che  tu  nosco  del  mar  securo  e  salvo 

Italia  attingeresti  Ah  dunque  un  Dio, 

E  Dio  del  vero  in  tal  guisa  ne  froda? 

Rispose  Palinuro:  Inclito  Duce,  510 

Né  r  oracol  d*  Apollo  ha  te  deluso , 
Né  r  ira  ha  me  di  Dio  nel  mar  sommerso  ; 
Che'  1  temone ,  ond'  io  mai  non  mi  divelsi 
Per  tua  salute ,  ancor  per  man  ritenni 
Allor  eh'  in  mar  io  caddi  Io  giuro ,  Enea ,  5i5 

Per  r  onde  irate ,  che  di  me  non  tanto , 
Quanto  del  tuo  periglio  ebbi  timore , 
Che  non  la  nave  tua  del  mio  governo 
Spogliata  e  del  suo  freno  ai  mar  ^à  gonfio 
Restasse  in  preda.  Austro  tre  notti  intere  520 

Con  la  sua  correnzia  per  V  ampio  mare 
Mi  trasse  a  forza.  11  quarto  giorno  appena 
Discoverta  l' Italia ,  a  poco  a  poco 
M' accostava  a  la  terra  ;  e  giunto  ornai 
Così  com'  era  ancor  di  veste  grave ,  525 

E  stanco  e  molle  con  l' adunche  mani  859 

M' aggrappava  a  la  ripa ,  e  salvo  fora  ; 
Se  non  cne  ignara  e  fera  gente  incontro, 
Ctem'a  preda  marina,  mi  si  fece, 
E  corforro  m' ancise.  Or  lungo  a  i  liti  530 

Vasscne  il  corpo  mio  ludibrio  a'  yenti  1 


LIBRO  SESTO  167 


E  scherzo  a'  flutti.  Ed  io ,  signoro  invitto , 

Per  la  superna  luco  ,  per  queir  aura , 

Ondo  si  vive ,  per  tuo  padre  Anchise , 

Per  lo  speranze  del  tuo  figlio  Julo,  535 

Priegoti  a  sovvenirmi:  o  che  di  terra 

Mi  copra  (  come  puoi  )  cercando  il  corpo 

Per  la  spiaggia  di  Velia,  o  in  altra  guisa, 

S' altra  no  ti  sovviene ,  o  ti  si  mostra 

Da  la  tua  diva  Madre  ;  che  non  senza  540 

Nume  divino  un  tal  passa^J^gio  imprendL  j67 

Porgimi  la  tua  destra ,  e  tcco  trammi 

Oltre  a  queir  acque,  perchè  morto  almeno 

Pace  trovi  e  riposo.  Avea  ciò  detto, 

Quando  cosi  la  Vergine  rispose  :  545 

Ah  Palinuro,  e  qual  dira  follia 
A  ciò  t'invoglia?  ^on  sepolto  adunque 
L' acque  di  Stigc ,  e  la  severa  foce 
Trajettar  de  V  Eumenidi  presumi  ? 
Tu  di  qui  trarti  a  1'  altra  riva  intendi  550 

Senza  commiato?  Indarno,  indarno  speri 


quelle 

Vicine  al  luogo ,  ove  il  tuo  corpo  giace ,  555 

Da  pestilenza  e  da  prodigi  astrette 
Lo  raccorranno ,  e  con  solenne  rito 
Gli  faran  sacrificj ,  esequie  e  tomba  ; 
E  da  te  per  innanzi  avrà  quel  loco 
Di  Palinuro  eternamente  il  nome.  500 

Lieto  d' un  tanto  onore ,  e  consolato 
Da  tale  annunzio  il  travagliato  spirto 
Restò  contento  ed  appagato  in  parte. 

Indi  il  cammln  seguendo ,  a  la  riviera 
S' approssimare  ;  e  il  passeggier  da  lunga  »  565 

Poiché  senza  far  motto  entro  a  la  selva  M4 

Passar  gli  vide  e  indirizzarsi  al  vado , 
O  là,  ferma  costi  (disse  gridando), 
Qoal  che  tu  sei ,  eh'  al  nostro  fiume  armato 
Ten  vai  si  baldanzoso ,  e  di  costinci ,  570 

Di'  chi  sei,  miei  che  cerchi,  e  perchò  vieni: 
Che  notte  solamente  e  sonno  ed  ombro 
Han  qui  ricetto ,  e  non  le  genti  vive , 
Cui  di  varcare  al  mio  legno  non  lece. 
E  s' Ercole  e  Teseo  e  Piritoo  676 

Già  v'  accettai ,  scorno  e  dolore  io  n^ebU  ; 
Che  r  un  d*  essi  il  tartareo  custode 
Incatenowi ,  e ,  di  sotto  anco  al  seggio 


1 

r 


i 


168  smnm 

t 

Del  proprio  re,  tremante  a  Taiira  il  trasse; 

E  gli  aUri  infln  dal  maritale  albergo  580 

Rapir  di  Dite  la  regina  osaro. 

filila  di  queste  insidie  (  gli  rispose 
La  profetessa  )  a  macchinar  si  viene* 
Stanne  sicuro;  e  <niest*arme  a  difesa 
Si  portan  solamente ,  e  non  ad  onta.  585 

Spaventi  il  can  trifauce  a  suo  dilotto 
Le  pallid'  ombre  :  eternamente  latri 
Ne  r  antro  suo  :  col  suo  marito  e  zio 
SI  stia  casta  Proscrpina  mai  sempre, 
Che  di  nulla  ce'n  cale.  Enea  trojano  590 

È  questi  di  pietà  famoso  e  d' armi , 
Che  per  disio  del  padre  infino  al  fondo 
De  r  Èrebo  discende  ;  e  se  V  esempio 
Di  tanta  carità  non  ti  commove, 
Questo  almen  riconoscL  E  fuor  del  sen  505 

D'oro  il  tronco  traendo,  altro  non  disse. 

Ei  rimirando  il  venerabil  dono 
De  la  verga  fatai  già  di  gran  tempo 
Non  veduto  da  lui,  r orgoglio  e  r  ira 
Tosto  depose ,  e  la  sma  negra  cimba  600 

A  lor  rivolse ,  e  ne  la  ripa  stette.  4  io 

Indi  i  banchi  sgombrando  e'I  legno  tutto, 
V  anime ,  che  già  dentro  erano  assise , 
Con  subito  scompiglio  uscir  ne  fece, 
E  'i  grand'  Enea  v*  accolse.  Allor  ben  d' altro 
Parve ,  che  d' ombre  carco  ;  e  si  com'  era 
Mal  contesto  é  scommesso,  cigolando 
Chinossi  al  peso,  e  più  d'una  fìssura 
A  la  palude  aperse.  Al  fin  pur  salvi 
Ne  r  altra  ripa ,  tra  le  canne  e  i  giunchi  610 

Sul  palustre  suo  limo  ambi  gli  espose. 

Giunti  che  furo ,  il  gran  Cerbero  udirò 
Abbajar  con  tre  gole ,  e  '1  bujo  regno 
Intonar  tutto;  inm  in  un  antro  immenso 
Sei  vider  pria  giacer  disteso  avanti ,  615 

Poi  sorger ,  digrignar  ^  rabido  farsi ,  4i8 

Con  tre  colli  arrufifarsi,  e  mille  serpi 
Squassarsi  intomo.  Allor  la  saggia  maga, 
Tratta  di  mele  e  d' incantate  biade 
Una  tal  soporifera  mistura,  620 

La  gittò  dentro  a  le  bramose  canne. 
Egh  ingordo ,  famelico  e  rabbioso 
Tre  bocche  aprendo  per  tre  gole  al  ventro 
Trangu^ando  mandcula ,  e  con  sei  lumi 
Chiusi  dal  sonno ,  anzi  col  corpo  tutto  025 


605 


i 


libuo  sèsto  -^-      Itó 


Giacque  ne  Y  antro  abbandonato  e  vinto. 

Cerbero  addormentato,  occupa  Enea 
D' Èrebo  il  passo,  e  ratto  s'allontana 
Dal  fiumQ ,  cui  chi  varca  unqua  non  ziode. 

Sentono  al  primo  entrar  voci  e  vagiti  630 

Di  pargoletti  infanti  che  dal  latte  a%ò 

E  (fa  le  culle  acerbamente  svolti 
Vider  ne' primi  di  f  ultima  sera. 
Varcano  appresso  i  condannati  e  morti 
Senza  lor  colpa,  e  non  senza  compenso  633 

Di  ^udizio  e  di  sorti.  Han  cmelle  genti 
Cosi  disposti  e  divisati  i  locni. 
Sta  Minos  ne  l'entrata,  e  l'urna  avanti 
Tien  de'  lor  nomi ,  e  le  lor  vite  esamina 
E  le  lor  colpe;  e  quale  è  questa  o  quella»  640 

Tal  le  dà  sito ,  e  le  rauna  e  parte. 

Passan  di  mano  in  mano  a  quei  che  feri 
Incontro  a  se ,  la  luce  in  odio  avendo 
E  r  alme  a  vile ,  anzi  al  prescritto  giorno 
Si  son  da  loro  indegnamente  ancisL  645 

Ma  quanto  ora  vorrebbono  i  meschini 
Esser  di  sopra ,  e  povertà  vivendo 
SofEHre ,  e  de  la  vita  ogni  disagio  I 
Ma  '1  fiato  il  niega ,  e  nove  volte  intoma 
Stige  odiosa  li  ristringe  e  faccia.  650 

Quinci  non  lungo  si  distende  un'  ampia         48o 
Campagna  che  del  Pianto  è  nominata. 
Per  cui  fra  chiusi  colli  e  fra  solinghe 
Selve  di  mirti,  occulte  se  ne  vanno 
L'alme,  ch'ha  feramente  arse  e  consunte  655 

Fiamma  d' amor  eh'  ancor  ne'  morti  è  viva. 

Qui  vider  Fedra  e  Procri  ed  Eriflle 
Infida  moglie  e  sfortunata  madre , 
Di  cui  fu  parricida  il  proprio  figlio; 
Vider  Laodamia ,  Pasiie ,  Evadne ,  660 

E  Gen&o  con  esse,  che  di  donna 
In  uomo,  e  d' uomo  al  fin  can^ossi  in  donna. 

Era  con  queste  la  fenicia  Dino, 
Che  di  piaga  recente  il  petto  aperta 
Per  la  ^an  selva  spaziando  andava.  665 

Tosto  cne  le  fu  presso.  Enea  la  scorge 
Per  entro  a  l'ombre,  qual  chi  vede  o  crede 
Veder  tal  volta  infra  le  nubi  e'I  chiaro 
La  nova  luna  allor  che  i  primi  giorni 
Del  giovinetto  mese  appena  spunta  ;  ^0 

E  di  dolcezza  intenento  il  core  451 

Dolcemente  miroUa  e  piaiuse  e  dlsset 


170  ENEIDE 


Dunque,  Dirlo  infelice,  e' fa  pur  vera 
Queir  empia  che  di  le  novella  udii, 
Che  col  Jferro  Unisti  i  ^àorni  tuoi?  675 

Ah  ch'io  cagion  ne  fui!  Ma  per  le  stelle, 
Per  gli  superni  Dei ,  per  quanta  fede 
Ha  qua  giù ,  se  pur  v*  ha ,  donna ,  ti  giuro 
Che  mal  mio  grado  dal  tuo  lito  sciolsi. 
Fato,  fato  celeste,  imperio  espresso  C80 

Fu  del  ^ran  Giove,  e  quella  stessa  forza,         46 1 
Che  da  r  eterea  luce  a  questi  orrori 
De  la  profonda  notte  or  mi  conduce, 
Che  da  te  mi  divelse;  e  mai  creduto 
Ciò  di  me  non  avrei,  che  '1  partir  mio  685 

Caglon  ti  fosse  ond'  a  morir  ne  gissi. 
Ma  ferma  il  passo,  e  le  mie  luci  appaga 
De  la  tua  vista.  Ah  perchè  fuggi  ?  e  cui  ? 
Quest'  è  r  ultima  volta,  oimè  .'che  '1  fato 
Mi  dà  eh'  io  ti  favelli ,  e  teco  io  sia.  690 

Cosi  dicendo  e  lagrimando  intanto 
Placar  tentava ,  o  raddolcir  queir  alma , 
Ch'  una  sol  volta  disdegnosa  e  torva 
Lo  rimirò;  poscia  con  gli  occhi  in  terra, 
£  con  gli  omeri  volta ,  a  i  detti  suoi  605 

Stette  qual'alpe  a  l'aura,  o  scoglio  a  Tonde. 
Al  fin  mentre  dicea,  come  nimica 
Gli  si  tolse  davanti,  e  ne  la  selva 
Al  suo  caro  Sichèo,  cu|  fiamma  uguale 
E  par  cura  accendea,  si  ricondusse.  700 

Né  però  men  dolente,  o  men  pietoso  474 

Restonne  il  teucro  duce  ;  anzi  quant'  oltre 
Potè  con  gli  occhi,  e  lungo  spazio  poi 
Col  pianto  e  co  i  sospiri  accompagnoUa, 

Poscia  tornando  al  suo  fatai  viaggio  705 

Giunse  là  've  accampata  era  in  disparte 
Gente  di  ferro  e  di  valore  armata. 
Qui  '1  gran  Tidèo.  qui  '1  gran  figlio  di  Marte 
Partenopeo ,  qui  del  famoso  Adrasto 
La  palhd'  ombra  incontro  gli  si  fece.  710 

Quinci  de'  suoi  più  nobili  Trojani 
Un  gran  drappello  avanti  gli  comparvo. 
Pianse  a  veder  quei  gloriosi  eroi 
Tanto  di  sopra  disiati  e  pianti , 
Come  Glauco,  Tersiloco.  Medonte,  715 

I  tre  figli  d' Antenore  •  il  sacrato  488 

A  Cerere  ministro  Polìbete, 
E  *1  chiaro  Idèo  con  l' armi  anco  e  col  carrOt 
Fatto  gli  avean  coetor  obi  da  man  destra, 


libuo  SBSto  171 


Chi  da  sinistra  una  corona  intorno.  720 

Né  d' averlo  veduto  eran  contenti , 
Che  ciascun  desiava  essergli  appresso, 
Ragionar,  passeggiar,  far  seco  indugio, 
E  spiar  come  e  d  onde  e  perchè  venne. 

Ma  de  gli  Argivi  e  le  falangi  e  i  duci,  725 

Quand'  effii  apparve  e  che  tra  lor  ne  V  ombre 
I  lampi  folgorar  de  Y  armi  sue, 
Da  gran  timor  furo  assaliti  ;  e  parte 
Volser  le  terga,  come  già  fuggendo 
Verso  le  navi,  e  parto  alzar  le  voci  730 

Che  per  tema  sembrar  languide  e  fioche. 
DelfoDO  di  Priamo  il  gran  figlio 
Vide  ancor  qui,  che  crudelmente  anciso 
In  disonesta  e  miserabil  ^isa 
Avea  le  man ,  gli  orecchi ,  il  naso  e  *1  volto  735 

Lacerato,  mcischiato  e  monco  tutto.  49« 

Per  temenza  il  meschino  e  per  vergogna 
D' esser  veduto ,  con  le  tronche  braccia 
Un  si  brutto  spettacolo  celando , 
Indarno  si  facea  schermo  e  riparo;  740 

Che  alfin  lo  riconobbe,  e  con  T  usata 
Domestichezza  incontro  gli  si  fece 
Cosi  dicendo  :  Poderoso  eroe , 
Gran  germoglio  di  Teucro ,  e  chi  sì  crudo 
Fu  mai,  chi  tanto  osò,  cui  si  permise  745 

Che  facesse  di  te  strazio  si  fiero? 
1/  La  notte  cha  se^  V  orribil  caso 
De  la  nostra  ruma,  io  di  te  seppi 
Che  assaliti  i  nemici ,  e  di  lor  fatta 
Strage  che  memorabile  fia  sempre. 
Tra  le  caterve  de' lor  corpi  estmti 
Stanco  via  più  che  vinto  al  fin  cadestL 
Ed  allor  io  di  Reto  in  su  la  riva 
A  r  ombra  tua  con  le  mie  mani  un  voto 
Sepolcro  eressi,  e  te  gridai  tre  volte;  755 

E  1  nome  e  V  armi  tue  riserba  ancora  60« 

n  loco  stesso.  Io  te,  dolce  signore. 
Ne  veder,  né  coprir  di  patria  terra 
Avanti  al  mio  partir  mai  non  poteL 

Delfobo  rispose:  Ogni  pietoso  760 

Ogni  onorato  officio.  Enea  mio  caro, 
Ha  r  amor  tuo  ver  me  compito  a  pieno. 
Ma  r  empio  fato  mio ,  1*  empia  e  malvagia 
Argiva  donna  a  tal  m*  ha  qui  condotto  { 
E  tal  di  8Ò  lasciò  memoria  al  mondo.  765 

S^n  ti  ricorda  (e  ricordar  iòn  dei) 


750 


■  I 


172  fiNfilDfi 


Di  gneir  ultima  notte  che  si  lieta 

Mostrossi  in  pria ,  poi  ne  si  volse  in  pianto , 

Quando  il  fatai  cavallo  il  salto  fece 

Sopra  le  nostre  mura,  e  '1  yontrc  pieno  770 

D' armate  schiere  ne  votò  fin  dentro 

A  r  alta  rocca.  Allora  ella  di  Bacco 

Fingendo  il  coro,  e  con  le  frigie  donne 

Scorrendo  in  tresca,  una  gran  face  in  mano 

Si  prese,  e  die  con  essa  il  cerjno  a'  Greci.  775 

Io  dentro  alla  mia  camera  (infelice  !)  510 

Mi  ritrovai  sol  quella  notte  ;  e  stanco 

Di  tante  che  n*  avóa  con  tanti  affanni 

Vegghiate  avanti,'  un  tal  prendea  riposo 

Che  a  morte  più  qho  a  sonno  era  simile»  780 

Fece  la  buòna  mogUe  ogni  arme  in  tanto 

Sgombrar  di  casa,  e  la  mia  Ma  spada 

Mi  sottrasse  dal  capo.  Indi,  la  porta 

Aperse,  e  Menelao  dentro  v'accolse, 

Cosi  sperando  un  prezioso  dono  785 

Fare  al  marito ,  e  de*  suoi  f^li  antichi  526 

Riportar  venia.  Che  più  dico  ?  Basta 

Gir  entrar  là.'vMo  dormici:  e  con  essi  era 

l^er  consultore  Ulisse.  Q  Dii  »  se  giusto 

E  '1  priego  mio ,  ricompensate  voi  790 

Di  quest'opere  i  Greci.  E  tu  che  vivo 

Se'  qui,  dimmi  a  rincontro  il  caso  0  '1  fato 

O  r  errore  ó  '1  precetto  de  gli  Dei , 

O  qual  altra  fortuna  t' ha  condotto , 

Ove  il  sol  mai  non  entra,  e  biyo  è  sempre.  795 

Cosi  tra  lor  parlando  e  rispondendo , 
Avea  già  '1  sol  del  suo  cerchio  diurno 
Varcato  il  mezzQ ,  e  V  avria  forse  intero  ; 
Se  non  che  la  Sibilla  rampognando 
Cosi  li  fé'  del  breve  tempo  accorti  :  800 

Enea ,  già  notte  fistssi ,  e  noi  piangendo 
Gonsumiam  l' ore.  Ecco  slam  giunti  al  loco , 
Dove  la  strada  in  due  sentier  si  parte. 
Questo  a  man  dritta  a  la  città  ne  porta 
Del  gran  Plutone ,  e  quindi  a  i  campi  Elisi; 
Quest'altro  a  la  sinistra  a  l'empio  abisso 
Ne  guida,  ov' hanno  i  rei  supplizio  eterno* 

Il  fielio  a  ciò  di  Priamo  soggiunse: 
Non  ti  crucciare ,  0  del  gran  Delio  amica  t 
Gh'  or  or  da  voi  mi  tolgo,  e  mi  ritiro  810 

Ne  le  tenebre  mie.  Tu  nostro  onore  545 

Yatten  felice ,  già  che  scorto  sei 

Pa  miglior  &tO)  e  meglio  te  a*  aTrengat 


805 


LIBnO  SESTO  173 


Tanto  sol  disse,  e  sparve.  Enea  si  volse 

Prima  a  sinistra ,  e  sotto  un'  alta  rupe  815 

Vide  un'  ampia  città  che  tre  gironi 

A  vea  di  mura ,  ed  un  di  fiume  intorno  : 

Ed  era  il  fiume  il  negro  Flegetonte 

Ch'  al  Tartaro  con  suono  e  con  rapina 

L'  onde  seco  traea ,  le  fiamme  e  i  sassL  820 

Vede  nel  primo  incontro  una  gran  porta 

Gh*  ha  la  soglia,  i  pilastri  e  le  colonne 

D' un  tal  diamante ,  che  le  forze  umane , 

Né  de  gli  stessi  Dei  romper  noi  ponno. 

Quinci  si  spicca  una  gran  torre  m  alto  825 

Tutta  di  ferro.  A  guardia  de  l'entrata  554 

La  notte  e  '1  giorno  vigilando  assisa 

Sta  la  fiera  Tesifone  succinta , 

Gol  hraccio  ignudo ,  insanguinata  e  torva. 

Quinci  di  lai ,  di  pianti  e  ai  percosse  830 

E  di  strider  di  ferri  e  di  catene 

Cotale  un  suono  udissi,  che  spavento 

Enea  sentinne  ;  e  rattenuto  il  passo  ^ 

Dimmi,  Vergine  (disse) ,  e  che  delitti 

Son  qui  puniti?  e  che  pianti  son  questi?  835 

Ed  ella  :  Inclito  sire ,  a  nessun  lece  , 
Ghe  huono  e  giusto  sia,  di  portar  oltre 
Da  quella  soglia  scellerata  il  piede. 
Ma  me  di  ciò  che  dentro  vi  s  accoglie 
Écate  instrusse  allor  eh'  a  i  sacri  boschi  840 

Mi  prepose  d'  Averne  :  e  d' ogni  pena  501 

E  d*  ogni  colpa  e  d' ogni  loco  appieno , 
Quando  seco  vi  fui ,  notizia  diemmi 
Questo  è  di  Radamanto  il  tristo  regno , 
Là  dov*  egli  ode ,  esamina ,  condanna  845 

E  discopre  i  peccati  che  di  sopra 
Son  da  le  genti  0  vanamente  ascosi 
In  vita,  0  non  purgati  anzi  a  la  morte: 
Né  pria  di  Radamanto  esce  il  precetto, 
Ghe  Tesifone  è  presta  ad  eseguirlo.  850 

Ella  con  V  una  man  la  sferza  impugna , 
Ne  l'altra  ha  serpi;  ed  ambe  intorno  arrosta, 
E  grida  e  fere  e  de  le  sue  sorelle 
Le  mostruose  ed  empie  schiere  tutte 
Al  ministerio  de'  tormenti  invita.  855 

Apronsi  l' esecrate  orrende  porte 
Stridendo  intanto.  Tu ,  che  quinci  vedi 
Ghe  faccia  è  quella  che  di  fuor  le  guarda , 
Pensa  qual  a  veder  sia  dentro  un'idra 
Aucor  più  fiera  aprir  cinquanta  ingorde  860 


BNBIBfi 


Rabbiose  bocche,  n  Tartaro  vien  dopo ,  sra 

Una  Torago  che  due  volte  tanto 

fa  di  profondo ,  quanto  in  su  guardando 
da  la  terra  al  cielo  :  e  qui  ne  1*  imo 
Suo  baratro  dal  fùlmine  trafitti  805 

Son  gli  antichi  Titani  al  ciel  rubelli. 
Qui  vidi  ambi  d'Alòo  gli  orrendi  figli 
Che  scinder  con  le  mani  il  cielo  osaro, 
E  tor  lo  scettro  del  suo  regno  a  Giove. 
Vidivi  r  orgoglioso  Salmoneo  870 

Di  sua  temerità  pagare  il  fio  : 
Che  temerario  veramente  ed  empio 
Fu  di  voler ,  quale  il  Tonante  in  cielo , 
Tonar  qua  giuso  e  folgorare  a  prova. 
Questi  su  quattro  suoi  giunti  destrieri ,  875 

La  man  di  face  armato ,  alteramente 
Per  la  Grecia  scorrendo,  e  fin  per  mezzo 
D'  Elide ,  ov'  è  di  Giove  il  maggior  tempio , 
Di  Giove  stesso  il  nume ,  e  de  gli  Dei 
S' attribuiva  i  sacrosanti  onori.  880 

Folle,  che  con  le  fiaccole  e  co'  bronzi,  oso 

E  con  lo  scalpitar  de*  suoi  ronzoni 
I  tuoni ,  i  nembi  e  i  folgori  imitava 
Ch'  imitar  non  si  ponno  :  e  ben  fu  degno 
Ch'  ei  provasse  per  man  del  Padre  eterno  885 

D' altro  ftilmine  il  colpo  e  d'  altro  vampo 
Che  di  tede  e  di  fumo ,  e  degno  ancora 
Che  nel  baratro  andasse.  Bravi  Tizio, 
Quei  de  la  terra  smisurato  alunno , 
Che  tien  disteso  di  campagna  guanto  890 

Un  gioffo  in  nove  giorm  ara  di  buoi.  5M 

Questi  ha  sopra  un  famelico  avoltore 
Che  con  T  adunco  rostro  al  cor  d*  intorno 
Gli  picchia  e  rode  ;  e  perchè  sempre  il  pasca , 
Non  mai  lo  scema  si  che'l  pasto  eterno,  895 

Ed  etema  non  sia  la  pena  sua; 
Che  fatto  a  chi  lo  scempia  esca  e  ricetto , 
Del  suo  proprio  martir  s'avanza  e  cresci^ 
E  perchè  sempre  langua ,  unqua  non  more. 
De*^Lapiti  a  che  parlo  ?  d' Issione ,  900 

Di  Piritòo ,  e  di  quegli  altri  tutti , 
Cui  sopra  al  capo  un'atra  selce  pende 
Che  gravo  e  ramosa  ad  ora  ad  ora 
Sembra  che  caggia  ?  Hawi  la  mensa  d'  oro 
Con  preziosi  cibi  in  regia  guisa  905 

Apparecchiati  e  proibiti  insieme  : 
Cne  la  Fame ,  infornai  fUria  maggiore  » 


LIBRO  SS8T0  175 


Gli  siede  a  canto  ;  e  com*  più*  1  gusto  incende 

Di  Ini ,  più  dal  gustarne  indietro  il  traggo , 

E  sor^e ,  e  la  sua  face  estolle  e  Rrida.  910 

Quei  che  son  vissi  a  i  lor  fratelli  amari  :      «07 
Quei  eh*  han  battuti  i  padri  ;  quei  che  frodo 
Hanno  ordito  a*  clienti  ;  i  ricchi  avari , 
E  scarsi  a*  suoi ,  di  cui  la  turba  è  grande  ; 
Gli  uccisi  in  adulterio  ;  i  violenti  j  615 

Gr  infidi  j  i  traditori  in  onesto  abisso 
Han  tutti  i  lor  ridotti  e  le  lor  pene. 
E  che  pena  e  che  forma  e  che  fortuna 
Di  ciascun  sia ,  non  é  d' uopo  eh'  io  dica  : 
Ma  chi  sassi  rivolgono ,  e  chi  volti  920 

Son  da  le  ruote ,  ed  altri  in  altra  guisa 
Son  tormentatL  In  im  petron  confitto 
Vi  siede,  e  sederawi  eternamente 
Teseo  infelice  ;  e  Flegia  infelicissimo 
Va  tra  V  ombre  gridando  ad  alta  voce  :  925 

Imparate  d,a  me  voi  che  mirate  e  io 

La  pena  mia.  Non  violate  il  giusto. 
Riverite  gli  DeL  Tra  guesti  tali 
E  chi  vendè  la  patria;  chi  la  pose 
Al  giogo  de'  tiranni  ;  chi  per  prezzo  930 

Fece  leggi  e  disfece  ;  chi  da  stupro  . 
E  di  figlia  macchiato ,  o  di  sirocchia  : 
Tutti,  che  brutte  ed  empie  scelleranze 
Hanno  osato ,  o  commesso  ;  e  cento  lingue 
E  cento  bocche  e  voci  anco  di  ferro  935 

Non  basterian  per  divisare  i  nomi 
E  le  forme  de'  vizj  e  de  le  pene 
Ch'  entro  vi  sono.  Poi  che  la  Sibilla 
Ebbe  ciò  detto,  Via  (soggiunse),  attendi 
A  l'impreso  viaggio,  e  studia  il  passo;  940 

Che  già  le  mura  da'  ciclopi  cstrutte 
Mi  veggio  avanti  :  e  sotto  a  quel  grand'  apco 
La  sacra  porta  che'  1  tuo  dono  aspetta. 

Cosi  mossi  ambidue  lo  spazio  tutto, 
Ch'  era  nel  mezzo ,  per  sentiero  opaco  945 

Tosto  varcando ,  anzi  a  la  porta  furo.  ess 

Licontanente  Enea  l'intrata  occupa; 
Di  viva  acqua  si  spruzza  ;  e  '1  sacro  ramo 
A  la  regina  de  1*  inferno  afil^ge. 

Ciò  fatto ,  a  i  luoghi  di  letizia  pieni ,  950 

A  r  amene  verdure ,  a  le  giojose 
Contrade  de'  felici  .e  de'  beati 
Giunsero  al  fine.  E  questa  una  campagna 
Con  im  aer  più  largo ,  e  con  la  terra 


Che  di  un  Inrnc  iì  porpora  è  vestita ,    . 

Ed  ha  '1  flao  sole  o  lo  niiu  stelle  anch'  Alla. 

Qui  so  no  stan  lo  fortunate  genti , 

Parto  in  su'  prnti ,  e  parte  In  su  r  arfida 

Scorrendo ,  IntteSiìianilo ,  e  vari  giuocU 

Di  piacevo!  contesa  esercitando. 

Parte  in  musiche ,  in  feste ,  in  balli ,  In  suoni 

Se  ne  van  diportando,  ed  han  con  essi 

Il  tracio  Orfeo  ch'in  lungo  abito  e  sacro 

Or  con  le  dita,  ed  or  col  plettro  ebunloj 

Sette  nervi  diversi  insieme  uniti, 

Trajge  del  muto  legno  umani  accentL  8 

Qui  di  Teucro  l' antica  e  bella  raiEa 

Facea  soggiorno,  quei  famosi  eroi 

Che  in  quei  tempi  migliori  al  mondo  tanS, 

Eo,  Assaraco,  Dardano  ,  quei  ptiml 

De  la  gran  Troja  fondatori  e  rej^L 

Yeggon  da  lungo  le  vane  arme  e  i  carH 

A  lor  d' intorno ,  e  l' aste  in  terra  fisse, 

E  gli  sciolti  destrier  por  la  campagna 

Vagar  pascendo  :  che  'l  diletto  antico 

E  de  r  armi  e  do'  carri  e  de'  cavalli 

Gli  segue  anco  sotterra.  Indi  altri  altrOTB 

Scorgono ,  che  da  destra  e  da  sinistra 

Gonvivamio  e  cantando ,  sopra  1'  orba 

Si  stanno  assisi ,  ed  han  dì  lauri  intomo 

Un  odoralo  bosco,  oniio  il  Po  sorge 

Sopra  la  terra,  e  spazioso  Inonda. 

E  questi  eran  color  che  combattendo 
Non  nir  di  sangue  a  la  lor  patria  avari; 
E  quei  che  sacerdoti  erano  m  vita 
Castamente  vissuti,  e  quei  veraci,  A 

E  quei  pii  eh'  han  di  qua  parlato  o  scritto 
Cose  degne  di  Febo  ,  e  gì'  inventori 
De  l'arti,  ond' è  gentile  il  mondo  e  bello; 
E  quei  che  ben  oprando  han  tra*  mortali 
Fatto  di  fama  e  di  memoria  acquisto. 
Cui  tutti ,  in  segno  di  celeste  onore , 
Candida  benda  il  fronte  orna  e  colora. 

A  questi ,  eh'  a  la  vergine  Sibilla 
Fér  cerchio  intomo,  ed  a  Museo  tra  loro, 
Che  da  gli  omeri  in  su  gli  altri  avanzava, 
Diss'  olla  :  Almo  felici ,  e  tu  buon  vate , 
Ditene  in  qual  contrada,  e'n  qual  magiooa 
Qui  tra  VOI  si  riposa  il  grande  Anchise: 
Che  lui  cerchiamo ,  e  sol  per  lui  Tarcatl 
D' Èrebo  i  fliimi  e  te  caveioe  avemo.  O' 


LIBRO   SESTrt  177 


A  cui  Musco  COSÌ  breve  risposo  : 
Nullo  è  di  noi  che  in  alcun  luogo  alloggi 
Como  in  suo  proprio  ;  e  tutti  o  per  le  sacre 
Opache  selve  ,  o  per  V  amene  rive  1005 

De'  chiari  fiumi ,  o  per  gli  erbosi  prati 
Tra  rivi  e  fonti  i  nostri  alberghi  avemo. 
Ma  se  di  ciò  vi  cale ,  itene  meco 
Sovr'  a  quel  giogo  ;  e  quindi  agevolmente 
Il  sentier  ne  vedrete.  In  ciò  si  mosse  lOiO 

Come  lor  guida ,  e  sopra  al  colle  asceso 
Mostrò  lor  d'  alto  i  luminosi  campi , 
Additò  '1  calle ,  od  inviolli  al  piano. 

Era  per  avventura  in  una  valle 
Anchise ,  che  da  p  \i?gi  era  ricinta ,  1015 

E  di  verde  coverta.  Ivi  in  disparte 
De* suoi  nipoti  avea  l'anime  accolte 
Gh'  a  la  vita  di  sopra  cran  chiamato , 
E  facendo  di  lor  rassegna  e  mostra 
Gli  annoverava;  esaminava  i  fati,  1020 

Lo  fortune ,  il  valor  di  mano  in  mano ,  est 

Gli  ordini  e  i  tempi  loro.  Enea  comparve 
Sul  campo  intanto  :  a  cui  tosto  che  *1  vide 
Lieto  Anchise  awentossi ,  e  con  leìbraccia 
In  atto  d'  accoglienza ,  0  figlio  (disse  1025 

Dolcemente  piangendo),  io  pur  ti  veggio. 
Pur  sci  venuto ,  na  pur  la  tua  pietade 
Superati  i  disagi  e  la  durezza 
Di  si  strano  viaggio.  Ecco  m' è  dato 
Di  voflor ,  figlio ,  il  tuo  bramato  aspetto ,  lOW 

E  sentirti  e  parlarti.  Io  di  ciò  punto  «8© 

Non  era  in  rorse ,  e  sol  pensava  al  quando , 
Contando  i  giorni.  Oh  dopo  quanti  affanni. 
Dopo  quanti  perigli ,  e  quanti  storpi 
E  di  mare  e  di  terra  io  ti  riveggio  !  1035 

E  quanto  ebbi  timor  che  di  Gartago 
Venisse  al  corso  tuo  sinistro  intoppo  ! 

Ed  egli  a  lui  :  La  sconsolata  immago , 
Ghe  m'  è ,  padre ,  di  te  sovente  apparsa , 
Per  te,  per  te  veder  (lua  giù  m' ha  tratto  :  1040 

E  di  sopra  fin  qui  salvo  a  la  riva 
Del  mar  tirreno  il  mio  navile  è  sorto. 
Or  dammi,  padre  mio,  dammi  ch'io  giunga 
La  mia  con  la  tua  destra,  e  grazia  fammi 
Gho  di  vederti  e  di  parlarti  io  ^oda.  1045 

Mentre  cosi  dicea,  dì  largo  pianto  «98 

Rigava  il  volto,  e  distendea  le  palme; 
E  Ire  volte  abbracciandolo,  altrettante 

Dell'Eneide  U 


178  ENEIDE 


I 


(Come  vento  stringesse ,  o  fumo ,  o  sogno) 

Se  ne  tornò  con  le  man  vote  al  petto.  1050 

Intanto  Enea  per  entro  a  la  gran  vallo 
Vide  scevra  da  r  altre  una  foresta , 
I  cui  rami  sonar  da  lungo  udiva. 
A  piò  di  questa  era  di  Lete  il  rio 
Ch  ai  dilettosi  e  fortunati  campi  1055 

Corre  davanti;  e  piene  avea  le  ripe 
Di  genti  innumerabili ,  eh'  intorno 
A  caterve  aliando ,  ivano  in  guisa 
Che  fan  le  pecchie  a'  chiari  giorni  estivi , 
Quando  di  fiore  in  fior,  di  giglio  in  giglio  lOGO 

Si  van  posando ,  e  per  V  apriche  piagge 
Dolcemente  ronzando.  Enea,  che  nulla 
Di  ciò  sapea ,  di  subito  stupore 
Fu  sovraggiunto ,  e  la  cagion  spiando . 
O ,  disse ,  padre ,  che  riviera  è  quella  ?  10C5 

E  che  gente  e  che  mischia  e  che  bisbiglio?     711 

L' anime  (gli  rispose)  a  cui  dovuti 
Sono  altri  corpi,  a  questo  fiume  accolta 
Beon  dimenticanze  e  lunghi  obblii 
De  r  altra  vita  ;  e  questi  10  desiava  1070 

Che  tu  vedessi ,  e  che  da  me  n'  udissi 
I  nomi  e  i  gesti ,  onde  contezza  appieno 
Del  nostro  sangue,  e  piena  gioja  avessi 
De  r  acquisto  d' Italia.  O  padre ,  adunque 
(Soggiunse  Enea)  creder  si  dee  che  Talme,         1075 
Òhe  son  qui  scarche  e  libere  e  felici , 
Cerchin  di  nuovo  a  la  terrena  salma , 
Di  nuovo  a  la  prigion  tornar  de'  corpi  ? 
E  qual ,  misere  loro  !  empio  desire 
Del  lume  di  lassù  tanto  lo  invoglia  ?  IO8O 

Figlio  (rispose  Anchise)  acciò  sospeso 
Più  non  vacilli  in  questo  dubbio,  ascolta 
(E  in  tal  guisa  per  ordine  gli  narra). 

Primieramente  il  ciel,  la  terra  c'I  mare, 
L!  aer ,  la  luna ,  il  sol,  cpianto  è  nascosto,  1085 

Quanto  appare  e  quanf  e ,  muove ,  nudrisce 
E  regge  un  che  ve  dentro  0  spirto  0  mente 
O  anima  che  sia  de  V  universo  ; 
Che  sparsa  per  lo  tutto  e  per  le  parti 
Di  si  gran  mole ,  di  se  V  empie ,  e  seco  1000 

Si  volge  ,  si  rimescola  e  s'  unisce.  727 

Quinci  r  uman  legnaggio ,  i  bruti ,  1  pesci , 
E  ciò  che  vola,  e  ciò  che  serpe,  han  vita, 
E  dal  foco  e  dal  ciel  vigore  e  seme 
Traggon ,  se  non  se  ^anto'  il  pondo  e  '1  gelo      1095 


LIBRO  SESTO  179 


De'  gravi  corpi ,  e  le  caduche  membra 

Le  fan  terrene  e  tarde.  E  quinci  ancora 

Awien  che  tema  e  speme  e  duolo  e  gioja 

Vivendo  le  conturba,  e  che  rinchiuse 

Nel  tenebroso  carcere  e  ne  l'ombra  HOO 

Dei  mortai  velo,  a  le  bellezze  eterne  734 

Non  ergon  gii  occhi.  Ed  oltre  a  ciò,  morendo, 

Perchè  sian  fuor  de  la  terrena  vesta, 

Non  del  tutto  si  spoglian  le  meschine 

De  le  sue  macchie;  chè'l  corporeo  lezzo  m^ 

Si  r  ha  per  lungo  suo  contagio  infette , 

Che  scevre  anco  dal  corpo ,  in  nuova  guisa 

Le  tien  contanimate ,  impure  e  sozze. 

Perciò  di  purga  han  d'uopo,  e  per  purgarle 

Son  de  l'antiche  colpe  in  vari  modi  1110 

Punite  e  travagliate  :  altre  ne  1'  aura 

Sospese  al  vento ,  altre  ne  1'  acqua  immerse , 

Ed  altre  al  foco  rafTlnate  ed  arse  : 

Che  quale  è  di  ciascuna  il  gonio  e  '1  fallo , 

Tale  e'I  castigo.  Indi  a  venir  n'è  dato  1115 

Nò  gli  ampi  elisj  campi  ;  e  poche  siamo ,         743 

Cui  si  lieto  soggiorno  si  destini. 

Qui  stiamo  infin  che  *1  tempo  a  ciò  prescritto 

D'ogni  immondizia  ne  forbisca  e  terga, 

Si  eh' a  nitida  fiamma,  a  semplice  aura,  1120 

A  puro  eterio  senso  ne  riduca. 

guest' alme  tutte,  poiché  di  mill'anni 
an  volto  il  giro,  alfìn  son  qui  chiamate 
Di  Lete  al  fiume ,  e  'n  quella  riva  fanno , 
Qual  tu  vedi  colà,  turba  e  concorso.  1125 

Dio  le  vi  chiama ,  acciò  eh'  ivi  deposto 
Ogni  riconlo,  men  de' corpi  schive, 
E  più  vaji^ho  di  vita  un'  altra  volta 
Tomin  di  sopra  a  riveder  le  stello. 

Ciò  detto,  Anchise  a  quelle  genti  in  mezzo       1130 
Condusse  11  fighe  e  la  Sibilla  insieme; 
E  prese  un  colle ,  ove  le  schiere  tutte , 
Siccome  ne  venian  di  mano  in  mano, 
Avea  d' incontro ,  e  le  scor^ea  nel  volto. 

Or  qui  ti  mostrerò,  soggiunse  Anchise,  1135 

Quanta  sarà  ne'  secoli  futuri 
La  gloria  nostra  ;  ciuanti  e  quai  nepoti 
De  la  dardania  prole  a  nascer  hanno; 
E  quante  del  mio  sanjjue  anime  illustri 
Sorgeranno  in  Italia.  Indi  a  te  conte  1140 

Le  tue  fortune  e  i  tuoi  fati  saranno.  759 

Vedi  colà  quel  giovinetto  ardito 


180  SNEIDE 


Che  su  quell'  asta  pura  il  braccio  appoggia? 
Quegli  a  la  luce  è  destinato  in  prima, 
Primo  che  di  Lavinia  in  Lazio  avrai  1145 

Figlio  postumo  a  te  già  d'anni  grave, 
Gh*  al  nn  da  lei  fuor  de  le  selve  addutto 
Re  sarà  d'  Alba  e  de  gli  albani  regi 
Autore  e  padre  ;  e  Silvii  dal  suo  nome 
Fian  tutti  i  nostri  che  da  lui  discesi  1150 

Ivi  poscia  gran  tempo  imperio  avranno. 
Proca  è  quei  dopo  lui,  gloria  e  splendore 


1155 

Non  sarà  men  di  te  pietoso  e  forte. 
Mira  che  gioventù,  mira  che  forze 
Mostran  solo  a  vederli.  Ajppo  costoro 
Quei  che  son  là  di  quercia  inghirlandati,  1160 

Di  Gabi,  di  Nomento  e  di  Fidene  7«« 

Parte  propagheranti  il  picciol  regno  ; 
Parte  su'  monti  il  tempio  ti  porranno 
D' Inùo ,  e  la  terra  che  da  lui  dirassi , 
E  Gollazia  e  Pomezia  e  Boia  e  Gora;  1165 

Che  questi  nomi  allor  quei  luoghi  avranno 
Ch'  or  ne  son  senza.  In  compagnia  de  V  avo 
Romolo  se  ne  vien  di  Marte  il  figlio , 
Di  Roma  il  padre.  Al  mondo  Ilia  darallo 
De  la  stirpe  d'Assaraco  un  rampollo.  1170 

VedU  colà ,  eh'  ha  in  su  la  testa  un  elmo         778 
Con  due  cimieri,  e  tal,  che  il  padre  stesso 
Già  par  eh'  in  cielo  e  nel  suo  seggio  il  ponga. 
Questi ,  figlio  ,  sarà  quel  grand'  eroe , 
Onde  i  suoi  primi  gloriosi  auspicj  1175 

Avrà  r  inclita  Roma  :  quella  Roma 
Ghe  sette  monti  entro  al  suo  cerchio  accolti 
Tanto  si  stenderà ,  che  fia  con  1'  armi 
Uguale  al  mondo  e  con  le  menti  al  cielo  ; 
Roma  di  così  prodi  e  chiari  figli  1180 

Madre  felice.  Tal  di  Berecinto 
La  maggior  madre  infra  i  leoni  assisa 
E  di  torri  altamente  incoronata 
Va  per  la  Friijia ,  gloriosa  e  lieta 
Ghe  tanti  ha  figli  in  ciel ,  ncpoti  in  seno ,  1185 

Tutti ,  che  Dii  già  sono  ,  o  Dii  si  fanno. 
Or  qui ,  figliuolo ,  ambe  le  luci  affisa 
A  mirar  la  tua  gente  e  i  tuoi  Romani, 
Cesare  è  qui ,  qui  la  progenie  ò  tutta 


LIBRO   SESTO  i8i 


Del  grande  Julo^  a  cui  già  s'apre  il  cielo.  1190 

Questi,  questi  è  colui  che  tante  volte  790 

T' è  già  promesso ,  il  gran  Cesare  Augusto , 

Di  divo  padre  fij^lio ,  e  divo  anch' egli. 

Per  lui  risorgerà  quel  secol  d' oro , 

Quel  del  vecchio  Saturno  antico  regno,  1195 

Che  fé  *1  Lazio  si  hello  e  '1  mondo  tutto. 

Questi  oltre  a  i  Garamanti  ed  oltre  a  gl'Indi 

Impererà  fin  dove  il  sole  e  1*  anno 

Non  giunge  ,  e  più  non  va  se  non  s'  arretra  : 

Trapassera  di  la  dal  maui'O  Atlante  1200 

Che  con  gli  omeri  suoi  folce  le  stelle. 

Al  venir  di  costui ,  sol  de  la  voce 

Che  ne  danno  i  profeti,  i  caspii  regni, 

La  meotica  terra ,  e  quanto  inonda 

Il  sette  volte  geminato  Nilo ,  1205 

Tremar  già  veggio ,  e  star  pensoso  0  mesto.    800 

Tanto  del  mondo  il  glorioso  Alcide 

Non  corse  mai ,  se  hen  ile'  Cereniti , 

Di  Lema  e  d'  Erimanto  i  mostii  ancise  ; 

Né  tanto  ne  domò  chi  domò  gì'  Indi ,  12iD 

E  nel  trionfo  suo  di  viti  e  pampini 

A  le  tigri  di  Nisa  il  giogo  impose. 

E  sarà  poi  che'l  valor  nostro  manchi 

Di  gloria ,  e  tu  di  speme  e  d' ardimento 

Di  far  d' Ausonia  il  desiato  acquisto  ?  1215 

Ma  chi  fla  questi  che  da  lungi  scorgo 
Si  venerando  ,  il  crin  cinto  d' olivo , 
Con  quelle  hende  e  con  quei  sacri  arredi? 
A  la  chioma ,  a  la  barba  irta  e  canuta 
Mi  sembra ,  ed  ò  di  Roma  il  santo  rege ,  1220 

Che  dal  picciolo  Curi  a  grande  impero  «10 

Sarà  da  lei  chiamato,  e  sarà  il  primo 
Che  cerimonie  introdurrawi  e  leggi. 

A  lui  Tulio  vien  dopo  il  forte  e  saggio , 
Ch'a  i  dismessi  trionfi  rivocando  1225 

La  gente  già  per  lunga  pace  imbelle. 
La  tornerà  di  neghittosa  e  mite 
Un'  altra  volta  armigera  e  guerriera. 
Anco  è  quell'altro  che  lo  segue  appresso 9 
Che  d'  onor  troppo  e  del  favor  del  volgo  1230 

Di  già  si  mostra  ambizioso  e  vago. 
Or  vedi  là  (  se  di  vederli  agogni  ) 
Anco  i  Tarquinj  regi,  e  quel  superbo 
Yendicator  ae  la  superbia  loro 
Bruto  Gonsol  primiero ,  e  miei  suoi  fasci  1235 

E  quelle  accette  ond'  ei  paure  crudele ,  sis 


1240 


i82  smsiDB 

Do  la  patria  buon  figlio ,  i  figli  suoi 

Pc5r  r  altrui  bella  libertade  ancido. 

Infortunato  lui  !  che  che  dopoi 

Da  la  posterità  se  ne  favelle. 

Vince  il  pubblico  amore ,  e  '1  ^an  desio 

D*  umana  lode  in  lui  V  atfetto  mterno 

De  la  natura  e  del  suo  sangue  stesso. 

Mira  poco  in  disparte  i  Decj,  i  Drusi, 
Il  severo  Torquato  e  '1  buon  Camillo  ;  1245 

L*uno  che  tien  già  la  secure  in  mano, 
E  r  altro ,  che  da'  Galli  ne  riporta 
I  I»erduti  vessillL  I  due,  che  vedi 
Si  risplender  ne  V  armi ,  e  che  rinchiusi 
In  questa  notte  sembrano  a  la  vista  1250 

Gii  di  pari  e  d' accordo ,  oh  se  alla  vita 
Veogon  di  sopra ,  quanta  guerra  e  quale , 
Con  che  strage  di  genti  e  con  che  forze , 
Pai'an  tra  loro  !  Il  suocero  da  V  alpi 
E  (la  r  occaso ,  il  genero  da  l' orto  ^^^ 

VeiTà  r  un  centra  T  altro.  Ah  figli ,  ah  figli , 
Non  cosi  rio,  non  così  fiero  abuso  • 
D'  armar  voi  contr'  a  voi ,  contr'  a  le  viscere 
,     De  la  gran  patria  vostra.  E  tu  che  traggi 

Dal  ciel  legnaggio ,  tu  mio  sangue  astienti  1260 

Da  tanta  ferità;  perdona  il  primo ,  sji 

E  gitta  r  armi  in  terra.  Ecco  chi  vince 

Corinto  e  '1  popol  ffreco,  e'n  Campidoglio 

Trionfando  ne  saghe.  Ecco  chi  d'Argo 

E  di  Micena  ancor  le  torri  abbatte,  12(55 

E  chi  Pirro  debella  el  seme  estingue 

Del  bellicoso  Achille.  Alta  vendetta 

Che  ben  de  gli  avi  ricompensa  i  danni, 

E  '1  tempio  violato  di  Minerva. 

Dtive  lass'io  te,  gran  Catone,  e  Cosso?  uio 

E  i  Gracchi ,  e  i  due  gran  folgori  di  guerra     i^  1 1 
Ambedue  Sciploni ,  ambi  Africani , 
Strage  Tun  dì  Cartago,  e  l'altro  esizio? 
Dov(5  Fabrizio  il  povero,  e  potente 
Con  la  sua  povertà  ?  Dove  errano , 
Ch'  ()  di  bifolco  al  grande  imperio  assunto  t 
Dove  restano  i  Fabj  ?  Eccone  un  solo 
Massimo  veramente ,  che  (K)n  arto 
l(UTà  il  nemico  trancjuillapdo  a  bada. 
Abbinsi  gli  altri  de  l'altre  arti  il  vanto;  128Q 

Avvivino  i  colori  e  i  bronzi  e  i  marmi; 
Muovano  con  la  lingua  i  tribunali: 
Mostrin  con  l' astrolabio  e  col  quadrante 


i275 


.  .-■  *       \-* 


LIBAO    SESTO  IS 


o 


Meglio  del  cicl  le  stelle  e  1  moti  loro  : 

Che  ciò  meglio  sapran  forse  di  voi.  12S5 

Ma  voi ,  Romani  miei ,  reggete  il  mondo 

Con  r  imperio  e  con  Tarmi,  e  V  arti  vostre 

Sion  Tesser  giusti  in  pace,  invitti  in  guerra; 

Perdonare  a' soggetti,  accor  gli  umili, 

Debellar  i  superbi.  In  questa  guisa  129C 

Parlava  il  santo  veglio,  ed  essi  attenti  853 

Stavan  con  maraviglia  ad  ascoltarlo; 

Quando  soggiunse  :  Ecco  di  qua  Marcello. 

Mira  come  se  n*  entra  adorno  e  carco 

D'opime  spoglie,  e  quanto  a  gli  altri  avanza.       litO 

Quest'  è  quel  generoso ,  eh*  a  grand'  uopo 

Vien  di  Roma  a  domare  i  Peni,  i  Gain, 

E  del  gallico  duce  i  fregi  e  Tarmi 

La  terza  volta  al  gran  Quirino  appende. 

Qui  vide  Enea  clT  un  giovinetto  a  pari  IJ'jO 

Gli  si  traea ,  eh*  era  d'  arnesi  e  d*  armi , 
E  via  più  di  beltà  vago  e  lucente; 
Se  non  che  poco  lieta  avea  la  fronte, 
E  chino  il  VISO.  Onde  rivolto  al  padre, 
E  chi  (disse)  ò  costui  che  Taceompagna?  l'.ì'o 

Saria  de'  figli,  0  do'  nipoti  alcuuo 
Del  gran  nostro  legnaggio?  E  che  bisbiglio 
E  che  mischia  ha  d'intorno?  0  quale  e  quanta 
Di  già  mi  sembra  !  Ma  gli  veggio  al  capo 
D'atra  notte  girar  di  sopra  un  nembo.  l^ìlO 

Anchise  lagrimando  gli  rispose:  s;/ 

Amaro  desiderio  il  cor  ti  tocca  • 

A  voler,  figlio,  un  gran  danno,  un  gran  lutto 
Udir  de'  tuoi.  Questi  a  la  luce  appena 
Verrà,  che  ne  fìa  tolto.  O  Dii  superni!  1313 

Troppo  par  ravvi  la  romana  stirpe 
Possente  allor  che  in  sul  fiorir  preciso 
Ne  ila  sì  vago  e  si  gentile  arbusto. 
O  che  duolo ,  o  che  pianto ,  0  che  funebre 
Pompa  ne  vijlrà  Roma  0 '1  Marzio  campo!  h-wJ 

Qual,  Tiberino  padre,  a  la  tua  riva 
Nuova  se  n'ergerà  funesta  mole! 
Germe  non  sorgerà  del  seme  d'Ilio 
Più  di  questo  gra  lito ,  nò  che  tanto 
De' latini  avi  suoi  la  speme  estolla:  1325 

Né  la  terra  di  Romolo  avrà  mai 
Figlio,  onde  più  si  pregi  e  niù  si  vanti, 
O  pietà  non  più  vista!  ò  fedo  antica!^ 
O  virtù  senza  pari  !  E  qual  no  T  armi 
Sarà  ?  Chi  sosterrà  T  incontro  suo  1390 


iS4 


ENEIDE 


Pedone,  o  cavalier,  ch'armato  in  giostra, 
O  pur  nel  campo  il  suo  nemico  assalga  ? 
Miserabil  fanciullo  !  Cosi  morte 
Te  non  vincesse ,  come  invitto  fora 
n  tuo  valore,  e  come  tu,  Marcello, 
Non  men  de  l'altro  eroica  virtute, 
E  più  splendore  e  più  fortuna  avresti. 
Datemi  a  piene  mani ,  ond'  io  di  gigli 
E  di  purpurei  fiori  un  nembo  sparga; 
Che  se  ben  contro  al  già  fisso  aestmo 
M'  adopro  in  vano,  almen  con  questi  doni 
L' ombra  d' un  tanto  mio  nipote  onori. 

Dopo  ciò  detto ,  per  gli  aerei  campi 
Vagando,  a  parto  a  parte  e  l'ombre  e 
Gli  mostrò ,  r  invaghì ,  tutto  d' amore 
De  la  futura  gloria  il  cor  gli  accese. 
Indi  le  guerre  e  lo  fortune  sue 
D'Italia,  di  Laurento  e  di  Latino 
La  figlia,  il  regno,  i  popoli  e  io  stato 
Tutto  gli  rivelo.  D' ogni  suo  affanno 
(Come  a  fuggir ,  come  a  soffrir  1'  avesse ) 
Gli  die  lume  e  compenso.  Escono  i  sogni 
D' inferno  per  due  porte  ;  una  è  di  corno , 
L'altra  è  a'  avorio.  Manda  il  corno  i  veri. 
L' avorio  i  falsi  ;  e  per  1'  ebuma  Anchise 
Diede  (  quando  lor  die  commiato  al  fine  ) 
A  la  Sibilla  ed  al  suo  figlio  uscita. 

Enea  verso  le  navi  a'  suoi  compagni 
jPece  ritomo.  Indi  sciogliendo  dritto 
Limgo  la  riva  il  suo  corso  riprese  ; 
E  giunto ,  ov*  oggi  è  di  Gaeta  il  porto  • 
L' afferrò ,  gìttò  P  ancore  e  fermossi. 


1 


1335 


883 


1340 


i  lochi 


1345 


i 


1350 


1355       i 


1360 
1362 


90)1 


FINI  DSL  LIBaO  SISTO» 


i 


LIBRO   SETTIMO. 


^RQOMBNTO 

Cteieta  è  così  detta  dal  nome  deUa  nutrice  di  Enea  che  ivi  ta  sepolta,  1-4. 
Da  Gaeta  Teroe  vedendo  1  lidi  della  dimora  di  Circe,  col  vento  in  popj^ 
imbocca  nel  Tevere,  e  vogando  contr* acqua,  approda  neiragro  Lau- 
rente,  5-86.  Invocata  di  nuovo  la  Musa,  il  poeta  narra  quale  fosse  in  quel 
tempo  lo  stato  del  Lazio,  e  da  quali  prodigi  fosse  stato  anche  quivi  an- 
nunziato Tarrivo  dei  Troiani,  37-106.  Enea  si  accorge  esser  venuto  il  ter- 


'accampa, 

coglie  favorevolmente  gli  ambasciatori,  e  concedendo  più  che  non  gli  si 
chieda,  offre  in  isposa  ad  Enea  la  sua  figlia  Lavinia,  160-285.  Ma  Giunone 
irritata  al  prosperi  successi  dei  Troiani,  evoca  dall*  inferno  la  Furia  Aletto 
per  disturbare  la  pace,  286-340.  Aletto  infonde  le  sue  furie  prima  in  Amata, 
moglie  di  Latino,  poscia  in  Turno^a  cui  era  già  stata  promessa  in  matri- 
monio Lavinia,  841-474  ;  e  finalmente  con  sue  frodi  mette  lite  fra  la  gio- 
ventù troiana  e  i  contadini  del  Lazio,  475-510.  Essa  stessa  dairalto  di  un 
luogo  dà  flato  alla  tromba  di  guerra;  onde  ne  nasce  un  combattimento. 
Riportati  i  morti  in  citta,  Turno  ed  Amata  eccitano  il  re  Latino  a  prender 
le  armi,  e  vendicare  T  ingiuria.  511-590.  Ma  poiché  Latino,  memore  dei 
Fati  e  della  giurata  alleanza,  resiste  co«:tantemente  ;  Giunone  stessa  apre 
le  porte  della  Guerra,  591-622.  «e  Allor  l*Ausonla  tutta,  ch*era  dianzi  paci- 
fica e  quieta,  s*accese  in  ogni  piiru*.  »  —  Lunga  e  stupenda  rassegna  delle 
genti  e  dei  capitani  d'Italia,  623-817. 

Ed  ancor  tu ,  d' Enea  fida  nudrice 
Gajeta,  a  i  nostri  liti  eterna  fama 
Desti  morendo;  ed  essi  anco  a  te  diero 
Spde  onorata ,  se  d*  onoro  a*  morti 
E  d' aver  T  ossa  consecrato  e  '1  nome  5 

Ne  la  famosa  Esperia.  Ebbe  Gajeta 
Dal  suo  pietoso  ^unno  esequie  e  lutto 
E  sepoltura  alteramente  eretta. 
Indi ,  già  fatto  il  mar  tranq^uillo  e  gueto , 
Spiegar  le  vele  a*  venti ,  e  i  venti  al  corso  iO 

Bì*an  secondi  ;  e  *n  sul  calar  del  sole 
La  luna ,  che  sorgea  lucente  e  piena , 
Chiare  V  onde  facea  tremolo  e  crespe. 
Uscir  del  porto  ;  e  pria  raserò  i  liti 
Ove  Circe  del  sol  la  ricca  figlia  15 

Gode  felice,  e  ùiai  sempre  cantando  ii 


rf^ 


180  ENSIDB 


Soavemente  al  periglioso  varco 

De  le  sue  selve  i  peregrini  invita  : 

E  da  la  reggia ,  ove  tessendo  sta?si 

Le  ricche  tele,  con  T arguto  suono  20 

Che  fan  le  spuole  e  i  pettini  e  i  lelari, 

E  co*  fuochi  de'  cedri  e  de'  ginepri 

Porge  lunge  la  notte  indicio  e  lume. 

Quinci  la  verso  il  di,  lontano  udissi 
Ruggir  lioni ,  urlar  lupi ,  adirarsi ,  25 

E  fremere  e  ^ru^nirc  orsi  e  cignali, 
Ch'  eran  uomini  m  prima:  e'n  qii'ìstc  forme 
Da  lei  con  erbe  e  con  malie  cani;iati 
Giacean  di  ferri  e  di  ferrate  sbarre 
Ne  le  sue  stalle  incatenati  e  chiusi.  30 

E  perchè  ciò  non  av\'enisse  ai  Teucri 
Che  buoni  erano  e  pii,  da  cotal  porto 
E  da  sijiaggia  si  ria  Nettuno  stesso 
Spinse  i  lor  legni ,  e  die  lor  vento  e  fuga, 
Tal  che  fuor  d'  ogni  rischio  li  condusse.  33 

Già  rosseggiava  d'  Oriente  il  balzo , 
E  nel  suo  carro  d*  ostro  ornata  e  iV  oro 
L'Aurora  si  traea  de  Tonde  fuori; 
Quando  subitamente  ogni  aura,  ogni  alito 
Cessò  del  vento ,  e  ne  fu  *1  mare  in  calma  40 

Si  eh*  a  forza  ne  gian  de'  remi  appena.  27 

Qui  la  terra  mirando  il  padre  Enea 
Vede  un'  ampia  foresta  e  dentro  un  fiume 
Rapido,  vorticoso  e  quieto  insieme, 
Che  per  l' amena  selva ,  e  per  la  bionda  45 

Sua  molta  arena  si  devolve  al  mare. 
Questo  era  il  Tebro ,  il  tanto  desiato , 
D  tanto  cerco  suo  Tebro  fatale: 
A  le  cui  ripe ,  a  le  cui  selve  intorno , 
E  di  sopra  volando  ivan  le  schiere  50 

Di  più  canori  suoi  palustri  augelli. 
Allor,  Via  (dice  a' suoi)  volgete  il  corso, 
Itene  a  riva.  E  tutti  in  un  momento 
Rivolti  e  giunti,  de  1'  opaco  fiume 
Preser  la  foce ,  e  lietamente  entrare.  55 

Porgimi,  Erato ,  aita  a  dir  quai  regi ,  86 

Quai  tempi ,  e  quale  stato  avesse  allora 
L*  antico  Lazio ,  quando  prima  i  Teucri 
Con  quest*  armata  a'  suoi  liti  approdaro. 
Ch'  io  dirò  da  principio  le  cagioni  60 

K  gli  accidenti ,  onde  con  essi  a  V  arme 
Si  venne  in  pria:  dirò  battaglie  orrende, 
Dirò  stragi  (f  eserciti,  e  duelli 


i^V»wi 


«Q« 


LIBRO  SETTIMO  137 


De' regi  stessi,  e  la  Toscana  ttitta, 

E  tutta  anco  1'  Esperia  in  arme  accolta.  65 

Tu  d'  Elicona  Dv)a,  tu  ciò  mi  detta; 

Ch* altr' ordine  di  cose,  altro  lavoro, 

E  maggior  opra  or  lisce.  Era  signore , 

Quando  ciò  fu,  «li  Lazio  il  re  Latino, 

XJn  re  che  veglio  e  placido  gran  tempo  70 

Avea'l  suo  regno  amministrato  in  pace.  4d 

Questi  naccpie  di  Fauno  e  di  Marica 

Ninfa  di  Lattrento ,  e  Fauno  a  Pico 

Era  figliuolo ,  e  Pico  a  te ,  Saturno , 

Del  suo  regio  legniggio  ultimo  autore.  75 

Non  avoa  questo  re  stirpe  virile, 

Com*  era  il  suo  destino  ;  e  quella  eh'  ebhe , 

Gli  fti  nel  fior  de'  suoi  veni'  anni  ancisa. 

Sola  d*  un  sangue  tal ,  d' un  tanto  regno 

Restava  una  sua  figlia  unica  erede ,  80 

Che  già  d'anni  matura,  e  di  bellezza 

Più  a  ogni  altra  famosa  «ra  da  molti 

Eroi  del  Lazio  e  de  T  Ausonia  tutta 

Desiata  e  ricerca.  Avanti  a  gli  altri 

La  chiedea  Turno ,  un  giovme  il  più  bello ,  85 

n  più  possente,  e  di  più  chiara  stirpe  56 

Che  gli  altri  tutti;  e  più  ch* a  gli  altri  a  lui, 

Anzi  a  lui  sol  la  sua  regina  madre 

Con  mirabile  affetto  era  inchinata. 

Ma  che  sua  sposa  fosse ,  avverso  fato ,  90 

Vari  portenti  e  spaventosi  augurj 

Facean  contesa.  Era  un  cortile  in  mezzo 

A  le  stanze  reali ,  ove  un  gran  lauro 

Già  di  gran  tempo  consecrato  e  colto 

Con  molta  riverenza  era  serbato.  95 

Si  dicea  che  Latino  esso  re  stesso 

Nel  designare  i  suoi  primi  edifizj  » 

Là  've  trovollo ,  di  sua  mano  a  Febo 

L' avea  dicato  ;  e  eh'  indi  il  nome  diede 

A'  suoi  Laurent!  A  (mesto  lauro  in  cima  100 

Maravigliosamente  di  lontano 

Romoreggiando  a  la  sua  vetta  intorno 


Venne  d^  api  una  nugola  a  posarsi; 

E  con  r  ah  e  co'  piò  T  una  con  1'  altra , 

E  tutte  insieme  aggraticciate  e  strette  105 

Stier  d'uva  in  guisa  a  le  sue  frondi  appese. 

Ciò  l'indovino  interpretando.  Io  veggo 

(Disse  )  venir  da  lungo  un  duce  estemo , 

Ed  una  gente  che  d' un  loco  uscita 

In  un  loco  medesmo  si  rauna,  iiO 


IBd 


BNBIDK 


Ed  altamente  ivi  s' alloga  e  regna.  ù§ 

Stando  un  giorno ,  oltre  a  ciò ,  Lavinia  virgo 

Sacrificando  col  suo  padre  a  canto, 

Ed  a  r  aitar  caste  faccUe  offrendo , 

Parve  (nefanda  vista!)  che  dal  foco  115 

Fossero  i  lunghi  suoi  capelli  appresi , 

E  che  stridendo  non  pur  1*  oro  ardesse 

De  le  sue  trecce ,  ma  il  suo  regio  arnese 

E  la  corona  stessa  che  di  ^emme 

Era  fregiata.  Indi  con  roggio  vampo ,  120 

Con  nero  fumo  e  con  volumi  attorti  7« 

S*  avventasse  d' intomo ,  e  V  alta  reggia 

Tutta  di  fiamme  empiesse  :  orrendo  mostro , 

E  di  gran  maraviglia  a  chiunque  il  vide. 

Gli  àuguri  ne  dicean  che  fama  illustre  125 

E  gran  fortuna  a  lei  si  portendea  ; 

Ma  ruina  a  lo  stato ,  e  guerra  a*  popoli. 

A  questi  mostri  attonito  e  confuso 
n  re  tosto  a  T  Oracolo  di  Fauno 
Suo  genitor  ne  V  alta  Albunea    selva  130 

Per  consiglio  ricorse.  E  questa  selva 
Immensa ,  opaca ,  ova  mai  sempre  suona 
Un  sacro  fonte ,  onde  mai  sempre  esala 
Una  tetra  vorago.  Il  Lazio  tutto 
E  tutta  Italia  in  o^ni  dubbio  caso  135 

Quindi  certezza  ,  aita  e'  ndrizzo  attende. 
E  r  Oracolo  è  tale.  Il  sacerdote 
Nel  profondo  silenzio  de  la  notte 
Si  fa  de  1*  immolate  pecorelle 
Sotto  un  covile ,  ove  s' adagia  e  dorme.  140 

Nel  sonno  con  mirabili  apparenze 
Si  vede  intomo  i  simolacri  e  1*  ombre 
Di  ciò  eh'  ivi  si  chiede  ;  e  varie  voci 
Ne  sente ,  e  con  gli  Dei  parla  e  con  gì*  Inferi. 

In  questa  guisa  il  re  Latino  stesso  145 

Al  vaticinio  del  suo  padre  intento  »« 

Cento  pecore  ancide ,  e  i  velli  e  i  terghi 
Nel  suol  ne  stendo ,  e  vi  s'involve  e  corca. 
Ed  ecco  un'  alta  repentina  voce 
Che  de  la  selva  uscendo  intuona  e  dice:  150 

Invan ,  figlio  ,  procuri ,  invan  V  immagini 
Che  tua  figlia  s'ammogli  a  sposo  ausonio. 
Vane  e  nullo  saran  le  sponsalizie 
Ch*  or  le  precari.  Di  lontano  un  genero 
Venir  ti  veggio,  per  cui  sopra  a  l'etera 
Salirà  '1  nostro  nome  ;  e  i  nostri  posteri  98 

Ne  vetiran  so»^o  i  piò  quanto  l*  Oceano 


155 


^»^^—<IB^I^.    ■ 


LIBRO  SETTIMO  180 


D*  ambi  i  lati  circonda ,  e  '1  sole  illumina. 

Questa  risposta  e  questi  avvertimenti, 
Perchè  di  notte  e  di  secreta  parte  160 

Fosser  da  Fauno  usciti ,  il  re  non  tenne 
In  se  stesso  celati ,  anzi  la  fama 
Per  le  terre  d*  Ausonia  gli  spargea , 
Quando  la  frigia  armata  al  Tebro  aggiunse. 

Enea  col  figlio  e  co'  suoi  primi  duci  165 

A  r  ombra  d' un  grande  albero  in  disparte 
Da  gli  altri  a  prender  cibo  insieme  unissi.  / 

Eran  su  Y  erba  agiati  ;  e  come  avviso 
Creder  si  dee  che  del  gran  Giove  fosse , 
Avean  poche  vivande  ;  e  quelle  poche  170 

Gran  forme  di  focacce  e  di  farrate 
In  vece  avean  di  tavole  e  di  quadre , 
E  la  terra  mcdesma  e  i  solchi  suoi 
Ai  pomi  agresti  eran  fiscelle  e  nappi. 
Altro  per  avventura  allor  non  v'  era  175 

Di  che  cibarsi.  Onde  finiti  i  cibi , 
Volser  per  fame  a  quei  lor  deschi  i  denti , 
E  motteggiando  allora,  O  (disse  Julo) 
Fino  a  le  mense  ancor  ne  divoriamo  ? 
E  rise  e  tacque.  A  questa  voce  Enea ,  180 

Sì  come  a  fin  de  le  fatiche  loro ,  ai 

Avvertì  primamente ,  e  stupefatto 
Del  suo  m  istorio ,  subito  inchinando 
Disse  :  O  da'  fati  a  me  promessa  terra , 
Io  te  devoto  adoro  :  e  voi  ringrazio  185 

Santi  numi  di  Troja ,  amiche  e  fide 
Scorte  de  gli  error  miei.  Questa  è  la  patria , 
Quest'  è  r  albergo  nostro ,  e  questo  è  '1  segno 
Che  '1  mio  padre  lasciommi  (or  mi  ricordo 
De  gli  occulti  miei  fati).  Allor  (dicendo)  190 

Che  sarai,  figlio ,  in  peregrina  terra  i«4 

Da  fame  a  manducar  le  mense  astretto, 
Fia  *1  tuo  riposo  :  allor  fonda  gli  alberghi , 
Allor  le  mura.  Or  questa  è  quella  fame, 
Ultimo  rischio  ad  ultimar  prescritto        ,  195 

Tutti  i  nostri  altri  perigliosi  affanni. 
Or  via,  dimane  a  1  apparir  del  sole 
Per  diversi  sentier  lungi  dal  porto 
Tutti  giojosamente  investighiamo 
Che  paese  sia  questo ,  da  che  gente  200 

Sia  colto ,  e  dove  sian  le  terre  loro. 
Ora  a  Giove  si  bea;  faccinsi  preci 
Al  padre  Anchise  ;  e  sian  le  mense  tutte 
Di  vin  piene  e  di  tazze.  E  ciò  dicendo  , 


192  KNEIDB 


Non  per  forza  o  per  leggi,  ma  per  uso 

E  per  natura;  e  del  buon  vecchio  Dio  300 

Seguitiam  V  orme  e  de'  suoi  tempi  d'  oro. 

Io  mi  ricordo  (ancor  che  miesta  fama 

Sia  per  molt*  anni  ornai  deoile  e  scura) 

Che  per  vanto  soleano  i  vecchi  Aurunci 

Dir  che  Bardano  vostro  in  queste  parti  305 

Ebbe  il  suo  nascimento  ;  e  quinci  m  Ida 

Passò  di  Frigia ,  e  ne  la  tracia  Samo 

Ch'or  Samotracia  è  detta.  Da' Tirreni, 

E  da  Corito  uscio  Dardano  vostro 

Ch'or  fatto  è  Dio,  e  tra' colesti  in  cielo  310 

D' oro  ha  la  sua  maglon ,  di  stelle  il  seggio  »    • 

E  qua  giù  tra'  mortali  altari  e  voti. 

Avea  ciò  detto ,  quando  a'  detti  suoi 

H  saggio  Ilionèo  cosi  rispose  : 

Alto  signor ,  di  Fauno  egregio  figlio ,  315 

Non  tempesta  di  mar ,  non  venti  avversi , 
Non  di  stelle ,  o  di  liti ,  o  di  nocchieri 
Error  qui  n'  bave ,  od  ignoranza  addotti. 
Noi  di  nostro  voler,  di  nostro  avviso 
Ci  Siam  venuti ,  discacciati  e  privi  S20 

D'un  regno  de' maggiori  e  de  più  chiari,         «i7 
Ch*  unqua  vedesse  d' oriente  il  sole. 
Da  Dardano  e  da  Giove  il  suo  legnaggio 
Ha  quella  gente ,  e  quel  trojano  Enea 
Gh'  a  te  ne  manda.  La  tempesta ,  i  Fati ,  325 

E  la  mina  che  ne*  campi  iaei 
Venne  di  Grecia ,  onde  T  Europa  e  l' Asia 
E  '1  mondo  tutto  sottosopra  andonne, 
Cui  non  è  conta  ?  Chi  si  lungo  è  posto 
Da  noi ,  che  non  l'udisse  ?  o  che  da  l' acque  330 

De  r  estremo  Oceano ,  o  che  dal  foco  *25 

De  la  torrida  zona  sia  diviso 
Da  la  nostra  notizia  ?  n  nostro  affanno 
Tal  fece  intorno  a  se  diluvio  e  moto, 
Che  scosse ,  e  l  allagò  la  terra  tutta.  335 

Da  indi  in  qua  dispersi  e  vagabondi 
Per  tanti  mari ,  un  sol  picciol  ridotto 
A  gli  Dei  nostri ,  un  lito  che  n'  accolga 
Non  da  nemici ,  un  poco  d'  acqua  e  a'  aura 
(Lassi!)  qiiel  ch'ogtf  uom'ha,  cercando  andiamo.  340 
Non  disutili  (credo)  e  non  indegni 
Sarem  del  regno  vostro:  a  voi  non  lieve 
Ne  verrà  fama;  e  d'un  tal  morto  tanto 
Vi  sarem  grati,  che  1'  ausonia  terra 
Non  mai  si  pentirà  d*  aver  i  figli  345 


j 


Mir.D  .<i:ttimo  IW 


De  la  misera  Troja  in  grembo  accolti.  «54 

10  ti  giuro,  8i|fnor,  por  lo  fatiche, 
Per  gli  fati  d'  Enoa ,  per  la  possente 
Sua  destra  (già  per  fede  e  per  valore 

Famosa  al  monrlo)  che  da  molte  genti  350 

Molte  iìate  (e  ciò  vii  non  ti  sembri , 
Che  da  noi  stessi  a  te  ci  proferiamo 
E  ti  preghiamo)  siam  pregati  noi , 
-E  per  compagni  desiati  e  cerchi. 
Ma  da  i  Fati ,  signor ,  e  da  gli  Dei  355 

Siam  qui  mandati.  Dardano  qui  nacque, 
Qua  Febo  ne  richiama.  Fobo  stesso, 
E  quel  di  Dolo  è  ch'a  i  Tirreni,  al  Tcbro, 
Al  fonte  di  N umico  a  voi  e**  invia. 
Queste  oltre  a  ciò  poche  reliquie ,  o  segni  360 

De  r  antlata  fortuna  e  del  suo  amore 

11  re  nostro  ti  manda,  che  dal  foco 
Son  de  la  patria  ricovrate  appena. 

Con  questa  coppa  il  suo  gran  padre  Anchise 
Sacriucava.  Questo  regno  in  testa,  305 

Quando  era  in  soglio,  il  gran  Priamo  avea: 
Questo  è  lo  scettro:  questa  è  la  tiara, 
Sacro  suo  portamento;  e  queste  vi>sti 
Son  de  le  nonne  d*  Ilio  opre  e  fatiche. 

Al  dir  d' Il'ionòo  stava  Latino  37i 

Fisso  col  volto  a  terra  immoto  e  saldo ,  U9 

Come  in  astratto ,  e  solo  avea  le  luci 
De  (jli  occhi  intese  a  rimirar,  non  tanto 
Il  dipint' ostro  e  gli  altri  regj  arnesi, 
Quanto  in  pensar  do  la  diletta  lìglia 
Il  maritaggio,  e  *1  vaticinio  uscito 
Dal  vecchio  Fauno.  E  'n  se  stesso  raccolto. 
Questi  è  certo  (dicea)  quei  che  da'  Fati 
Si  denunzia  venir  di  stran  paese 
Genero  a  me ,  sposo  a  Lavinia  mia ,  380 

Del  mio  regno  partecipe  e  consorte. 
Questi  è  da  cui  verrà  T  egregia  stirpo 
Che  col  valor  farassi  e  con  le  forze 
Soggetto  e  tributario  il  mondo  tutto. 
Ed  al  fin  lieto,  O  (disse)  eterni  Dei, 
Secondate  voi  stessi  i  vostri  augiirj , 
E  i  pensier  miei.  Da  me ,  Trojani ,  avrete 
Tutto  che  desiate;  e  i  vostri  doni 
Gradisco  e  pregio;  e  mentre  re  Latino 
Sarà,  sarete  voi  nel  regno  suo 
Cortosi^mente  accolti;  e  '1  seggio  e  i  campi 
E  ivà)  eh*  è  d*  uopo ,  comò  a  Troja  foste , 

J>€lVSneide  13 


375 


33S 


300 


104  SNBmi 

In  co^  aTrete.  Or  s' ei  tanto  desia , 

L' amistà  nostra  e  *1  nostro  ospizio,  vegna 

Egli  in  persona ,  e  non  abborra  on^ai  395 

n  nostro  amico  aspetto.  Arra  e  certezza  les 

Ne  fla  di  pace  il  convenir  con  lui , 

E  di  lui  stesso  aver  la  fede  in  pegno. 

Pa  r  altra  parte  a  mio  nome  ^fi  dite 

Quel  eh*  io  dirowi.  Io  senza  più  mi  trovo  400 

Una  mia  figlia.  A  questa  il  mio  paterno 

Oracolo ,  e  del  ciel  molti  prodigi 

Vietan  eh'  io  dia  marito  altro  eh*  esterno. 

D*  estema  parte  (tal  d' Italia  è  '1  fato) 

Un  genero  dal  ciel  mi  si  promette ,  405 

Per  la  cui  stirpe  il  mio  nome  e'  1  mio  sangue 

Ergerassi  a  le  stelle.  Or  se  del  vero 

Punto  è  *1  mio  cor  presago ,  egli  è  quel  desso , 

Gred'  io  ,  che  '1  fato  accenna ,  e  '1  credo  e  1  bramo. 

Ciò  detto ,  de'  trecento ,  che  mai  sempre  .  410 

A'  suoi  presepj  avea ,  nitidi  e  pronti  %74 

Destrier  di  fazione  e  di  rispetto , 
Per  gli  cento  orator  cento  n'  elegge , 
Gh'  avean  le  lor  coverte  e  i  lor  girelli , 
Le  pettiere  e  le  briglie  in  varie  guise  415 

D*  ostro  e  di  seta  ricamati  e  d' oro , 
£  d'  or  le  ghiere,  e  d'  or  le  borchie  e  i  freni. 
Al  trojan  duce  assente  un  carro  invia 
Gon  due  corsier  eh'  eran  di  quei  del  Sole 
Generosi  bastardi ,  e  vampa  e  foco  420 

Sbruffavan  per  le  nari  Al  Sol  suo  padre 
La  razza  ne  furò  la  scaltra  Girce 
Allor  eh'  a  l' incantate  sue  giumente 
Eto  e  Pireo  furtivamente  impose. 
Tali  in  su  tai  cavalli  alteramente  425 

Tornando  i  Teucri  al  teucro  duce,  allegre 
Portar  novelle  e  parentela  e  pace. 

Ed  ecco  che  di  Grecia  uscendo  e  d' Argo 
L'  empia  moglie  di  Giove ,  alto  da  terra 
Sospesa ,  infin  dal  sicolo  Pachino  430 

Vide  i  legni  trojani ,  e  vide  Enea  «so 

Gon  ^ltti  i  suoi ,  che  lieto  e  fuor  del  mare 
E  secm'  de  la  terra  incominciava 
D' alzar  gli  alberghi ,  e  di  fondar  le  mura 
Già  d' un  altr'  Ilio.  E  punta  il  cor  di  doglia  435 

Squassando  il  capo ,  Ah  (disse)  a  me  pur  troppo 
Nimica  razza  !  ah  troppo  a*  fati  miei 
Fati  de'  Frigj  avversi  !  E  forse  estinti 
Fui-  ne'  campi  sigei  ?  Forse  potuti 


LIBRO  SETTIMO  -  105 


Si  8on  prender  già  presi ,  ed  arder  arsi  ?  440 

Per  mezzo  de  le  scnìere  e  de  gr  incendj  119 

Usai  trovata  la  via.  Stanca  ila  dunque 

Questa  mia  deità ,  quando  ancor  sazia 

Non  è  de  r  odio  ?  e  già  s*  è  resa ,  quando 

Ha  fin  qui  nulla  oprato  ?  E  che  mi  giova  44^ 

Che  sian  del  re^o ,  e  de  la  patria  in  bando  ? 

Che  mi  vai  eh'  10  mi  sia  con  tutto  il  mare 

A  loro  opposta  ?  Ah  !  che  del  mar  già  tutte , 

E  del  ciel  centra  lor  le  forze  ho  logre. 

E  che  le  Sirti ,  e  che  Scilla  e  Gariddi  450 

A  me  con  lor  son  valse  ?  Ecco  han  del  Tebro 

La  desiata  foce }  e  non  han  tema 

Del  mar  più ,  ne  di  me.  Marte  poteo 

Disfar  la  gente  de'  Latiti  immane  ; 

Potè  Diana  aver  da  Giove  in  preda  455 

Del  suo  disegno  i  Galidonj  antichi, 

Quando  de'  Galidonj  e  de*  Lapiti 

Ver  le  pene  era  il  fallo  0  mulo ,  0  leve. 

Ed  io  consorte  del  gran  Giove  e  suora , 

Misera ,  incontro  a  lor  che  non  ho  mosso  ?  .  460 

Che  di  me  non  ho  fatto  ?  E  pur  son  vinta. 

Enea ,  Enea  mi  vince.  Ah  se  con  lui 

n  mio  nume  non  può  ,  perchè  d'  ognuno , 

Chiunque  sia ,  non  ogni  aita  imploro  ? 


4G5 

SIS 


Se  muover  centra  lui  non  posso  il  cielo, 

Muoverò  1*  Acheronte.  Oh  non  per  questo 

Il  fato  si  distorna;  ed  ei  non  meno 

Di  Latino  otterrà  la  figlia  e'  1  regno. 

Che  più  ?  Lo  tratterrò  :  gli  darò  Joriga  : 

Porro  (s'  altro  non  posso)  in  tanto  affare  470 

Gara,  indugio  e  scompiglio  :  a  strage,  a  morte,  815 

Ad  ogni  strazio  condurrò  le  genti 

De  r  un  rege  e  de  V  altro  ;  e  questi  avanzi 

Faran  primieramente  i  lor  sugge tti 

De  la  lor  amistà.  Con  questo  m  prima  475 

Si  sian  suocero  e  genero.  Del  sangue 

De'  Troiani  e  de'  Rutoli  dotata 

N'  andrai ,  regia  donzella ,  al  tuo  marito  • 

£  del  tuo  maritaggio  e  del  tuo  letto 

Auspice  fia  Bellona  in  voce  mia.  480 

Cotal  non  partorì  di  face  pregna 

Ecuba  a  Troja  incendio ,  qusìl  Ciprigna 

Avrà  con  questo  suo  novello  Pari 

Partorito  altro  foco,  altra  mina 

A  qucst'  altr*  Ilio.  Ciò  dicendo  in  terra  485 

Discese  h-ata ,  e  da  T  iuTorno  grolle  wa 


i^t^  BNBIDH 


A  se  chiainò  la  nequitosa  Aletto. 

De  le  tre  dire  Furie  una  è  costei, 

Cui  son  r  ire ,  i  dannaggi ,  i  tradimenti , 

Le  guerre ,  le  discordie ,  le  ruine ,  •  490 

Ogni  empio  ofTlcio ,  ogni  mal'  opra  a  core. 

E  tale  un  mostro  in  tanti  e  cosi  fieri 

Sembianti  si  trasmuta ,  e  de'  serpenti 

Si  tetra  copia  le  germoglia  intorno , 

Che  Pluto  e  le  tartaree  sorelle  495 

Sue  stesse  in  odio  ed  in  fastidio  l'hanno. 

Giunon  le  parla ,  e  via  più  co'  suoi  detti 

In  tal  guisa  1'  accende  :  0  de  la  Notte 

Possente  figlia ,  io  per  mio  proprio  afletto , 

Per  onor  del  mio  nume  ,  per  salvezza  500    - 

De  la  mia  fama  un  tuo  servijjio  agogno. 

Adoprati  per  me,  che  mal  mio  grado 

Questo  trojano  Enea  del  re  Latino 

Genero  non  divenga,  e  nel  suo  regno 

Con  gran  mio  pregiudicio  non  s' annidi.  505 

Tu  puoi ,  volendo ,  armar  V  un  centra  T  altro  334 

I  concordi  fratelli  ;  odj  e  zizzanie 

Seminar  tra'  congiunti  ;  e  per  le  case 

Con  murarti  noccndo,  in  mille  guise 

Infra'  mortali  indur  morti  e  ruine.  510 

Scuoti  il  fecondo  petto,  e  le  sue  forze 

Tutt'  a  guest'  opra  accampa.  Inferma ,  annulla 

Questa  lor  pace  ;  infiamma  i  cori  a  1'  armi  : 

Arme  ognun  brami ,  ognun  le  gridi  e  prenda. 

Di  serpi,  e  di  gorgonCi  veneni  515 

Guarnissi  Aletto  ;  e  per  lo  Lazio  in  prima 
Scorrendo ,  e  per  Laurento  e  per  la  corte , 
De  la  regina  Amata  entro  la  soglia 
Insidiosamente  si  nascose. 

Era  allor  la  regina ,  come  donna ,  520 

E  come  madre ,  dal  materno  alFctto , 
Da  lo  scorno  de'  Teucri ,  dal  disturbo 
De  le  nozze  di  Turno  in  molte  guise 
Afflitta  e  conturbata;  quando  Aletto  1 

Per  rivolg.jrla  in  furia,  e  co* suoi  mostri  525      I 

Sossopra  rivoltar  la  reggia  tutta , 
De'  suoi  ctTulei  crini  un  ^ngue  in  seno 
Le  avventò  si  che  l'entrò  poscia  al  core. 
Ei  primamente  infra  la  gonna  e'I  petto 
Strisciando ,  e  non  mordendo ,  a  poco  a  poco         530 
Col  suo  vipereo  fiato  un  non  sentito  sso  . 

Furor  le  spira.  Or  le  si  fa  monQe 
Altorcigliato  al  collo  5  or  lunga  benda 


LIBRO  SETTIMO  19? 


Le  pende  da  le  tempie  ;  or  quasi  un  nastro 

L'annoda  il  crine.  Al  fin  lubrico  errando ,  635 

Per  ogni  membro  lo  s' avvolge  e  serpe. 

Ma  fin  che  prima  andò  languido  e  molle 

Soli  i  sensi  occupando  il  suo  veleno, 

Finché  il  suo  foco  penetrando  a  V  ossa 

Non  avea  tutto  ancor  l'animo  acceso,  fiO 

Ella  donnescamente  lagrimando 

Sovra  la  figlia  e  sovra  le  sue  nozze 

Con  tal  quoto  rammarco  si  dolca  : 

Adunque  si  darà  Lavinia  mia 
A  Troiani?  a  banditi?  E  tu  suo  padre,  r;i3 

Tu  cosi  la  collòchi  ?  E  non  t' incresce  86o 

Di  lei ,  di  te ,  di  sua  madre  infelice  ? 
Ch'  al  primo  vento  eh'  a'  suoi  legni  spiri , 
T)i  cosi  caro  pegno  orba  rimasa 
(Come  dir  si  potrà)  da  questo  infido  550 

Fuggitivo  ladrone  abbandonata 
Del  mar  vedrolla  e  de*  corsari  in  preda  ? 
O  non  cosi  di  Sparta  anco  rapita 
Fu  la  figlia  di  Leda  ?  E  chi  rapilla 
Non  fu  Trojano  anch' egli  ?  Ah  dov'è,  sire,  555 

Quella  tua  santa  inviolabil  fede  ? 
Quella  cura  de'  tuoi  ?  guclla  promessa 
Che  8*  è  fatta  da  te  già  tante  volte 
Al  nostro  Turno?  Se  d'esterna  ffonte 
genero  ne  si  dee;  se  fisso  e  saldo  500 

È  ciò  nel  tuo  pensiero;  se  di  Fauno  so? 

Tuo  padre  il  vaticinio  a  ciò  ti  stringe; 
Io  credo  eh*  ogni  terra ,  eh'  al  tuo  scettro 
Non  è  soggetta,  sia  straniera  a  noi. 
Cosi  ragion  mi  detta,  e  cosi  penso  5C5 

Che  r  Oracolo  intenda.  Oltre  che  Turno 

ÌSe  la  sua  prima  origine  si  mira) 
*er  suoi  progenitori  Inaco ,  Acrisie  j 
E  per  patria  na  Micene.  A  (juesto  duro 
Stava  nel  suo  proposito  Latino  570 

Ognor  più  duro.  E  la  regina  intanto 
Più  dal  veleno  era  del  serpe  infolta, 
E  ^à  tutta  compresa ,  e  da  gran  mostri 
Agitata ,  sospinta  e  forsennata , 
Senza  ritegno  a  correre,  a  scagliarsi,  57S 

A  gridar  fra  le  genti ,  e  fuor  d' ogni  uso  stt 

A  tempestar  per  la  città  si  diede. 
Qual  per  gli  atri!  scorrendo  e  per  le  sale 
Infra  la  turba  de*  fanciulli  a  y(uo 

Va  sferzato  paleo  eh'  a  saltit  a  scossa,  580 


r 


193  ENEIDB  "  \ 

Ed  a  suoli  di  guinzagli  roteando  '^ 

E  ronzando  s' aggira  e  si  travolve , 

Quando  con  meraviglia  e  con  diletto 

Gli  va  lo  stuol  de' semplicetti  intorno, 

È  kIl  dan  co'  flabelli  animo  e  forza  :  565 

Tal  per  mezzo  del  Lazio  e  de' feroci 

Suoi  popoli  vacando  insana  andava 

La  regina  infelice.  E  ouel  che  poscia 

Fu  d' ardire  e  di  scandalo  maggiore , 

Di  Bacco  simulando  il  nume  e' 1  coro  590 

Per  tor  la  figlia  ai  Teucri ,  e  le  sue  nozze 

Distornare ,  o  'ndugiare ,  a*  monti  ascesa 

Ne  le  selve  Y  ascose  :  o  Bacco ,  o  Libero; 

Gridando  ;  Eùoè  :  questa  mia  vergine 

Solo  a  te  si  convien,  solo  a  te  serbasi,  595 

Ecco  per  te  nel  tuo  coro  s'  esercita , 

Per  te  prende  i  tuoi  tirsi ,  a  te  s' impampina, 

A  te  la  chioma  sua  nodrisce  e  dedica. 

Divolgasi  di  ciò  la  fama  intanto 
Fra  le  donne  di  Lazio ,  e  tutte  insieme  600 

Da  furor  tratte ,  e  d*  uno  ardore  ^accese  39S 

Saltan  fuor  de  gli  alberghi  a  la  foresta. 
Ed  altre  ignudo  i  colli  e  sciolte  i  crini , 
D'irsute  pelli  involte,  e  d'aste  armate, 
Di  tralci  avviticchiate  e  di  corimbi,    -  605 

Orrende  voci  e  tremoli  ululati 
Mandano  a  1*  aura.  E  la  regina  in  mezzo 
A  tutte  r  altre  una  facella  m  mano 
Prende  di  pino  ardente,  e  l'imeneo 
De  la  figlia  e  di  Turno  imita  e  canta;  610 

E  con  gli  occhi  di  sangue  e  d' ira  infetti  aos 

Al  cielo  ad  or  ad  or  la  voce  alzando, 
Uditemi  (dicea)  madri  di  Lazio , 
Quante  ne  siete  in  o^  loco ,  uditemi 
Se  può  pie  tate  in  voi ,  se  può  la  grazia  615 

De  la  misera  Amata ,  e  la  miseria 
Di  lei ,  eh'  ad  ogni  madre  è  d' infortunio  t 
Disvelatevi  tutte  e  scapigliatevi; 
Eùoè ,  a  questo  sacrificio 
Ne  venite  con  me ,  meco  ululatene.  620     | 

Cosi  da  Bacco  e  da  le  fùrie  spinta 
Mq  già  per  selve  e  per  deserti  alpestd 
La  regina  infelice  ;  quando  Aletto , 
Ch*  assai  già  disturbato  avea  il  consi^O 
Di  re  Latino  e  la  sua  reggia  tutta  t  ^^ 

Ratto  su  le  fosc'  ali  a  V  aura  alsoi8l{ 
E  là  've  già  d' Acrisio  il  seggio  poso 


IIBRO   bETllxMO  «0^ 


V  avara  figlia  ivi  dal  vento  esposta , 

A  r  orgoglioso  Turno  si  rivolse. 

Ardea  fu  quella  terra  allor  nomata, 

E  d' Ardea  il  nome  insino  ad  or  le  resta ,        411        1 

Ma  non  già  la  fortima.  In  questo  loco  \ 

Entro  al  suo  gran  palagio  a  mezza  notte 

Prendea  Turno  riposo  ;  allor  eh'  Aletto 

Vi  giunse  ,  e'  1  torvo  suo  maligno  aspetto  035 

Con  ciò  eh*  avea  di  furia ,  in  senil  forma 

Cangiando,  raffgruppossi ,  incanutissi, 

E  di  bende  e  d'olivo  il  crin  velossi  : 

Calibe  in  tutto  fessi ,  una  vecchiona 

Ch*  era  sacerdotessa  e  guardiana  040 

Del  tempio  di  Giunone  :  e'  n  cotal  guisa 

Si  pose  a  lui  davanti ,  e  cosi  disse  : 

Turno,  adunque  avrai  tu  sofferte  indamo 
Tante  fatiche ,  e  questi  Frigi  avranno 
La  tua  sposa  e'  1  tuo  regno  ?  Il  re  la  figlia ,  645 

E  la  dote ,  eh'  a  te  per  gli  tuoi  merti , 
Per  lo  sparso  tuo  sangue  era  dovuta, 
E  eia  da  lui  promessa ,  or  ti  ritoglie  ; 
E  de  r  una  e  de  1*  altro  erede  e  sposo 
Passi  un  esterno.  0  va  cosi  deluso ,  650 

E  per  ingrati  la  persona  e  1*  alma  04 

Inutilmente  a  tanti  rischj  esponi. 
Va ,  fa  strage  de'  Toschi.  Va ,  difendi 
I  tuoi  Latini ,  e'  n  pace  li  mantieni. 
Questo  mi  manda  apertamente  a  dirti  666 

La  gran  saturnia  Gmno.  Arma,  arma  i  tuoi; 
Preparati  a  la  guerra;  esci  in  campagna; 
Assali  i  Fri^  ,  e  snidagli  dal  fiume . 
Gh'  han  di  ^à  preso,  e  i  lor  navilj  incendi. 
Dal  ciel  ti  si  comanda.  E  se  Latino  600 

A  le  promission  non  corrisponde , 
Se  Turno  non  accetta  e  non  gradisce 
Kè  per  suo  difensor,  né  per  suo  genero, 
Provi  qual  sia  ne  1'  armi,  e  quel  ch'importi 
Averlo  per  nimico.  Al  cui  parlare  665 

U  giovine  con  beffe  e  con  rampogne 
Cosi  rispose  :  lo  non  son ,  vecchia .  ancora 
Come  te  fuor  de*  sensi:  e  ben  sentita 
Ho  la  nuova  de'  Teucri,  e  me  ne  cale 
Più  che  non  credi.  Non  però  ne  temo  670 

Quel  che  tu  ne  vaneggi  ;  e  non  m*  ha  Giono    4M 
(Penso)  iti  tanto  dispregio  e  'n  tale  obbliOt 
Ma  tu  da  gli  anni  rimbambita  e  scema 
Entri  folle  \xk  wnfder  d'armi  e  dt  itatti 


\ 


200  SNEtDB 


I 


Ch*  a  te  non  tocca.  Quel  eh'  ò  tiio  nìo^liero ,  C75 

Governa  i  templi ,  atteinli  a  i  simolacri , 
E  di  pace  pensar  lascia  e  di  {juerra 
A  chi  di  guerreggiar  la  cura  e  data. 

Furia  a  la  Furia  questo  dire  accrebbe , 
Si  che  d*  ira  avvampando ,  ella  il  suo  volto  GoO 

Riprese  e  rincagnossi:  ed  ei  ne  gli  occhi         415 
Stupido  ne  rimase ,  e  tremò  tutto  : 
Con  tanti  serpi  s'arruffò  V  Erinne, 
Con  tanti  ne  fischiò ,  tale  una  faccia 
Le  si  scoverse.  Indi  le  bieche  luci  085 

Di  foco  accesa,  la  viperea  sferza 
Gli  girò  sopra  ;  e  si  com*  era  immoto 
Per  lo  stupore,  ed  a  i)iù  dire  inteso. 
Lo  risospinse  ;  e  i  suoi  detti  e  i  suoi  scherni 
Cosi  rabbiosamente  improverògli:  690 

Or  vedrai  ben  se  rimbambita  e  scema 
Sono  entrata  in  pensier  d'  armi  e  di  stati , 
Ch'a  me  non  tocchi;  e  se  soii  vecchia  e  folle. 
Guardami ,  0  riconoscimi  :  eh'  a  questo 
Son  dal  Tartaro  uscita.  E  guerra  e  morto  005 

Meco  ne  porto.  E  ciò  detto,  awentògli 
Tale  una  face  e  con  tal  fumo  un  foco, 
Che  fé*  tenebre  a  gli  occhi ,  e  fiamme  al  core. 

Lo  spavento  del  giovine  fu  tale , 
Che  rotto  il  sonno ,  di  sudor  bagnato  700 

Si  trovò  per  angoscia  il  corpo  tutto. 
E  stordito  sor^jendo  ,  arme  d*  intorno 
Cercossi,  armi  gridò,  d'ira  s'accese, 
D' empio  disio ,  di  scellerata  insania 
Di  scorapiffli  e  di  guerra.  In  quella  guisa  705 

Che  con  alto  boUor  risuona  e  gonfia  402 

Un  gran  caldar ,  quand*  ha  di  verghe  a*  fianchi 
Chi  gli  ministra  ojjnor  foco  maggioro, 
Quando  T  onda  più  ferve ,  e  gorgogliando 
Più  rompe ,  più  si  volve  e  spuma  e  versa ,  710 

E  '1  suo  negro  vapore  a  l' aura  esala. 
Cosi  Turno  commosso  a  muover  gli  altri 
Si  volge  incontanente  ;  e  de'  suoi  primi , 
Altri  al  re  manda  con  la  rotta  pace , 
Ad  altri  1'  apparecchio  impon  de  l'arme,  715 

Onde  Italia  difenda,  onde  i  Trojani 
Sian  d' Italia  cacciati  ;  ed  ei  si  vanta 
Contra  de*  Teucri  ó  centra  de'  Latini 
Aver  forze  a  bastanza.  E  ciò  commesso  « 
E  ne*  suol  voti  1  suoi  Numi  Invocati ,  720 

I  Rutoli  Infra  loro  a  gara  armando  47 1 


LIBRO  SETTIMO  201 


S*  esortavan  V  un  V  altro  ;  o  tutti  insiemo 

Eran  tratti  da  lui,  chi  por  lui  stesso 

(Che  giovin  era  amabile  e  gcnt'lc), 

Chi  per  la  nobiltà  de' suoi  maggiori,  725 

E  chi  per  la  virtute ,  o  per  le  prove 

Di  lui  viste  altre  volte  in  altre  guerre. 

Mentre  oosì  de'  suoi  Turno  dispone 
Gli  animi  e  Tarmi,  in  altra  porte  Aletto 
Sen  vola  a'  Teucri  ;  e  con  nuov'  arte  apposta  73. 

In  su  la  riva  un  loco ,  ove  in  campagna 
Correndo  e'nsidiando  il  bello  Julo 
Se^uìa  le  fere  fuggitive  in  caccia. 
Qui  di  subita  rabbia  i  cani  accese 
La  virgo  di  Oocito ,  e  per  la  traccia  735 

Li  mise  tutti;. onde  scoprirò  un  cervo 
Che  fu  poi  di  tumulto,  di  rottura 
Di  guerra ,  e  d*  ogni  m<il  prima  cagione. 

Questo  era  un  cervo  mansueto  e  vago, 
Già  grande  e  di  gran  corna,  che  divelto  7'0 

Da  la  sua  madre ,  era  nel  gregge  addotto         *88 
Di  Tirro  e  de'  suoi  figli  :  ed  era  Tirro 
Il  custode  maggior  de'  regj  armenti 
E  de'  regi  poderi  ;  ed  egli  stesso 
L' avea  nudrito  e  fatto  umile  e  manso.  745 

Silvia ,  una  giovinetta  sua  figliuola 
L' avea  per  suo  trastullo  \  e  con  gran  cura 
Di  fior  1  inghirlandava ,  il  pettinava , 
Lo  lavava  sovente.  Era  a  la  mensa 
A  lor  d'intorno;  e  da  lor  tutti  amava  750 

Esser  pasciuto  e  vezzeggiato  e  tocco.  490 

Errava  per  le  selve  a  suo  diletto , 
E  da  se  stesso  poi  la  sera  a  casa , 
Come  a  proprio  covil,  se  ne  tornava. 
Quel  di  per  avventura  di  lontano  755 

Lungo  il  fiume  venia  tra  V  ombro  e  Tonde, 
Da  la  sete  schermendosi  e  dal  caldo; 
Quando  d' Ascanio  T  arrabbiate  cagno 
Gli  s' avventare  :  ed  esso  a  farsi  inteso 
D'  un  tale  onore  e  di  tal  preda  acquisto ,  760 

Diede  a  T  arco  di  iiigUo ,  e  saettollo. 
La  Furia  stessa  gli  drizzò  la  mano , 
E  spinse  il  dardo  si  eh'  a  pieno  il  colse 
Ne  T  un  de*  fianchi ,  e  penetrògli  a  T  epa. 
Perito ,  insanguinato ,  e  con  lo  strale  7d5 

n  meschinello  ne  le  coste  infisso , 
Al  consueto  albergo  entro  a  i  presepj 

M ogghiando  e  lamentando  si  ntrasao  ; 


hù%  ENEIDE 


► 


Gh*un  lamentarsi,  un  dimandar  aita 

D' uomo  in  guisa  più  tosto ,  che  di  fera ,  T70 

Erano  i  mugghj ,  onde  la  casa  empiea. 

Silvia  lo  vide  in  prima ,  e  col  suo  pianto , 

Gol  batter  de  le  mani,  e  con  le  strida 

Mosse  i  villani  a  far  turba  e  tumulto. 

Sta  questa  peste  per  le  macchie  ascosa  T75 

Di  topi  in  guisa  a  razzolar  la  terra  505 

In  ogni  tempo ,  si  che  d*  ogni  lato 

N'usciron  d  improvviso,  altri  con  pali 

E  con  forche  e  con  bronchi  aguzzi  al  foco  ; 

Altri  con  mazze  noderose  e  gravi;  780 

E  tutti  con  queir  armi  eh'  a  ciascuno 

Pecer  l' ira  e  la  fretta.  Era  por  sorte 

Tirro  in  quel  punto  ad  una  quercia  intorno, 

E  per  forza  di  cogni  e  di  bipenne 

L' avea  tronca  e  squarciata  :  onde  affannoso  785 

Di  sudor  pieno  fieramente  ansando 

Con  la  stessa  eh'  avea  secure  in  mano 

Corse  a  le  grida ,  e  le  masnade  accolse, 

L*  infornai  Dea ,  eh'  a  la  veletta  stava 

Di  tutto  che  seguia,  veJuto  il  tempo  790 

Accomodato  al  suo  ponsier  malvagio,  su 

Tosto  nel  maggior  colmo  se  ne  salse 

De  la  capanna ,  e  con  un  corno  a  bocca 

Sonò  de  1*  armi  il  pastorale  accento. 

La  spaventosa  voce  che  n'  uscio  795 

Dal  Tartaro  spiccossi.  E  pria  le  selve 

Ne  tremar  tutte  ;  indi  di  mano  in  mano 

Di  Nemo  udilla  e  di  Diana  il  lago. 

Udilla  de  la  Nera  il  bianco  fiume, 

B  di  Velino  i  fonti ,  e  tal  l'  udirò ,  800 

Che  ne  strinser  le  madri  i  figli  in  seno. 

A  quella  voce ,  e  verso  quella  parte 
Onde  sentissi ,  i  contadini  armati , 
Comunque  ebber  tra  via  d' armi  rincontro , 
Subitamente  insieme  s' adunare.  805 

Da  r  altro  lato  i  giovani  trojani 
Al  soccorso  d*  Ascanio  in  campo  uscirò , 
Spiegar  le  schiere,  misersi  in  battaglia, 
vennero  a  V  armi ,  si  che  non  più  zufEei 
Sembrava  di  villaoi  ;  e  non  più  pali  810 

Avean  per  armi ,  ma  forbiti  ferri 
Serrati  insieme ,  che  dal  sol  percossi 
Per  le  campagne  e  fin  sotto  a  le  nubi 
Ne  mandavano  i  lampi  In  quella  guisa 
Che  lieve  al  primo  vento  U  mar  r  inoreepa ,        815 


i 


LIBRO  SETTIMO  203 


Poscia  biancheggia,  ondeggia  e  gonfia  e  frange,  5«8 

E  cresce  in  tanto ,  che  da  l' imo  fondo 

Sorge  fino  a  le  stelle.  Aimone  il  primo 

Figlio  di  Tirro  primamente  cadde 

In  questa  pugna.  Ebbe  di  strale  un  colpo  820 

In  su  la  strozza ,  che  la  via  col'  sangue 

Gli  chiuse  e  de  la  voce  e  do  la  vita. 

Caddero  intorno  a  lui  molt*altri  corpi 

Di  buona  gente.  Cadde  tra*  migliori , 

Mentre  Tarmi  detesta,  e  per  la  pace  825 

Or  con  questi,  or  con  rjuelli  si  travaglia,         586 

Galeso  il  vecchio ,  il  più  giusto  e  1  più  ricco 

De  la  contrada.  Cinque  gre^^gi  avea 

Con  cinque  armenti;  e  con  ben  cento  aratri 

Coltivava  e  i)ascca  V  ausonia  terra.  830 

Mentre  cosi  ne'  campi  si  combatte 
Con  egual  marte ,  Aletto  già  compita 
La  sua  promessa,  poich'  a  V  armi ,  al  sangue 
Ed  a  le  stragi  era  la  guerra  addotti 
Usci  del  Lazio  ,  e  balaanzosa  a  Taura  835 

Levossi,  ed  a  Giunon  suparba  disse: 
Eccoti  r  arme  e  la  discordia  in  campo, 
E  la  guerra  già  rotta.  Or  di'  eh'  amici , 
Di'  che  confederati ,  e  che  parenti 
Si  sieno  omai  ;  poiché  d'ausonio  san^e  840 

Già  sono  i  Teucri  aspersi.  Io ,  se  più  vuoi , 
Più  farò.  Di  rumori  e  di  sospetti 
Empierò  questi  popoli  vicini; 
Condurrogli  in  ajuto;  andrò  per  tutto 
Destando  amor  di  guerra:  andrò  spargendo  845 

Per  le  campagne  orror ,  furore  ed  armL  550 

Assai  (Giuno  rispose)  hai  di  terrore 
E  di  frode  commesso  :  ha  già  la  guerra 
Le  sue  cagioni  ;  hanno  (comunque  in  prima 
La  sorte  le  si  regga)  ambe  le  parti  850 

Le  genti  in  campo,  e  l'armi  in  mano;  e  Farmi 
Son  già  di  sangue  tinte  ;  e  '1  sangue  è  fresco. 
Or  queste  sponsaUzie  e  queste  nozze 
Comincino  a  godersi  il  re  Latino. 
E  questo  di  Ciprigna  egregio  flgho.  855 

Tu ,  perchè  non  consente  il  pacfre  etemo 
Ch'  in  (][uesta  eterea  luce  e  sopra  terra 
Cosi  licenziosa  te  ne  vada, 
Torna  a'  tuoi  chiostri  ;  ed  io ,  s*  altro  In  ciò  resta 
Da  finir,  finirò.  Ciò  disse  appena  800 

La  figlia  di  Saturno  ,  che  d*  Aletto  Beo 

Fischiar  le  serni ,  e  dispiegarsi  Y  ali 


204  EN&IDS 


Inver  Oocito.  È  de  V  Italia  in  mezzo 

E  de'  suoi  monti  una  famosa  valle, 

Che  d'Arasanto  si  dice.  Ha  quinci  e  quindi  865 

Oscure  selve ,  e  tra  le  selve  un  fiume 

Che  per  gran  sassi  rumoreggia  e  cade, 

K  si  rode  le  ripe  e  le  scoscende 

Che  fa  spelonca  orribile  e  vorago , 

Onde  spira  Acheronte,  e  Dite  esala.  870 

In  questa  buca  T  odioso  nume 

De  la  crudele  e  spaventosa  Erinne 

Gittossi ,  e^  dismorbò  Taura  di  sopra. 

Non  i)erò  Giuno  di  condur  la  guerra 
Rimansi  intanto.  Ed  ecco  dal  conllitto  875 

Venir  ne  la  città  la  rozza  turba 
De* contadini,  e  riportare  i  corpi 
Del  giovinetto  Aimone  e  di  Galeso , 
Cosi  com*  eran  sanguinosi  e  sozzi. 
Gli  mostrano:  ne  gridano:  n'implorano  880 

Da  gli  Dei ,  da  Latino  e  da  le  genti 
Testimonio,  pietà,  sdegno  e  vendetta. 
Evvi  Turno  presente ,  che  con  ossi 
Tumultuanrk)  esclama,  e'I  fattf»  aggrava, 
E  detosta  e  rimprovera  e  spaventa.  885 

Questi,  questi  (dicendo)  son  chiamati  S78 

A  regnar  no  V  Ausonia,  a  i  Priuj ,  a  i  Frigj 
Dà  Lo  tino  il  suo  sangue,  e  Ttu*  'O  escluile. 

Sopravvengono  intanto  i  furXf-si 
Che  con  le  nonne  attonite  scori^jndo  890 


Gian  <'on  Amata  per  le  selve  in  tresca: 

Che  grande  era  d  Amata  in  tutlu  il  regno 

lia  stima  e  '1  nome  :  e  d' ogni  p,irte  accolti 

Tutli  r-ontra  gli  annunzi,  contri  i  fati 

L'armi  chiedeu'loe  la  non  giusta  guerra,  895 

Van  di  Latino  a  la  magione  int.»rno.  684 

Egli  di  rupe  in  guisa  immoto  stassi , 
Di  ru[)e  che  nel  mar  fondata  e  salda 
Kc  per  venti  si  crolla,  nò  per  «nule 
Che  le  fremano  intorno,  e  gli  suoi  scogli  900 

Son  di  spuma  coverti  e  d'  alga  in  vano. 
Ma  poiché  superar  non  puote  il  cieco 
Lor  malvagio  consiglio,  e  che  le  cose 
Givan  di  Turno  e  di  Giunone  a  voto. 
Molto  pria  con  gli  Dei ,  con  lo  van'  aure  905 

Si  protestò;  poscia.  Dal  fato  (disse) 
Son  vinto ,  e  la  tempesta  mi  trasporta. 
Ma  voi  per  questo  sacrilegio  vostro 
Il  fio  ne  pagnareto.  E  tu  ira  gli  altri , 


Turno,  tu  pria  n'avrai  supplicio  e  morte;  910 

E  pre^  e  voti  a  tompo  ne  farai, 
Ch  a  tempo  non  saranno.  Io  (juanto  a  me 
Già  de'  miei  giorni  e  de  la  mia  quiete 
Son  quasi  in  porto;  e  da  voi  sol  m'è  tolto 
Morir  felicemente.  E  qui  si  tacque,  915 

E  '1  governo  depose ,  e  ritirossi. 
,  Era  in  Lazio  un  costume  che  venuto 
E  poi  di  mano  in  man  di  Lazio  in  Alba, 
E  d'Alba  in  Roma  eh'  or  del  mondo  è  capo; 
Che  nel  mover  de  l'armi  ai  Octi,  a  gl'Indi,  920 

A  gli  Arabi,  a  gì'  Ircani,  a  qual  sia  gente        004 
Ch*  elle  sian  mosse ,  si  com'  ora  a'  Parti 
Per  ricovrar  le  mal  perdute  insegne , 
S' apron  le  porte  de  la  guerra  in  prima. 

Queste  son  due,  che  per  la  riverenza,  925 

Per  la  religione  e  per  la  tema 
Del  fiero  Marte  orribili  e  tremende 
Sono  a  le  genti;  e  con  ben  cento  sbarre 
Di  rovere ,  di  ferro  e  di  metallo 
Stan  sempre  chiuse:  e  lor  custode  è  Giano.  930 

Ma  quando  per  consiglio  e  per  decreto  e  10 

De'Pairi  si  determina  e  s'approva 
Che  si  guerreggi  ;  il  Consolo,  egli  stesso, 
Si  come  è  l' uso ,  in  abito  e  con  pompa 
Ch'  ha  da'  Gabini  origine  e  da'  regi ,  935 

Solennemente  le  disferra  e  l' apre 
Ed  egli  stesso  al  suon  de  le  catene 
E  de  la  rugginosa  orrida  soglia 
La  guerra  intuorii:  guerra  dopo  lui 
Grida  la  gioventù:  guerra  e  battaglia  940 

Suonan  le  trombe;  ed  è  la  guerra  inditta. 

In  questa  guisa  era  Latino  astretto 
D'annunziarla  a  i  Teucri;  a  lui  quest'  atto 
D'  aprir  le  triste  0  spaventose  porte 
Si  dovea  come  a  rege.  Ma'l  buon  padre  945 

Schivo  di  si  nelVnido  ministero 

S' astenne  di  toc^wrle ,  e  gli  occhi  indietro  1 

Volse  por  non  vo  lerle ,  e  si  nascose. 

Ma  per  torre  n^oii  indugio,  im' altra  volta 
Ella  stc^^sa  regiii.i  de'  Celesti  950 

Dal  cicl  discese .  e  di  sua  propria  mano  ««0 

Spinse,  disgangiii»-rò,  ruppe  e  sconfìsso 
De  le  sbarrate  porte  ogni  ritegno 
Si  che  l'aperse.  Allor  l'Ausonia  tutta, 
Ch'  era  dianzi  paoiflca  e  quieta,  955 

S'  accese  in  ogni  parte.  E  qua  pedoni , 


200  ENEIDB 


Là  cavalieri;  a  la  campagna  ognuno , 

Ognuno  a  Tarme ,  a  maneggiar  destrieri 

A  fornirsi  di  scudi ,  a  provar  elmi , 

A  far  chi  con  la  cote ,  e  chi  con  Y  unto  960 

Ciascuno  i  ferri  suoi  lucidi  e  tersL  6t7 

Altri  s*  addestra  a  sventolar  T  insegne , 

Altri  a  spiegar  le  schiere ,  e  con  diletto 

S' ode  annitrir  cavalli  e  sonar  tube. 

Cinque  grosse  città  con  mille  incudi  065 

A  fabbricare,  a  risarcir  si  danno 
D*  ogni  sorte  armi.  La  possente  Atina, 
Ardea  V  antica ,  Tivoli  il  superbo , 
E  Crustumerio ,  e  la  torrita  Antenna. 
Qui  si  vede  cavar  elmi  e  celate  ;  970 

Là  torcere  e  covrir  targhe  e  pavesi; 
Per  tutto  riforbire ,  aguzzar  ferri , 
Amiestar  maglie,  rinterzar  corazze; 
E  per  fregiar  più  nobili  armature , 
Tirar  lame  d*  acciar ,  fila  d*  argento.  975 

O^i  bosco  fa  lance ,  ogni  fucina 
Disfa  vomeri  e  marre ,  e  spiedi  e  spade 
Si  forman  da  1  bidenti  e  da  le  falci. 
Suonan  le  trombe ,  dassi  il  contrassegno , 
Gridasi  a  V  armi  :  e  chi  cavalli  accoppia ,  930 

E  chi  prende  elmo,  e  chi  picca,  e  cni  scudo. 
Questi  ha  la  piastra ,  e  qnei  la  maglia  indosso , 
E  la  sua  fida  spada  ognuno  a  canto. 

Or  m*  aprite  Elicona ,  e  di  concorto 
Meco  il  canto  movete ,  alme  sorelle ,  985 

A  dir  guai  regi  e  guai  genti  e  qual  armi         641 
Militassero  allora,  e  di  che  forze 
E  di  CTuanto  valore  era  in  que'  tempi 
La  milizia  d'Italia.  A  voi  conviensi 
Di  raccontarlo ,  a  cui  conto  e  ricordo  990 

De  le  cose  e  de*  tempi  è  dato  eterno. 
A  noi  per  tanti  secou  rimasa 
K  è  di  picciola  fama  un'  aura  a  pena. 

Il  primo ,  che  le  genti  a  questa  guerra 
Ponesse  in  campo,  fU  Mczenzio  il  aero  995 

Del  ciel  dispregiatore  e  de  gli  Dei.  04S 

D'  Etruria  era  signore ,  e  di  Tirreni 
Conducea  molte  squadro.  Avea  suo  Aglio 
Lauso  con  esso ,  un  ffiovine  il  più  bello , 
Da  Turno  in  fuori ,  cne  l' Ausonia  avesse.  looo 

Oran  cavaliere,  egregio  cacciatore 
Fino  allor  si  mostrava  :  e  mille  armati 
Avea  la  schiera  sua ,  che  seco  uscita 


à 


LIBRO  BBTTIMO  20T 

Faor  d*  Agillinft ,  ne  r  esigilo  ancora 

Indarno  lo  seguia  ;  degno  che  fosse  1005 

Ne  r  imperio  del  padre.  A  questi  dopo 

Segae  Aventino  de  1*  inyitto  Alcide 

Leggiadro  figlio.  Questi  col  suo  carro 

Di  palme  adomo ,  e  co'  yittorìosi 

Suoi  corridori  in  campò  appresentossL  1010 

Avea  nel  suo  cimiero  e  nel  suo  scudo 

In  memoria  del  padre  un*  idra  cinta 

Da  cento  serpi  D' Ercole ,  e  di  Rea 

Sacerdotessa  ascosamente  nato 

Nel  bosco  d' Aventino  era  costui  ;  1015 

Che  con  la  madre  il  poderoso  Iddio 

Quivi  si  mescolò ,  quando  di  Spagna , 

Estinto  Gerlone,  a  1  campi  venne 

Di  Laùrento ,  e  nel  Tirreno  fiume 

Lavò  d'Ibero  il  conquistato  armento.  1020 

Eran  di  mazzafrusti ,  di  spuntoni ,  ms 

Di  chiavarìne ,  e  di  savelli  spiedi 

Armate  le  sue  schiere.  Ed  egli  a  piedi 

D*un  cuoio  di  loon  velluto  ed  irto 

Yestia  gli  omeri  e  *1  dorso,  e  del  suo  ceffi),         1025 

Che  quasi  digrignando  ignudi  e  bianchi 

Mostrava  i  denti  e  l'una  e  l' altra  gota. 

Si  copria  '1  capo.  E  con  tal  fiera  mostra 

D*  Ercole  in  guisa  a  corte  si  condusse. 

Vennero  appresso  i  due  fratelli  argivì  1030 

Gatìllo  e  Gora  ,  e  di  Tiburte  il  t^rzo  n9 

Guidar  le  genti ,  che  da  lui  nomate 
Fur  tiburtine.  Da  i  lor  colli  entrambi 
Calando  avanti  a  l' ordinate  schiere 
Due  centauri  sembravano  a  vederli ,  1085 

Che  giù  correndo  da'  nevosi  gioghi 
D' Omole  e  d' Otri ,  risonando  fansi 
Dar  la  via  da'  virgulti  e  da  le  selve. 

Gécolo  di  Preneste  il  fondatore 
Gomparve  anch'  egli  :  un  re  che  da  bambino       1040 
Fu  tra  l'agresti  belve  appo  d'un  foco 
Trovato  esposto  ;  onde  dì  foco  nato 
Si  credè  poscia ,  e  di  Vulcano  figlio! 
Avea  costui  di  rustici  d'intorno 
Una  gran  compagnia ,  eh'  eran  de  V  alta  1045 

Preneste ,  de'  sassosi  emici  monti , 
De  la  Gabina  Giuno  e  d' Amene 
E  d' Amasene  e  de  la  ricca  Anagni 
Abitanti  e  cultori.  E  come  gli  altri ,    ^       > 
Non  erano  in  su'  carri ,  o  oraste  armatTf  1050 


208  BNBIDB 


0  di  scudi  coverti.  Una  gran  parte 
Eran  frombolatori,  e  spargean  ghiande 

Di  grave  piombo ,  e  parte  avean  due  dardi 

Ne  la  sinistra,  e  cappelletti  in  testa 

D'orridi  lupi;  il  manco  piò  discalzo,  1055 

n  destro  0  d*  uosa ,  0  di  corteccia  involto.         689 

Messapo  venne  poscia  de' cavalli 
n  domatore ,  e  di  Nettuno  il  figlio , 
Contro  al  ferro  fatato  e  contro  al  foco. 
Questi  subitamente  armando  spinse  lOGO 

Le  ^enti  sue  per  lun<ja  pace  imbcUi. 
Deviò  da  le  nozze  i  Fescennini, 
Da  le  lei^gi  i  Palisci  :  armò  Soratte  : 
Armò  Flavinio;  e  tutti  che  d'intorno 
Ha  di  Gimini  e  la  montagna  e'I  lago,  inc5 

E  di  Capcna  i  boschi.  Ivan  del  pan 
In  ordinanza ,  e  del  suo  re  cantando , 
Come  soglion  talor  da  la  pastura 
Tornarsi  in  ver  le  rive  a  cicl  sereno 

1  bianchi  cigni ,  e  le  distese  gole  1070 
Disnodar  gorgheggiando ,  e  far  di  tutti              099 
Tale  una  melodia  che  di  Caistro 

Ne  suona  il  fiume  e  d'  Asia  la  palude. 

Né  pur  un  si  movea  di  tanta  schiera 

Da  la  sua  fila,  in  ciò  lo  stuol  sembrando  1  175 

Dtì'  rochi  augelli  allor  che  di  passaggio 

Vi(Mi  d'alto  mare,  e  come  intera  nube 

A  torra  unitamente  se  ne  cala. 

Ecco  li  poi  venir  Chiuso  il  Sabino , 
Di  quel  vero  sabino  antico  sangue,  lo^c 

Ch'  avea  gran  gente ,  e  la  sua  gente  tutta 
Pareggiava  sol  egli.  Il  nomo  suo 
Fece  Claudia  nomare  e  la  famiglia 
E  la  tribù  romana  allor  che  Roma 
Diessi  a' Sabini  in  parte.  Era  con  lui  l  > 

La  schiera  d'Amiterno  0  de' Quinti 
Di  quegli  antichi.  Era  vi '1  ponol  tutto 
D' Ereto,  di  Mutisca,  dì  Nomonto 
E  di  Velino  ;  e  quei ,  che  d;i  T  alpestra 
Tetrica,  da  Severo,  da  Ca<?p:5ria ,  1  '>) 

Da  Fonili,  e  d'Imolla  eran  voiuti;  7ì;ì 

Quei,  che  bcvoan  del  Fàbari  e  del  Tebro; 
Che  da  la  fredda  Norcia  eran  mandati; 
Le  squadro  do  gli  Ortini,  il  Lazio  tutto, 
E  tutti  al  fin ,  che  nel  calarsi  al  maro  ìouò 

Bagna  d'ambe  le  sponde  Allibi  inrnlice. 
Tanti  flutti  non  fa  di  Libia  il  golfo 


;.:n:;o  i^inTr.r:>  '  5>r»ft 


Oti'inlo  calo  Ori  «a  lu  l' oii'le  il  verno; 

?s*ò  tante  si)i«^]io  hanno  dal  solo  ailiiste 

I.a  stato  0  «r  Krmo  o  de  la  Licia  i  campì,  ilOO 

Quante  cran  ji:onti.  Arme  sonare  e  scudi  7»i 

S'  udian  per  tutto ,  e  tutta  al  suon  do*  piedi 

Trepidar  si  ve- Ica  V  ausonia  terra. 

Quindi  ne  vien  T  Agamennonio  auriga 
Aleso,  del  trojan  nome  nimico;  iiùS 

Che  di  mille  feroci  nazioni 
In  aita  di  Turno  un  gran  miscuglio 
Dietro  al  suo  cnrro  avea  di  montanarL 
Parte  de'  pampinosi  a  Bacco  amici 
Massici  colli,  e  pnrte  de  gli  Auruaci,  IHO 

De'  Se  licini  liti ,  di  Volturno  , 
Di  Cale  ,  de'  Saticoli ,  e  de^^jli  Osci. 
Questi  per  arme  avean  mazze  o  lanciotti 
Irti  di  molte  punte,  e  di  soatto 

Scudisci  al  braccio,  onde  erano  i  lor  colpi  1115 

Traendo  e  ritraendo,  in  molti  modi 
Continuati ,  e  doppi.  E  pur  con  essi 
Avcano  e  per  ferire  e  per  coprirsi 
Tar!-iio  ne  la  sinistra,  e  storte  al  fianco. 
,  No  tu  senza  il  tuo  nome  a  questa  impresa,      1120 
Ebaio,  te  n"* andrai,  del  gran  Telone 
E  de  la  bella  Ninfa  di  Sebeto 
Figlio  onorato.  Di  costui  si  dice 
Che  non  contento  del  paterno  regno, 
Capri  al  vecchio  lasciando  e  i  Teleboi,  1125 

Fé'  d' esterni  paesi  ampio  conquisto ,  786 

E  fu  re  de'  Sarrasti  e  do  le  genti 
Che  Sarno  irrida.  Insignorissi  appresso 
Di  Batulo,  di  Rufra,  di  Celenne 
E  de'  campi  fruttiferi  d'  Avella.  II90 

Mezze  picche  avean  questi  a  la  tedesca 
Per  avventarle ,  e  per  celate  in  capo 
Suveri  scortecciati,  e  di  metallo 
Brocchieri  a  la  sinistra ,  e  stocchi  a  lato. 

Calò  di  Nersa  e  de'  suoi  monti  alpestri  1135 

TJfente ,  un  condottier  eh*  era  in  quei  tempi 
Di  molta  fama  e  fortunato  in  arme. 
Equicoli  avea  seco  la  più  parte, 
Orrida  gente,  per  le  selve  avvezza 
Cacciar  le  fere,  adoperar  la  marra,  1140 

Arar  con  V  armi  indosso ,  e  tutti  insiemo         W 
Viver  di  cacciagioni  e  di  rapine. 

De  la  gente  marrubia  un  sacerdote 
Venne  fra  gli  alt*:!  ;  sacerdote  insieme  ^ 

DtirSneidf  U 


1 


2J0  ENFJDE 


X 


E  capitan  di  genti  ardito  e  forte.  1145 

Umbrorie  era  il  suo  nome  ;  Archippo  il  rege 

Che  lo  mandava.  Di  felice  oliva 

Avea  il  cimiero  e  V  elmo  intorno  avvolto. 

Era  gran  ciurmatore,  e  con  gF  incanti 

E  col  tatto  ogni  serpe  addormentava:  1150 

De  gì*  idri ,  de  le  vipere ,  e  de  gli  aspi 

Placava  V  ira ,  raddolciva  il  tosco , 

E  risanava  i  morsi.  E  non  per  tanto 

Potò  nò  con  incanti ,  nò  con  erbe 

De*  marsi  monti  risanare  il  colpo  1155 

De  la  dardania  spada:  onde  il  meschino 

Ne  fu  da  le  foreste  de  TAngizia, 

Dal  cristallino  Fucino  e  da  gli  altri 

Laghi  d*  intorno  desiato  o  pianto. 

Mandò  la  madre  Aricia  a  questa  guerra  1160 

Virbio,  del  casto  Ippolito  un  figliuolo  762 

Gentile  e  bello;  e  da  le  selve  il  trasse 
D'  Egeria ,  ove  d' Imeto  in  su  la  riva 
Più  colta  e  più  placabile  è  Diana. 
Che  per  fama  d  Ippolito  si  dice,  1165 

^H>  Poscia  che  fu  per  froda  e  per  disdegno 

De  rìniffua  madrigna  al  padre  in  ira; 
E  che  gli  spaventati  suoi  cavalli 
Strazio  e  scempio  ne  fóro ,  egli  di  nuovo 
Per  virtù  d*erbe  e  per  pietà,  che  n'ebbe  HTO 

La  casta  Dea,  fu  rivocato  in  vita.  769 

Sdegnossi  il  padre  eterno ,  eh'  un  mortale 
Fosse  a  morte  ritolto  ;  e  V  inventore 
Di  cotal  arte ,  che  d' Apollo  nacque  , 
Fulminando  mandò  ne  regni  bui.  il'75 

Ippolito  da  Trivia  in  parte  occulta 
Scevro  da  tutti  a  cura  fu  mandato 
D'  Egeria  Ninfa ,  e  ne  la  selva  ascoso , 
Là  've  solingo ,  e  col  cangiato  nome 
Di  Virbio,  sconosciuto  i  giorni  mena  1180 

D' un'  altra  vita.  E  quinci  è  che  dal  tempio 
E  da  le  selve  a  Trivia  consecrate 

I  cavalli  han  divieto  :  che ,  lor  colpa , 

Fu'  1  suo  carro  e'  1  suo  corpo  al  niarin  mostro , 

E  poscia  a  morte  indegnamente  esposto.  Ii85 

II  nglio ,  che  pur  Virbio  era  nomato , 
Non  men  di  lui  feroce ,  i  suoi  destrieri 
Esercitava;  e'n  su'l  paterno  carro 
Arditamente  a  questa  guerra  uscio. 

Turno  infra*  primi ,  di  persona  e  d*  armi  1 100 

Riguardevole  e  fiero,  e  sopra  tutti  783 


A. 


LIBRO   SETTIMO  211 


Con  tiitto  '1  capo ,  in  campo  appresentossi. 

Un  elmo  avca  con  tre  cimieri  m  testa, 

E  suv\i  una  Chimera  che  con  tante 

Bocche  foco  anelava,  quante  appena  1195 

Non  apria  Mongihello  ;  e  con  più  fremito 

Spargoa  lo  fiamme,  come  più  crudele 

Kra  ia  zufTa,  e  più  di  sangue  avea. 

Lo  scudo  era  d' acciajo ,  e  d' oro  intorno 

Tutto  commesso ,  e  d' or  nel  mezzo  un'  Io  1200 

Era  scolpita ,  che  già  1  manto  e  '1  ceffo , 

Le  setole  e  le  corna  avea  di  bue  ; 

Memorabil  soggetto!  Bravi  appresso 

Argo  che  la  guardava  :  eravi  il  padre 

Inaco  che  chiamandola  versava  1205 

Non  mcn  de  gli  occhi,  che  de  l'urna  un  fiume.  7»« 

Dopo  Turno  venia  di  fanti  un  nembo, 

Una  ordinanza,  una  campagna  piena 

Tutta  di  scudL  Eran  le  genti  sue 

Argivi,  Aurunci^  Rutuli,  Sicani  1210 

E  Sacrani  e  Labici  che  dipinti 

Portan  gli  scudi.  Avea  del  Tiberino , 

Avca  del  sacro  lite  di  Numico 

E  de'  rutoli  colli  e  del  Circeo , 

D' Ansuro  a  Giove  sacro ,  di  Feronia  1215 

Diletta  a  Giuno ,  de  la  paludosa 

Sàtura  e  del  gelato  e  scemo  Ufento    ' 

Gran  turba  e  di  villani  e  d' aratori. 

L'  ultima  a  la  rassegna  vien  Camilla 
Ch*  era  di  volsca  gente  una  donzella ,  1220 

Non  di  conocchia ,  o  di  ricami  esperta , 
Ma  d'  armi  e  di  cavalli ,  e  benché  virgo , 
Di  cavalieri  e  di  caterve  armate 
Gran  condottiera,  e  ne  le  guerre  avvezza. 
Era  fiera  in  battaglia  e  lieve  al  corso  1225 

Tanto  che  quasi  un  vento  sopra  1'  erba 
Correndo  j  non  avrebbe  anco  de' fiori 
Tocco ,  ne  de  1'  ariste  il  sommo  appena. 
Non  avrebbe  per  l' ondo  e  per  li  flutti 
Del  gonfio  mar  non  che  le  piante  immerse,         1230 
Ma  né  pur  tinte.  Per  veder  costei  su 

Uscian  do'  tetti ,  empiean  le  strade  e  i  campi 
Le  genti  tutte  :  e  i  giovani  e  le  donno 
Stavan  con  meraviglia  e    con  diletto 
Mirando  e  vagheggiando  quale  andava,  1235 

E  qual  sembrava  ;  come  regiamente 
D'ostro  ornato  avea'l  tergo,  o'I  capo  d'oro; 
E  con  che  disprezzata  leggiadria 


212 


EVKIDK 


Portava  un  pasloral  nodoso  mirto 
Con  picciol  leiTO  in  punta  ;  e  con  cho  grazia 
Se  ne  già  d' arco  e  di  faretra  armata.  1241 

817 


FINE  DEI.  LIBRO  SETTIMO 


<É 


LIBRO   OTTAVO. 


Argomento 


Alzato  il  segnale  di  guerra  sulla  ròcca  di  Laurento.  Teserclto  Italiano  si 
raduna  Intorno  a  Turno.  Venulo  è  mandato  ad  Argirippa  o  Arpl  per  invi- 
tire  Diomede  alla  comune  lega,  additandogli  il  comune  p(^ricolo,  1-I7.  A 
auestc  gravi  minaccia  £nea,  vedendosi  mal  difeso  per  lo  scarso  niunoro 
e*  fuoL  a  consiglio  di  Tiberino  va,  su  pel  fiume  e  p<n*  quel  luo^^hi  dove 
poi  fu  labbricata  Roma  e  dove  allora  regnava  Evandro,  al  monte  hdaiino 
m  una  ciità  chiamata  Pallanieo,  18-100.  Evandro  benignamente  riceve  Luca 
•che  gli  domanda  soccorso.  101-183.  Lo  fa  assistere  ai  sacrificil  di  Ercole 
che  allora  stava  celebrando,  glio  ne  spiega  Torigine,  che  fu  TucclsLonc  di 
Caco,  184-267  ;  glie  ne  dimostra  il  rito,  e  gli  addila  i  luoghi  più  famosi  per 

a  nelle  imprese  di  Ercole,  268-389.  Intanto  Vulcano  allattato  dalle  carezze 
i  Venere  si  prepara  a  fabbricare  le  armi  per  Enea.  Si  descrive  la  sua  ef- 
flcina,  S80-4&4.  Il  giorno  di  poi  Evandro,  chiamato  Enea  in  disparte,  gli 
dspone  come  sia  volere  dei  Fati  che  i  Tirreni  prestino  soccorso  ai  Troiani, 
4S5-510.  Venere  dal  cielo  mostra  ad  Enea  le  armi  e  1  segni  della  vicina 

?  aerra:  onde  egli  con  cerimonie  si  dispone  a  partire  i>er  andare  fra  1 
usci  ;  e  il  yecciìlo  Evandro  commosso  dice  un  amaro  addìo  airunico  Aglio 
Fallante,  che  parte  capitano  di  quattrocento  de*  suol  cavalieri,  520-596. 
In  un  bosco  vicino  al  campo  dei  Tirreni,  Venere  porta  le  divine  armi  al 
figlio,  che  ne  ammira  la  stupenda  bellezza,  597-625,  e  massime  dello  scudo. 
In  cui  sono  scolpite  le  future  glorie  di  Soma  e  di  Cesare  ▲ugtt8to,626-8;ii. 

Poscia  che  di  Laurento  in  su  la  rocca 
Fé*  Turno  inalberar  di  guerra  il  segno, 
E  che  ^erra  sonar  le  roche  trombe; 
Spinti  1  carri  e  i  destrieri ,  e  1*  armi  scosse 
Di  Marte  al  tempio;  incontanente  i  cuori 
Si  turliàr  tutti,  e  tutto  '1  Lazio  insieme 
Con  subito  tumulto  si  restrinse. 
Fremessi,  congiurossi,  rassettossi 
Ognun  ne  V  arme.  I  tre  gran  condottieri 
Messapo  ,Ufente ,  e  V  empio  de*  celesti  10 

Dispregiator  Mezenzio  uscirò  in  prima.  e 

Accolsero  i  sussidj  :  armar  gli  agresti  : 
Spogliar  d*  a^icoltor  le  ville  e  i  campi. 

In  Arpi  a  Diomede  si  destina 
Venulo  ambasciatore  :  e  gli  s*  impone  iS 

Che  soccorso  gli  chiegga.  e  che  gli  esponga 
Quanto  ciò  de  r  Italia  e  del  suo  stato 
Tomi  a  erand*  uopo  :  con  che  gente  Enea , 
Con  quale  armata  v*  ha  già  posto  il  piede  » 


214  ■....^^^'  ENEIDE 


E  formo  il  seggio,  e  reintegrato  il  culto 
A  i  suoi  vinti  Penati:  come  aspira 
A  questo  regno,  e  come  anco  per  fato 
E  per  retaggio  del  dardanio  seme 
Lo  si  promette.  Che  perciò  da  molti 
E  già  seguito ,  e  eh*  ogni  giorno  avanza 
E  ai  forze  e  di  nome.  Indi  soggiunga: 
Quel  che  '1  duce  de'  Teucri  in  ciò  disegni , 
E  che  miri  q  che  tenti  (se  fortuna 
Gli  va  seconda)  a  te  via  più  eh'  a  Turno 
Esser  può  manifesto ,  e  cn'  a  Latino. 

Questi  andamenti  e  queste  trame  allora 
Gorrean  per  Lazio,  e  lo  scaltrito  eroe 
Le  sapea  tutte  :  onde  in  un  mare  entrato 
Di  gran  pensieri ,  or  la  sua  mente  a  questo , 
Or  a  qutì  rivolgendo  in  varie  parti , 
D' ogm  cosa  avea  tema  a  speme  e  cura.  20 

I  Cosi  di  chiaro  umor  pieno  un  gran  vaso 
ÌDal  sol  percosso  un  tremolo  splendore 
!  Vibra  ondeggiando ,  e  rinfrangendo  a  volo 
:  Manda  i  suoi  raggi ,  e  le  parete  e  i  palchi 
!  E  r  aura  d' ogni  intorno  empie  di  luce. 

Era  la  notte ,  e  già  per  ogni  parte 
Del  mondo  ogni  animai  d' aria  e  di  terra 
Altamente  giacca  nel  sonno  immerso , 
Allor  che  '1  padre  Enea  cosi  com'  era 
Dal  pensier  de  la  guerra  in  ripa  al  Tebro  xs 

Già  stanco  e  travagliato,  addormentossi 
Ed  ecco  Tiberino  il  dio  del  loco 
Veder  gli  parve,  un  che  già  vecchio  al  volto 
Ser^rava.  Avea  di  pioppe  ombra  d' intorno  : 
Di  sottil  velo  e  trasparente  in  dosso 
Ceruleo  ammanto ,  e  i  crini  e  '1  fronte  avvolto 
D' ombrosa  canna.  E  de  V  ameno  fiumo 
Placido  uscendo,  a  consolar  lo  prese 
In  cotal  guisa  :  Enea  stirpe  divina , 
Che  Troja  da' nemici  ne  riporti 
E  la  ravvivi  e  la  conservi  eterna  ; 
O  da  me ,  da'  Laurenti  e  da'  Latini 
Già  tanto  tempo  a  tanta  speme  atteso , 
Questa  è  la  casa  tua  :  questo  è  secura- 
-mente^  (non  t' arrestare)  il  fatai  seggio 
Che  t*  è  promesso.  Le  minacce  0  '1  grido 
Non  temer  de  la  guerra.  Ogni  odio ,  ogn'  ira 
Gessar  già  de'  Celesti.  E  perchè  '1  sonno 
Credenza  non  ti  scemi,  ecco  a  la  riva 
Sei  già  del  fiume ,  u'  sotto  a  l' elee  accolta 


LiiiiiO  OTTAVO         ,  .^ùy  215 


sta  la  candida  troja  con  quei  trenta 

Candidi  Agli  a  le  sue  poppe  intorno. 

Questo  fla  dunque  il  segno  e  *1  tempo  e  '1  loco 

Da  fermar  la  tua  sede.  E  questo  è  1  fino  70 

De' tuoi  travagli:  onde  il  tuo  figlio  Ascanio        46 

Dopo  trentanni  il  memorabil  regno 

Fonderà  d*  Alba,  che  cosi  nomata 

Fia  dal  candore  e  dal  felice  incontro 

Di  (juesta  fera.  E  tutto  adempirassi ,  75 

Ch'io  ti  predico,  0  t' è  predetto  avantL 

Or  brevemente  quel  ch*^oprar  convietiti 

Per  uscir  glorioso  e  vincito:re 

Di  questa  guerra ,  ascolta.  E  di  mii  lunge 

Non  molto  Evandro ,  un  re  che  ne  T  Arcadia  80 

E  qua  venuto  ;  e  sopra  a  questi  monti 

Ha  degli  Arcadi  suoi  locato  il  seggio,  ' 

Il  loco  da  Fallante  suo  bisavo 

E  stato  Pallantèo  da  lui  nomato: 

Ed  essi,  perchè  snn  nel  Lazio  esterni,  85 

Son  nemici  a'  Latini,  ed  han  con  loro  55 

Perpetua  guerra.  A  te  fa  di  mcstiero 

Con  lor  confederarti,  e  per  compagni 

A  questa  impresa  avergli.  Io  fra  le  ripe 

Mie  stesse  incontro  a  l'acqua  a  la  magione  00 

D' Evandro  agevolmente  condurrottL 

Destati,  de  la  Dea  pregiato  figlio; 

E  come  pria  cader  vedrai  le  stelle, 

Porgi  solennemente  a  la  gran  Giuno 

Preghiere  e  voti ,  e  supplicando  vinci  05 

De  r  inimica  Dea  l' ira  e  l' orgoglio  ; 

Ed  a  me ,  poi  che  vincitor  sarai , 

Paga  il  dovuto  onore.  Io  sono  il  Tebro 

Cerco  da  te ,  che ,  qual  tu  vedi ,  ondoso 

Rado  oneste  mie  rive,  e  fendo  i  campi  100 

De  la  fertile  Ausonia,  al  ciel  amico 

Sovr'ogni  fiume.  Quel,  che  qui  m'  è  dato^ 

E  '1  mio  seggio  maggiore  ;  e  fia  che  poscia 

Sovr'ogni  altra  cittade  il  capto  estolla. 

Cosi  disse,  e  tufibssi.  Enea  dal  sonno  105 

Si  scosse  ;  il  giorno  aprissi:  ed  ei  col  sole  60 

Sorgendo  insieme ,  al  suo  nascente  raggio 
Si  volse  umile  ;  e  con  lo  cave  palme 
De  l'onda  si  spnizzò  del  fiume,  e  disse: 
Ninfe  laurenti,  Ninfe,  ond'hannp  1  fiumi 
L' umore  e  'l  corso  ;  e  tu  con  1*  onde  tue  t 
Padre  Tebro  sacrato  ,  al  vostro  Enea 
Date  ricetto ,  e  da'  perìgli  ornai 


\ 


HO 


iiò  rneids 


im,mtS  in 


Lo  liberate.  E  io  da  qual  sia  fonte , 

Che  sgorghi ,  in  qual  sii  riva ,  in  qfual  sii  fbCd       11 

Ì Poiché  tanta  di  me  pietà  ti  stringe) 
tempre  t' onorerò ,  sempre  di  doni 
Ti  sarò  largo.  O  de  Y  esperid*  onde 
Superbo  regnatore ,  amico  e  mite 
He  sia  il  tuo  nume ,  e  i  tuoi  detti  non  vani*  12 

Cosi  dicendo ,  de'  suoi  legni  elegge 
X  due  migliori ,  e  gli  correda  e  gli  arma 
Di  tutto  punto.  Ed  ecco  d' improvviso 
(Mirabil  mosiro  !)  de  la  selva  uscita 
Tina  candida  scrofa,  col  suo  parto  IS 

Di  candor  pari,  sopra  l'erba  verde 
Ne  la  riva  accosciata  gli  si  mostra. 
Tosto  il  pietoso  Eroe  col  gregge  tutto 
A  r  aitar  la  condusse  :  e  polche  sacra 
l'ebbe  al  gran  nume  tuo,  massima  Gilmo,  i: 

A  te  r  uccise,  n  Tebro  quella  notte 
Quanto  fli  lun§a,  di  turbato  e  gonfio 
Ch'  egli  era ,  si  rendè  tranquillo  e  queto , 
Si  che  senza  rumore  e  quasi  in  dietro 
Tornando ,  come  stagno ,  o  come  piana  1^ 

Palude  adeguò  V  onde  ,  e  tolse  a'  remi  ss 

Ogni  contesa.  Accelerando  adunque 
n  cammin  preso ,  i  ben  unti  e  spalmati 
Lor  legni  se  ne  vanno  incontro  al  fiume 
Com'a  seconda;  si  che  l'ondo  stesso  1' 

Stavan  meravigliose,  e  i  boschi  intorno 
Non  soliti  a  veder  l' armi  e  gli  scudi, 
E  i  dipinti  navilj  che  da  lunge 
Facean  novella  e  peregrina  mostra. 
Se  ne  van  notte  e  giorno  remigando  1- 

Di  tutta  forza ,  e  i  seni  e  le  rivolte 
Varcan  di  mano  in  mano ,  ora  a  l' aperto , 
Or  tra  le  macchie  occulti,  e  via  volando 
Segan  l' onde  e  le  selve.  Era  il  sol  giunto 
A  mezzo  il  giorno,  quando  incominciaro  1( 

Da  lun^e  a  discovrir  la  rocca  e  '1  cerchio  97 

E  i  rari  allor  del  poverello  Evandro 
Umili  alberghi,  eh'  ora  al  cielo  adegua 
La  romana  potenza.  Immantinente 
Volser  le  prore  a  terra,  ed  appressarsi  li 

Là  "ve  per  avventura  il  re  quel  giorno 
Solennemente  in  un  sacrato  bosco 
Avanti  a  la  città  stava  onorando 
H  grande  Alcide.  Avea  Fallante  seco 
Suo  figlio  f  e  del  suo  povero  Senato ,  1( 


LlDilO  OTTAVO 2J7 


170 


E  de*  suoi  primi  giovani  un  drappello , 

Che  d' incensi ,  di  vittimo  e  di  fumo 

Di  caldo  sangue  empiean  i'  are  e  gli  altarL 

Tosto  che  di  lontan  vider  le  gaggio , 
E  per  entro  de'  boschi  occulte  e  chete  165 

Gir  navi  esterne ,  insospettiti  in  prima 
Si  levar  da  le  mense.  Ma  Fallante 
Arditamente ,  Non  movete  (disse) , 
Seguite  il  sacrificio.  E  tosto  a  Tarmi 
Dato  di  piglio,  incontro  a  lor  si  spinse. 
Giunto ,  gridò  da  T  argine  :  O  compagni , 
Qua!  fin  v'  adduce ,  o  qual  v'  intrica  errore 
Per  cosi  torta  e  disusata  via  ? 
Ov' andate?  chi  siete?  onde  venite? 
Che  ne  recate  voi  ?  La  pace  o  Tarmi?  175 

Enea  di  su  la  poppa  un  ramo  alisaiido  ii4 

Di  pacifera  oliva ,  Amici  (disse) 
Vi  siamo ,  e  slam  Trojani ,  e  coi  Latini 
Vostri  nimici  inimicizia  avomo. 
Questi  superbamente  il  nostro  esigilo  180 

Perseguitando,  ne  fan  guerra  ed  onta. 
Ricorremo  ad  Evandro.  A  lui  porgete 
Da  nostra  parte ,  che  de'  Teucri  alcuni 
Son  qui  venuti  condottieri  eletti 
Por  sussidj  impetrarne ,  e  lega  d*  arme.  185 

Stupì  primieramente  a  si  gran  nome 
Fallante ,  indi  ver  lui  rivolto  umile , 
Signor,  qual  che  tu  sii,  scendi,  e  tu  stesso 
Parla  (disse)  al  mio  padre ,  e  nosco  alloggia. 
E  lo  prese  per  mano ,  ed  abbracciollo-*  190 

Lasciato  il  nume  e  ne  la  selva  entrati,  is^ 

Enea  dinanzi  al  re  comparve  e  disse  : 

Signor ,  che  di  bontà  sovr'  o^ni  Greco , 
E  di  fortuna  sovr'  a  me  ten  vai 
Tanto,  che  supplichevole,  e  co' rami  195 

Di  benda  avvolti  a  tua  magion  ne  vengo  :, 
Io,  perchè  sia  Trojano,  e  tu  di  Troja 
Per  nazion  nimico  e  per  legnaggio 
A  gli  Atridi  congiunto ,  or  non  pavento 
Venirti  avanti:  che  '1  mio  puro  affetto,  200 

Gli  oracoli  divini,  il  sangue  antico 
De'  maggior  nostri ,  il  tuo  famoso  grido , 
E  '1  fato  e  '1  mio  voler  m' han  teco  unito. 
Dardano  de'  Trojani  il  primo  autore 
Nacque  d'Elettra,  come  i  Greci  han  detto j  205 

E  d'Elettra  fu  padre  il  grande  Atlante 
Che  con  gli  omeri  suoi  folce  le  stelle. 


2VÌ  ENEIDE 


Vostro  progenitor  Mercurio  fiio, 

Che  nel  gelido  monte  di  Giliene 

Do  la  candida  Maja  al  mondo  nacque:  210 

E  Maja  ancor  (se  questa  fama  è  vera)  138 

Venne  d'Atlante,  e  da  lo  stesso  Atlante 

Che  fa  con  le  sue  spalle  al  elei  sostegno. 

Cosi  d' un  fonte  lo  tuo  sangue  e  '1  mio 

Traggon  principio.  E  quinci  è  che  securo  215 

Senza  opra  di  messaggi  e  senza  scritti. 

Pria  ch'io  ti  tenti,  e  pria  che  tu  m'affidi, 

Posto  ho  me  stesso  e  la  mia  vita  a  rischio , 

E  supplichevolmente  a  la  tua  casa 

Ne  son  venuto.  I  Rutuli  eh'  infesti  220 

Sono  anco  a  le,  se  de  l' Italia  fuori  1 45 

Gacceran  noi,  già  de  l'Italia  tutta 

L'imperio  si  promettono,  e  di  quanto 

Bagna  Tun  mare  e  l'altro.  Or  la  tua  fede 

Mi  porgi,  e  la  mia  prendi:  eh'  ancor  noi  225 

Siamo  usi  a  guerra,  e  cor  ne' petti  avemo. 

Il  re,  mentre  eh'  Enea  parIan(ìo  stette, 
Il  volto  e  gli  occhi  e  la  persona  tutta 
Gli  andò  squadrando;  e  nrevemente  al  fine 
Così  risposa  :  Valoroso  eroe,  230 

Come  lieto  io  t'accolgo,  e  come  certo 
Raffigurar  mi  sembra  il  volto  e  i  gesti 
E  la  favella  di  quel  grande  Anchise 
Tuo  genitore!  Io  mi  ricordo  quando 
Priamo  per  riveder  la  sua  sorella  235 

Esione  e  '1  suo  regno,  in  un  passaggio 
Che  perciò  fé'  da  Troia  a  Salamina, 
Tocco  d'Arcadia  i  gelidi  confini. 
De  le  prime  lanugini  fiorito 

Era  il  mio  mento  a  pena  allor  ch'io  vidi  2-10 

Quei  gran  duci  di  Troja,  e  de'  Trojani  ico 

Lo  stesso  re.  Con  molto  mio  diletto 
Gli  mirai,  gli  ammirai,  notai  di  tutti 
Gli  abiti  e  le  fattezze,  e  sopra  tutti 
Leggiadro,  riguardevole  ed  altero  245 

Sembrommi  Anchise.  Un  desiderio  ardente 
Mi  prese  allor  d' offrirmi,  e  d' esser  conto 
A  quel  signore.  Il  visitai,  gli  porsi 
La  destra,  ospite  il  fei,  nel  mio  Feneo 
Meco  l'addussi.  Ond'ei  poscia  partendo,  250 

Un  arco,  una  faretra  e  molti  strali 
Di  Licia  presentommi,  e  d'oro  appresso 
Una  ricca  intcssuta  sopravvesta 
Con  due  freni  indorati  eh' ancor  oggi 


-■  — ] 


LIBRO  OTTAVO  210 


Son  di  Fallante  mio  :  si  che  già  ferma  1^55 

È  tra  noi  (niella  fede  e  quella  lega 

Ch'  or  ne  cbiedete.  E  non  fla  il  sol  dimano 

Dal  balcon  d' Oriente  uscito  a  pena, 

Che  le  mie  genti  e  i  miei  sussidj  avrete. 

Intanto  a  questa  festa,  che  solenne  2C0 

Facciamo  ogni  anno,  e  tralasciar  non  lece, 

(Già  che  siete  venuti  amici  nostri) 

Nosco  restate,  e  come  di  compagni 

Queste  mense  onorate.  Avea  ciò  detto, 

Allor  che  nuovi  cibi  e  nuove  tazze  265 

Ripor  vi  fece,  e  lor  tutti  nel  prato  175 

A  seder  pose  ;  e  sopra  tutti  Enea 

(Di  villoso  leon  distoso  un  tergo) 

Seco  al  suo  desco  ed  al  suo  seggio  accolse. 

Per  man  de'  sacerdoti  e  de'  ministri  270 

Del  sacrificio,  d'arrostite  carni 

De'  tori,  di  vin  puro,  di  focacce^ 

Gran  piatti,  gran  canestri  e  gran  tazzoni 

N' andare  a  torno;  e  co' suoi  Teucri  tutti 

Enea  fu  de  le  viscere  pasciuto  275 

Del  saginato  a  Dio  devoto  bue. 

Tolte  le  mense,  e  '1  desiderio  estinto 
De  le  vivande,  a  ragionar  rivolti 
Evandro  incominciò:  Trojano  amico, 
Questo  convito  e  questo  sacrifìcio  280 

Cosi  solenne,  e  questo  a  tanto  nume  isa 

Sacrato  altare,  instituiti  e  posti 
Non  sono  a  caso:  che  del  vero  culto 
E  de  gli  antichi  Dei  notizia  avemo. 
Per  memoria,  per  merito  e  per  voto  285 

D'un  gran  periglio  sua  mercè  scampato, 
Son  questi  onori  a  questo  Dio  dovuta 
Mira  colà  quella  scoscesa  rupe, 
E  quei  rotti  macigni,  e  di  quel  colle 
Queir  alpestra  ruina,  e  quel  deserto  290 

Ivi  era  già  remota  e  dentro  al  monte  i9« 

Cavata  una  spelonca,  ov'  unqua  il  sole 
Non  penetrava.  Abitatore  xm  ladro 
N'  era.  Caco  chiamato,  un  mostro  orrendo 
Mezzo  fera  e  mezz*  uomo,  e  d' uman  sangue  295 

Avido  si,  che  '1  suol  n'  avea  mai  sempre 
Tepido.  ISe  grommavan  le  pareti, 
Ne  pendevano  i  teschi  intorno  affissi, 
Di  pallor,  di  squallor  luridi  e  marci. 
Vulcano  era  suo  padre  :  e  de'  suoi  fochi  300 

Per  la  bocca  spulando  atri  vapori. 


Oia  d'un  colosso  e  d'una  torre  in  guisa. 
Centra  si  diro  mostro,  dopo  molli 
Dannagyi  o  molte  morn,  il  tempo  al  fine 
Ne  diede  e  questo  Dio  soccorso  e  scampa 
Egli  dì  Spa^'ua  vincitor  ne  venne 
In  queste  parti,  de  le  spoglie  altero 
Di  Gorlone,  in  cui  tre  volte  estinse 
In  tre  corpi  una  vita,  e  ne  condusso 
Tal  qui  d'Ibero  uà  copioso  armento, 
Ch'  avea  pieo  questo  fiume  e  questa  valle. 

Caco  ladron  feroce  e  furioso, 
D'ogni  misfatto  e  d'ogni  scelleranza 
Ardito  e  frodolento  osecutoro, 
Quattro  tori  involonno  o  quattro  vacche, 
Ch'eran  fior  de  l'armento,  E  perchè  l'orme 
Indizio  non  ne  dessero,  a  rovescio 
Per  la  coda  gli  trasse:  e  ne  la  grotta 
Oli  condusse,  e  cològli.  Eran  l'impronte 
Dc'lor  piò  volto  al  campo,  e  verso  l'antro 
Sogno  non  si  vedea  eh'  a  la  spelonca 
Il  cercator  drizzasse.  Avea  già  molti 
Giorni  d'Anfitrion  tenuto  il  figlio 
Qui  le  suo  mandre,  o  ben  pasciuto  o  grasso 
Era  il  suo  armento;  si  che  nel  partire 
Tutte  queste  toro  sto  e  questi  colli 
Di  querimonie  e  di  muggiti  empierò. 
Mugghiò  da  l'altro  canto,  o'I  vasto  speco 
Da  lunge  rintonar  fece  una  vacca 
Do  le  rinchiuse:  onde  schernita  e  vana 
Restò  di  Caco  la  custodia  e'I  furto. 
Ch'udilla  Alcide,  e  d'ira  e  di  flirore 
In  un  subito  acceso,  a  la  sua  mazza, 
Ch'era  di  quercia  noderosa  e  grave, 
Dio  di  piglio,  e  correndo  al  monte  ascese. 
Quel  dì  da'  nostri  primamente  Caco 
Temer  fa  visto.  Si  smarrì  ne  gli  occhi. 
Si  mise  in  fuga,  e  fa  la  fuga  un  volo: 
Tal  gli  aggiunse  un  timor  le  penne  a'  piedi. 

Tosto  che  ne  la  grotta  si  rinchiuse. 
Allentò  le  catene,  e  dì  quel  monte 
Una  gran  falda  a  la  sua  bocca  oppose  ; 
Gh'a  la  bocca  de  l'antro  un  sasso  immane 
Avea  con  ferri  e  con  paterni  ordigni 
Di  cateratta  accomodato,  in  guisa 
Con  puntelli  per  entro  o  stanche  e  sbarre. 
Ecco  Tirinzio  arriva,  e  comò  e  spinto 
Da  la  sua  furia,  va  per  tutto  in  volta 


1  :-■ 


LIHKO  OTTAVO  231 


Fremendo,  ora  a  i  vestigi,  ora  ai  muggiti, 

Ora  a  T  entrata  de  la  grotta  intento.  350 

E  portato  da  l'impeto,  tre  volte 

Scorse  de  TAventmo  ogni  pendice; 

Tre  volte  al  sasso  de  la  soglia  intorno 

Si  mise  indarno;  e  tre  volte  alTanuato 

Ritornò  ne  la  valle  a  riposarsi.  355 

Era  de  la  spelonca  al  dorso  in  cima 
Di  selce  d' ogn' intorno  dirupata 
Un  cucuzzolo  altissimo  ed  alpestre, 
Gh'  a  i  nidi  d*avoltoi  e  di  tali  altri 
Augelli  di  rapina  e  di  carogna  360 

Era  opportuno  albergo.  A  questo  intorno  235 

Aliìn  si  mise;  e  siccom*era  al  fiume 
Da  sinistra  inchinato,  egli  a  rincontro 
Lo  spinse  da  la  destra,  lo  divelse. 
Gol  calce  de  la  mazza  a  leva  il  pose,  365 

E  gli  die  volta.  A  quel  fracasso  n  cielo 
Rintonò  tutto,  si  crollar  le  ripe, 
E  '1  fiume  impaurito  si  ritrasse. 

Allor  di  Caco  fu  lo  speco  aperto: 
Scoprissi  la  sua  reggia,  e  le  sue  dentro  370 

Ombrose  e  formidabili  caverne. 
Come  chi  de  la  terra  il  globo  aprisse 
A  viva  forza,  e  de  T  inferno  il  centro 
Discovrisse  in  un  tempo,  e  che  di  sopra 
De  l'abisso  vedesse  quelle  oscure  375 

Dal  cielo  abbominate  orride  bolge; 
Vedesse  Pluto  a  l'improvviso  lume 
Restar  del  sole  attonito  e  confuso  : 
Cotal  Caco  da  subito  splendore 
Ne  la  sua  tomba  abbarbagliato  e  chiuso  38A 

Digrignar  qual  mastino  Ercole  vide;  «48 

E  non  più  tosto  il  vide,  che  di  sopra 
Sassi,  travi,  tronconi,  ogni  arme  addosso 
Folgorando  avventogli.  Ei  che  nò  fuga 
Avea  né  schermo  al  suo  periglio  altronde,  385 

Da  le  sue  fauci  (meraviglia  a  dirlo!) 
Vapori  e  nubi  a  vomitar  si  diede 
Di  fumo,  di  caligine  e  di  vampa, 
Tal  che  miste  le  tenebre  col  foco 
Togliean  la  vista  a  gli  occhi  e  '1  lume  a  l'antro.    390 
Non  però  si  contenne  il  forte  Alcide, 
Che  d'un  salto  in  quel  baratro  gittossi 
Per  lo  spiraglio,  e  là 'v'era  del  fuma 
La  nebbia  e  l' ondeggiar  più  denso,  0  '1  foco 
Più  roggio,  a  lui  che  '1  vaporava  indarno,  395 


222  ENEIDE 


S'addusse,  e  lo  ghermì;  gli  fece  un  nodo  «59 

De  le  sue  braccia,  e  si  la  gola  e  '1  fianco 
Gli  strinse,  che  scoppiar  gli  fece  il  petto, 
E  schizzar  gli  occhi;  e '1  foco  el  fiato  e  l'alma 
In  un  tempo  gli  estinse.  Indi  la  bocca  400 

Apri  de  T  antro,  e  la  frodata  preda, 
E  del  suo  frodatore  il  sozzo  corjjo 
'  Fuor  per  un  piò  ne  trasse  :  a  cui  d'intorno 
Corser  le  genti  a  meravigUa  ingorde 
Di  veder  gli  occhi  biechi,  il  volto  atroce,  405 

L'ispido  petto,  e  l'ammorzato  foco. 

Da  indi  in  qua  questo  dì  santo  ogni  anno 
Da*  nostri  è  lietamente  celebrato, 
E  ne  sono  i  Potizj  i  primi  autori, 
E  i  Pinaij  ministri.  Allor  quest'ara,  410 

Che  massima  si  disse  e  che  mai  sempre 
Massima  ne  sarà,  fu  consecrata 
In  questo  bosco.  Or  via  dunque,  figliuoli. 
Per  celebrar  tant*  onorata  festa, 
Co  i  rami  in  fronte  e  con  le  tazze  in  mano  415 

Il  comun  Dio  chiamate,  e  lietamente  874 

L'un  con  l'altro  invitatevi,  e  beete. 

Ciò  detto,  il  divisato  erculeo  pioppo 
Tessero  altri  in  gliiriande,  altri  in  festoni. 
Altri  i  Maj  ne  piantare.  E  di  già  pieno  420 

Di  sacrato  liquore  il  gran  catino. 
Tutti  a  mensa  {fiojosi  s*  adagiaro, 
E  spargendo  e  beèndo,  a  i  santi  numi 
Porser  preghiere  e  voti.  Espero  intanto 
Era  a  1  occidental  Hto  vicino  425 

Già  per  tuffarsi,  quando  i  sacerdoti 
Un'  altra  volta,  e  *l  buon  Potizio  avanti 
Con  pelli  indosso  e  con  facelle  in  mano, 
Com'è  costume,  a  convivar  tornare, 
E  le  seconde  mense  e  l'are  sante  430 

Di  grati  doni  e  di  gran  piatti  empierò.  283 

I  Salj  intorno  a  i  luminosi  altari 
Givano  in  tresca,  e  di  populea  fronde 
Gingean  le  tempie.  I  vecchi  da  Tun  coro 
Le  prodezze  cantavano  e  le  lodi  43o 

Del  grande  Alcide.  I  giovani  da  l'altro 
N'atteggiavano  i  fatti:  come  prima 
Pancini  da  la  matrigna  insidiato 
I  due  serpenti  strangolasse  in  culla: 
Come  al  suolo  adeguasse  Ecalia  e  Trojan  440 

Città  famose:  còme  superasse 
Mill*  altre  insuperabili  fatiche 


ì 


LIBRO    OTTAVO  2L*3 


Sotto  al  dui'O  tiranno,  e  contro  a  i  fati 

De  l'empia  Dea.  Tu  sei  (cliccan  cantando) 

Invitto  Iddio,  che  de  le  nubi  i  figli  4-15 

Kilèo  e  Folo  uccidi;  tu  clie*l  mostro 

Domi  di  Creta:  tu  che  vinci  il  fiero 

Nemèo  Leone:  te  gr inferni  laghi, 

Te  r  inferno  custode  ebbe  in  orrore 

Ne  r  orrendo  suo  stesso  e  diro  speco,  450 

Là 've  tra'l  sangue  e  le  corrose  membra 

Ha  de  la  morta  gente  il  suo  covile. 

Cosa  non  è  si  spaventosa  al  mondo, 

Che  te  spaventi,  non  lo  stesso  armato 

Incontr'  al  elei  Tifeo;  né  miei  di  Lorna  455 

Con  tanti  e  tanti  capi  orribil  angue  aoo 

Senza  avviso  ti  vide  0  senza  ardire. 

A  te,  vera  di  Giove  inclita  prole. 

Umilmente  inchiniamo,  a  te  del  cielo 

Nuovo  aggiunto  ornamento.  E  tu  benigno  4C0 

Mira  i  cor  nostri  e  i  sacrificj  tuoi. 

Cosi  pregando  e  celebrando,  in  versi 
Cantavan  le  sue  prove.  E  sopra  tutto 
Dicean  di  Caco,  e  de  la  sua  spelonca 
E  de' suoi  fochi;  e  i  boschi  e  1  colli  intomo  4G5 

Rispondean  rintonando.  Eran  finiti  305 

I  sacrilìcj,  quando  il  vecchio  Evandro 
Mosse  per  la  ciltadc:  e  seco  a  pari 
Da  l'un  de' lati  Enea,  da  l'altro  il  figho 
Avea,  cui  s'  appoggiava  ;  e  ragionand.o  470 

Di  varie  cose,  agevolava  il  calle. 

Enea,  meravigliando,  in  ogni  parte 
Volgea  le  luci,  desioso  e  lieto 
Di  veder  quel  paese,  e  di  saperne 
I  siti,  i  luoghi  e  le  memorie  antiche.  473 

Di  che  spiando,  il  primo  fondatore 
De  la  romana  rocca  in  cotal  guisa 
A  dir  gli  cominciò  :  Questi  contorni 
Eran  pria  selve;  e  gli  abitanti  loro 
Eran  qui  nati,  ed  eran  Fauni  e  Ninfe,  480 

E  genti  che  di  roveri  e  di  tronchi 
Nate  né  di  costumi,  né  di  culto, 
Né  di  tori  accoppiar,  né  di  por  viti, 
Né  d' altr'  arti  0  d*  acquisto,  o  di  risparmio 
Avean  notizia  0  cura:  e'I  vitto  loro  485 

Era  di  cacciagion,  d'erbe  e  di  pomi; 
E  la  lor  vita,  aspra,  innocente  0  pura. 
Saturno  il  primo  fu  che  in  q[ueste  parti 
Venne,  dal  ciel  cacciato,  0  vi  s' ascoso. 


i 


224  KNICIDti 


E  quelle  rozzo  genti,  che  disperse  400 

Eran  per  questi  monti,  insieme  accolse,  321 

E  die  lor  leggi;  onde  il  paese  poi 

Da  le  latebre  sue  Lazio  nomossi. 

Dicon  che  sotto  il  suo  placido  impero 

Con  giustizia,  con  pace  e  con  amore  495 

Si  visse  un  secol  d  oro,  in  fin  che  poscia 

L' età,  degenerando,  a  beco  a  poco 

Si  fé'  d' altro  colore  e  cr  altra  lega. 

Quinci  di  guerreggiar  venne  il  furore, 

L'ingordigia  d'avere,  e  le  mischianze  500 

De  l'altre  genti.  L'assalir  gli  Ausonj  j 

L' inondar  i  Sicani  :  onde  più  volte 

Suesta,  che  pria  Saturnia  era  nomata, 
a  con  la  signoria  cangiato  il  nome, 
E  co'  signori.  E  quinci  e  che  da  Tebro,  505 

Che  ne  fu  re  terribile  ed  immane,  330 

Tebro  fu  detto  questo  fiume  ancora, 
Gh'Albula  si  dicpa  ne' tempi  antichi. 
Ed  ancor  me  de.  la  mia  patria  in  bando 
Dopo  molti  perigli  e  molti  affanni  510 

Del  mar  sofferti,  ha  qui  l' onnijìotente 
Fortuna  e  l' invincibil  mio  destino 
Portato  al  fine:  e  oui  posar  mi  fero 
Gli  oracoli  tremendi  e  spaventosi 
Di  Garmenta  mia  madre,  e  Febo  stesso  515 

Che  mia  madre  inspirava.  E  fin  qui  detto 
Si  spinse  avanti;  e  quell'ara  mostrògli, 
E  quella  porta  che  fu  poi  di  Roma, 
Carmental  detta,  onore  e  ricordanza 
De  la  Ninfa  indovina  eh'  anzi  a  tutti  520 

Del  Pallantèo  predisse,  e  de'  Romani 
La  futura  grandezza.  Indi  seguendo 
Un  gran  bosco  gli  mostra,  ove  l' Asilo 
Romolo  contraffece  ;  e  '1  Lupercale, 
Che  quale  era  in  Arcadia  a  Pan  Liceo,  525 

Sotto  una  fredda  rupe  era  dicato.  344 

Poscia  de  l' Argileto  gli  dimostra 
La  sacra  selva  ;  e  d' Argo  ospite  il  caso 
Gli  conta,  e  se  ne  purga  e  se  ne  scusa. 
A  la  Tarpeja  rupe,  al  Campidoglio  53*. 

Poscia  l'addusse;  al  Campidoglio  or  d'oro, 
Che  di  spini  in  qiiel  tempo  era  coverto. 
Un  ermo  colle  da  i  vicini  agresti 
Per  la  relig'ion  del  loco  stesso 

Insino  allor  temuto  e  riverito  :  535 

Ch'  a  veder  sol  quel  sasso  e  quella  selva         340 


libuo  ottavo  225 


545 


550 


Si  paventava.  E  qui  soggiunse  Evandro  : 
In  questo  bosco,  e  là  *vo  questo  monte 

E  più  frondoso,  un  Dio  (non  si  sa  quale) 

Ma  certo  abita  un  Dio.  Questo  mio  genti  540 

D' Arcadia  han  ferina  fede  aver  veduto 

Qui  Giove  stesso  balenar  sovente, 

E  far  di  nembi  accolta.  Oltre  a  ciò  vedi 

Qui  su  quelle  mine  e  quei  vestigi 

Di  quei  due  cerchi  antichi.  Una  di  queste 

Citta  fondò  Saturno,  e  l'altra  Giano, 

Che  Saturnia  e  Gianicolo  fur  dette. 
In  cotal  guisa  ragionando  Evandro, 

Se  ne  gian  verso  il  suo  picciolo  ostello. 

E  ne  l'andar,  là'v*  or  di  Roma  è  il  foro, 

Ov'  è  quella  più  florida  contrada 

De  le  Carine,  ad  ogni  passo  intorno 

Udian  greggi  belar,  mugghiare  armenti. 

Giunti  che  furo,  in  questo  umile  albergo 

Alloggiò  (disse)  il  vnicitore  Alcide.  555 

Questa  fu  la  sua  reggia.  E  tu  v'  alloggia, 

E  tu'l  gradisci,  e  le  delizie  e  gli  agi 

Spregiando,  imita  in  ciò  Tirinzio  e  Dio, 

Ef  del  tugurio  mio  meco  t' appaga. 

Cosi  dicendo,  il  grand'  ospite  accolse  500 

Ne  l'angusta  magione;  e  collocollo  w« 

Là  dove  era  di  frondi  e  d' irta  pelle 

Di  libic'  orsa  attappezzato  un  seggio* 
Venne  la  notte,  e  le  fosc'  ali  stese 

Avea  di  già  sovra  la  terra;  guando  565 

Venere  còme  madre,  e  non  in  vano 

Del  suo  tìglio  gelosa,  il  gran  tumulto 

Veggonilo  e  le  minacce  de'  Laurenti, 

Con  Vulcan  suo  marito  si  ristrinse 

Con  gran  dolcezza;  e  nel  suo  letto  d'oro,  570 

Amor  spirando,  in  tal  guisa  gli  disse: 

Caro  consorte,  infinchè  i  regi  arrivi 

Furo  a' danni  di  Troja,  che  per  iato 

Cader  dovea,  nullo  da  te  soccorso 

Volli,  0  da  l'arte  tua  :  né  ti  richiesi  675 

D' ai-mi  allor,  nò  di  macchine,  nò  d* altro  tra 

Per  iscampo  de'  miseri  Trojani. 

Le  man,  r  ingegno  tuo,  le  tue  fatiche 

Oprar  non  volli  imlarno,  ancor  che  molto 

Con  Priamo  e  co'  figli  obbligo  avessi,  880 

E  molto  mi  premesse  il  duro  afEanno 

D' Enea  mio  figlio.  Or  per  imperio  espresso 

E  de'  Fati  e 'di  Giove  egli  nel  Lazio 

J>eir  Eneide  15 


Ì6  ENEIDB 


E  tra*  Ruttili  è  fermo.  A  te,  mio  sposo, 

Ricorro,  a  te,  mio  venerando  nume;  58  5 

E  madre  per  un  figlio  arme  ti  chieggio; 

Quel  che  da  te  di  Nereo  la  figlia, 

E  di  Titon  ÌBt  moglie  hanno  impetrato. 

Jiiira  in  quant'uopo  io  le  ti  chieggio,  e  quanti 

E  che  popoli  sono,  a  mia  ruina  590 

E  de' miei,  congregati;  e  qual  fan  d'armi 

A  porte  chiuse  orribile  appareccliio. 

Stava  a  questa  richiesta  in  sé  Vulcano 
Ritroso  anzi  che  no;  quando  Ciprigna 
Con  la  tiepida  neve  e  col  viv*  ostro  595 

De  le  sue  nraccia  al  collo  gli  si  avvinse, 
E  strinselo  e  baciollo.  In  un  momento 
La  consueta  fiamma  gli  s'  apprese, 
E  por  r  ossa  gli  corse  a  le  midolle, 
E  per  le  vene  al  core:  in  quella  guisa  600 

Che  di  corrusca  nube  esce  repente  soo 

TJna  lucida  lista,  e  lampeggiando 
E  serpendo,  il  ciel  tutto  empie  di  foco. 

Senti  la  scaltra,  che  sapea  la  forza 
Di  sua  beltà,  che  l' avea  preso  e  vinto  ;  605 

E  de  l'inganno  si  compiacque  e  rise. 
E  '1  buon  marito,  che  d' etèrno  amore 
Avea  il  cor  punto,  le  si  volse,  e  disse: 
A  che  si  lungo  esordio  ?  Ov*  è,  consorte. 
Ver  me  la  tua  fidanza?  Io  fin  d'allora,  610 

Se  t' era  grado,  avrei  d' arme  provisti  3©6 

I  Teucri  tuoi  :  né  '1  padre  onnipotente, 
Né  i  Fati  ci  vietavano  che  Troia 
Non  si  tenesse,  e  Priamo  non  fosse 
Restato  ancor  per  diece  altr'anni  in  vita.  615 

Ed  or,  s' a  guerra  t' apparecchi,  e  questo 
È  tuo  consiglio,  quel  che  l'arte  puoto 
O  di  ferro  o  di  liouido  metallo. 
Quanto  i  mantici  han  fiato,  e  forza  il  foco. 
Io  ti  prometto.  E  tu  con  questi  preghi  62v') 

Cessa  di  rivocar  la  possa  in  forse 
Del  tuo  volere,  e  '1  mio  desir  eh'  è  sempre 
Di  far  le  voglie  tue  paghe  e  contente. 
Cosi  dicendo,  disioso  in  braccio 
La  si  recò  ;  gioXnne,  e  poscia  in  grembo  625 

Di  lei  placidamente  addljrmentossi.  405 

Finito  il  primo  sonno,  e  de  la  notte 
Già  corso  il  mezzo,  come  femminella 
Che  col  ftiso,  0  con  l'ago,  o  con  la  spuola 
La  sua  vita  sostenta  e  de'  suoi  figli;  630 


LIBRO  OTTAVO  227 


Che  la  notte  a^giifn^endo  al  suo  lavoro, 

E  dal  suo  focolar  pria  che  dal  sole 

Procacciandosi  '1  lume,  a  la  conocchia, 

A  r  aspo,  a  V  arcolajo  esercitando 

Sta  le  povere  ancelle,  onde  mantenga  0:J3 

Il  casto  letto  e  i  pargoletti  suoi  : 

Tale,  in  tal  tempo,  e  con  tal  cura  a  l'opra 

Sui^se  il  gran  fabbro,  e  la  fucina  aperse. 

Giace  tra  la  Sicania  da  Tun  canto, 
E  Lipari  da  T  altro  un'  isoletta  Ci  ) 

Gh*  alpestra  ed  alta  esce  de  1'  onde,  e  Aima.     4io 
Ha  sotto  una  spelonca,  e  grotte  intomo, 
Che  di  feri  Ciclopi  antri  e  fUcine 
Son  da'  lor  fochi  affumicati  e  rosi. 
Il  picchiar  de  l' incudi  e  de'  martelli  645 

Ch^entro  si  sente ,  lo  strider  de'  ferri , 
Il  fremere  e  '1  bollir  de  le  sue  fiamme 
E  de  le  sue  fornaci ,  d'  Etna  in  guisa 
Intonar  s' ode  ed  anelar  si  vede. 
Questa  è  la  casa ,  ove  crua  giù  s'  adopra  C50, 

Vulcano ,  onde  da  lui  volcania  è  detta  : 
E  qui  per  1*  armi  fabbricar  discese 
Del  grand'  Enea.  Stavan  ne  l' antro  allora 
Sterope  e  Brente  e  Piracmone  ignudi 
A  rinfrescar  1*  aspre  saette  a  Giove.  655 

Ed  una  allor  n'  avean  parte  polita , 
Parte  abbozzata,  con  tre  ra^gi  attorti 
Di  grandinoso  nembo ,  tre  di  nube 
Pregna  di  pioggia,  tre  d'acceso  foco, 
E  tre  di  vento  impetuoso  e  fiero.  '    600 

I  tuoni  v'  aggiungevano  e  i  baleni ,  43o 

E  di  fiamme  e  di  Hiria  e  di  spavento 
Un  cotal  misto.  Altrove  erano  intorno 
Di  Marte  al  carro,  e  le  veloci  ruote 
Accozzavano  insieme  ,  ond*  egli  armato  6C3 

Le  genti  e  le  città  scuote  e  commove. 
Lo  scudo,  la  corazza  e  V  elmo  e  Pasta 
Avean  da  1'  altra  parte  incominciati 
De  r  armigera  Palla ,  e  di  commesso 
Le  fregiavano  a  gara.  Erano  i  fregi  679 

Nel  petto  de  la  Dea  gnim»i  di  serpjl 
Che  d' oro  avean  le  sca^e ,  e  cento  intrichi 
Facean  guizzando  di  Medusa  intomo 
Al  fiero  teschio ,  che  cosi  com'  era 
Disanimato  e  tronco ,  le  sue  luci  675 

Volgea  d'intorno  minacciose  e  torve.  489 

Tosto  che  giunse ,  Via  (disse  a'  Ciclopi) 


*>.2^  ENEIDB 


Sgombratevi  davanti  ogni  lavoro, 

E  qui  meco  a  guarnir  d'armo  attendete 

Un  gran  campione.  E  s'unqua  fu  mestiero  680 

D*  arte ,  di  sperienza  e  di  prestezza , 

È  questa  volta.  Or  v'accingete  a  l'opra 

Senz'  altro  indugio.  E  fu  ciò  detto  a  pena , 

Che  divise  le  veci  e  i  magisteri, 

A  fondere  ,  a  bollire  .  a  martellare  C85 

Clii  qua  cbi  là  si  diede.  Il  bronzo  e  1'  oro 

Corrono  a  rivi:  s'  ammassiccia  il  ferro, 

Si  raftlna  l'acciajo;  e  tempre  e  leghe 

In  più  guise  si  fan  d' ogni  metallo. 

Di  sette  falde  in  sette  doppi  unite  690 

Ricotte  al  foco  e  ribattute  e  salde 

Si  forma  un  saldo  e  smisurato  scudo, 

Da  poter  solo  incontro  a  1*  armi  tutto 

Star  de'  Latini.  Il  fremito  del  vento 

Che  spira  da'  gran  mantici ,  e  le  strida  695 

Che  ne' laghi  attuITati,  e  su  l'incudi  45» 

Battuti  fanno  i  ferri,  in  un  sol  tuono 

Ne  r  antro  uniti ,  di  tenore  in  guisa 

Corrispondono  a'  colpi  de'  Ciclopi , 

Ch'  al  moto  de  le  braccia  or  alte  or  basse  700 

Con  le  tanaglie  e  co'  martelli  a  tempo 

Fan  conserto ,  armonia ,  numero  e  metro. 

Mentre  in  Eolia  era  a  quest'  opra  intento 
Di  Lenno  il  padre ,  ecco ,  sorgendo  il  sole , 
Surse  al  cantar  de'  mattutini  augelh  705 

Il  vecchio  Evandro  :  e  fuori  uscio  vestito 
Di  giubba  con  le  guiggie  a'  piedi  avvolte , 
Com'  è  tirrena  usanza.  Avea  dal  destro 
Omero  a  la  Tegèa  nel  manco  lato 
Una  sua  greca  scimitarra  appesa.  710 

Avea  da  la  sinistra  di  pantera 
Una  picchiata  pelle  che  d' un  tergo 
Gli  si  volgea  su  l' altro  :  e  da  la  rocca 
Scenden<lo,  gli  venian  due  cani  avanti, 
Come  custodi,  1  suoi  passi,  osservando.  715 

In  questa  guisa  il  generoso  eroe,  4di 

Come  quei  che  tenea  memoria  e  cura 
Di  comph"  quanto  avea  la  sera  avanti 
Ragionato  e  promesso,  a  le  scerete 
Stanze  del  padre  Enea  si  ricondusse.  720 

Enea  da  l'altra  parte  assai  per  tempo 
S' era  levato  ;  e  solo  in  compagnia 
L' un  seco  avea  Fallante,  e  r  altro  Acato. 
Poscia  che  rincontrati  e  'nsieme  accolti 


LIBR,/  OTTAVO  22d 


Si  saluta  ro,  alfin  tra  loro  assisi  725 

A  ragionar  si  dicro.  E  prima  Evandro 

Cosi  parlò:  Signor,  cui  vivo,  in  vita 

Dir  SI  può  che  sia  Troja,  e  che  del  tutto 

Kon  sia  caduta  e  vinta  ;  in  questa  guerra 

Quel  che  poss'  io  per  tuo  sussidio  è  poco  730 

A  tanto  affare.  Il  mio  paese  ò  chiuso 

Quinci  dal  tosco  fiume,  e  quindi  ha  Tarmi 

Che  gli  suonan  de*  Rutuli  cr  intorno 

Fin  su  le  porte.  Avviso  e  pensier  mio 

E  per  confederati  e  per  compagni  733 

Darti  una  gente  numerosa  e  grande 

Con  molti  regni.  In  tal  qui  tempo  a  punto 

Sei  capitato,  e  tal  felice  incontro 

Ti  porge  amica  e  non  pensata  sorte. 

E  non  lungo  di  qui,  su  questi  monti  740 

D'  Etruria,  una  famosa  e  nobil  terra  478 

Gh'è  sopra  un  sasso  anticamente  ostruita. 
Agillina  si  dice,  ove  lor  seggio 
Posero  (ò  ^ià  gran  tempo)  i  bellicosi 
E  chiari  Lidi;  e  floridi  e  felici  745 

Vi  fur  gran  tempo  ancora.  Or  sotto  al  giogo 
Son  di  Mezenzio  capitati  al  flne. 
A  che  di  lui  contar  le  scelleranzo  ? 
A  che  la  ferità?  Dio  le  riservi 
Per  suo  castigo  e  de'  seguaci  suoi.  750 

Questo  crudele  insino  a  corpi  morti  484 

Mescolava  co'  vivi  (odi  tormento) , 
Che  giunte  mani  a  mani  e  bocca  a  bocca, 
In  così  miserando  abbracciamento 
Gli  facea  di  putredine  e  di  lezzo  755 

Vivi  di  lun^a  morto  al  fin  morire. 

I  cittadini  afflitti  e  disperati, 
E  fatti  ^er  paura  al  fin  securi, 
Tesero  insidie  a  lui,  fecero  strage 
De'  suoi,  posero  assedio,  avventar  foco  76f 

A  le  sue  case.  Ei  de  le  mani  uscito 
De  gli  uccisori,  ebbe  rifugio  a  Turno 
Ch'  or  r  accoglie  e  '1  difende.  Onde  commossa 
E  per  giusta  cagione  in  furia  volta 
L' Etruria  tutta  mcontro  al  suo  tiranno  765 

Grida  che  muoja;  e  già  con  l'armi  in  mano 
A  morte  lo  persegue.  A  questa  gente 
Di  molte  mila  condottiero  e  capo 
Aggiimgerotti.  E  già  d'armate  navi 
Ben  pieni  i  liti  ;  ognun  fteme,  ognun  chiede         770 
Che  8i  spieghili  r  insegne.  Un  vecchio  solo 


230  ENEIDE 


Aruspice  e  ^ndovino  è,  che  sospesi 
Gli  tiene  infiiio  a  qui,  Gente  meonia, 

Ì Dicendo)  fior  di  gente  antica  e  nobile, 
Jenchè  giusto  dolor  contro  a  Mezenzio  775 

E  degn*u*a  v'incenda,  incontro  a  Lazio  501 

Non  movete  voi  già;  eh*  a  nessun  Itala 
Domar  d*  Italia  una  tal  gente  è  lecito, 
S'esterno  duce  a  tant'uopo  non  prendesi* 

Cosi  parato,  e  per  timor  confuso  780 

Del  vaticinio  stassi  il  campo  etrusco. 
E  ^ià  Tarconte  stesso  a  questa  impresa 
M' mvita,  e  già  mandato  a  presentarmi 
Ha  la  sedia  e  lo  scettro  e  1  altre  insegne 
Del  tosco  regno,  perch'  io  re  ne  sia,  785 

Ed  a  Toste  ne  vada.  Ma  la  tarda  507 

E  fredda  mia  vecchiezza,  e  le  mio  forzo 
Debili,  smunte  e  diseguali  al  peso 
Fan  eh'  io  riliuti.  Esorterei  Fallante 
Mio  figlio  a  questo  impero,  se  nvn  fosse  790 

Che  nato  di  Sabella,  Italo  anch'agli 
È  per  materna  razza.  Or  questo  iacarco 
Da  gli  anni,  da  la  gente,  dal  destino. 
Dal  tuo  stesso  valore  a  te  si  deve. 
E  tu'l  prendi.  Signor,  ch'abile  e  forte  705 

Sei  più  d'ogni  Trojan,  d'ogni  Latino 
A  sostenerlo.  Ed  io  Fallante  mio. 
La  mia  speranza  e'I  mio  sommo  conforto 
Manderò  teco;  che'l  mestier  de  l'arme, 
Che  le  fatiche  del  gravoso  Marte  800 

Ne  la  tua  scuola  a  tollerare  impari;  5ia 

E  te  da*  suoi  prim*  anni,  e  i  gesti  tuoi 
Meravigliando  ad  imitar  s' avvezzi. 
Dugento  cavalieri  il  nervo  e  '1  fiore 
De' miei  d'Arcadia  spedirò  con  lui,  805 

E  dugento  altri  il  mio  Fallante  stesso 
In  suo  nome  daratti.  Avea  ciò  detto 
Evandro  a  pena,  che  d'Anchise  il  figlio 
E  '1  fido  Acate  ster  co'  volti  a  terra 
Chinati.  E  da  pensier  gravi  e  molesti  810 

Foran  oppressi,  se  dal  ciel  sereno 
La  madre  Giterea  segno  non  dava, 
Siccome  die.  Che  tal  per  l' aria  un  lume 
Vibrossi  d'improvviso  e  con  tal  suono. 
Che  parve  di  repente  il  mondo  tutto  815 

Come  scoppiando  e  minando  ardesse  ; 
Ed  in  un  tempo  di  tirrene  tubo 
Squillar  ne  l'aura  alto  concento  udissi 


^ 


libuo  ottavo  .  -  23Ì 


Alzaron  gli  occhi  ;  e  la  seconda  volta, 

E  la  terza  iterar  sentirò  il  tuono  ;  820 

E  vider  là 've  il  cielo  era  più  scarco  htr 

E  più  tranquillo,  una  dorata  nube, 

E  d'armi  un  nembo,  che  tra  lor  i>orco886 

Scintillando  facean  fremiti  e  lampL 

Stupiron  gli  altri.  Ma  *1  trojano  eroe  825 

Che  1  cenno  riconobbe  e  la  promessa 

De  la  diva  sua  madre,  Ospite  (disse) 

Di  saver  non  ti  caglia  quel  chMmporti 

Questo  prodigio  :  basta  ch'ammomto 

Son  io  dal  cielo  ;  e  questo  è  '1  segno  e  1  tempo      830 

Che  la  mia  genitrice  mi  predisse  : 

Che  quandunque  di  guerra  incontro  avessi 

Allora  ella  dal  ciel  presta  sarebbe 

Con  r  armi  di  Vulcano  a  darmi  aita. 

Oh  quanta  di  voi  strage  mi  prometto,  835 

Infelici  Laurenti  !  e  qual  castigo, 

Turno,  da  me  n'avrai!  quant'armi,  guanti 

Corpi  volgere  al  mar,  Tebro,  ti  veggio  I 

Via,  patto  e  guerra  mi  si  rompa  omaL         • 

Cosi  detto,  dal  soglio  alto  levossi  :  840 

E  con  Evandro  e  co'  suoi  Teucri  in  prima       S4i 
D*  Ercole  visitando  i  santi  altari. 
Il  sopito  carbon  del  ffiomo  avanti 
Lieto  desta  e  raccenae  ;  i  Lari  inchina; 
I  pargoletti  suoi  Penati  adora,  845 

E  di  più  scelte  agnello  il  sangue  ofiMsce. 

Indi  torna  a  le  navi,  e  de'  compagni 
Patte  due  parti,  la  più  forte  elegge  ■  >jf 

Per  seco  a'idurre  a  preparar  la  ^erra.  ' .  ' 

L'  altra  a  seconda  per  lo  fiume  invia ,  850 

Che  pianamente  e  senz' alcun  contrasto  Bio 

Si  rivolga  ad  Ascanio ,  e  dia  novelle 
De  le  cose  e  del  padre.  A  quei^che  seco 
In  Etruria  adducea ,  tosto  previsti 
Furo  i  cavalli.  A  lui  venne  in  disparte  855 

Da  tutti  gli  altri  un  palafreno  eletto 
Di  pelle  di  Icon  tutto  coverto 
Che  i  velli  avea  di  seta  e  1*  ugna  d' oro» 

Per  la  piccola  terra  in  un  momento 
Si  sparge  il  grido ,  eh'  a  i  tirreni  Utìl  860- 

Ne  va  lo  stuol  de'  cavalieri-  in  fretta. 
Le  madri  paventose  a  i  tempj  intomo 
Rinovellano  i  voti  ;  e  già  per  tema 
Più  vicino  il  periglio ,  e  ^ù  V  aspetto 
Sembra  di  Marte  atroce.  Evandro  il  flgUo  865 


232  ENEIM 


marna 


Nel  dipartir  teiìeramente  abbraccia  ; 

Né  divelto  da  lui,  nò  sazio  ancora 

Di  lagrimar  eli  dice  :  0  so  da  Giove 

Mi  fosse ,  flj^Tio ,  di  tornar  concesso 

Ora  in  quegli  anni  o'n  quelle  forze,  ond'io  870 

Sotto  Preneste  il  primo  incontro  fei  sei 

Co'  miei  nemici ,  e  vincitore  i  monti 

Arsi  de*  scudi ,  allor  eh'  Erilo  stesso  , 

Lo  stesso  re  con  questo  mani  ancisi, 

A  cui  nascendo  avea  Feronia  madre  875 

Date  tre  vite  e  tre  corpi ,  e  tre  volte 

(Meraviglia  a  contarlo  !)  era  mestiero 

Combatterlo  e  domarlo;  ed  io  tre  volte 

Lo  combattei,  lo  vinsi,  e  lo  spogliai 

D'armi  e  di  vita:  se  tal,  dico,  io  fossi  880 

Mai  non  sarei  da  te ,  figlio ,  diviso  ; 

Mai  non  fora  Mezenzio  oso  d'  opporsi 

A  questa  barba:  né  per  tal  vicino 

Vedova  resterebbe  or  la  mia  terra 

Di  tanti  cittadini.  0  Dii  superni ,  885 

O  de' superni  Dii  nume  maggiore, 

Pifttà  d' un  re  servo  e  devoto  a  voi , 

E  d'  un  padre  che  padre  è  sol  d'  un  figlio 

Unicamente  amato.  E  se  da' Fati, 

Se  da  voi  m'  é  Fallante  preservato ,  890 

E  s'io  vivo  or  per  rivederlo  mai,  575 

Questa  mia  vita  preservate  ancora 

Con  quanti  unqua  soflrir  potessi  affanni. 

Ma  se  Fortuna  ad  infortunio  il  traggo, 

Gh'  io  dir  non  oso;  or  or,  prego,  rompete  895 

Questa  misera  vita,  or  eh' e  la  tema. 

Or  eh*  é  la  speme  del  futuro  incerta  ; 

E  che  te ,  figlio  mio ,  mio  sol  diletto 

E  da  me  desiato  in  braccio  io  tengo, 

Anzi  eh'  altra  novella  me  ne  venga  900 

Gh'  el  cor  pria  che  gli  orecchi  mi  percuota. 

Cosi  *1  padre  ne  V  ultima  partita 

Disse  al  suo  figlio  ;  e  da  r  ambascia  vinto 

Fu  da'  sergenti  riportato  a  braccio. 

A  la  campagna  i  cavalieri  intanto  905 

Erano  usciti.  Enea  col  fido  Acato , 
E  co*  suoi  primi  era  nel  primo  stuolo. 
Fallante  in  mezzo  risplendea  ne  l'armi 
Commesse  d' oro ,  rispleodea  ne  1'  ostro 
Che  r  arme  avean  per  sopravvesta  intorno  ;  910 

Ma  via  più  risplendea  ne'  suoi  sembianti  588 

Ch'  cran  di  fioro  e  di  leggiadro  insieme. 


I 


--  -e 


LIBRO  OTTAVO  Ì3Ì 


Tale  è  quando  Lucifero,  il  più  caro 

Lume  (li  Gitorea,  da  l'Oceano 

Quasi  da  T  onde  ri  forbito  estolle  015 

Il  sacro  volto ,  e  1'  aura  fosca  inalba. 

Stan  le  timide  madri  in  su  lo  mura 
Pallide  attentamente  rimirando 
Quanto  puon  luni^e  il  polveroso  nembo 
De  r  armate  caterve ,  e  i  lustri  e  i  lampi  920 

Che  facean  V  armi  tra  i  virgulti  e  i  dumi         508 
Lungo  le  vie.  Va-  per  la  schiera  il  grido 
Che  si  cavalchi  :  e  lo  s([uadron  già  mosso 
Al  calpitar  de  la  ferrata  torma 
Fa/1  campo  risonar  tremante  e  trito.  925 

E  di  Cere  vicino,  appo  il  gelato 
Suo  fiume,  un  sacro  tosco  antico  e  grande 
D*  ombrosi  abeti ,  che  da  cavi  colli 
Intorno  è  cinto,  v^enerabil  molto 
E  di  gran  hui^e.  E  fama  che  i  Pelasgi  080 

Primi  del  Lazio  occupatori  esterni 
A  Silvan  dio  de' campi  e  de  gli  armenti 
Gonsecràr  questa  selva,  e  con  solenne 
Rito  gli  dedicar  la  festa  e  '1  giorno. 
Quinci  poco  lontano  era  Tarconte  •  935 

Co'  Tirreni  accampato  ;  e  qui  del  campo 
Giunti  a  la  vista,  là 've  un  alto  colle 
Lo  scopria  tutto ,  Enea  co*  primi  suoi 
Fermossi ,  ove  i  cavalli  e  i  corpi  loro 
Già  stanchi  ebbero  al  fin  posa  e  ristoro.  940 

Era  Venere  in  ciel  candida  e  bella  co? 

Sovr'  un  etereo  nembo  apparsa  intanto 
Gon  r  armi  di  Vulcano  ;  e  visto  il  figlio 
Gh'  oltre  al  gelido  rio  per  erma  valle 
Sen  già  da  gli  altri  solitario  e  scevro,  945 

Apertamente  gli  s'  offerse ,  e  disse  : 
Eccoti  '1  don  che  da  me ,  figlio .  attendi 
Di  man  del  mio  consorte.  Or  francamente 
Gli  orgogliosi  Laurenti  e'  1  fiero  Turno 
Sfida  a  battaglia,  e  gli  combatti  e  vinci.  950 

E  ciò  detto,  r abbraccia.. Indi  gli  addita  ^ 

D'armi  quasi  un  trofeo ,  ch'appo  una  quercia 
Dianzi  da  lei  deposte ,  incontro  a  eli  occhi 
Facean  barbaglio ,  e  'ncontro  al  sol  più  soli. 

D'un  tanto  dono  Enea,  d'un  tale  onore  ©55 

Lieto,  e  non  sazio  di  voderio,  il  mira, 
L*  ammira  e  *1  tratta.  Or  Y  elmo  in  man  si  prende  f 
E  Torribil  cimier  contempla  e  T  foco 
Che  d*  ogni  parte  avventa  ;  or  vibra  il  brando  \ 

■    \ 


'^1 


2?A  uìsKirm 

Fatale  ;  or  ponsi  la  corazza  avanti  9G0 

Di  lino  acciaio  o  di  ^Tavoso  pondo,  62i 

Che  di  sani^niii^na  luce  e  di  colori 

Divorsamonte  accesi  era  splcnfleiUo: 

Qual  sembra  di  lontan  cerulea  nube 

Arder  col  sole  e  variar  col  moro.  9^5 

Brandisce  V  asta;  gli  stinier  va.:,^lieggia 

Nitidi  e  lievi ,  che  fregiati  e  fusi 

Son  di  fin  oro  0  di  forbito  elettro. 

Maravigliando  al  fin  sopra  lo  scudo 

Si  ferma,  e  Tindicibile  artificio,  970 

Ond'  era  intesto ,  e  V  argomento  esplora. 

In  questo  di  commesso  e  di  rilievo 
Avea  fatto  de'  foctl  il  ^an  maestro 

ÌGome  do'  vaticinj  e  dol  futuro 
Presago  anch'  egli)  con  mirabil  arto  975 

Le  battaglie ,  i  trionfi  e  i  fatti  egregi 
D' Italia  ,  de'  Romani  e  do  la  stirpo 
Che  poi  scese  da  lui.  Dal  figlio  Ascanio 
Incominciando ,  i  discendonti  tutti 
E  le  guerre  che  fór  di  mano  in  mano.  980 

V  avea  del  Tebro  in  su  la  verde  riva  629 

Finta  la  marzial  nudrice  lupa 
In  un  antro  accosciata ,  e  i  due  ge«s?^lli 
Che  da  le  poppo  di  sì  flora  madre 
Lascivetti  penaoan,  senza  paura  985 

Seco  scherzando.  Ed  ella  umile  e  blanda 
Stava  col  collo  in  giro  or  l' uno  or  1'  altro 
Con  la  lingua  forbendo  e  con  la  coda. 
Vera  poco  lontan  Roma  novella 
Con  una  pompa ,  e  con  un  circo  avanti  990 

Pien  di  tumulto ,  ov'  era  un'  insolente 
Rapina  di  donzelle ,  un  darsi  a  l' arme 
Infra  Romolo  e  Tazio,  e  Rom?  e  Curi. 
E  poscia  infra  gli  stessi  regi  armati 
Di  Giove  anzi  a  V  altare  un  tener  tazze  995 

Invece  d' armi  in  mano ,  iin  ferir  d' ambe         640 
Le  parti  un  porco ,  e  lar  connubi  e  pace. 

Ne  di  qui  lungo  erano  a  qriattro  a  quattro 
Giunti  a  due  carri  otto  destner  feroci. 
Che  guai  Tulio  imponea  (stato  non  fossi  1000 

Tu  si  mendace  e  traditore ,  Albano) 
In  due  parti  traean  di  Mezio  il  corpo; 
E  si  cera'  era  tratto ,  i  brani  e  '1  sangue 
No  mostravan  le  sieni,  i  carri  e*l  suolo. 

T  era  oltre  a  ciò  Forsenna  il  tosco  rege  1005 

Gh*  imperiosamente  da  V  esiglio 


LIBRO  OTTAVO  235 


.^ivocava  i  Tarquinj ,  e  'n  duro  assedio 

Ne  tcnoa  Ronia ,  che  del  giogo  schiva 

S'avventava  nel  ferro.  Avea  nel  volto 

Scolpito  questo  re  sdegno  e  minacce,  lOiO 

E  meraviglia ,  che  sol  Code  osasse 

Tener  il  ponte  ;  e  Clelia  una  donzella 

Varcar  il  Tebro ,  e  scior  la  patria  e  lei 

In  cima  de  lo  scudo  il  Campidoglio 
Era  formato  ,  e  la  Tarpeja  nipe ,  1015 

E  Manlio  che  del  tempio  e  do  la  rocc^ 
Stava  a  difesa  :  e  la  romulea  roggia 
Che  *1  comignolo  avea  di  stoppia  ancora. 
Ti*a' portici  dorati  iva  d*  argento 
L' ah  sbattendo  e  schiamazzando  un'  oca  1020 

Ch'  apria  de'  Galli  il  periglioso  agguato.  655 

E  i  Galli  per  le  macchie  e  per  le  balze 
De  r  erta  ripa,  da  la  buja  notte 
Difesi ,  quatti  quatti  erano  in  cima 
Già  de  la  rocca  ascesi.  Avean  le  chiome,  1025 

Avean  le  barbe  d' oro:  aveano  i  sai  eso 

Di  lucid'  ostri  divisati  a  liste , 
E  d' or  monili  a  i  bianchi  colli  avvolti» 
Di  forti  alpini  dardi  avea  ciascuno 
Da  la  destra  una  coppia ,  e  ne'  pavesi  1030 

Stavan  co  i  corpi  rannicchiati  e  chiusi. 

Quinci  de'  Sali  e  de'  Luperci  ignudi 
E  de'  greggi  de'  Flamini  scolpito 
V  avea  le  tresche  e  i  cantici  e  i  triputJJ , 
Ed  essi  tutti  0  co  i  lor  fiocchi  in  testa,  1035 

O  con  gli  anelli,  o  con  le  tibie  in  mano; 
Cui  le  sacre  carrette  ivano  appresso 
Co  i  santi  simolacri  e  con  gli  arredi 
Che  traean  per  le  vie  le  madri  in  pompa. 
E  più  lungo  nel  fondo  era  la  bocca  1040 

De  la  tartarea  tomba ,  e  del  gran  Dite 
La  reg^a  aperta  :  ov*  anco  eran  le  pene 
E  i  castighi  de  gli  empj.  E  quivi  appeso 
Stavi  tu ,  scellerato  Caldina , 

Sopra  d'un  ruinoso  acuto  scoglio  1045 

A  gli  spaventi  de  le  furie  esposto. 
E  scevri  eran  da  questi  i  fortxmati  » 

Luoghi  de'  buoni ,  a  cui  '1  buon  Cato  è  duce*! 

Gonfiava  in  mezzo  una  marina  d' oro         ' 
Con  la  spuma  d'  argento .  e  con  delfìni  1050 

D' argentino  color ,  che  con  lo  code  67« 

*  Givan  guizzando ,  e  con  le  schiene  in  arco 
Gli  aurati  flutti  a  loco  a  loco  aprendo. 


236  ENEIDE 


% 


E  i  liti  e  *1  mare  e  1  promontorio  tutto 

Si  vedea  di  Leucato  a  razzia  pugna  1055 

Star  preparati  ;  e  d'  una  parte  Augusto 

Sovra  d* un* alta  poppa  aver  d'intorno 

Europa,  Italia,  Koma  e  i  suoi  Quiriti, 

E  *1  senato  e  i  Penati  e  i  grandi  Iddii. 

Di  tre  stelle  il  suo  volto  era  lucente.  lOGO 

Due  ne  Iacea  con  gli  occhi,  ed  una  sempre      eso 

Del  divo  padre  ne  portava  in  fronte. 

Ne  r  altro  corno  A  grippa  era  con  lui 

Del  mafittimo  stuolo  invitto  duce 

Ch'altero,  e '1  capo  alteramente  adorno  10G5 

De  la  rostrata  sua  naval  corona, 

I  venti  e  i  numi  avea  fausti  e  secondL 

Da  r  altra  parte  vincitori  Antonio 
Di  vèr  r  aurora  e  di  vèr  V  onde  rubre 
Barbari  ajuti,  esterne  nazioni  1070 

E  diverse  armi  dal  Gatajo  al  Nilo 
Tutto  avea  seco  V  Oriento  addotto  : 
E  la  zingara  moglie  era  con  lui , 
Milizia  infame.  Ambe  le  parti  mosse 
Se  ne  glan  per  urtarsi,  e  d'  ambe  il  mare  1075 

Scisso  da'  remi  e  da'  stridenti  rostri 
Lacero  si  vedea ,  spumoso  e  gonfio. 
Prendean  de  l'alto  i  legni  in  tanta  altezza 
Che  Gicladi  con  Gicladi  divelle 
Parean  nel  mar  gir  a'  ncontrarsi,  o'n  terra  1080 

Monti  con  monti:  di.  si  fatte  moli  692 

Avventavan  le  genti  e  foco  e  ferro, 
Onde  il  mar  tutto  era  sanguigno  e  roggio. 

Stava  qual  Isi  la  regina  in  mezzo 
Col  patrio  Bistro;  e  co' suoi  cenni  U  moto  1085 

Dava  a  la  pugna;  e  non  vedea  (meschina!) 
Quai  due  colubri  le  venian  da  ter^o. 
L*  abbajatore  Anubi  e  i  mostri  tutti , 
Ch'  eran  suoi  dii ,  centra  Nettuno  e  centra 
Venere  e  Palla  armati  eran  con  lei.  1090 

E  Marte  in  mezzo  che  nel  campo  d' oro 
Di  ferro  era  scolpito ,  or  questi  or  quelli 
A  la  zuflTa  infiammava  :  e  1'  empie  Furie 
Co'  lor  serpenti,  la  Discordia  pazza 
Col  suo  squarciato  ammanto,  con  la  sferza  1095 

Di  sangue  tinta  la  crudel  Bellona  702 

Sgominavan  le  genti;  e  l'Azzio  Apollo 
Saettava  di  sopra;  a  gli  cui  strali 
L*  Egitto,  gr  Indi  e  gli  Arabi  e  i  Sabei 
Davan  le  spaUc.  E  già  chip;narc  i  venti,  iico 


Ili:  -r.  r,TT.VVO  237 

Scioglier  le  funi ,  inalberar  le  velo 

Si  vedea  la  regina  a  fuggir  volta. 

Già  del  pallor  de  la  futura  morte, 

Ond'  era  dal  gran  fabbro  il  volto  aspersa, 

In  abbandono  a  Tonde,  e  della  Puglia  1105 

Ne  giva  al  vento.  Avea  d'incontro  il  Nilo 

Un  vasto  corpo ,  che  smarrito  e  mesto 

A'  venti  aperto  il  seno  e  steso  il  manto 

I  latebrosi  suoi  ridotti  offriva. 

Cesare  v'  era  alfìn  che  trionfando  1110 

Tre  volte  in  Roma  entrava  j  e  per  trecento 
Gran  tempj  a'  nostri  dii  voti  immortali 
Si  vedean  consecrati.  Eran  le  strade 
Piene  tutte  di  plauso ,  di  letizia 
E  di  feste  e  di  giochi.  Ad  ogni  tempio  1115 

Concorso  di  matrone  :  ad  orni  altare 
Vittime ,  incensi  e  fiori.  Egli  di  Febo 
Anzi  al  delubro  in  maestaae  assiso 
Riconoscea  de'  popoli  i  tributi , 
E  la  candida  soglia  e  le  superbe  1120 

Sue  porto  ne  fregiava.  Iva  fa  pompa  "«i 

De  le  genti  da  lui  domate  intanto 
Varie  di  gonne,  d'iliomi  e  d'armL 
Qui  di  Nomadi  e  d' Afri  era  una  schiera 
In  abito  discinta;  ivi  un  drappello  1123 

Di  Lelegi,  di  Cari  e  di  Gelom 
Con  archi  e  strali.  Infin  da  i  liti  estremi. 
I  Merini  condotti  erano  al  giogo 
E  gr  indomiti  Dai.  Con  meno  orgoglio 
Giva  r  Eufrate  :  ambe  le  corna  fiacche  1133 

Portava  il  Reno  :  disdegnoso  il  ponte 
Nel  dorso  si  scotea  l' armonio  Arasse. 

A  tal ,  da  tanta  madre  avuto  dono , 
E  d*  un  tanto  maestro ,  Enea  mirando , 
Benché  il  velame  del  futuro  occulte  1185 

Gli  tenesse  le  cose,  ardire  e  spome 
Prese  e  gioja  a  vederle  ;  e  de'  nepoti 
La  gloria  e  1  fati  a  gli  omeri  s' impose.  1133 

7Si 


FINB  DBL  LIB&O  OTTAVO. 


LIBRO  NONO. 


A 


RGOMBNTO 


Neirassenza  di  Enea,  Turno  istigato  da  Giunone  per  mezzo  d*  Iride,  ac- 
costa l'esercito  agli  accampamenti  dei  Troiani,  cne  si  tengono  eniro  la 
fossa  e  le  mura.  1-46.  Sdegnato  6he  nessuno  venga  in  campo,  tenta  d*  in- 
cendiare le  navi  troiane,  47-76.  Xa  la  Madre  Idea  nel  cui  bosco  furono  ta- 
gliati i  legni  di  quelle  navi,  ottiene  da  Giove  di  poterle  salvare  dalle  damme 
e  convertirle  in  ninfe  marine,  77-125.  Turno  vuol  persuadere  che  quesio  por- 
tento sia  contro  ai  Troiani,  perchè  così  Giove  toghe  loro  ogni  mezzo  di  fuga  : 
onde  investe  sempre  più  strettamente  la  città,  126-167.  Mentile  i  coiuloKieri 
troiani  sono  a  consulta  per  trovar  modo  di  sjpedire  un  messo  ad  Knea  che 
lo  istruisca  del  pericolo  de'  suoi,  Niso  ed  Éurialo,  due  giovani  ionicis- 
Fimi.si  offrono  a  questo  rischio,  168-246.  Applauditi  da  Alete  e  da  A^canio, 
e  accompagnati  dai  preconi  e  voti  di  tutti,  i  due  giovani  escono  e  fanno 
strage  delle  sentinelle  sepolte  nel  vino  e  nel  sonno;  e  indossano  le  loro 
spoglie,  246-366.  Ma  nd  ritirarsi,  scoperti  al  raggio  della  luna  dui  cava- 
lieri latini,  corrono  ad  una  vicina  selva,  dove  Eurialo  sopraggiunto,  a  mal- 
grado delle  preghiere- di  Niso  che  si  offre  a  morte  in  luogo  dell' amico,  è 
trucidato  da  Volscente.  Niso,  dopo  aver  vendicata  valorosamente  la  morte 
di  p:urialo,  trafitto  anch'esso  da  cento  punte,  cade  sul  cadavere  dil  caro 
compagno,  867-449.  Le  loro  teste  portate  in  cima  a  due  picche  sono  rico- 
nosciute dai  Troiani  che  amaramente  se  ne  addolorano,  e  la  madr-»  d'Eu- 
rialo  mette  disperati  lamenti,  450-502.  Turno  intanto  muove  ali*  assalto 
con  tutte  le  forze:  grande  strage  da  ambe  le  parti.  Primo  fiitto  di  Asciiuio 
In  guerra:  Apollo  però  gli  ordina  di  ritrarsi  dalla  zuffa,  503-608.  laudare 
e  Bizia  troppo  fidando  nella  propria  forza,  aprono  la  porta  doli  i  città 
troiana,  e  Turno  con  molti  nemici  irrompe  in  mezzo  ai  Trolaià  e  ne 
mena  ampia  strage,  664-777;  finalmente  sopraffatto  dal  numero,  a  i^oco  a 
poco  è  costretto  dfretrocedere  verso  quella  pai*te  della  citià  che  è  h;  j^nata 
dal  fiume,  e  getiauduvlsi  a  nuoto,  ritorna  salvò  ai  compagni,  778-ijia. 

Mentre  cosi  da'  suoi  scevro  e  lontano 

Enea  fa  d*  armi  e  di  sussidi  acquisto  ; 

Giuno  di  concitar  la  furia  e  Tira 

Di  Turno  unqua  non  resta.  Erasi  Turno 

Col  pensier  de  la  guerra  al  sacro  bosco  5 

Di  Pilunno  suo  padre  allor  ridotto , 

Che  mandata  da  lei  di  Tatlmante 

Gli  fli  la  figlia  in  cotal  ^isa  a  dire  : 

Ecco,  quel  che  tu  mai  chiedere  a  lingua, 
O  'mpetrar  da  gli  Dei ,  Turno,  potessi ,  10 

Per  so  Toccasion  ti  porge  e*l  tempo. 
Enea ,  mentre  da  gli  altri  implora  aita , 
Lo  sue  mura,  i  suoi  legni  e  le  sue  genti 
Lascia  ora  a  te  (se  tu  *1  conosci)  in  preda. 


L1U!\0   NONO 


2J1) 


YÀ  co  i  migliori  al  palatino  Evandro  15 

iSo  n'  è  passato ,  e  quindi  è  ne  V  estremo  o 

Penetrato  d'  Etruria.  Ora  è  nel  campo 

Do'  Toschi ,  e  favvi  indugio ,  ed  arma  avesti. 

E  tu  qui  badi,  or  che  di  carri  e  d'armi 

E  di  prestezza  è  d' uopo  ?  E  che  non  prendi  20 

I  SUOI  steccati ,  che  son  or  di  tanto 

Per  r  assenza  di  lui  turbati  e  scemi  ? 

Poscia  che  cosi  disse,  alto  su  Tali 

La  Dea  levossi  ;  e  tra  V  opache  nubi 

Per  entro  al  suo  grand'  arco  ascese ,  o  sparve.         23 

Turno  che  la  conobbe ,  ambo  a  le  stelle 
Alza  le  palme;  e  nel  ftiggir  con  gli  occhi 
Seguilla  e  con  la  voce.  Iri ,  dicendo , 
Lume  e  fregio  del  cielo,  e  chi  ti  spiega 
Or  da  le  mini?  E  chi  qua  giù  ti  manda?  30 

Ond'  è  r  aer  si  chiaro  e  si  tranquillo 
Così  repente  ?  Io  veggio  aprirsi  il  cielo , 
Vagar  le  stelle.  O  qual  tu  de*  colesti 
Sii ,  ch'a  r  armi  m' inviti  ;  io  lieto  accetto 
Un  tanto  augurio ,  e  lo  gradisco  e  '1  seguo.  35 

Così  dicendo ,  al  fiume  si  rivolse  ;  si 

N'attinse;  se  ne  sparse;  e  preci  e  voti 
Molte  fiate  al  ciel  porse  e  riporse. 

Eran  già  le  sue  genti  a  la  campagna , 
E  de'  cavalli  il  condottier  Mcssapo  40 

Di  ricca  sopravvesta  ornato  e  d*  oro 
Movea  davanti.  I  giovani  di  Tirro 
Tenean  1*  ultime  squadre ,  e  Turno  in  mezzo 
Con  tutto  il  capo  a  tutta  la  battaglia 
Sopravanzando,  armato  cavalcava  45 

Per  r  ordinanza.  In  cotal  guisa  i  campi 
Primieramente  inonda  ii  Gange ,  o  '1  Nilo 
Con  sette  fiumi;  in  li  ristretto  e  quoto 
Correndo ,  entro  al  suo  letto  si  raccoglie. 

Qui  d'improviso  d'  un  oscuro  nembo  50 

Di  polve  il  ciel  ravvilupparsi  i  Teucri  83 

Scorgon  da  lungo ,  e  'ntorbidarsi  i  campi. 
Caico  il  primo  da  1'  avversa  mole 
Gridando,  0  (disse)  cittadini,  un  gruppo 
Ver  noi  di  polverio  ne  l'aura  ondeggia. 
Ognuno  a  1'  armi ,  o^uno  a  la  muraglia  ; 
Ecco  i  nemici.  Di  ciò  corre  il  grido 
Per  tutta  la  città:  chiuggon  le  porte: 
Empion  le  mura.  Tale  avea  partendo 
Dato  il  sagace  Enea  precetto  e  norma  :  60 

Ch'  in  caso  di  rottura  a  campo  aperto 


5«i 


W*  t'.v» 


BNKDB  ^ ' 

Senza  lui  non  b'  ardisse  o  spiegar  schiere , 

0  far  conflitto  ;  e  solo  a  la  difusa 

S'attendesse  del  cerchio.  Ira  e  vergogna 

Oli  animava  a  ia  zulTa  ;  editto  e  tema 

Oh  ritenca  del  duce.  Ond'cntrQ  armati 

Ne  le  torri ,  in  su'  merli  e  no'  ripari 

Aspetlaro  i  nemici.  A  lento  passo 

Proccdea  1'  ordinanza  ;  e  Turno  a  volo 

Con  venti  eletti  cavalieri  avanti 

Si  spinse,  e  d'improvìso  appresentoesi.  4! 

Cavalcava  di  Tracia  un  gran  corsiero 

Di  bianche  macctiio  il  vario  ter^o  asperso. 

E  '1  suo  dorato  e  luminoso  elmetto 

X)'  alto  cimior  copria  cresta  vermiglia. 

Qui  fermo.  Chi  di  voi,  giovani  (disse). 
Meco  sarà  centra  i  nimici  il  prime  ? 
E  quel  ch'era  di  pugna  inizio  e  segno. 
L'asta  a  l'aura  avventando,  alteramente 
Trascorse  il  campo,  ed  in^'aggiò  battagha. 
Con  alte  grida  e  con  orribil  voci  b: 

Fremendo  lo  seguirò  i  suoi  compagni, 
Non  senza  meraviglia  che  sì  vili 
Fossero  i  Teucri  a  non  osar  del  pari 
Uscirgli  a  fronte,  non  mostrarsi  in  campo, 
Ferir  da  lungo ,  e  di  muraglia  armarsi, 
Turno  di  qua  di  là  turbato  o  Acro 
Si  spinge,  e  scorre  il  piano,  o  cerchia  il  muro, 
E  d'entrar  s'argomenta  ov' anche  è  chiuso. 

Come  rabbioso  ed  atTamato  lupo 
Al  pieno  ovile  insidiando,  freme 
La  notte,  al  vento  ed  a  ia  pioggia  esposto; 
Quando  sotto  lo  madri  1  pui-i  agnelli 
Bclan  socuri,  ed  ei  la  lame  e  l' ira 
Incontro  a  lor  che  gli  son  lungo,  accoglie: 
Cosi  gli  occhi  di  foco  0  '1  cor  di  sdegno 
n  Rutulo  inllammato,  anelo  e  fiero 
Va  de'  nimici  ajjli  steccati  inlonio. 
Ogni  loco,  ogni  astuzia,  ogni'Sunliero 
Investigando,  onde  o  co' suoi  vi  salga, 
0  lor  ne  sbuchi,  o  ne  gli  tiri  al  piano.  6" 

Al  fin  l'armata  assaglie,  eh"  a' ripari 
Da  l'un  canto  congiuJita,  entro  un  canale 
D'ondo  e  d'argini  cinUi  era  niscosta. 
Qui  foco  esclama,  e  foco  di  sua  mano 
Con  UH  ardonto  pino  a' suoi  seguaci 
Dispensa  ,  e  lor  con  la  presenza  accende  : 
Onde  (Oslo  0  lo  tici  o  i  Iciiiii  appresi, 


lAlilìO    NONO  iUi 


Fumo,  fìainmo,  favillo  o  vampi  o  mibl 

E  volumi  (li  pcco  al  ciel  n'  aiidaro.  110 

Muso,  flitcuo  or  voi  qual  iiumo  allora 
Scampò  do*  Teucri  i  legni,  o  corno  un  tanto 
De  la  novella  Troja  incendio  ostinso. 
Fama  di  tempo  in  tempo  o  prisca  fedo 
I^* avvera  il  fatto,  o  voi  conto  no 4  fate.  115 

Bicon  che  quando  a  navigar  costretto  79 

Enea  primieramente  i  suoi  navilj 
A  formar  cominciò  nel  bosco  ideo; 
D'Ida,  di  Berecintoo  de  gli  Dei 
La  madre,  al  sommo  Giove  orando,  disse,  120 

Figlio,  che  sei  per  me  de  l'universo 
Monarca  eterno ,  a  me  tua  cara  madre 
Fa  quel,  eh'  io  chieggio  e  tu  mi  dovi,  onore. 
E  nel  Gargare  giogo  un  bosco  in  cima 
Da  me  diletto ,  ed  al  mio  numo  additto  125 

Già  di  gran  tempo.  Era  d' abeti  e  d' aceri 
E  di  pini  e  di  peci  ombroso  e  denso. 
Ma  quando  de  r  armata  ebbe  uopo  in  prima 
Il  giovino  troiano,  al  magistero 
Volentier  de'  suoi  legni  il  concedei  i30 

Quinci  uscir  le  sue  navi;  e  come  figlie 
Di  quella  selva ,  a  me  son  sacre  e  care 
Si  cu' or  ne  temo;  e  del  timor  che  n'  aggio 
Priego  che  m' assicuri  j  e  '1  priego  mio 
Questo  possa  appo  a  te,  che  tanto  puoi,  i35 

Che  né  da  corso  mai ,  nò  da  fortuna 
Sian  di  venti,  o  di  flutti  e  di  tempeste 
Squassate ,  o  vinte  ;  e  lor  vaglia  eoe  nate 
Son  ne'  miei  monti.  A  cui  Giove  risposo  : 

Madre ,  a  che  stringi  i  fati  ?  E  qual  per  cui        140 
Cerchi  tu  privilegio  ?  A  mortai  cosa  w 

Farò  dono  immortale  ?  E  mortai  uomo 
Non  sarà  sottoposto  a'  rischi  umani  ? 
Ed  a  qual  de  gli  Dei  tanto  è  permesso  ? 
Più  tosto  allor  che  saran  giunte  al  fino ,  145 

E  che  in  porto  saranno ,  a  quelle  tutte 
Che  scampate  da  T  onde  il  teucro  duce 
Avran  ne'  campi  di  Laurento  esposto , 
Terrò  la  mortai  «forma ,  e  Dee  faroUe, 
Che  qual  di  Nereo  e  Doto  e  Galatea  «50 

Fendan  co'  netti  e  con  le  braccia  il  mare. 
Cosi  detto,  u  torrente  e  la  vorago 
E  la  squallida  ripa  e  V  atra  pece 
D' Acheronte  giurando ,  abbassò  *1  ciglio  ; 
E  fé'  tutto  tremar  col  cenno  il  mondo.  155 


fuol  dì ,  quest'  era  il  Ano         io 
ulo  a  i  Teucri  legni  : 
ièa  contra  l' oltraggio 
3  gli  sottrasse  al  foco. 
nusitata  luce 
;e.  Indi  un  gran  nembo 
.'  lo  ciol  trascorse 
L\  ed  una  voce  udissi 

araviglia  e  di  spavento 

1  V  altro.  O  mici  Troiani, 

vi  caglia  a'  mici  navilj 

;o;  ne  perciò  nel  campo 

io.  Arderà  Turno  II  maro 

icro  a  me  dilette  navi. 

ivi,  itene  sciolto  ;  e  Dee 

■e.  Io  genitrice  vostra 

lo.  A  questa  voce  in  quanto 

i ,  8'  allentar  le  funi 

i  ;  e  di  delfini  in  guisa 

tuffare.  Indi  sorgendo 

tre!  )  quante  a  riva  in  prima        li 

,  tanto  di  donzelle 

lo  mar  sereni  aspetti. 

insi  1  Rutuli  ;  e  Messapo 

Ili  attonito  fennossi. 

rin  roco  mugghiando 

■issi.  Nò  perciò'  di  Turno 

;ia;  anzi  via  più  feroce, 

,ando  e  riprendendo.  Ah  (disse) 

ìì  Inrontro  a  i  Teucri  stessi 

i  prodigi  ;  e  loro  ha  Giove 

:o  esausti.  11  ferro  e  'I  fuoco 

de'  Rutuli:  han  del  maro 

la  ftiga  ogni  speranza, 

3  ìnflno  a  qui  bob  privi  ; 

per  noi  :  tante  sOn  genti  J: 

me.  Nò  tem'  io  de'  vanti 

aticinj  e  de'  lor  fati 

no.  Assai  do'  fati ,  assai 

1  Venere  adempito , 

Lazio.  E  'ncontro  a  i  Fati  loro 

liei ,  che  tor  del  Lazio  io  deggia, 

ido  questi  scellerati 

mne  usurpatori  e  drudi: 

gli  Atrìdi ,  e  non  sola  Argo 

e  sdegno.  Oh  basta  eh'  una  volta 

Sì,  Be  lot  bastasse 


LIBRO   N   NO  243 


D' aver  in  ciò  sol  una  volta  errato. 

Nuovo  error,  nuova  pena.  Or  non  aranno 

Ornai  quest'infelici  in  odio  affatto  205 

Le  donne  tutte,  a  tal  digià   condotti , 

Che  non  han  de  la  vitaaltra  fìdanz  a , 

Che  questo  poco  e  debile  steccato 

Che  da  lor  ne  divide  ?  E  tanto  a  pena 

Son  lunge  dal  morir ,  (manto  s' indugia  210 

A  varcar  questa  fossa.  In  ciò  riposto  hs 

Han  la  speme  e  V  ardire.  O  non  han  visto 

Le  mura  anco  di  Troja,  che  costrutte 

Fur  per  man  di  Nettuno,  a  terra  sparse 

E  'n  cenere  converse  ?  Ma  chi  meco  j?I5 

Di  voi,  guerrieri  eletti ,  è  che  s*  accinga 

D' assalir  (juesto  mura  e  queste  genti 

Già  di  paura  offese  ?  A  me  lor  contra 

D'  uopo  non  son  nò  T  armi  di  Vulcano , 

Nò  mille  navi.  E  vengane  pur  tutta  220 

L' Etruria  insieme.  E  non  furtivamente,  i48 

E  non  di  notte ,  come  fanno  i  vili , 

Il  Palladio  involando  e  de  la  rocca 

I  custodi  uccidendo ,  assalirògli  ; 

Nò  del  cavallo  ne  T  oscuro  ventre  225 

Mi  appiatterò.  Di  giorno  apertamente 

D*  armi  e  di  foco  cingerògli  in  guisa 

Gh'  altro  lor  sembri  che  garzoni  e  cerno 

Aver  di  Greci  e  di  Pelasgi  intorno. 

Di  cui  r  assedio  infìno  al  decim'  anno  230 

Ettor  sostenne.  Or  poscia  che  del  giorno 

S'  è  buona  parte  insino  a  qui  passata 

Felicemente,  il  resto  che  n'  avanza 

Attendete  a  posarvi ,  a  ristorarvi , 

A  disporvi  a  l'assalto:  e  ne  sperato  £35 

Lieto  successo.  Indi  a  Messane  incarco 

Si  dà,  che  sentinelle  e  guardie  e  fochi 

Disponga  anzi  a  le  porte  e  'ntorno  al  muro. 

Ei  sette  e  sette  capitani  egregi 

Rutuli  tutti  a  quest'  impresa  elesse ,  240 

Con  cento  che  n'avea  ciascuno  appresso  lei 

Di  purpurei  cimieri  ornati  e  d' oro. 

Questi ,  le  mute  variando  e  l' ore , 

Scorrevan  a  vicenda  ;  e'  ntorno  a'  fochi 

Desti  in  su  1'  erba ,  infra  le  tazze  e  1*  urne  245 

Traean  la  notte  in  {gozzoviglie  e'  n  giochi. 

Stavano  i  Teucri  il  campo  rimirando 
Da  la  muraglia  ì  e  per  timore  armati 
Visitavan  le  porte ,  e  'n  su'  ripari 


Oli 


ENEIDE 


Facoan  bcrlescho  e  sicrratoie  e  ponti.  250 

Era  Meramo  lor  sopra  e  '1  buon  Sorgeste , 

Che  fur  dal  padre  Enea  nel  suo  partire 

A  guerreggiar  (  se  guerra  si  rompesse  ) 

Per  conduttieri  o  per  maestri  eletti. 

Già  sullo  mura ,  ovunque  o  da  periglio ,  255 

O  da  la  vece  eran  disposti,  ognuno 

Tenea  il  suo  luogo.  Un  de'  più  fieri  in  arme 

Niso  d' Irtaco  il  figlio  ad  una  porta 

Era  proposto.  Da  le  cacce  d' Ida 

Venne  costui  mandato  al  trojan  duce  ,  260 

Gran  feritor  di  dardo  e  di  saette.  177 

Burlalo  era  seco,  un  giovinetto 

Il  più  bello,  il  più  gajo  e  1  più  leggiadro 

Che  nel  campo  trojano  arme  vestisse  ; 

Ch'  a  pena  avea  la  rugiadosa  guancia  265 

Del  primo  fior  di  gioventù  te  aspersa. 

Era  tra  questi  due  solo  un  amore 

Ed  un  volere;  e  nel  mestier  de  Y  armi 

L' un  sempre  era  con  r  altro  :  ed  ambi  insieme 

Stavano  allor  vegghiando  a  la  difesa  270 

Di  quella  porta.  Disse  Niso  in  prima: 

Eurlalo ,  io  non  so  se  dio  mi  sforza 
A  seguir  quel  ch'io  penso,  0  se'l  pensiero 
Stesso  di  noi  fassi  a  noi  forza  e  dio. 
Un  desiderio  ardente  il  cor  m' invoglia  275 

D' uscire  a  campo ,  e  far  centra  i  nemici 
Un  qualche  degno  e  memorabil  fatto: 
Si  di  star  pigro  e  neghittoso  abborro. 
Tu  vedi  là  come  securi  ed  ebbri 
E  sonnacchiosi  i  Rutuli  si  stanno  280 

Con  rari  fochi  e  gran  silenzio  intomo.  188 

L' occasione  è  bella,  ed  io  son  fermo 
Di  perla  in  uso  :  or  in  qual  modo ,  ascolta. 

Ascanio ,  i  consiglieri  e  '1  pepol  tutto , 
Per  richiamare  Enea,  per  avvisarlo ,  285 

E  per  avvisi  riportar  da  lui , 
Gercan  messaggi.  Io,  quando  a  te  promesso 
Premio  ne  sia  (  eh'  a  me  la  fama  sola 
Basta  del  fatto),  di  poter  m' affido 
Lungo  a  quel  colle  investigar  sentiero ,  290 

Onde  a  Pallanto  a  ritrovarlo  io  vada  195 

Securamente.  Burlalo  a  tal  dire 
Stupissi  in  prima  ;  indi  d' amore  acceso 
Di  tanta  lode,  al  suo  diletto  amico 
Cosi  rispose  :  Adunque  ne  l' impreso  295 

Di  momento  e  d'  onore  io  da  te ,  Niso 


LIDllO   NONO  24S 


Son  così  rifiutato  ?  E  te  poss'  io 

Lassar  si  solo  a  sì  gran  rischio  andare  ? 

A  me  non  die  questa  creanza  Ofellc 

Mio  tenitore ,  il  cui  valor  raostrossi  300 

Ne  gii  affanni  di  Troja ,  e  nel  terrore 

De  r  argolica  guerra.  Ed  io  tal  saggio 

Non  t*  ho  dato  di  me ,  teco  seguendo 

Il  duro  fato  e  la  fortuna  avversa 

Del  magnanimo  Enea.  Questo  mio  coro  305 

E  spregiatore ,  è  spregiatore  anch*  egli 

Di  questa  vita  ;  e  degnamente  spesa 

La  tiene  allor  che  gloria  se  ne  merchi, 

E  quel  che  cerchi  ed  a  me  nieghi ,  onore. 
Soggiunse  Niso  :  Altro  di  te  concetto  310 

Non  ebhi  io  mai,  né  tal  sei  tu  eh* io  deggia    £07 

Averlo  in  altra  guisa.  Cosi  Giove 

Vittorioso  mi  ti  renda  e  lieto 

Da  questa  impresa ,  o  qual  altro  sia  nume 

Che  propizio  e  benigno  ne  si  mostri.  315 

Ma  se  per  caso,  o  per  destino  avverso 

(Come  sovente  in  cfuesti  rischi  avviene) 

Io  vi  perissi  ;  il  mio  contento  in  questo 

È  che  tu  viva  :  si  perchè  di  vita 

Son  più  degni  i  tuoi  giorni ,  e  sì  perch'  io  320 

Aggia  chi  dopo  me ,  se  non  con  1  arme , 

Almen  con  V  oro  il  mio  corpo  ricovre , 

E  lo  ricopra.  E  s'  ancor  ciò  m'  è  tolto , 

Alfìn  sia  chi  d' esequie  e  di  sepolcro 

Lontan  m*  onori.  Oltre  di  ciò  cagione  325 

Esser  non  deggio  a  tua  madre  infelice 

D'  un  dolor  tanto  ;  a  tua  madre  che  sola 

Di  tante  donne  ha  di  seguirti  osato , 

I  comodi  spregiando  e  la  quiete 

De  la  città  d*  Aceste.  A  ciò  di  nuovo  330 

EurXalo  rispose  :  Indarno  adduci  »18 

Sì  vane  scuse;  ed  io  già  fermo  e  saldo 

Nel  proposito  mio  pensier  non  muto. 

Affrettiamci  a  l' impresa.  E  così  detto , 

Destò  le  sentinelle ,  e  le  ripose  335 

In  vece  loro  ;  e  V  uno  e  V  altro  insieme 

Se  ne  partirò ,  e  ne  la  reggia  andare. 
1/^  Tutti  gli  altri  animali  avean  dormendo 
'    Sovra  la  terra  oblio  ,  tregua  e  riposo  • 

Da  le  fatiche  e  dagli  affanni  loro.  340 

I  teucri  condottieri  e  gli  altri  eletti , 

Che  de  la  guerra  avean  V  imperio  e'  1  carco , 

S*  erano  e  do  la  guerra  e  de  la  somma 


■«PW-aaiiBMHJ^MI^H 


240 


ENEIDE 


Di  tutto  *1  regno  a  consigliar  ristretti  : 
E  nel  mezzo  del  campo  altri  a  gli  scudi, 
Altri  a  r  aste  appoggiati ,  avean  consulta 
Di  che  far  si  dovesse ,  e  chi  per  messo 
Ad  Enea  si  mandasse.  I  due  compagni 
D' essere  ammessi  e'  ncontanente  uditi 
Pecer  ^an  ressa,  e  di  portar  sembiauic 
Cosa  di  gran  momento ,  e  di  gran  danno , 
Se  s' indugiasse.  A  questa  fretta  il  primo 
Si  fece  Ascanio  avanti  ;  e  volto  a  Niso 
Comandò  che  dicesse.  Egli  altamente 
Parlando  incominciò  :  Trojani ,  udito 
Discretamente;  e  quel  che  si  propone 
E  si  dice  da  noi,  non  misurato 
Da  gli  anni  nostri.  I  Rutuli  sepolti 
Se  ne  stan  da  la  crapula  e  dal  sonno  ^ 
E  noi  stessi  appostato  avemo  un  loco 
Da  quella  porta  che  riguarda  al  mare , 
Atto  a  le  nostre  insidie ,  ove  la  strada 
Più  larga  in  due  si  parte.  Intorno  al  campo 
Sono  i  fochi  interrotti  :  il  fumo  oscuro 
Sorge  a  le  stelle.  Se  da  voi  n*  è  dato 
D' usar  questa  fortuna ,  e  quest'  onore 
Ne  si  fa  di  mandarne  al  nostro  duce  ; 
Al  Pallantèo  n' andremo ,  e  ne  vedrete 
Assai  tosto  tornar  carchi  di  Spoglie 
De  gli  avversari  nostri ,  e  tutti  aspersi 
Del  sangue  loro.  E  non  fla  che  la  strada 
Ne  gabbi  :  che  più  volte  qui  d' intorno 
Cacciando  avemo  e  tutta  questa  valle 
E  tutto  il  fiume  attraversato  e  scorso. 

Qui  d'  anni  grave  e  di  pensier  maturo 
Alete  al  ciel  rivolto .  O  |)atrii  Dii  ! 
(Disse  esclamando)  il  cui  nume  fu  sempre 
Propizio  a  Troja ,  pur  del  tutto  spenta 
Non  volete  che  f'i  mercè  di  voi: 
Poscia  che  questo  ardire  e  questi  cori 
Ne'  petti  a'  nostri  giovani  ponete. 
E  stringendo  le  man ,  gli  omeri  e'  1  collo 
Or  de  1  uno  or  de  l'altro,  ambi  onorava, 
Di  dolcezza  piangendo.  E  qual  (dicea) 
Qual ,  generosi  figli ,  a  voi  darassi^ 
J5i  voi  degna  mercede  ?  Iddio ,  eh'  è  primo 
De  gli  uomini  e  supremo  guiderdone , 
E  la  vostra  virtù  premio  a  se  stessa 
Sia  primamente.  Enea  poscia  userawi 
Sua  largitate,  e  questo  giovinetto 


315 


2:u 


3G0 


305 


210 


370 


380 


335 


252 


390 


LITJUO  NONO  ?i7 


Che  d' un  tal  vostro  merlo  avrà  mai  sempre 

Dolce  ricordo.  Anzi  io  (soggiunse  Julo) 

Che  senza  il  padre  mio  la  mia  salute 

Veggio  in  periglio,  per  gli  dei  Penati, 

Per  la  casa  d'  Assaraco  ,  jjer  quanto    •  895 

Dovete  al  sacro  e  venerabil  nume 

De  la  gran  Vesta  (ogni  fortuna  mia 

Ponendo,  ogni  mio  affare  in  grembo  a  voi) 

Vi  prego  a  rivocare  il  padre  mio. 

Fate  cn'  io  lo  riveggia  ;  e  nulla  poi  400 

Sarà,  di  eh'  io  più  tema.  E  già  vi  dono  $6$ 

Due  gran  vasi  d' argento ,  che  scolpiti 

Sono  a  figure  ;  un  oe'  più  ricchi  arnesi 

Che  del  sacco  d*Arisha  in  preda  avesse 

n  padre  mio  :  due  tripodi  :  due  d' oro  405 

Maggior  talenti ,  ed  un  tazzone  antico 

De  la  sidonia  Dido.  E  se  n'  è  dato  * 

Tener  d' Italia  il  desiato  regno , 

E  che  preda  sortirne  unqua  mi  tocchi, 

Quello  stesso  dcstricr,  quelle  stesse  armi  410 

Guarnite  d'oro,  onde  va  Turno  altero, 

E  quel  suo  scudo ,  e  quel  cimier  sanguigno 

Sottrarrò  da  la  sorte  :  e  di  già ,  Niso , 

Gli  ti  consegno  ;  e  ti  prometto  in  nome 

Del  padre  mio ,  che  largiratti  ancora  415 

Dodici  fra  min*  altri  eletti  corpi 

Di  bellissime  donne ,  e  dodici  altri 

Di  giovani  prigioni ,  e  l' armi  loro 

Con  essi  insieme ,  e  di  Latino  stesso 

La  regia  villa.  Or  te ,  mio  venerando  420  *. 

Fanciullo ,  abbraccio ,  a  gli  cui  giorni  1  miei 

Van  più  vicini.  Io  te  con  tutto  il  coro 

Accetto  per  compagno  e  per  fratello 

In  ogni  caso  ;  e  nulla  o  gloria  o  gioja 

Procurerommi  in  pace  unqua  od  m  guerra,  425 

Che  non  sii  meco  d'ogni  mio  pensiero,  sto 

E  d'ogni  ben  partecipe  e  consorte; 

E  ne  le  tue  parole  e  ne'  tuoi  fatti 

Somma  speme  avrò  sempre  e  somma  fede» 

Furialo  rispose:  O  fera,  o  mite  433 

Che  fortuna  mi  sia,  non  sarà  mai 
Gh'  io  discordi  da  me  ;  mai  non  uguale 
Lo  mio  cor  non  vedrassi  a  questa  impresa. 
Ma  sopra  a  gli  altri  tuoi  promessi  dom 
Questo  solo  bram'  io.  La  madre  mia  435 

Che  dal  ceppo  di  Priamo  è  discésa,  Mi 

E  che  per  me  seguire  ha  la  mosduna 

-■    ..  -   Alfl 

■  ;     •  :;^  • 


248  ENlilIDE 


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Non  pur  di  Troja  abbandonato  il  nido, 

Ma  1  ricovro  d' Aceste,  e  la  sua  vita 

Stessa  (a  tanti  per  me  r  ha  rischi  esposta)  440 

Di  questo  mio  periglio,  miai  che  e'  sia, 
!     Nulla  ha  notizia:  ed  io  da  lei  mi  parto 
>         Senza  eh*  io  la  saluti,  e  che  la  veggia. 

Per  questa  man,  per  questa  notte  io  giuro, 

Signor,  che  né  vederla,  né  la  pietà  445 

Soffrir  de  le  sue  lagrime  non  posso. 

Tu  questa  derelitta  poverella 

Consola,  te  ne  priego,  e  la  sovvieni 

In  vece  mia.  Se  tu  di  ciò  m' affidi. 

Andrò  con  questa  speme  ad  ogni  rischio  450 

Con  più  baldanza.  Si  commosser  tutti 

A  tal  parole,  e  lagrimaro  i  Teucri  ;. 

E  più  di  tutti  Ascanio,  a  cui  sovvenne 

De  la  pietà  eh*  ebbe  suo  padre  al  padre  ; 

E  disse  al  giovinetto:  Io  mi  ti  lego  455 

Per  fede  a  tutto  ciò  che  la  grandezza 

Di  questa  impresa  e  *1  tuo  valor  richiede. 

E  perchè  nùa  sia  la  tua  madre,  il  nome 

Sol  di  Greùsa,  e  nuli*  altro  le  manca. 

Né  di  picciolo  merto  è  eh'  un  tal  ficlio  460 

N*  aggia  prodotto  ;  segua  che  che  sfa     •  «os 

Di  questo  fatto.  Ed  io  per  lo  mio  capo 

Ti  giuro,  jper  lo  qual  solea  pur  dianzi 

Giurar  mio  padre,  eh*  a  la  madre  tua, 

A  tutta  la  tua  stirpe  si  daranno  465 

I  doni  stessi  che  serbar  mi  giova 

Por  a  te  nel  felice  tuo  ritorno. 
Cosi  disse  piangendo;  e  la  sua  spada, 

Che  di  man  di  Licàone  guarnito 

Avea  d*  avorio  il  fodro,  e  V  elsa  d' oro,  470 

Distaccossi  dal  flancOt  ^  ^^i  ne  cinse.  305 

Memmo  al  tergo  di  Niso  un  tergo  impose 

Di  villoso  leone  ;  e  *1  fido  Alete 

Gli  scambiò  V  elmo.  Cosi  tosto  armati 

8e  n'  uscir  de  la  reggia  ;  e  i  primi  tutti  475 

Giovani  e  vecchi  in  vece  d' onoranza 

PiQO  a  la  porta  con  preconj  e  voti 

Gli  accompagnare,  n  giovinetto  Jiìlo 

Con  viril  cura  e  con  pensier  maturi 

Imianzi  agli  anni,  ragionando  in  mezzo 

Giva  d' entrambi:  ed  or  l'uno  ed  or  V  altro 
^        Molto  avvertendo,  molte  cose  a  dire 
I        Mandava  al  padre  :  le  quai  tutte  al  vento 

'      Furon  commesse,  e  dissipate  a  r  aura. 


480 


i.i!5r'>  NONO  2^9 


Escono  al  fine.  E  già  varcato  il  fosso,  486 

Da  le  notturne  tenebro  coverti 
Si  metton  per  la  via  che  li  conduce 
Al  campo  de'  nemici,  anzi  a  la  morte. 
Ma  non  morranno,  che  macello  e  strage 
Faran  di  molti  in  prima.  Ovunque  vanno  400 

Veggion  corpi  di  genti,  che  sepolti  ^ 

Son  (lai  sonno  e  dal  vino.  I  carri  voti  ^.t  ^^^  -'^^^ 

Con  ruote  e  briglie  intomo,  uomini  ed  otri 
E  tazze  e  scudi  in  un  miscuglio  avvolti* 

Disse  d' Irtaco  il  figlio  :  Or  qui  bisogna,  4Q5 

Eurìalo,  aver  core,  oprar  le  mani,  8i9 

E  conoscere  il  tempo,  n  cammin  nostro 
E  per  di  qua.  Tu  qui  ti  ferma,  e  l' occhio 
Gira  per  tutto,  che  non  sia  da  terso 
Chi  n'impedisca;  ed  io  tosto  col  ferro  500'  .' 

Sgombrerò  '1  passo,  e  t' aprirò  '1  sentiero. 
Ciò  cheto  disse.  Indi  Rannete  assalse, 
n  superbo  Rannete  che  per  sorte 
Entro  una  sua  trabacca  avanti  a  lui 
In  su*  tappeti  a  grand*  agio  dormia,  605 

E  russava  altamente.  Era  costui  U5 

A  re  Turno  patissimo,  ed  anch'  egli 
Rege  e  'ndovmo  :  ma  non  seppe  il  fidle 
Indovinar  quel  eh'  a  lui  stesso  avvenne. 
Tre  suoi  famigli,  che  dormendo  appresso  519 

Giacean  fira  V  armi  rovesciati  a  caso, 
Tutti  in  un  mucchio  uccìse,  ed  un  valletto 
Gh'  era  di  Remo,  e  sotto  i  suoi  cavaUi 
Lo  stesso  auriga.  A  costui  trasse  un  colpo 
Che  gli  mandò  giù  ciondoloni  il  collo  :  615 

Indi  al  jpadron  di  netto  lo  riciso 
Si,  che  1  sangue  spicciando  d' ogni  vena, 
La  terra,  lo  stramazzo  e  '1  desco  intrise. 
Tamiro  estinse  dopo  questi  e  Lamo 
E  '1  giovine  Serrano,  un  bel  garzone  520 

Era  costui,  gran  giocatore,  e^n  gioco 
Insinosdlora  avea  sempre  veglisi. 
Febee  lui  per  lo  suo  vizio  stesso, 
So  giocato,  e  perduto  ancora  avesse 
Tutta  la  notte  !  Era  a  veder  tra  loro  525 

n  fiero  Niso,  guai  da  fame  spinto 
Non  pasciuto  leone  un  pieno  ovile 
Imbelle  e  per  timor  già  muto  assaglie, 
Che  d' ungnie  armato,  e  sanguinoso  il  dente 


Traendo  e  divorando  ancide  e  rugge. 
Né  fé'  strage  minor  da  V  aUro  canto 


530 


S41 


^m 


MM 


M 


250 


ENEIDE 


540 


545 


550 


Burlalo,  eh*  acceso  e  furioso 

Tra  molta  plebe  molti  senza  nome, 

E  quasi  senza  vita  a  morte  trasse  ; 

Si  dal  sonno  eran  vinti  :  e  de'  nomati  535 

Uccise  Ebeso,  Fado,  Abari  e  Reto. 

Questo  Reto  era  desto:  onde  veggendo 

Con  la  morte  de  gli  altri  il  suo  periglio, 

Per  la  paura  appo  d*  un'  urna  ascoso 

Quatto  e  cpieto  si  stava.  Indi  sorgendo 

Gli  fu'  1  giovine  sopra,  e  '1  ferro  tutto  8  le 

Entro  al  petto  gì'  immerse,  e  con  gran  parto 

De  la  sua  vita  indietro  lo  ritrasse; 

Si  che  tra  '1  vino  e  *1  sangue,  ond'  era  involta, 

Gli  usci  1*  alma  di  purpura  vestita. 

Con  questa  occislon  di  buja  notte 
E  di  furtivo  agguato  il  buon  garzone 
Fervidamente  instava.  E  già  rivolto 
S' era  contro  a  la  schiera  di  Messapo, 
Là've'l  foco  vedoa  del  tutto  estinto, 
E  là 've  i  suoi  cavalli  a  la  campagna 
Pascean  legati  ;  allor  che  Niso  il  vide 
Che  da  V  occislon  e  da  l' ardore 
Trasportar  si  lasciava.  E  brevemente. 
Non  più  (gli  disse),  che'l  nimico  sole 
Ne  sor^e  incontra.  Assai  di  sangue  ostile 
Fin  qm  s' è  sparso  :  assai  di  largo  avemo. 
Molt'  armi,  molt'  argenti  e  molt'  arnesi 
Lasciare  in  dietro.  I  guarnimenti  soli 
Del  cavai  di  Rannete  e  le  sue  borchie 
Eurlalo  si  preso,  con  un  cinto 
Bollato  d' oro,  un  prezioso  dono 
Che  Gedico,  un  ricchissimo  tiranno 
A  Remolo  Tiburte  ospite  assente 
Fece  in  quel  tempo.  Remolo  al  nipote 
Lo  lasciò  per  retaggio  :  e  questi  in  guerra       zez 
Ne  fu  poscia  da*  Rutuli  spogliato  : 
Quinci  gli  ebbe  Rannete,  e  quinci  preda 
Fur  d'  Eurlalo  al  fine.  Egli  gravonne 
I  forti  omeri  indarno.  Appresso  in  capo 
S'  adattò  di  Messapo  un  lucid'  elmo  3C4 

D' alto  cimiero  adorno  :  e  *n  questa  guisa 
Se  ne  partian  vittoriosi  e  salvL 

Intanto  di  Laurcnto  eran  le  schiere 
Uscite  a  campo ,  e  i  lor  cavalli  avanti 
Precorrean  T  ordinanza ,  ed  al  re  Turno 
Ne  portavano  avviso.  Eran  trecento 
Tutti  di  scudi  armati;  e  capo  e  guida 


555 


5C0 


565 


570 


MB  110  NONO  251 


N'era  Volscente.  Già  vicini  al  campo 

Scorgcan  le  mura;  quando  fuor  di  strada  580 

Videro  da  man  manca  i  due  compagni 

Tener  sentiero  obliquo.  Era  un  barlume 

Là  'v'  era  Y  ombra  ;  e  là  'v'  era  la  luna 

A  gli  avversi  suoi  raggi  la  celata 

Del  mal  accorto  Eurlalo  rifulse.  585 

Di  cotal  vista  insospetti  Volscente ,  .».-.• 

E  ^dò  da  la  squadra  :  O  là  fermate. 

Chi  viva?  A  che  venite?  Ove  n'andate? 

Chi  siete  voi  ?  La  lor  risposta  incontro 

Fu  sol  di  porsi  in  fuga ,  e  prevalersi  500 

De  la  selva  e  del  bujo.  I  cavalieri  ira 

Ratto  chi  qua  chi  là  corsero  a' passi. 

Circondarono  il  bosco;  ad  ogni  uscita 

Posero  assedio.  Era  la  selva  un'  ampia 

Macchia  d*  elei  e  3i  pruni  orrida  e  folta ,  595 

Gh'  avea  rari  i  sentieri ,  occulti  e  strettL 

E  gy  intrighi  de'  rami  e  de  la  preda 

Ghiera  pur  grave,  e'I  dubbio  de  la  strada 

Tenean  sovente  Burlalo  impedito. 

Niso  disciolto  0  lieve ,  e  del  compagno  600 

Non  s' accorgendo  eh'  era  in  dietro  assai. 

Oltre  si  spinse.  E  già  fuor  de'  nemici 

Era  ne'  campi  che  dal  nome  d' Alba 

Si  son  poi  detti  Albani  Alior  le  razze 

E  le  stalle  v'  avea  de'  suoi  cavalli  (K)5 

n  re  Latino.  E  qui  poscia  eh'  un  poco  S38 

Ebbe  il  suo  caro  amico  indarno  atteso, 

Gridando ,  Ah  (disse)  Eurlalo  infelice , 

U'  sei  rimase  ?  U'  più  (lasso  !)  ti  trovo 

Per  questo  labirinto?  È  tosto  in  dietro  610 

Rivolto ,  per  le  vie ,  per  l' orme  stesse         >* 

Di  tornar  ricercando ,  si  rimbosca. 

Erra  pria  lungamente ,  e  nulla  sente  : 

Poscia  sente  di  trombe  e  di  cavalli 

E  di  voci  un  tumulto  $  e*  vede  appresso  615 

Eurlalo  fì-a  mezzo  a  quelle  genti , 

Qual  cacciato  leone.  É  già  oal  loco 

E  da  la  notte  oppresso  si  travaglia , 

E  si  difende  il  poverello  in  vano. 

Che  farà  ?  Con  che  forze,  -e  con  qual  anni  620 

Pia  che  lo  scampi  ?  Awenterassi  in  mezzo 

De'  nemici  a  morir  morte  onorata? 

Gosi  risolve  :  e  prestamente  un  dardo 

S' adatta  in  mano  ;  e  volto  in  ver  la  Luna 

Gh'  allora  alto  splendea ,  cosi  la  prega:  625 


?52  ENEIDE 


Tu  »  Dea ,  tu  de  la  notte  eterno  lume ,  403 

Tu  regina  de'  boschi ,  in  tanto  rischio 
Ne  porgi  aita.  E  s*  Irtaco  mio  padre 
Per  me  de  le  sue  cacce ,  io  de  le  mie 
Il  dritto  un^a  t'offrimmo  ;  e  se  t*  apposi ,  630 

E  se  t'affìssi  mai  teschio  né  spoglia 
Di  fera  belva,  or  mi  concedi  ch^io 
Questa  gente  scompigli ,  e  la  mia  mano 
Reggi  e  i  miei  colpi  E  ciò  dicendo,  il  dardo 
Vibrò  di  tutta  forza.  Egli  volando  635 

Fendè  la  notte,  e  giunse  òro  a  rincontro 
Era  Sulmone  e  V  investi  nel  tergo 
Là  've  pendea  la  targa  ;  e  '1  ferro  e  1*  asta 
Passògu  al  petto ,  e  gli  trafisse  il  core. 
Cadde  freddo  il  meschino;  e  con  un  caldo  640 

Fiume  di  sangue,  che  g\i  uscio  davanti,         4i4 
Fini  la  vita^  e  col  singhiozzo  il  fiato. 

Guardansi  l'uno  a  1  altro;  e  tutti  insieme 
Miran  d'intorno  di  stupor  confusi 
E  di  timor  d'insidie.  E  Niso  intanto  645 

Via  più  si  studia  j  ed  ecco  un  altro  fiero 
Colpo,  eh*  avea  di  già  librato ,  e  dritto 
Di  sopra  gli  si  spicca  da  V  orecchio, 
E  per  r  aura  ronzando  in  ima  tempia 
Si  conficca  diTago,  e  passa  a  l'altra.  650 

Volscente  acceso  d' ira ,  non  vegffendo 
Con  chi  sfogarla,  al  giovine  rivolto, 
Tu  me  ne  pagherai  per  ambi  il  fio , 
Disse,  e  strmse  la  spada,  e  ver  lui  corse. 
Niso  a  tal  vista  spaventato ,  0  fUori  655 

Uscito  de  l'agguato  e  di  se  stesso 
(Che  soffHr  non  poteo  tanto  dolore) 
Me  me  (gridò)  me  ^  Rutuli ,  uccidete. 
Io  son  che  '1  fòcl  :  10  son  che  questa  frode 
Ho  prima  ordito.  In  me  T  armi  volgete;  660 

Che  nulla  ha  contro  a  voi  questo  meschino 
Osato ,  né  potuto.  Io  Io  vi  giuro 
Per  lo  ciel  che  n'  è  conscio  e  per  le  stelle. 
Questo  tanto  di  mal  solo  ha  commesso , 
Che  troppo  amato  ha  l' infelice  amico.  665 

Mentre  cosi  dicea,  Volscente  il  colpo  430 

Oià  con  gran  forza  sninto,  il  bianco  petto 
Del  giovine  trafisse.  É  già  morendo 
Eurlalo  cadea,  di  sangue  asperso 
Le  belle  membra ,  e  rovesciato  il  collo  670 

Qual  reciso  dal  vomere  languisce 
Purpureo  flore ,  0  di  rugiada  pregno    


Linrio  NONO  t53 


Papavero  eh' a  terra  il  capo  inchina. 

In  mezzo  de  lo  stuol  Niso  si  scaglia 
Solo  a  Volscente,  solo  contra  lui  675 

Pon  la  sua  mira.  I  cavalier  che  intorno  439 

Stavano  a  sua  difesa ,  or  quinci  or  quindi 
Lo  tenevano  a  dietro.  Ed  ei  pur  sempre 
Addosso  a  lui  la  sua  fulminea  spada 
Rotava  a  cerco.  E  si  fé'  largo  in  tanto .  680 

Gh'  al  fin  lo  giunse  ;  e  mentre  che  gridava , 
Gacciògli  il  ferro  ne  la  strozza,  e  spinse. 
Cosi  non  morse ,  che  si  vide  avanti 
Morto  il  nimico.  Indi  da  cento  lance 
Trafitto  addosso  a  lui,  per  cui  moriva,  685 

Gittossi  ;  e  sopra  lui  contento  giacqxie. 
Fortunati  ambidue  !  Se  i  versi  mici 
Tanto  han  di  forza,  nò  per  morte  mai, 
Nò  per  tempo  sarà  che'  1  valor  vostro 
Glorioso  non  sia,  finché  la  stirpe  690 

D'  Enea  possederà  del  Campidoglio 
L'immoDil  sasso,  e  finche  impero  e  lingua 
Avrà  r  invitta  e  fortunata  Roma. 

I  Rutuli  con  r  armi  e  con  le  spoglie 
De  i  duo  compagni  uccisi,  il  morto  corpo  695 

Al  campo  ne  portar  del  duce  loro  : 
Lagrimosa  vittoria!  E  jion  meno  anco 
Fu  nel  campo  di  lagrime  e  di  lutto , 
AUor  che  di  Rannete  e  di  Serrano 
E  di  Numa  la  strage  si  scbverse,  700 

E  di  tanf  altri  eh'  eran  morti  in  prima.  454 

Corse  ognuno  a  veder  ;  che  parte  spenti , 
Parte  eran  mezzi  vivi  ;  e  caldo  e  pieno 
E  spumante  di  san^e  era  anco  il  suolo 
Ove  giacean  quegV  infelici  estinti.  705 

Riconohber  tra  lor  le  spoglie  e  V  elmo 
E  '1  cimier  di  Messapo ,  e  i  guamimenti 
Che  con  tanto  sudor  ricoverati 
S' erano  a  pena.  Era  vermiglio  e  rancio 
Fatto  già  de  la  notte  il  nero  ammanto  710 

Lasciando  di  Titon  1'  Aurora  il  letto; 
E  comparso  era  il  sole ,  e  discoverto 
Già'l  mondo  tutto  ;  allor  che  Turno  armato 
A  r  arme ,  a  V  ordinanza ,  a  la  battaglia 
Concitò  *1  campo  ;  e  diede  ordine  e  loco  715 

Ciascuno  a*  suoL  Vendetta ,  ira  e  desio  468 

D*  assalir ,  di  combatter ,  di  far  sangue 
Vedeansi  in  tutti.  A  due  grand'  aste  in  cima 
Gonflccarou  le  toste  (orribil  mostra  l) 


Ch'  ancor  sangue  gocciando  oran  pur  iropp 
■Cosi  lunge  da'  misori  compagni 
RafBgurati  a  le  fattezze  conte./'   ■" 
^iegò  la  fama  le  suo  penne  intanto, 
E  la  trista  novella  in  ogni  parto 
Sparso  per  la  città,  si  eh'  a  gli  orocchl 
Do  la  madre  d'Euiìalo  pervenne. 
Corse  subitamente  un  gel  per  1'  ossa 
A  la  meschina;  o  de  le  man  le  uscirò 
Le  sue  tele  e  1  suoi  fili.  Indi  rapita 
Dal  duolo  e  da  la  furia ,  forsennata 
E  scapigliata  ne  la  strada  uscio; 
E  por  mezzo  de  1'  armi  e  da  lo  genti 
Correndo  ,  e  mugolando  senza  tema 
Di  periglio  0  di  hiasmo ,  andò  gridando , 
E  (fi  questi  lamenti  il  cielo  empiendo  : 
Ahi  cosi  concio.  Eurialo,  mi  forni? 
Eurialo  sei  tu?  Tu  sei'l  mio  figlio, 
Cb"  eri  la  mia  speranza  e  '1  mio  ripoBO 
Wa  l'estremo  giornate  di  mia  vita? 
Ahi  come  cosi  sola  mi  lasciasti. 
Crudele  ?  E  come  a  cosi  gran  periglio 
N"  andasti ,  anzi  a  la  morto ,  che  tua  raad 
Non  ti  parlasse  ,  oima  !  l' ultima  volta . 
Né  che  pur  ti  vedesse  ?  Ah  !  eh'  or  ti  veg 
In  perenna  terra  esca  di  cani , 
D' avoltoi  e  di  corvi,  "''  ■"  '""  madre, 
■  -         __= _  ^  I  Hunln 


LIBRO  NONO  -^^-  255 


I E  seguiratti  dopo  morte  ancora  ? 
■  In  me,  Rutuli,  m  me  tutti  volgete 
'  I  vostri  ferri,  se  pur  regna  in  voi 

Pietade  alcuna.  A  me  la  morte  date  770 

Pria  eh'  a  nuli'  altro.  0  tu.  Padre  celeste,  494 

Miserere  di  me.  Tu  col  tuo  telo 

Mi  trabocca  nel  Tartaro  e  m' ancidi, 

Poiché  romper  non  posso  in  altra  guisa 

Questa  crudele  e  disperata  vita.  jf^  775 

Da  questo  pianto  una  mestizia,  un  duolo 

Nacque  ne'  Teucri,  e  tale  anco  ne  V  armi 

Un  languore,  un  timore,  una  desidia, 

Che  grami ,  addolorati  e  di  già  vinti 

Sembravan  tutti.  Onde  Attore  ed  Ideo ,  730 

Con  quel  di  lei  togliendo  il  pianto  altrui , 

Per  consiglio  del  saggio  Ilioneo , 

E  per  compassion  del  buono  lùlo 

Che  molto  amaramente  ne  piangea. 

Tosto  a  braccia  prendendola ,  ambedue  785 

La  portare  a  V  albergo.  Ed  ecco  intanto  502 

Sqiullar  s' ode  da  lungo  un  suon  di  trombe , 

Un  dare  a  V  arme ,  ed  un  gridar  di  ^enti 

Tal ,  che  ne  tuona  e  ne  rimugghia  il  cielo. 

E  veggonsi  in  un  tempo  i  Volsci  tutti  790 

Sotto  pavesi  consertati  e  stretti 

In  guisa  di  testuggine  appressarsi , 

Empier  le  fosse ,  dirupare  il  vallo, 

E  tentar  la  salita ,  e  por  le  scale 

Là  dove  la  muraglia  era  di  sopra  795 

Con  minor  guardia ,  e  là  've  raro  il  cerchio 

Tralucea  de  la  gente.  Incontro  a  loro 

I  Teucri  i  sassi ,  i  travi  ed  ogni  telo 
Awentaron  dal  muro  ;  e  con  le  picche 
Risospingendo ,  come  il  lungo  assedio  800 
Insegnò  lor  di  Troja ,  a  la  difesa 

Si  fermar  de*  ripari  ;  e  le  pareti 

E  i  pilastri  e  le  torri  addosso  a  loro 

E  sopra  a  la  testuggine  gittando , 

Gli  scudi  dissiparono  e  le  ffenti ,  805 

Si  che  più  di  combattere  al  coverto 

Non  si  curaro.  Ma  d' ogni  arme  un  nembo 

Lanciando  a  la  scoperta ,  i  bastioni 

Ofiendean  de'  Troiani.  E  d' una  parte 

Mezenzio ,  formidabile  a  vedere ,  810 

Se  *n  già  con  un  gran  pino  acceso  in  mano         621 

Lo  steccato  infocando.  Iva  da  l'altro 

II  fler  Messapo  di  Nettuno  il  figlio 


.jr< 


2f>fi  ENEIDE 


Domator  de*  corsieri  ;  e  scisso  il  vallo , 
Scalo,  scale  gridava ,  e  per  lo  muro  815 

Rampicando  saliva.  Or  qui  m*  è  d' uopo ,  5t4 

Calliope ,  il  tuo  canto  a  dir  le  provo , 
A  dir  r  occiSlon  che  di  sua  mano 
•  Fece  Tiu?no  in  quel  dì  ;  chi ,  quali ,  e  quanti 
A  r  Orco  no  mandasse.  Ogni  successo  820 

Spiega  di  (juesta  guerra  in  queste  carte. 
Tutto  a  VOI ,  Muse ,  è  conto  ;  e  voi  la  possa 
E  r  arte  avete  di  contarlo  altrui. 

Era  ima  torre  di  sublime  altezza 
Con  bertesche  e  con  ponti  un  sopra  V  altro ,  825 

Loco  opportuno.  A  questa  eran  d*  intorno 
Di  fuor  gr  Italiani,  e  dentro  i  Teucri; 
E  quei  facean  per  espugnarla  ogni  opra  j 
E  questi  per  tenerla.  Avanti  a  tutti 
Si  spinse  Turno  :  ed  una  face  ardente  830 

Lanciowi  da  V  un  fianco ,  ove  s' apprese 
Con  molta  fiamma  ;  cosi  fiero  il  vento , 
Cosi  secchi  e  disposti  erano  i  legnL 

Ardea  la  torre  da  quel  canto,  e  dentro 
La  gente  per  timor  cercava  indamo  835 

Di  ritrarsi  dal  foco  :  onde  a  la  parte 
Da  r  incendio  remota  in  un  sol  mucchio 
Si  ristrinsero  insieme  ;  e  da  quel  peso 
Da  quel  lato  in  un  subito  la  torre 
Quasi  spinta  inchinossi ,  aprissi  e  cadde.  840 

Il  ciel  ne  ritonò  ;  la  gente  infranta .  541 

Storpiata  ^  sfracellata ,  infra  i  suoi  legni 
Da  farmi  proprie  infissa,  e  fin  ne  l'aura 
Morta  e  sepolta  a  terra  se  ne  venne. 

Soli  due  vivi ,  e  per  ventura  intatti  845 

Dal  nembo  de  la  polvere  »  e  dal  tomo 
Uscir  nel  campo  :  Elenore  fu  Y  uno  f 
Lieo  fu  r  altro.  Elenore  un  garzone 
Di  prima  barba,  di  Licinia  serva 
E  di  Meonio  re  nato  di  furto ,  850 

E  sotto  Troja  a  militar  mandato 
Furtivamente.  E* si  trovò  com'era 
Pria  no  la  terra  lievemente  armato 
Col  brando  ignudo ,  e  colla  targa  al  collo 
Bianca  del  tutto,  come  non  dipinta  855 

D'alcun  suo  fatto  glorioso  ancora.  548 

Questi ,  vistosi  in  mezzo  a  tante  genti 
Di  Turno  e  de'  Latini ,  come  fera 
Ch'  aggia  di  cacciatori  un  cerchio  intomo , 
Muove  contro  a  gli  spiedi  »  incontr'  a  l' armi  ;        860 


LIBRO  NONO  257 


Mosse  là  've  più  folte  eran  le  schiere , 
E  certo  di  morire  a  morte  corse. 

Ma  Lieo  in  su  le  ^ambe  assai  più  destro 
Infida  r  armi  e  i  nemici  a  fuggir  volto , 
Giunse  a  le  mura ,  ed  aggrappossi  in  guisa  8C5 

Che  stcndea  già  le  mani  a*  suoi  compagni. 
Quando  Turno  e  co' piedi  e  con  la  spada 
Lo  sopraggiunse  j  e  come  vincitore 
Rampognando  gli  disse:  E  che?  pensasti, 
Folle ,  uscirmi  di  mano  ?  E  le  man  tosto  870 

Gli  pose  addosso  ;  e  siccome  dal  muro 
Pendea,  col  muro  insieme  a  terra  il  trasse. 
In  quella  guisa  che  gli  adunchi  ugnoni 
Centra  una  lepre ,  o  centra  un  bianco  cigno 
Stende  1'  auge!  di  Giove ,  o  '1  marzio  lupo  875 

Da  le  reti  rapisce  un  agnelletto , 
Che  dalla  madre  sia  belato  invano. 

Si  rinnovar  le  grida ,  e  tutti  insieme 
O  le  faci  avventando ,  o  '1  fosso  empiendo , 
Rinforzavan  l'assalto.  Dioneo  880 

Con  un  pezzo  di  monte ,  a  cui  la  pinta  509 

Die  giù  da' merli,  sopra  al  ponte  infranse 
Lutezio  eh'  a  la  porta  era  col  foco. 
Ligero  uccise  Emazlone  ;  Asila 
Uccise  Gorinéo ,  buon  feritori  ,  885 

L' uno  di  dardo ,  e  1'  altro  di  saette. 
Orti^o  da  Cenéo  trafitto  giacque  ; 
Ceneo  da  Turno  :  ammazzò  Turno  ancora 
Iti  e  Promolo  e  Clonio  e  Diosippo 
E  Sagari  con  Ida  ;  Ida  che  in  alto  090 

Stava  d'un  torrione  a  la  difesa.  575 

Capi  ancise  Privemo.  Avea  costui 
Pna  nel  fianco  una  picciola  ferita , 
Anzi  una  graffiatura ,  che  passando 
Fé*  r  asta  di  Temilla  :  e  '1  male  accorto ,  895 

Per  su  porvi  la  mano ,  abbandonato 
Avea  lo  scudo  ;  quando  ecco  volando 

9  una  freccia  che  la  mano  e  '1  fianco 


/:* 


000 

J 


Venne 

Insieme  gli  confisse ,  e  via  passando 

PenetrògU  al  polmone,  n  mortai  colpo 

Sì  lo  spirar  de  l' anima  gli  tolse , 

Che  non  mai  più  spirò.  Stavasi  Arconte  ■• 

D'  Arconte  il  figlio  m  su'  ripai-i  ardito  J 

Egregiamente  armato ,  e  sopra  l' arme  ^ 

D' una  purpurea  cotta  era  addobbato  905 

Di  ferrigno  color,  di  drappo  ibero; 

Un  giovine  leggiadro  che  dal  padre 

JhlVEneide  i7 


251  e:>eidb 


Fu  nel  bosco  di  Marte  a  1*  armi  avvezzo 

Lungo  al  Simeto ,  u*  V  ara  di  Palico 

Tinta  non  come  pria  di  san^e  umano ,  910 

Più  pingue  e  più  placabile  si  mostra. 

Mezenzio  il  vide  ;  e  1*  altro  armi  deposte , 

Prese  la  fromba ,  e  con  tre  giri  intorno 

Se  ravvolse  a  la  testa.  Indi  scoppiando 

Allentò  '1  piombo ,  che  dal  moto  acceso  915 

Squagliossi,  e  con  gran  rombo  in  una  tempia  sss 

Il  garzon  percotendo ,  ne  V  arena 

Morto  quanto  era  lungo  lo  distese. 

Ascanio  che  fin  qui  solo  a  la  caccia 
Avea  r  arco  adoprato  ,  or  primamente  920 

Oprollo  in  guerra,  e  col  primiero  colpo 
Il  feroce  Numano  a  terra  steso. 
Remolo  era  costui  per  soprannome 
Chiamato;  e  poco  avanti  avea  per  moglie 
Presa  di  Turno  una  minor  sorella.  925 

Ei  di  questo  favor ,  di  questo  nuovo 
Suo  regno  insuperbito ,  altero  e  gonfio 
Stava  ne  V  antiguardia ,  e  con  le  grida 
Si  ringrandiva  ;  e  di  lontano  i  Teucri 
Schernendo,  in  cotal  guisa  alto  dicea  :  930 

Questo  è  r  onor  che  voi ,  Frigi ,  vi  fate         507 
D' un  altro  assedio  ?  Un'  altra  volta  in  gabbia 
Vi  riponete  ?  E  pur  col  vostro  muro , 
E  co  i  vostri  ripari  or  da  la  morte 
Vi  riparate  ?  E  voi,  voi  fate  guerra  935 

Per  usurpare  a  noi  le  donne  nostre  ? 
Qual  Dio,  qual  infortunio,  qual  follia 
V'  ha  condotti  in  Italia  ?  E  chi  pensaste 
Di  trovar  qui  ?  Quei  profumati  Atridi , 

0  '1  ben  parlante  Ulisse  ?  In  una  gente  940 
Avete  dato  che  da  stirpe  è  dura. 

1  nostri  figli  non  son  nati  a  pena, 

Che  di  tunan  ne'  fiumi  A  1'  onde ,  al  gelo 

Noi  gì'  induriamo ,  e  gì'  incallimo  in  prima  ; 

Poscia  per  le  montagne  e  per  le  selve  945 

Fanciulli  se  ne  van  la  notte  e  '1  giorno. 

n  lor  studio  è  la  caccia;  e  '1  lor  diletto 

E  '1  cavalcare ,  e  '1  trar  di  firomba  e  d*  arco. 

La  gioventù  ne  le  fatiche  avvezza, 

E  contenta  del  poco ,  0  col  bidente  950 

Doma  la  terra ,  0  con  1'  aratro  i  buoi ,  007 

O  col  ferro  i  nemicL  n  ferro  sempre 

Avemo  per  le  manL  Una  sol'  asta 

Ne  fa  picca  e  pungetto.  A  noi  vecchiezza 


LIBRO  NONO  259 


Non  toglie  ardire,  e  de  le  forze  ancora  955 

Non  ci  fa ,  come  voi ,  debili  e  scemi. 

Per  canute  che  sian  le  nostre  teste , 

Veston  celate  ,  e  nuove  prede  ogn'  ora 

Quando  da'  boschi  e  guando  da'  nemici , 

Addur  ne  giova ,  e  viver  di  rapina.  t'CO 

Voi  con  r  ostro  e  co'  fregi  e  co'  ricami,  eia 

Con  le  cotte  a  divisa  e  con  le  giubbe 

Immanicato  e  co  i  fiocchetti  in  testa 

A  che  valete  ?  a  gir  cosi  dipinti 

E  cosi  neghittosi  ?  A  fer  bsOletti  965 

Da  donnicciuole.  0  Fri^ji,  o  Friglesse 

Più  tosto  !  In  q^uesta  ;^sa  si  guerreggia  ? 

Via  ne'  dindimi  monti,  ove  la  piva 

Vi  chiama  e  '1  tamburino  e  1'  zufoletto 

E  con  quei  vostri  galli,  anzi  galline  970 

Di  Berecinto  ite  saltando  in  tresca  ; 

E  V  armi  e  '1  ferro ,  che  non  fan  per  voi , 

Lasciate  a  quei  che  son  prodi  e  guerrieri. 

Non  potè  tanto  orgoglio  e  tanto  oltraggio 
Soffrir  d'  un  follo  il  generoso  Jttlo ,  975 

E  teso  r  arco  con  la  cocca  al  nervo, 
Rimirò  '1  cielo  ,  e  disse  :  Onnipotente 
Giove ,  tu  r  ardir  mio ,  tu  la  mia  mano 
Fomenta  e  reggi  Ed  io  sacri  e  solenni 
Ti  I'  '  rò  doni  :  io  condurrotti  a  Y  ara  980 

Un  candido  giovenco  che  la  fronte  «so 

Aggia  indorata,  e  de  la  madre  al  pari 
Erga  la  testa ,  e  già  scherzi  e  eia  cozzi 
Con  le  corna,  e  co'  pie  sparga  r  arena. 

Giove  ,  mentre  dicea,  tonò  dal  manco  985 

Sereno  lato;  e  col  suo  tuono  insieme 
Scoccò  r  arco  mortifero  di  Julo. 
Volò  r  orribil  telo ,  e  per  le  tempie 
Di  Remolo  passando ,  le  trafisse. 
Or  va,  t' insuperbisci  ;  or  va ,  deridi ,  •  990 

Scempio ,  r  altrui  vfrtù.  Queste  risposte  «sì 

Mandano  i  Frigi  che  son  chiusi  in  gabbia 
A  i  Rutuli  signor  de  la  campagna. 
Questo  sol  disse  Ascanio  ;  ed  al  suo  colpo 
Le  grida  i  Teucri  e  gli  animi  in  un  tempo  995 

Al  cielo  alzare.  Era  il  crinito  Apollo , 
Quando  ciò  fU ,  ne  la  celeste  piaggia 
Sovra  una  nube  assiso  ;  e  d' alto  u  campo 
Scorgendo  de'  Trojani  e  de  ^li  Ausonj , 
Come  vcrlo  ogni  cosa,  visto  il  colpo  1000 

Del  vi::cit:)ro  aroioro ,  invcr  lui  disse  ; 


1?C0  BNEIDB 


Ahi  buon  fanciullo,  in  cui  virtù  s*  avanza  ! 

Così  vassi  a  le  stelle.  Or  ben  tu  mostri , 

Che  da  gli  Dii  sei  nato ,  e  eh'  altri  Dii 

Nasceranno  da  te.  Tu  sei  ben  degno  1005 

Ch'  ogni  guerra ,  che  1  fato  ancor  minacci 

A  la  casa  d' Assàraco ,  s' acqueti 

Per  tua  grandezza ,  a  cui  Troja  è  minoro , 
'  Si  che  già  non  ti  cape.  E  così  detto 

Si  fendè  T  aura  avanti ,  e  ver  la  terra  1010 

Calessi ,  trasmutossi,  e  come  fosse 

Il  vecchio  Bute ,  al  giovine  accostossi. 

Fu  Bute  in  prima  del  dardanio  Anchise 

Valletto  d' arme  e  cameriere  e  paggio , 

E  poscia  per  custode  e  per  compagno  1015 

L' ebbe  A  Scanio  dal  padre.  A  questo  vecchio    649 

Mostrossi  Apollo  di  color ,  di  voce , 

D*  andar ,  di  canutezza  e  d*  armatura 

Simile  in  tutto  ;  ed  a  T  ardente  Julo 

Fatto  vicino ,  in  tal  guisa  gli  disse  :  1020 

Bastiti  aver,  d' Enea  preclaro  figlio , 

Senza  alcun  rischio  tuo  Numano  ucciso. 

Di  questa  prima  lode  il  grande  Apollo 

Ti  privilegia,  e  non  t'invidia  il  colpo. 

Né  '1  parafo  de  1'  arco.  Or  da  la  pugna  1025 

RitraggitL  E  ciò  detto ,  da  la  vista 

De'  circostanti  si  ritrasse  anch'  egli , 

E  sormontando  dissipossi  e  sparve. 

Rassembrarono  in  Bute  i  Teucri  Apollo , 

E  riconobber  la  faretra  e  l' arco ,  1030 

Che  fuggendo  sonar  anco  s' udirò.  oeo 

E  fèr  SI  con  le  preci  e  col  precetto 

D'  untante  Iddio ,  eh'  Ascanio  ancor  che  vago 

Fosse  di  pugna,  se  ne  tolse  al  fine  ; 

Ed  essi  apertamente  a  ripentaglio  1035 

Misero  in  vece  sua  le  vite  loro. 
Spargesi  un  grido  per  le  mura  in  tanto 

Per  tutte  le  difese  ;  e  tutti  a  gli  archi 
.. .         Tutti  a  tirar ,  tutti  a  lanciar  si  diero 
Jj         D'  agni  sorte  arme,  e  d' ogni  parte  il  suolo  1040 

N'  era  coverto  :  quando  altro  conflitto 

Cominciossi  di  scudi  e  di  celate  , 

Una  mischia  di  picche ,  ima  battaglia 

Che  crescea  tutta  volta,  rinforzando 

Con  quella  furia  che  di  pioggia  un  nembo  1045 

Vien  da  l' occaso  allor  che  d'oriente  668 

Fan  sorgendo  1  Capretti  a  noi  tempesta  : 

O  quando  orrido,  e  torbe  e  d' austri  cinto 


•".^ 


Lnmo  Noxo  261 


E  'n  grandine  converso  irato  Giovo 

J)'  alto  precipitando  si  devolvo  i050 

Sopra  la  terra ,  e  '1  ciel  romf^endo  intuona. 

Pandaro  e  Bizia  d' Alcanòro  Ideo, 
E  d'ISra  salvatica  sua  moglie 
Figli  in  Ida  acquistati ,  e  dMda  usciti 
L' uno  al*  altro  simile ,  ed  ambidue  1055 

A  quegli  abeti  ed  a  quei  monti  uguali 
Ond'  eran  nati ,  avean  dal  teucro  duce 
Una  porta  in  custodia.  E  confidati 
Ke  le  forzo  e  ne  T  armi ,  a  bello  studio 
La  lasciarono  aperta ,  ed  a*  nimici  1060 

Fér  da  le  mura  un  marziale  invito.  «75 

Essi  armati  di  ferro ,  im  da  la  destra, 
L' altro  da  la  sinistra ,  a  due  pilastri 
Sembianti,  anzi  a  due  torri  cne  nel  mezzo 
Tengan  la  porta ,  con  le  teste  in  alto  1065 

E  co'  rag^i  de  gli  elmi  i  campi  intomo 
Folgorando,  squassavano  i  cimieri 
Fin  sovr'a'merli.  In  cotal  guisa  nate 
Ne  le  ripe  si  veggon  di  Liquezio , 
De  r  Adice  o  del  Po  due  cruerce  altere  1070 

Sorgere  al  cielo ,  e  sventolarsi  a  V  aura. 

Visto  r  adito  aperto ,  incontanente 
Vi  si  spinsero  i  ftutulL  E  Quercente 
Ed  Equicolo  i  primi  armati  e  fieri, 
L' ardito  Omaro  e  '1  bellicoso  Emono  1075 

Tutti  co'  lor  compagni  impeto  fero  ; 
E  tutti  0  far  da'  Teucri  in  fuga  volti , 
0  ne  r  entrar  di  quella  porta  ancisi 
Giunto  a  gli  aninu  infesti  il  sangue  sparso, 
S' accrebber  l' ire  :  e  de'  Trojani  in  tanto  1080 

Tale  un  numero  altronde  vi  concorse ,  688 

Gbe  prender  zufik  e  tener  campo  osaro. 

Turno  sfogava  il  suo  furore  altrove 
Gontra  i  nemici  ;  quando  un  messo  avanti 
Gli  comparve  dicendo,  che  di  Troja  1085 

Erano  usciti,  e  stavan  con  le  porte , 
Quanto  eran  larghe ,  a  far  strage  e  macello 
De  le  sue  genti.  Ei  tosto  da  guel  canto 
Lasciò  r  impresa:  e  contro  i  due  fratelli 
A  la  dardania  porta  irato  accorse.  lOM 

E  primamente  Antifate ,  che  primo 
Gli  venne  avanti ,  un  giovine  Bastardo 
Di  Sarpedonte  e  di  tebana  madre , 
Gon  un  colpo  di  dardo  a  terra  stese. 
Golpillo  ne  lo  stomaco  >  e  passògli  1005 


/^ 


èt]Ì  ENlilDI? 


■^ 


Olf.i'c  al  polmone  :  onde  di  caldo  sangue , 

Quasi  d'  uu  antro ,  dilagossi  un  fonte. 

Merope,  Aiìdno  ed  Erimanto  appresso 

Uccise  con  la  spada ,  un  dopo  r  altro 

Come  a  caso  incontrògli.  Atterrò  Bizia  noo 

Dopo  costoro,  ma  non  già  col  dardo,  to3 

E  men  col  brando  ;  eh'  altro  colpo  er'  uopo 

A  si  gran  corpo.  A  costui ,  mentre  infuria , 

Mentre  stizza  per  gli  occhi  avventa  e  foco, 

Infocato,  impiombato  e  grave  un  telo  iio5 

Scaricò  di  falarica,  che  m  guisa 

Di  fulmine  stridendo  e  percotendo 

Lo  giunse  si  che  nò  lo  scudo  avvolto 

Di  duo  bovine  terga ,  né  la  fida 

Lorica  di  due  squame  e  d'or  contesta  li  io 

Non  lo  sostenne.  Barcollando  cadde 

La  smisurata  mole,  e  tal  die  crollo 

Che'  1  terren  se  ne  scosse ,  e'  1  gran  suo  scudo 

Gli  tonò  sopra.  In  tal  guisa  di  Baja 

Su  retiboica  riva  il  gravo  sasso,  1115 

Gh'  è  sopra  Tonde  a  lermar  V  opre  eretto , 

Da  r  alto  ordigno ,  ov'  era  dianzi  appeso , 

Si  spicca  e  piomba ,  e  fin  ne  V  imo  fondo 

Ruinando  si  tuffa ,  e  frange  il  mare , 

E  disperge  l'arena:  onde  ne  trema  1120 

Prociaa  ed  Ischia,  e'  1  gran  Tifèo  se  n'  auge,  715 

Cui  si  duro  covile  ha  Giove  imposto. 

Qui  Marte  il  suo  potere  e'  1  suo  favore 
Volse  verso  i  Latini.  Animi  e  forze 
Aggiunse  loro ,  gì'  incitò ,  gli  accese  ;  1125 

E  di  tema  e  di  fuga  e  di  scompiglio 
Die  cagione  a'  TrojanL  E  già  eh'  a  pugna 
S'  era  venuto ,  e  de  la  pugna  il  nume 
Era  con  loro  accolti,  d'ogni  parte 
Si  ristringono  i  Rutuli,  e  fan  testa.  1130 

Pandaro,  poi  che'l  suo  fratello  estinto  720 

Si  vide  avanti,  e  la  fortuna  avversa, 
A  la  porta  con  gli  omeri  appuntossi: 
E  si  com'era  poderoso  e  grande. 
Con  molta  forza  la  rispinse  e  chiuse,  1135 

Molti  esclusi  de*  suoi  cne  per  la  fretta 
Bimaser  ne  le  peste,  e  molti  inclusi 
Ch'  eran  nimici  :  e  non  s' avvide  il  folle, 
Che  de'  nimici  in  quella  calca  ancora 
Era  lo  stesso  re  da  lui  raccolto  1140 

A  far  de'  suoi,  qual  tra  le  greggi  imbelli 
Ircana  tigre  immane.  Ei  non  più  tosto 


LIBRO  NONO  2G3' 


Fu  dentro,  cho  raggiò  da  gli  occhi  un  lume     -^ 

Spaventevole  e  fiero:  e  l'armi  sue 

Fieramente  sonare.  U  suo  cimiero  il45 

No  r  aura  ondeggiò  sangue,  e  dal  suo  scudo 

Uscir  folgori  e  lampi.  Incontanente 

La  sua  faccia  odiata  e  '1  suo  gran  fusto 

Raffigurando  i  Teucri  si  turbare. 

Pandaro  allor  de  la  fraterna  morte  115Ó 

Fervidamente  irato,  avanti  a  tutti  785 

Gli  si  fé  *ncontro,  e  disse  :  E'  non  è,  Turno, 
Questa  la  reggia  che  t' assegna  in  dote 
La  tua  regina  ;  e  non  hai  d*  Ardea  intomo 
Le  patrie  mura.  Ne  le  forze  entrato  1155 

Sei  de*  nimici,  onde  scampar  non  puoi 

Or  via  (Turno  ghignando  gli  rispose 
Placidamente),  via  se  tanto  ardisci, 
Meco  ti  prova  ;  che  ben  tostamente 
A  Priamo  dirai  eh'  in  questa  Troja,  1160 

Come  ancor  ne  la  sua,  trovossi  Achille. 
Ciò  detto,  gli  avventò  Pandaro  un  dardo 
2)i  tutta  forza  noderoso  e  grave, 
E  iji  ruvida  ancor  corteccia  involto. 
L'  au.^a  lo  prese,  e  la  saturnia  Giuno  1165 

Deviò  'i  colpo  si  che  da  la  mira 
Si  torse,  ^  ne  la  porta  si  conlìsse. 

Non  81  ca'drà  questa  mia  spada  in  fallo, 
Disse  allor  I'^utio  :  tale  è  chi  la  vibra, 
E  tal  fa  colpo.  JGd  a  ferire  alzato  1170 

L' investi  ne  la  fronte,  e  gli  divise  749 

Le  tempie,  le  mascelle  eì  mento  ignudo 
Ancor  di  barba,  infìn  là  've  s' appicca 
Il  collo  al  petto.  Al  suon  de  la  percossa, 
Al  fracasso  de  l'armi,  a  la  mina,  1175 

Che  fér  cadendo  quelle  membra  immani. 
Tremò  la  terra,  e  ne  fli  d' atro  sangue 
E  di  cervella  aspersa.  E^li  morendo 
Giacque  rovescio,  e  dechinò  la  testa 
Parte  a  1*  omero  destro,  e  parte  al  manco.  1180 

Al  cader  di  costui  tal  prose  i  Teucri 
Tema  e  spavento,  che  dispersi  in  ftiga 
Sen  giro.  E  s' era  il  vincitore  accorto 
D' aprir  la  porta  e  di  por  dentro  i  suoi, 
Fora  stato  quel  giomo  e  de  la  guerra  1185 

E  de'  Trojani  il  line.  Ma  la  fùria 
E  r  arder  di  combattere  e  l' insana 
Ingordigia  di  sangue  ne  '1  distolse. 
Opde  seguendo,  in  Falari  ed  in  Olga 


'2Q4  SNSIBB 


Hfc 


S'abbattè  prima.  A  l'uno  il  petto  aperse;  1190 

Sgherrcttò  V  altro".  A  quei  eh  erano  in  fuga 

Con  r  aste  di  color  chi  eran  caduti. 

Feria  le  terga;  e  nuova  occisione 

Gli  ponea  tuttavia  nuov'  armi  in  mano  ; 

Siccome  ancor  Giunon  nuovo  ardimento  1195 

Gli  dava  e  nuove  forze.  Ali  tra  questi  794 

Mandò  per  terra,  e  Fèg6a  confìsse 

-Con  lo  suo  scudo.  Uccise  in  su  le  mura. 

Mentre  a*  nemici  eran  di  fUori  intenti. 

Alio  ed  Alcandro  e  Pritane  e  Nomone.  1200 

A  Linceo,  eh*  osò  di  stargli  a  fronte 

E  chiamare  1  compagni,  con  un  colpo» 

Che  di  rovescio  con  gran  forza  diègii^ 

Recise  il  capo,  e  V  avventò  con  r  elmo 

Lunge  dal  busto.  Dopo  questi  ancise  1205 

Amico,  un  cacciator  eh*  era  in  campagna         771 

Gran  distruttor  di  fere,  e  gran  maestro 

D' armar  di  tosco  le  saette  e  '1  ferro  : 

E  Glizio  ancise  d' EOlo  il  buon  figlio, 

E  Gretéo  de  le  muse  il  caro  amico  1210 

E  '1  diletto  compagno,  che  di  versi 

E  di  cetre  e  di  numeri  e  di  corde 

Era  sol  vago,  e  di  cantar  mai  sempre 

0  d' armi,  0  di  cavalli,  0  di  battaghe. 

I  condottier  de' Teucri  udita  al  Une  1215 

De'  suoi  la  strage,  insieme  s' adunaro» 
Mommo  e  Scrosto.  E  visti  i  lor  compagni 
Dispersi,  e  già'l  nimico  in  salvo  addursi, 
Gridando,  Oh,  disse  Mommo,  ove  fuggite  ? 
Ove  n'  andate  ?  E  qual  ridotto  avete  1220 

O  di  mura  0  di  sito  altro  che  questo  ? 
Dunque  un  sol  uomo,  e  d' ogni  parte  chiuso 
In  poter  vostro,  avrà,  miei  cittadini, 
Senza  alcun  danno  suo  fatto  di  noi 
Ke  la  nostra  città  si  gran  macello  ?  1225 

Tanti  de'  nostri  Rovani  sotterra 
Avrà  mandati  ?  E  noi,  noi  non  avremo 
(SI  codardi  saremo)  0  de  la  nostra 
Infortunata  ])atria,  0  de  gli  antichi 
Nostri  Penati,  0  del  gran  nostro  Enea  1230 

Uè  pietà,  nò  rispetto,  nò  vergogna  ?  78d 

Da  questo  dire  accesi  e  rincorati 
81  ristrinsero  insieme.  E  Turno  intanto 
De  la  puma  allentando  inver  la  parte 
Che  dal  nume  era  cinta,  a  poco  a  dogo  1235 

AppressoBffl  a  la  riva:  onda  i  Trojàhi 


-.* 


LIBRO  NONrt  205 

Con  impeto  maggior,  con  maggior  giida 

Gli  furori  sopra.  E  qual  fiero  leone 

Che  da  la  moltitudine  e  da  V  armi 

Si  vede  oppresso,  tra  fierezza  e  tema  1240 

Torvamente  mirando,  si  ritira; 

Che  né  '1  valor,  né  V  ira  gli  consente 

Volgere  il  tergo,  né  de'  cacciatori, 

Né  di  spiedi  spuntar  puote  il  rincontro  : 

Cosi  Turno  dunbioso  o  di  ritrarsi,  1245 

O  di  spingersi  avanti,  irato  e  lento,  797 

Guardingo  e  minaccioso  se  n*  andava. 

E  due  volte  avventandosi  nel  mezzo 

Si  cacciò  de'  nemici;  ed  altrettante 

Gli  ruppe,  e  salvo  in  dietro  si  ritrasse.  1250 

Al  fine  in  un  drappello  insieme  accolte 

Le  teucre  genti  incontro  gli  si  ffiro. 

£  di  Saturno  non  osò  la  figlia 

Di  più  forza  prestargli  ;  che  dal  cielo 

Giove  a  la  sua  sorefla  avea  mandato  1255 

In  a  fame  richiamo,  e  minacciarle, 

Se  Turno  immantinente  da  le  mura 

Non  uscia  de'  Trojan!  Or  non  potendo 

Più  '1  giovine  supplire  o  con  la  destra, 

€h'  era  a  ferir  già  stanca,  o  con  lo  scudo  1260 

Che  di  dardi  e  di  frecce  era  coverto  ; 

L' elmo  già  spennacchiato,  e  r  armi  tutte 

Smagliate  e  fésse,  con  un  nembo  addosso 

Di  sassi  per  le  tempie,  e  d'aste  a' fianchi, 

Già  da  Mommo  incalzato,  alfin  cedette.  1265 

E  come  di  sudor  colava,  ansava,  812 

E  quasi  rifiatar  più  non  potea. 

Con  tutte  l'armi  in  dosso  un  salto  prese, 

E  nel  Tebro  awentossi.  Il  biondo  Tebro 

Placido  lo  raccolse  ;  e  salvo  e  lieto  1270 

E  de  r  occislon  purgato  e  mondo 

Su  r  altra  riva  a'  suoi  lo  ricondusse.  1272 

81S 


FINB  DBIi  LIBRO  HOVO. 


■-«*■■  • 


LIBRO   DECIMO 


ARGOMENTO 

Giove,  convocati  gli  del  a  concilio,  li  esorta  alla  concordia.  Venere  dopò' 
essersi  lagnata  del  pericolo  a  cui  si  trovano  esposti  i  Troiani  e  dell'ociio 
implacabile  di  Giunone,  domanda  un  qualche  termine  a  tante  calamità  • 
ma  Giunone  rimanda  la  colpa  di  tanti  mali  ai  Troiani  e  a  Venere  ?it's«a' 
1-99;  onde  Giove  non  trovando  maniera  di  por  fine  alle  contese,  dicliianì 
di  non  voler  favorire  nessuna  delle  due  parti,  e  di  rimeltersl  in  tutto  al 
Fati,  100-117.  Intanto  i  Rutull  con  tutte  le  forze  assalgono,  e  i  Troiani  di- 
fendono la  cittA.  lltì-145.  Mentre  questo  si  fa  nel  Lazio ,  Enea ,  ottenuto 
in  Etrurla  quanto  desiderava,  con  sussl<?l  di  molti  popoli  alleati  ritorna 
ai  compagni ,  seguito  da  un*  armata  di  trenta  navi ,  146-214.  Kel  tra- 
gitto gif  si  fanno  Incontro  le  ninfe  nate  dalle  navi  arse  ;  ed  una  di  e«;se 
Olmodocea,  gli  espone  lo  stato  delle  cose,  215-257.  Enea,  giunto  in  vista 
de*  suol,  fa  prender  terra  agli  armali  ;  quando  l  Kutull,  desistendo  dairas- 
salto  tentano  d'Impedire  lo  sbarco.  Grande  strage  da  ambe  le  parti,  258-361. 
Fallante,  dopo  stupende  prove  di  valore,  viene  ucciso  e  spogliato  da 
Turno,  362-509.  Enea  per  dolore  e  vendetta  del  morto  amico  fa  eccidio  dei 
Rutull.  Ascanio,  con  una  sortita,  unisce  le  sue  forze  a  quelle  del  padre,  510- 
605.  A  questi  fatti  Giunone  commossa,  temendo  per  la  vita  di  Turno,  ot- 
tiene da  Giove  la  grazia  di  salvarlo  da  estremo  pericolo,  e  mostrandoglisi 
in  forma  di  fantasma  somigliante  ad  Enea,  si  lascia  Inseguire  da  lui,  e 
cosi  lo  trascina  lontano  dalla  zuffk  sopra  una  nave,  606-688.  Mezenzio  in- 
tanto, per  volere  di  Giove,  rinfranca  la  battaglia  atterrando  gran  numero 
di  Troiani  e  di  Etruschi,  689-761  ;  finché  piagato  da  Enea,  è  costretto,  per 
fasciare  la  ferita,  di  ritirarsi  dalla  mischia,  protetto  dal  figlio  Lauso, 
^62-795:  Il  quale,  mentre  cerca  di  ftir  le  vendette  del  padre,  e  ucciso  da 
Enea,  798-832.  All'annunzio  di  questa  morte,  Blezenzlo,  cosi  ferito,  monta 
a  cavallo,  e  ritornarti  combattimento  per  vendicare  l'uccisione  del  figlio- 
ma  cade  pure  sotto  i  colpi  d'Enea  813-90S. 

Aprissi  la  magion  coleste  intanto , 
>        E  del  cielo  il  gran  Padre  in  cima  ascese 
!        Del  suo  cerchio  stellato.  Indi  mirando 

La  terra ,  e  do'  Trojani  e  de'  Latini 

Visto  il  conflitto,  a  se  de  gli  altri  Dei  5 

Chiamò!  consiglio.  E  com'era  da  l'orto 

E  da  r  occaso  la  sua  reggia  aperta , 

Ratto  tutti  adunati ,  assisi  e  cheti , 

Disse  effli  in  prima:  Cittadini  eterni^ 

Qual  v'ha  cagione  a  distornar  rivolti  10 

Quel  eh'  è  già  stabilito  ?  A  che  tra  voi 

Con  tanta  iniquità  tanto  contrasto  ? 

Non  s' è  da  me  già  proibito  e  fermo 

Che  non  deggian  gliAuFonj  incontro  a' Teucri 


LIBtlO  DECIMO  ifft 


Sorgerò  a  V  armi  ?  Che  discordia  è  questa  15 

Contro  al  divieto  mio  ?  Qnal  ha  timore  • 

A  la  guerra  incitati  o  questi ,  o  quelli  ? 

Tempo  vi  si  darà  ben  degno  allora  (. 

Di  guerreggiar  (non  Y  affrettate  or  voi)  * 

Che  la  fera  Gartago  aprirà  l'alpi,  20 

Grave  a  Roma  portando  esizio  e  strage. 

Allora  a  gli  odj ,  al  sangue ,  a  le  rapine 

Lar^a  vi  si  darà  licenza  e  campo. 

Or  lietamente  la  tenzone  e  V  armi 

Fermate  ;  e  sia  tra  voi  concordia  e  pace»  25 

Tal  fece  ragionando  il  gran  monarca 
Breve  proposta.  Ma  non  brevemente 
Venere  in  questa  guisa  gli  rispose  : 

Padre  e  re  de'  celesti ,  e  de'  mortali 
Etema  possa  (e  miai  altra  maggiore  30 

S' implora  altronde  ?)  ecco ,  tu  stesso  vedi 
L*  arroganza  de'  Rutuli ,  e  quel  fasto 
Con  che  Turno  cavalca;  e  vedi  il  vampo 
E  la  mina  che  si  mena  avanti; 
Da  la  sua  tracotanza  e  dal  successo  '         35. 

Di  questa  pu^a  insuperbito  e  gonfio.  ^      ti 

Vedi  1  Teucri  infelici ,  eh'  ancor  chiusi 
Non  son  securi  ;  e  'nfiji  dentro  a  le  porte 
E  'n  su'  ripari  e  'n  su  le  lor  difese 
l^on  combattuti  ;  e  la  lor  propria,  fossa  40 

E  di  lor  sangue  un  lago.  Di  ciò  nulla 
n  mio  figlio  non  sa  :  tanto  n'  è  lungo. 
Or  non  na  eh'  una  volta  esca  d*  assedio 
Questa  misera  gente  ?  Ecco  han  le  mura 
De  r  altra  Troja  altri  nimici  attorno  ;  45 

Altro  esercito  in  campo  ;  un'  altra  volta  17 

D'  Arpi  vien  Diomede  a'  danni  suoi 
Resta ,  cred'  io ,  eh'  un'  altra  volta  ancora 
Io  sia  da  lui  ferita ,  e  che  di  nuovo 
Sia  la  tua  figlia  a  mortai  ferro  esposta.  60 

Signor ,  se  centra  la  tua  voglia  i  Teucri 
Son  venuti  in  Italia ,  è  ben  ragione 
Che  sian  puniti,  e  del  tuo  ajuto  indegni 
Ma  se  tratti  vi  sono ,  e  s' è  lor  dato 
Da  gli  oracoli  tutti  e  de'  celesti 
E  de'  gì'  infemi  ^  qual  può  senno  0  forza 
A  Giove  opporsi,  e  far  nuovo  destino? 
Ch'  io  non  vo'  dir  de  le  combuste  navi 
Su  la  spiag^a  ericina .  né  de'  venti 
Che  '1  re  spmse  d' Eolia  a  tempestarlo, 
Nò  d' Iri  che  di  (pi  Ai  già  mandata 


f' 


riMhMik 


2C8  EXEIDB 


Per  darle  al  foco.  Infìn  da  V  Acheronte 

Tratte  ha  le  Furie  (questa  sol  mancava 

Parte  de  l'universo  non  tentata 

A  loro  offesa)  ;  d'  Acheronte  ,  dico  ,  65 

Ha  tratta  Aletto  a  suscitar  V  Italia 

Incontr'  a  loro.  Or ,  Si^jnor  mio  ,  non  curo 

Più  d*  altro  imperio.  Io  lo  sperava  allora 

Ch'era  più  fortunata.  Imperi  e  vinca 

Or  chi  t  aggrada.  E  s"  anco  non  è  loco  70 

Nel  mondo,  ove  a  la  tua  dura  consorte  43 

Piaccia  che  sian  quest'  infelici  accolti , 

Per  r  incendio ,  Signor ,  per  la  mina , 

E  per  la  solitudine  ti  prego 

De  la  mia  Troja,  che  ritrar  mi  lasci  75 

Salvo  da  questa  guerra  Ascanio  almeno. 

Lasciami ,  Padre  mio ,  questo  nipote 

Mantener  vivo  :  e  se  ne  vada  Enea 

Ramingo  ovunque  il  mare  0  la  fortuna 

Lo  si  tramandi.  Io  lo  terrò  da  1*  armi  80 

Remoto  ne'  miei  lochi  0  d'  Amatunta , 

O  d' Idalio ,  0  di  Pafo ,  0  di  Citerà 

A  menar  vita  ignobile  e  privata , 

Pur  che  sicura.  E  tu ,  come  a  te  piace , 

Comanda  eh'  a  V  Ausonia  il  giogo  imposto  85 

Sia  da  Cartago ,  si  che  più  non  l' osti  53 

In  alcun  tempo.  Or  che,  Padre,  ne  giova 

Che  da  V  occisloni  e  da  gì'  incendi 

De  la  lor  patria  e  da  tant'  altri  rischi 

Sian  già  del  mare  0  de  la  terra  usciti  ?  90 

E  che  vai  che  da  te  sia  lor  promessa 

Da  lor  tanto  ricerca  e  già  trovata 

Questa  Troja  novella ,  se  di  nuovo 

Gonvien  che  caggia  ?  assai  meglio  sarebbe 

Che  fosser  tra  le  ceneri  e  nel  guasto ,  95 

Dove  fu  l'altra.  A  Xanto,  a  Simoenta 

Fa,  ti  prego,  Signor,  che  si  radduca 

Questa  gente  infelice ,  e  che  ritorni 

A  passar  d' Ilio  i  guai.  Giunone  allora 

Inmrlata ,  A  che ,  disse ,  mi  tenti ,  100 

Perch'  io  rompa  il  silenzio ,  e  mostri  il  duolo 

Ch'  ho  portato  nel  cor  gran  tempo  ascoso  ? 

Qual  è  mai  per  tua  fé  stato  uomo ,  0  Dio 

Ch'Enea  sforzasse  a  cercar  briga?  e  farsi 

Nemico  il  re  Latino  ?  Oh  'I  fato  addotto  105 

L' ha  ne  V  Italia.  Si ,  ma  da  le  furie 

G*  è  spinto  di  Cassandra.  E  chi  gli  ha  dato 

Gonsiglio  ?  io  forse ,  oh'  abbandn;;;^  ^  ^^^^  ' 


I 


l::3  i  »  :):::j::.:o  2C9 


Io ,  che  dia  la  sua  vita  in  preda  a'  venti  ? 

Io,  che  la  cura  e  '1  carco  do  la  guerra  HO 

Lasci  in  man  d'  un  fanciullo  ?  e  che  sollevi       7o 

I  popoli  d*  Etruria ,  e  V  altre  genti 

Che  si  stavano  in  pace  ?  E  quale  Dio , 

Qual  mia  durezza  de'  lor  danni  è  rea? 

Qui  che  rileva  o  di  Giuno  lo  sdegno,  115 

Q  d' Iri  il  ministero  ?  Indegna  cosa 

E  certo  che  da  gì'  Itali  s' infesti 

Questa  tua  nuova  Troja.  E  degno  e  giusto 

Sarà  che  Turno  non  si  stia  sicuro 

Ne  la  sua  patria  terra  ?  un  tal  nipote  120 

Di  Pilimno  eh'  è  divo ,  un  tanto  figlio  75 

Di  Venilia  eh'  è  Ninfa  ?  E  degna  cosa 

Ti  par  che  muova  Enea  la  guerra  a  Lazio  ? 

Gh'  assalga ,  che  soggioghi ,  che  deprede 

Le  terre  altrui  ?  che  V  altrui  donne  usurpi  f  125 

Ch'  in  man  porti  la  pace ,  e  che  per  mare 

E  per  terra  armi  ?  Tu  potrai  tuo  figlio 

Scampar  da'  Greci  ;  tu  riporre  in  vece 

Di  Im  la  nehhia  e  '1  vento  ;  tu  la  forma 

Cangiar  de  le  sue  navi  in  altrettante  130 

Ninfe  di  mare  ;  ed  io  cosa  nefanda 

Farò ,  se  porgo  a'  Rutuli  un  ajuto , 

Per  mmimo  che  sia  ?  Non  v'  e  tuo  figlio 

Presente  ;  non  vi  sia  :  non  sa  ;  non  sappia. 

Sei  regina  di  Pafo ,  d' Amatunta ,  135 

Di  Citerà  e  d' Idalio  :  e  che  vai  dunque 

Provocando  con  1'  armi  una  contrada  - 

Non  tua,  pregna  di  guerre?  e  stuzzicando 

Si  bellicosa  gente?  Ed  io  son  quella. 

Io ,  che  r  afflitte  lor  fortune  agogno  140 

Di  porre  al  fondo  ?  E  perchè  non  più  tosto 

Chi  de'  Greci  a  le  man  gli  pose  in  prima  ? 

Chi  prima  fu  cagion  eh'  a  guerra  addusse 

L' Europa  e  V  Asia  ?  Chi  commise  il  furto 

Che  fu  de  la  rottura  il  primo  seme  ?  145 

Io  condussi  1'  adultero  pastore  90 

A  l'impresa  di  Sparta  fio  ftd  ch'a  Farmi, 

Io  eh'  a  r  amor  V  accesi  ?  Allora  il  tempo 

Fu  d'  aver  tema  e  gelosia  de'  tuoi , 

Non  or  che  le  querele  e  le  rampogne ,  150 

Che  ne  fai,  sono  ingiuste  e  tarde  e  vane. 

Così  Giuno  dicea:  quando  fi^mendo 
Gli  Dei  tutti  mostrar  che  chi  con  questa 
Consentian ,  chi  con  guella.  In  guisa  tale 
S' odono  i  primi  venti  entro  una  selva  155 


270  ENEIDE 


■•Mi 


171 


Monnorar  lun^,  e  non  veduti  ancora 

Porgere  a'  marinari  indizio  e  tema 

Di  propinqua  tempesta.  Allor  del  cielo 

n  sommo ,  eterno ,  onnipotente  Padre 

Riprese  a  dire.  Al  suo  parlar  chetossì  16 

La  celeste  magion  ;  chetarsi  i  venti ,  ioi 

E  r  aria  e  V  onde;  e  sola  infino  al  centro 

Tremò  la  terra.  £i  disse  :  Or  che  gli  Auson^j 

Confederar  co'  Teucri  ne  si  toglie , 

E  voi  tra  voi  non  v*  accordate  ;  udite  16 

Quel  eh'  io  vi  dico ,  e  i  miei  detti  avvertite» 

Quella  stessa  fortuna  e  quella  speme, 
Qual  eh'  ella  sia ,  che  i  Rutuli ,  o  i  Trojani 
Oggi  da  lor  fÌEuransi,  io  vi  prometto 
Aver  per  rata,  e  non  punto  inchinarmi 
Più  da  quei  che  da  questi  :  e  sia  1'  assedio 
De'  Teucri  o  per  destmo .  o  per  errore , 
O  per  folBe  risposte.  E  ciò  dico  anco 
De^RutulL  II  successo  e  buono  e  rio 
Fia  d' una  parte  e  d'  altra  qual  ciascuna  171 

Per  se  lo  stordirà.  Giove  con  ambi 
Si  starà  parimente ,  e  '1  foto  in  mezzo. 
Cosi  detto  il  torrente  e  la  vorago 
E  la  squallida  ripa  e  l' atra  piece^ 
D' Acheronte  giurando ,  abbassò  '1  ciglio  »  18( 

E  tremar  fé' col  cenno  il  mondo  tutto.  iis 

Finito  il  ragionar ,  suso  levossi 
Del  seggio  d' oro  ;  e  gli  fèr  tutti  intorno 
Corona  e  compagnia  fino  a  l' albergo. 

L' esercito  de'  Rutuli  stringendo  181 

L'assedio  intanto,  in  su  le  norte  e'ntomo        iis 
Facea  de  la  muraglia  incendi  e  stra£;L 
E  i  Teucri  assediati ,  entro  a  i  ripan 
E  sopra  a  i  torrioni  a  la  difesa 
StavaUy  miseri!  indamo;  e  senza  speme  19< 

Di  Alga  un  raro  cerchio  avean  disteso 
Su  per  le  mura.  Era  de'  primi  Jaso 
D' Imbrasio  il  figlio ,  e  '1  figlio  d' Icetono 
Detto  Timete ,  e  l  buon  Castore  insieme 
Col  vecchio  Tebro ,  ed  ambi  dopo  questi  19i 

Di  Sarpedonte  i  frati  :  e  Chiaro ,  ed  Emo 
Onor  (u  Licia ,  e  di  Lirnesso  Ammone. 
Questi  con  un  gran  sasso  era  venuto 
Su  la  muraglia ,  che  '1  maggior  catoUo 
Era  d' un  monte  ;  ed  egli  era  non  punto  90( 

Minor  del  padre  Clizio  e  di  Menesto 
Suo  famoso  frateUp.  Altri  con  sassi , 


LIBRO   DECIMO 


271 


Altri  con  dardi ,  o  chi  con  lo  saetto , 
E  chi  col  foco  a  guardia  eran  del  n?uro. 

In  mezzo  do  le  schiere  il  vago  Jula  205 

Gran  nipote  di  Dardano  e  gran  cura  i3« 

De  la  bella  Ciprigna ,  il  volto  e  '1  capo 
Ignudo,  risplendea  qual  chiara  gemma 
Che  in  or  legata  altrui  raggi  dal  petto, 
O  da  la  fronte  ;  o  qual  da  dotta  mano  210 

In  ebano  commesso ,  o  in  terebinto 
Candido  avorio  a  gli  occhi  s'  appresonta, 
Sovra  al  collo  di  latte  il  biondo  crino 
Avea  disteso  ,  o  d' oro  un  lento  nastro  ^ 

Gli  facca  sotto  e  fregio  insieme  e  nodo.  215 

Ismaro ,  e  tu  fra  si  famosa  gente 
Con  r  arco  saettar  ferite  e  tosco 
Fosti  veduto,  generosa  pianta 
Del  meonio  paese ,  ove  fecondi 
Sono  i  campi  di  biade ,  e  i  fiumi  d*  oro.  220 

Memmo  v*  era  ancor  egli ,  a  cui  la  fuga 
Dianzi  di  Turno  avea  gloria  acquistata  » 
Ond'  era  fino  al  ciel  sublime  e  chiaro. 
Eravi  Capi ,  onde  poi  Capua  il  nome 
E  l'origine  ha  presa.  Avean  costoro  225 

Tra  lor  diviso  il  carico  e  '1  periglio  4*5 

Di  si  dura  battaglia.  E  'n  questo  mentre 
Solcava  Enea  di  mezza  notte  il  maro. 

Egli ,  poiché  d'  Evandro  ebbe  lasciato 
L*  amico  albergo  ,  e  che  nel  campo  giunse  230 

De'  Toschi ,  al  tosco  re^^e  appresentossL 
E  con  lui  ristringendosi ,  il  suo  nomo , 
Il  suo  legnaggio ,  la  sua  patria ,  in  somma 
Chi  fosse ,  che  chiedesse ,  che  portasse 
Gli  espose;  e  qual  Mezenzio  appoggio  avesse ,        235 
E  r  orgoglio  di  Turno  e  V  apparecchio 
E  l'incostanza  de  l'umane  cose 
Gli  pose  avanti.  A  le  ragioni  ag^unse 
Esempi  e  preci  si  eh*  immantinente , 
Tarconte  acconsentì.  Strinser  la  lega ,  240 

Unir  le  forze ,  ed  apprestar  le  genti 
In  un  momento.  Di  straniero  duce 
Provvisti  i  Lidj  e  già  djtl  fato  sciolti 
Salir  sovra  1'  armata.  E  pria  di  tutti 
Uscio  d'  Enoa  la  capitana  avanti.  ^5 

Questa  avea  sotto  al  suo  rostro  dipinti  i 
Quai  sotto  al  carro  de  la  madre  Ideia, 
Duo  che  '1  legno  traean  frigi  leoni , 
E  d' Ida  gli  pendea  di  sopra  il  monte 


■  lu—  "|M*« 


272  BXBIDB 


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Amaro  suo  disio ,  dolce  ricordo  250 

Del  patrio  nido.  In  su  la  pop];)a  assiso  153 

Stava  il  duce  trojano  ;  e  aa  sinistra 

Avea  d*  Evandro  il  figlio  che  tra  via 

L' interrogava  or  del  viaggio  stesso 

E  de  le  stelle ,  ed  or  de  gli  altri  suoi  255 

O  per  terra  0  per  mar  passati  affanni. 

Apritemi  Elicona,  alme  sorelle, 
E  cantate  con  me  che  gente  0  auanta 
D' Etruria  Enea  seguisse ,  e  di  che  parte 
E  con  qual'  armi  e  come  il  mar  solcasse.  260 

Massico  il  primo  in  su  la  Tigre  imposto        los 
Avftì  di  mille  giovani  un  drappello , 
Che  di  Chiusi  e  di  Cosa  eran  venuti 
Con  r  arco  in  mano  0  con  saette  a'  fianchi. 
Appresso  a  lui  seguendo  il  torvo  Ahanto  265 

Sotto  r  insegna  del  dorato  Apollo 
Seicento  n'  imbarcò  di  Populonia , 
Trecento  d'  Elba ,  in  cui  ferrigna  vena 
Abbonda  si  che  n'  erano  ancor  essi 
Dal  capo  a  i  pie  tutti  di  ferro  Armati.  270 

Asila  il  terzo ,  sacerdote  e  mago 
Che  di  fibre  e  di  fulmini  e  d*  uccegli 
E  di  stelle  era  interprete  e  *ndovino , 
Mille  ne  conducea  ,  eh'  un'  ordinanza 
Facean  tutta  di  picche  ;  e  tutti  a  Pisa  275 

Eran  soggetti ,  a  la  novella  Pisa  17 0 

Che  già  figlia  d' Alfèo ,  d' Arno  ora  è  sposa. 
Asture  ardito  cavaliere  e  bello, 
E  con  beli'  armi  di  color  diverse , 
Vien  dopo  questi  con  trecento  appresso  280 

Di  vari  lochi ,  ma  d'  un  solo  amore 
Accesi  a  seguitarlo.  Eran  mandati 
Da  Gereto  e  da  i  campi  di  Mignone , 
Da  i  Pirgi  antichi  e  da  V  aperte  spiagge 
De  la  non  salutifera  Gravisca.  285 

Di  te  non  tacerò ,  Cigno  gentile , 
Di  Cupavo  dicendo ,  ancor  che  poche 
Fosser  le  genti  sue.  Questi  di  Cigno 
Era  figliuolo ,  onde  ne  l' elmo  avea 
De  le  sue  jpenne  un  candido  cimiero  2Q0 

In  memoria  del  padre,  e  de  la  nuova  i87 

Forma  in  eh'  ei  si  cangiò ,  tua  colpa ,  Amore. 
Che  de  r  amor  di  Faeto^ite  acceso , 
Come  si  dice ,  mentre  che  piangendo 
Stava  la  morte  sua ,  mentre  eh'  a  1'  ombra  295 

Do  lo  pioppo  f  che  pria  gli  eran  sorelle , 


LIBRO  DECIMO  Z7TS 

Sfogava  con  la  Musa  il  suo  dolore  ; 

Fatto  cantando  già  canuto  e  voglio 

In  augei  si  converse,  e  con  la  voce 

E  con  r  ali  da  terra  al  cielo  alzossL  800 

Il  suo  figlio  co'  suoi  portava  un  legno 

A  cui  sotto  la  prora  e  sopra  1*  onde 

Stava  un  centauro  minaccioso  e  torvo. 

Che  con  le  braccia  e  con  un  sasso  in  alto 

Sembrava  di  ferirle,  e  via  correndo  305 

Gol  petto  le  facea  spumose  e  bianche. 

Ocno  poscia  venia,  del  tosco  fiume 

E  di  Manto  indovina  il  chiaro  figlio , 

Che  te ,  mia  patria ,  eresse ,  e  che  del  nome 

De  la  gran  madre  sua  Mantua  ti  disse;  310 

Manina  d'alto  legnaggio;  illustre  e  ricca,        «Jo 

E  non  d' un  sangue.  Tre  le  genti  sono , 

E  de  le  tre  ciascuna  a  quattro  impera. 

Di  cui  tutte  ella  è  capo,  e  tutte  insieme 

Son  con  lo  forze  de  V  Etruria  unite.  315 

Quinci  ne  fur  contra  Mezcnzio  armati 
Cinquecento  altri;  e  Mincio  un  figlio  altero 
Del  gran  Benaco  fii.che  gli  condusse 
Di  verdi  canne  inghirlandato  il  fidente. 
Giva  il  superbo  Aulete  con  un  legno  386 

Di  cento  travi  il  mar  solcando  in  guisa 
Che  spumante  il  facea,  sonoro  e  crespo. 
Premca  le  spalle  d*  un  Tritone  immane , 
Che  con  la  cava  sua  cerulea  conca 
Tremar  si  facea  V  acqua  e  i  liti  intomo.  326 

Dal  mezzo  in  su ,  la  fronte  ispido  e  '1  mento 
Sembra  d' umana  forma  ;  e  '1  ventre  in  pesce 
Oli  si  ristringe  ^  e  col  ferino  petto 
Fende  il  mar  si  che  rumoreggia  e  spuma. 

Da  onesti  eletti  eroi ,  con  queste  genti  330 

Eran  r  onde  tirrene  allor  solcate  tit 

In  sussidio  di  Troja.  E  già  dal  cielo 
Caduto  il  giorno ,  era  de  V  erta  in  cima       \ 
La  vaga  luna;  quando  il  frigio  duce 
Or  al  timone ,  or  a  la  vela  intento  335 

Co'  suoi  pcnsier  vegliava.  Ed  ecco  avanti 
Nuotando  gli  si  fa  di  Ninfe  un  coro, 
Di  lui  prima  compagne,  e  quelle  stesse 
Che,  già  sue  navi,  da  Cibele  in  Ninfe 
Furon  converse ,  e  Dee  fatte  del  mare.  340 

Tante  in  frotta  ne  gian  per  Y  onde  a  nuoto 
Quante  eran  navi  in  prima.  E  di  lontano 
Riconosciuto  il  re,  danzando  in  cerchio 

Dell'Eneide  IS 


271  Kc::-:,:: 

Gli  SI  sU'li.^jTO  intorno.  Una  fra  l'altre 

La  più  ili  Lutto  accorta  parlatricc  345 

Cimodocèa ,  la  sua  nave  seguendo , 

Con  la  destra  a  la  poppa ,  e  con  la  manca 

Tacita  remigando,  il  capo  e  '1  dorso 

Solo  a  galla  tenendo ,  d' improvviso 

Cosi  gli  disse  :  Enea  stirpe  divina ,  350 

Vegli  tu  ?  Veglia  :  il  fune  allenta ,  e  *1  seno 

Apri  a  le  vele  tue*  De  la  tua  classe 

Noi  fummo  i  legni  e  de  la  selva  Idea, 

E  siamo  or  Ninfe.  I  Rutuli  col  foco 

N'  hanno  e  col  ferro  dipartite  e  spinte  355 

Da'  tuoi  nostro  mal  grado.  Or  te  cercando 

Siam  qui  venute.  Per  pietà  di  noi 

La  Berecinzia  madre  in  ffucsta  forma 

N'  ha  del  mar  fatte  abitatrici  e  Dee. 

Ma  '1  tuo  fanciullo  lulo  in  mezzo  a  V  armi  3G0 

Si  sta  cinto  di  fossa  e  di  muraglia 
Da'  feroci  Latini  assediato. 
I  tuoi  cavalli  e  gli  Arcadi  e  gli  Etrusci 
Unitamente  han  di  già  proso  il  loco 
Comandato  da  te.  Turno  disogna  3C5 

Co'  suoi  d'  attraversarli,  e  porsi  in  mozzo 
Tra  '1  campo  e  loro.  Or  via  naviga,  approda  ; 
Sorgi  tu  pria  che  '1  sole,  e  sii  tu  '1  primo 
Ad  ordinar  le  tue  genti  a  battaglia. 
Prendi  ì'  invitto  e  luminoso  scudo  370 

Da  Vulcan  fabbricato,  e  d'or  commesso:         212 
Che  diman  (se  mi  credi)  alta  e  famosa 
Farai  tu  strage  de' nemici  tuoi. 

Ciò  disse,  e  come  esperta  al  legno  in  poppa 
Tal  dio  pinta  al  partir,  che  più  veloce  375 

Corso  che  daMo  0  strai  che  'l  vento  adegui. 
Dietro  gli  altri  affrettar  si  che  stupore 
N'  cl)br)  d'  Anchisc  il  ri:;lio.  E  rincorato 
Da  si  t'elico  annunzio,  ni  cielo  orando 
Divotamonto  si  rivolse ,  e  disse  :  380 

Alma  Dea  de  gli  Dei  gran  genitrice , 
Di  Dindimo  regina  che  di  torri 
Vai  coronata  e'n  su  leoni  assisa, 
Te  por  mia  duco  a  questa  pugna  invoco. 
Tu  rondi  quo^^to  nn^iirio  0  questo  giorno,  385 

Ti  priego,  a  i  Frigi  tuoi  propizio  0  lieto. 

Questo  sol  disse  ;  e  luminoso  intanto 
Si  fece  il  mondo.  Ei  primamente  impose 
Che  rotto  al  soi^no  siio  ciascun  no  gisse, 
Gh'  ognun  s' armasse,  ognuno  a  la  battaglia  300 


LI  BUG   DECIMO  _^,,>'275 


Si  disponesse.  E  già  venuto  a  vista  ik59 

De'  Rutuli  e  de'  Teucri ,  alto  levossi 

In  su  la  poppa  ;  s' imbracciò  Io  scudo , 

E  lo  vibro  si  eh*  ambedue  raggiando 

Empiè  di  luce  e  di  baleni  i  campL 

Di  su  le  mura  la  dardania  gente 

Giojosa  inflno  al  ciel  le  grida  alzaro. 

E  sopraggiunta  la  speranza  a  V  ira 

A  trar  di  nuovo  e  saettar  si  diero 

Con  un  rumor,  guai  sotto  l' atre  nubi  400 

Nel  dar  segno  di  nembi  e  nel  fuggirli  te^ 

Fan  le  strimonie  gru  schiamazzo  e  rombo. 

Mentre  ciò  Turno  e  gli  altri  ausocj  duci 
Stavan  meravigliando,  ecco  a  la  riva 
Si  fa  pien  d' armi  e  di  navilj  il  mare.  405 

lùica  di  cima  al  capo  e  de  la  cresta 
Del  fin  elmo  spargea  lampi  e  scintille 
IV  ardente  fiamma  ;  e  ^ran  lustri  e  gran  fochi 
Raggiava  de  lo  scudo  il  colmo  e  V  oro  : 
Come  ne  la  serena  umida  notte  410 

La  lugubre  e  mortifera  cometa 
Sembra  che  sangue  avventi;  o'I  Sirio  cane. 
Quando  ncasccndo  a'  miseri  mortali 
Ardore  e  sete  e  pestilenza  apporta, 
E  col  funesto  lume  il  ciel  contrista.  415 

Non  men  por  questo  ha  Turno  ardire  e  speme 
D' occupar  prima  il  lito ,  e  da  la  terra 
Ributtare  1  uemici.  Egli  animando 
E  riprendendo  la  sua  gente,  avanti 
Si  spinge  a  lutti,  e  gridd:  Ecco  adempito  420 

Vostro  ma^j-gior  disio.  Più  non  vi  sono 
Le  mura  in  mozzo.  In  voi ,  ne  le  man  vostre 
La  pu^na  e  Marte  e  la  vittoria  ò  Jiosta. 
Or  qui  de  ia  suo  donna,  de'  suoi  hgli. 
De  la  sua  casa  si  rammenli  ognuno:  425 

Ognun  davanti  si  proponga  i  latti  t8i 

E  le  lodi  de' padri.  Andiam  noi  jffima 
A  rincontrargli ,  infin  che  l' onda  e  1  moto 
Ce  gli  rende  del  mar  non  fermi  ancora. 
Via ,  eh  'agli  arditi  è  la  Fortuna  aroica,  430 

Detto  così ,  va  divisando  come 
Parte  ior  centra  ne  conduca ,  e  parte 
A  l'assedi»)  ne  lasci.  Intanto  Enea 
Per  (lisbarcare  i  suoi ,  le  scafo  e  i  ponti 
Avea  già  presti.  E  di  Ior  molti  attenti  435 

Al  ritorno  de  'flutti  con  un  salto 

Si  lanciarono  in  socco  ;  e  chi  co  'remi , 

1  ■ 


276  ENEIDE 


Chi  con  le  travi  no  V  arena  uscirò. 

Tarconte ,  poi  eh  *ebbe  la  riva  tutta 

Ben  adoccniata,  non  là  dove  il  vado  440 

Disperava  del  tutto,  o  dove  l'onda  «9o 

Mormorando  frangea,  ma  dove  cheta 

E  senza  intoppo  avea  corso  e  ricorso, 

Voltò  le  prore  ;  e ,  Via  (disse)  compagni , 

Via ,  gente  elotta  :  ite  con  tutti  i  remi  445 

Di  tutta  forza,  e  si  pingete  i  legni 

Che  si  faccian  da  lor  canale  e  stazzo. 

Dividete  co 'rostri  e  con  le  prore  • 

Questa  nemica  terra  :  in  questa  terra 

Mi  gittate  una  volta;  e  che  che  sia  450 

Segua  poi  del  navile.  A  questo  pregio 

Non  curo  del  suo  danno  :  afferri ,  e  pera. 

Al  detto  di  Tarconte  alto  in  su 'remi 
Levarsi ,  e  si  co  'rostri  a  'liti  urtaro 
Ch  'empier  di  spuma  il  mar ,  di  sabbia  i  campi  ;   455 
E  i  legni  tutti  ne  l' asciutto  infìssi  3oo 

Fermarsi  interi.  Ma  non  già ,  Tarconte , 
Il  legno  tuo,  che  d'una  ascosa  falda 
Ebbe  di  sasso  in  approdando  intoppo; 
Dal  cui  dorso  inchinato ,  e  dal  mareggio  460 

Lungamente  battuto ,  al  fìn  del  tutto 
Aperto  e  sconquassato ,  in  mezzo  a  l 'onde 
Le  genti  espose  ;  e  '1  peso  e  l 'imbarazzo 
De  l'armi ,  e  gli  armamenti  infranti  e  sparsi 
Del  rotto  le^no,  e'I  flutto  che  rediva*  465 

Le  tennero  impedite  e  risospinte. 

Turno  le  schiere  sue  rapidamente 
Al  mar  condusse ,  e  tutte  in  ordinanza 
Su  '1  lito  incontro  a  'Teucri  le  dispose. 
Dieron  le  trombe  il  segno,  n  Trojan  duce  470 

Fu  che  prima  assali  le  torme  agresti ,  sio 

E  si  fé  'con  la  strage  de  'Latini 
E  con  la  morte  di  Terone  in  prima 
Augurio  a  la  vittoria.  Era  Terone 
Un  di  corpo  maggior  de  gli  altri  tutti;  475 

E  tanto  ebbe  d' ardir  che  da  se  stesso 
Incontr  'Enea  si  mosse.  Enea  col  brando 
Tal  un  colpo  gli  trasse ,  che  lo  scudo , 
Benché  ferrato,  e  la  corazza  e'I  fìanco 
Foró^li  insieme.  Indi  avventossi  a  Lica  480 

Che  da  l 'aperte  viscere  fti  tratto 
De  la  già  morta  madre ,  e  pargoletto , 
Preservato  dal  ferro ,  a  te  fd  sacro , 
Febo  padre  di  luce;  ed  or  morendo 


LIBRO  DECIMO  277 


Vittima  cadde  a  Marte.  Uccise  appresso  48S 

Cisso  feroce ,  e  Già  di  corpo  immane , 

Ch*  ambi  di  mazze  armati  ivaa  le  schiere 

De*  suoi  Teucri  atterrando.  E  lor  non  valse 

Né  d' Ercole  aver  V  armi  né  le  braccia 

D' erculea  forza ,  né  che  già  Melampo  490 

Lor  padre  in  compagnia  d' Ercole  fosse  sso 

Allor  che  de  la  terra  a  sof&ir  ebbe 

I  duri  affanni.  A  Faro  un  dardo  trasse 

Mentre  gridando  e  millantando  incontra 

Gli  si  facea.  Colpillo  in  bocca  a  punto  495 

Si  che  la  chiuse  e  V  acchetò  per  sempre. 

E  tu ,  Gidon ,  per  le  sue  mani  estinto , 
Misero!  giaceresti  a  Clizie  appresso 
Tuo  nuovo  amore ,  a  cui  de'  primi  fiori 
Eran  le  guancie  colorite  a  pena;  500 

Né  più  stato  saresti  esca  a  gli  amori 
De'  suoi  simili ,  onde  mai  sempre  ardevi  ; 
Se  non  che  de'  fratelli  ebbe  una  schiera 
Subitamente  addosso.  Eran  costoro 
Sette  figli  di  Forco ,  e  sette  dardi  505 

Gli  avventare  in  un  tempo.  Altri  de  *quali        320 
Da  r  elmo  e  da  lo  scudo  risospinti , 
Altri  ftiron  da  Venere  sbattuti 
Si  ch  *o  vani ,  o  leggieri  il  corpo  a  pena 
Leccar  passando.  In  questa  Enea  rivolto ,  510 

Dammi  (disse  ad  Acato)  de  ^1*  intrisi 
Nel  sangue  greco,  e  sotto  Dio  provati; 
E  non  fia  colpo  in  fallo.  Una  grand'  asta 
Gli  porse  Acato  in  prima ,  ed  ei  la  trasse 
Si  cne  volando  ne  lo  scudo  aggiunse  515 

Di  Mòone ,  e  la  piastra  ond'  era  cinto 
E  la  corazza  e  '1  petto  gli  trafisse. 
Alcanor  suo  fratello  nel  cadere , 
Mentre  le  braccia  al  tergo  gli  puntella, 
L  'asta  nel  trapassare ,  il  suo  tenore  520 

Continuando ,  insanguinata  e  calda 
La  destra  gli  confisse  ;  e  da  le  spalle 
Pendè  del  n'alo ,  infin  che  l' un  già  morto  9 
E  r  altro  moribondo ,  a  terra  stesi 
Giacquero  entrambi.  Numitòre  il  terzo  525 

Da  questo  sconficcandola  e  da  (juello,  »4« 

LancioUa  incontro  Enea.  Di  ferir  lui 
Non  gii  successe ,  ma  del  grande  Acato 
Graffiò  la  coscia  lievemente ,  e  scorse. 

Clauso  il  sabino  ardito  e  poderoso  530 

Qui  si  mostrò  con  una  picca  in  mano 


278  ENETDR 


E  Driope  investì  nel  primo  incontro. 

Glie  n'  appuntò  nel  gorgozzule ,  e  pinso 

Tanto  che  la  parola  e  *1  fiato  e  r  alma 

In  un  ffli  tolse.  Ed  ci  cadde  boccone ,  r/'.ó 

E  per  bocca  gittò  di  san^e  un  fiume. 

Gacciossi  avanti,  e  tre  di  Tracia  appresso 

De  la  gente  di  Borea ,  e  tre  de'  figli 

D' Idante ,  alunni  d' Ismara  e  di  Troja 

In  variate  guise  a  terra  stese.  D :•) 

Venne  a  rincontro  Aleso ,  e  de  gli  Auninci 

Un*  ordinanza.  Di  Nettuno  il  figlio 

Messapo  i  suoi  cavalli  avanti  spinse. 

Ed  or  questi  sforzandosi,  ed  or  quelli 

Di  cacciare  1  nemici ,  in  su  V  entrata  5 15 

Si  combattea  d' Italia.  E  guai  tra  loro  20 . 

S 'azzuffano  a  le  volte  avversi  e  pari 

Di  contesa  e  di  forza  in  aria  i  venti , 

Che  né  lor ,  né  le  nugole ,  né  '1  mare 

Ceder  si  vede ,  e  lungamente  incerta  550 

Si  la  mischia  travaglia ,  eh'  ogni  cosa 

D'ogni  parte  tumultua  e  contrasta: 

Tale  appunto  de'  Rutuli  e  de'  Teucri 

Era  la  pugna,  e  si  fiera  e  si  stretta 

Che  giunte  si  vedean  1'  armi  con  1'  armi ,  555 

E  le  man  con  le  mani ,  e  i  pie  co'  piedi. 

D'  altra  parte  ove  rapido  e  torrente 
Avea  il  fiume  travolti  arbori  e  sassi, 
Da  loco  malagevole  impediti 

Gli  arcadi  cavalieri  a  pie  smontare.  560 

E  ne  'pedestri  assalti  ancor  non  usi , 
Da'  Latini  incalzati ,  avean  le  terga 
Già  volte  a  Lazio  ;  quando  (quel  che  s' usa 
In  si  duri  partiti)  a  lor  rivolto 
Fallante,  or  con  preghiere,  or  con  rampogne,      :j,o 
Ah  compagni ,  ah  fratelli  (iva  gridando)  3  s 

Dove  fuggite  ?  Per  onor  di  voi , 
Per  la  memoria  di  tant'  altri  vostri 
Egregi  fatti ,  per  l' egregia  fama , 
Per  le  vittorie  del  gran  duce  Evandro,  570 

E  per  la  speme  che  di  me  concetta  370 

A  la  patema  lode  emula  avete, 
Non  ponete  ne' pie  vostra  fidanza. 
Col  ferro  aprir  la  strada  ne  conviene 
Per  mezzo  di  color  che  là  vedete ,  575 

Che  più  folti  n'  incalzano  e  più  feri 
Per  ^  comanda  l' alta  patria  nostra 
Che  voi  meco  n'  andiate.  E  di  lor  nullo 


LIHllO   DECIMO  279 


585 


È  che  sia  Dio  :  son  uomini  ancor  essi 

Come  Siam  noi  ;  e  noi  com'  ossi  averne  580 

n  cor ,  le  mani  e  Y  armi.  E  dove ,  dove 

Vi  salverete  ?  Non  vedete  il  mare 

Che  v'  è  davanti ,  e  che  la  terra  manca 

Al  ftigijàr  vostro  ?  E  se  por  V  onde  ancora 

Fuggiste,  alfìn  dove  n'andrete?  a  Troja? 

E  cosi  detto ,  in  mezzo  de'  più  densi 
E  de' più  formidabili  nemici 
Anzi  a  tutti  avvontossi.  E  Lago  il  primo 
Per  sua  disavventura  gli  s*  oppose. 
Stava  costui  chinato ,  e  per  ferirlo  590 

Divelto  avca  di  terra  un  gran  macigno; 
Quando  lo  sopraggiunse ,  e  ne  la  schiena 
Tra  costa  e  costa  il  suo  dardo  piantogli  j 
Si  che  tirando  e  dimenando  a  pena 
Ne  lo  ritrasse.  Isbon  di  Lago  amico ,  595 

Mentr  'egli  in  ciò  s' occupa  ,  ebbe  speranza      ssi 
Di  vendicarlo ,  e  'ncontra  gli  si  mosse. 
Ma  non  gli  riusci  ;  che  mentre  incauto 
Dal  dolor  trasportato  e  da  lo  sdegno 
Del  suo  morto  compagno  infuriava,  600 

Ne  la  spada  del  giovine  inlìlzossi 
Da  r  un  de*  fianchi  :  onde  trafitto  e  smunto 
Ne  fu  di  sangue  il  cor,  d'ira  il  polmone. 
Poscia  Stenelo  uccise;  uccise  appresso 
Anchemolo.  Costui  fu  de  Tantica  605 

Stirpe  di  Reto ,  incestuoso  amante 
Di  sua  matrigna.  E  voi,  Laride  e  Timbro, 
Figli  di  Dauco  ambi  d' un  parto  nati 
Per  le  sue  man  cadeste.  Eran  costoro 
Sì  r  un  del  tutto  a  l' altro  somigliante  ,  CIÒ 

Che  dal  padre  indistinti  e  da  la  madre  soi 

Facean  lor  grato  errore  e  dolce  inganno. 
Sol  or  Panante  (ahi  !  troppo  duramente) 
Vi  fé'  diversi  :  eh'  a  te  '1  capo  netto , 
Timbro,  recise  ;  a  te  ,  Lande ,  in  terra  <)15 

Manflò  la  destra.  E  questa  anco  raizzando 
Te  per  suo  riconobbe ,  e  con  le  dita 
Strinse  il  tuo  ferro ,  e  *1  brancicò  più  volte. 

Gli  Arcadi  da'  conforti  e  da  le  prove 
Accesi  di  Panante,  e  per  dolore  620 

E  per  vergogna  di  furor  s 'armaro 
Centra  i  nemici  Se^itò  Fallante  ; 
Ed  a  Retèo  eh'  era  higgondo  in  volta 
Sopra  ima  biga ,  nel  passargli  a  canto 
Trasse  d' un'  asta  :  e  tanto  Ilo  d' indugio  625 


280  GNGIDE 


Ebbe  a  la  morto  sua ,  eh'  ad  Ilo  indritto 

Era  quel  colpo  in  prima.  Ma  Retòo 

Vemie  di  mezzo ,  e  ricevello  in  vece 

D 'altri  colpi ,  che  dietro  minacciando 

Gli  venian  Teutro  e  Tiro  i  duo  buon  frati,  630 

Che  gli  oran  sopra.  Traboccò  dal  carro 

Mezzo  tra  vivo  e  morto ,  e  calcitrando 

De'  Rutuli  battè  Y  amica  terra. 

Come  il  pastor  ne'  dolci  estivi  giorni 
A  lo  spirar  de'  venti  il  foco  accende  635 

In  qualche  selva  :  che  diversamente  406 

Lo  spar^^e  in  prima  ;  e  con  diversi  incendi 
Subito  di  Vulcan  ne  va  la  schiera 
Ciò  eh'  è  di  mezzo  divorando  in  guisa 
Gli  'un  sol  diventa  :  ed  ei  stassi  in  disparte  040 

Del  fatto  altero ,  e  di  veder  giojoso 
La  vincitrice  fiamma ,  e  l' arso  bosco  : 
Cosi'l  valor  de  gli  Arcadi  ristretto 
Per  soccorrer  Fallante  insieme  unissL 
Ma'l  bellicoso  Aléso  incontro  a  loro  645 

Si  ristrinse  ancor  ei  con  1'  armi  sue,  4ii 

E  Ladone  e  Demòdoco  e  Pereto 
Uccise  in  prima.  Indi  a  Strimonio  un  colpo 
Trasse  di  spada  che  la  destra  mano , 
Mentre  con  un  pugnai  gli  era  a  la  gola ,  650 

Gli  recise  di  netto.  E  si  d' un  sasso 
Feri  Toante  in  volto ,  che  gì'  infranse 
Il  teschio  tutto ,  e  ne  schizzar  col  sangue 
L'  ossa  e  '1  cervello.  Era  d' Aléso  il  padre 
Mago  e  'ndovino  ;  e  del  suo  figlio  il  fato  655 

Avea  previsto  :  onde  gran  tempo  ascoso 
In  una  selva  il  tenne.  E  non  per  questo 
Franse  il  destino:  che  già  veglio  a  pena 
Chiusi  ebbe  gli  occhi ,  che  le  Parche  addosso 
Gli  dier  di  mano  :  onde  a  morir  devoto  6G0 

Fu  per  r  armi  d'  Evandro.  Incontro  a  lui 
Mosse  Panante  in  cotal  guisa  orando  : 
Dà ,  padre  Tebro ,  a  qriesto  dardo  indrizzo  , 
Fortuna  e  strada  ;  ond  'io  nel  petto  il  pianti 
Del  duro  Aleso  :  e  '1  dardo  e  le  sue  spoglie  665 

A  te  fian  poscia  in  questa  quercia  appese.        At2 
Udillo  il  Tebro  ;  e  mentre  Aléso  aita 
Porgendo  ad  Imaon ,  lo  scudo  stende 
Per  coprir  lui ,  se  stesso  discoverse 
Al  colpo  di  Panante ,  e  morto  cadde.  670 

Lauso  che  de  la  pugna  ora  gran  parte , 
Visto  al  cader  à*  un  si  degno  cam.pioiie 


i.ìuuo  d;:cimo  •  ^si 


Caduta  la  contesa  e  T  ariliniento  - 

De  le  schiere  latine ,  egli  in  sua  vece 

Tosto  avanti  si  spinse  e  rinfrancolle.  075 

E  prima  di  sua  mano  Abante  ancise , 

Gh  era  di  q^uella  zuffa  un  duro  intoppo, 

E  de  ^nemici  il  più  saldo  sostegno. 

Or  qui  strage  si  fa  d' Arcadi  insieme , 
E  de'  Toschi ,  e  di  voi ,  Trojani  intatti  680 

Ancor  da*  Greci.  E  qui  d' ambe  le  parti  430 

Tutti  con  tutti  ad  affrontar  si  vanno. 
Pari  le  forze  e  pari  i  capitani 
Son  d' ambi  i  lati  ;  e  quinci  e  quindi  ardenti 
Si  ristringono  in  guisa  che  gli  estremi  685 

Fanno  ancor  calca  e  'mpedimento  a*  prlmL 

Da  questa  parte  sta  Fallante ,  e  Lauso 
Da  quella,  i  suoi  ciascuno  inanimando. 
Spingendo  e  combattendo.  E  l'un  diverso 
Non  è  molto  da  T  altro  né  d*  etate  690 

Né  di  bellezza;  e  parimente  il  fato 
A  ciascuno  ha  di  lor  tolto  il  ritorno 
Ne  la  sua  patria.  E  non  però  tra  loro 
S*  affrontar  mai  ;  che  '1  re^^nator  celeste 
Riserbava  la  morte  d*  ambedue  695   » 

A  nemici  maggiori.  In  questo  mezzo 
La  Ninfa,  che  di  Turno  era  sorella; 
Il  suo  frate  awertisce ,  che  soccorso 
Procuri  a  Lauso.  Ond'  ei  tosto  col  carro 
Lo  schiere  attraversando  ;  a'  suoi  compagni  700 

Giunto  che  fu,  Via  (disse)  or  non  è  tempo      uo 
Che  voi  più  combattiate.  Io  sol  ne  vado 
Gontra  Fallante  :  a  me  solo  è  dovuta 
Lo  morte  sua  :  cosi  il  suo  padre  stosso 
V  'intervenisse ,  e  spettator  ne  fosse.  705 

Detto  eh*  egli  ebbe  ,  incontanente  i  suoi , 
Siccome  imposto  avea ,  del  campo  uscirà 
Fallante,  visti  i  Rutuli  ritrarsi, 
E  lui  sentendo,  che  con  tanto  orgoglio 
Lor  comandava  ;  poscia  che  '1  conobbe  710 

Lo  squadrò  tutto ,  e  stupido  fermossi 
A  veder  si  gran  corpo.  Indi  feroce 
Gli  occhi  intorno  girando ,  a  i  detti  suoi 
Così  rispose  :  Oggi  0  d*  opime  spoglie , 
O  di  morte  onorata  il  pregio  acguisto.  713 

E  '1  padre  mio  (  tal  è  d' animo  invitto  450 

•  Incontr'  ogni  fortuna ,  0  buona  0  rea 
Che  sia  la  mia  )  ne  porrà  '1  core  in  pace. 
Via ,  che  <V  altro  è  mestier  che  di  minacce. 


2S3  ENEIDE 


E  ciò  dettò  si  mosse ,  e  fiero  in  mezzo  720 

Presentossi  del  campo.  Un  gel  per  Y  ossa 
E  per  le  vene  a  gli  Arcadi  ne  corse. 
E  Turno  dalla  biga  con  un  salto 
Lanciossi  a  terra  ;  eh'  assalirlo  a  piedi 
Prese  consiglio.  E  qual  fiero  leone  725 

Che ,  veduto  nel  pian  da  lungo  un  toro 
Con  le  corna  a  battaglia  esercitarsi, 
Dal  monte  si  dirnpa  e  rugge  e  vola  : 
Tal  fu  di  Turno  la  sembianza  a  punto 
Nel  girgli  incontro.  Il  giovine ,  che  meno  730 

Avea  di  forze ,  s'  avviso  di.  tempo 
Prender  vantaggio ,  e  di  provare  osando 
S*  aver  potesse  m  alcun  modo  amica 
Almen  fortuna;  e  già  eh*  a  tiro  d' asta 
S' eran  vicini ,  al  ciel  rivolto  disse  :  735 

Ercole ,  se  ti  fu  del  padre  mio  459 

L*  ospizio  accetto ,  e  la  sua  mensa  a  grado , 
Allor  che  peregrin  seco  albergasti  ; 
Dammi,  ti  priego,  a  tanta  impresa  aita 
Sì  che  Turno  egli  stesso  in  chiuder  gli  occhi        740 
Veggia  e  senta  morendo ,  eh'  a  me  tocca 
Vincere  e  spogliar  lui  d' armi  e  di  vita. 
Udillo  Alcide ,  e  per  pietà  che  n'  ebbe 


Nel  suo  cor  so  ne  dolse  e  lagrimonne: 

Quantunque  indamo.  E  Giove  per  conforto  745 

Del  figlio  suo,  cosi  seco  ne  disse: 

Destinato  a  ciascuno  è  '1  giorno  suo  ; 

E  breve  in  tutti  e  lubrica  e  Aigace 

E  non  mai  reparabile  sen  vola 

L' umana  vita.  Sol  per  fama  è  dato  750 

A  gli  uomini ,  che  sian  vivaci  e  chiari  408 

Più  lungamente.  Ma  virtute  è  quella 

Che  gli  fa  talL  E  non  per  questo  alcuno 

E  che  non  muoia.  E  quanti  ne  morirò 

Sotto  il  grand'  Ilio ,  ch*^eran  nati  in  terra  755 

Di  voi  celesti  ?  E  Sarpedonte  è  morto 

Ch'  era  mio  figlio  :  e  Turno  anco  morrà  ; 

E  già  de  la  sua  vita  è  giunto  al  fine. 

Cosi  disse ,  e  da'  rutuli  confini 
Torse  la  vista.  Allor  Pallante  trasse  7C0 

Con  gran  forza  il  suo  dardo ,  e  '1  brando  strinse 
Incontro  a  Turno.  Investi  '1  dardo  a  punto 
Jià  've  1  braccial  su  1'  omero  s' affibbia , 
K  tra  '1  suo  groppo  e  l' orlo  de  lo  scudo 
Come  strisciando ,  di  ri  vasto  corpo  7C5 

Lievemente  afferrò  la  peUe  a  pena. 


IJBIIO   UiiCJMO  2^3 


Turno ,  poiché  '1  nodoso  e  ben  ferrato 
Suo  frassino  brandito  e  bilanciato 
Ebbe  più  volte ,  Or  prova  tu  (  gli  disse  ) 
Se  *1  mio  va  dritto ,  e  se  colpisce  e  fora  77;) 

Più  del  tuo  ferro:  e  trasse.  Andò  ronzando       i.si 
Per  r  aura ,  e  con  la  punta  a  punto  in  mczz  j 
Si  piantò  de  lo  scudo.  E  tanto  piastre 
Di  metallo  e  d*  acciajo ,  e  tante  cuoja 
Ond'  era  cinto ,  e  la  corazza  e  '1  petto  775 

Passògli  insieme.  Il  giovine  ferito 
Tosto  fuor  si  cavò  di  corpo  il  telo  ; 
Ma  non  gli  valse ,  che  con  esso  il  sangue 
E  la  vita  n*  uscio.  Cadde  boccone 
In  su  la  piaga ,  e  tal  dio  d' armi  un  citdio,  780 

Che  ancor  morendo ,  la  nimica  terra  488 

Trepida  ne  divenne  e  sanguinosa. 

Turno  sopra  il  cadavere  fermossi 
Alteramente,  e  disse:  Arcadi,  udite, 
E  per  me  riportate  al  vostro  Evandro,  785 

Che  qual  di  rivedere  ha  meritato 
n  suo  Fallante ,  tal  glie  ne  rimando  ; 
E  ^li  fo  grazia ,  che  d' esequie  ancora 
E  di  sepolcro  e  di  qual  altro  fregio , 
Che  conforto  gli  sia ,  V  orni  e  V  onori  ;  790 

Ch'  assai  ben  caro  infine  a  qui  gli  costa 
L' amicizia  d*  Enea.  Cosi  dicendo , 
Col  manco  pie  calcò  V  estinto  corpo  : 
E  d' oro  un  cinto  ne  rapi  di  pondo , 
D' artificio  e  di  pregio ,  ove  per  mano  785 

Era  del  buon  Eurizio  istoriata' 
La  fiera  notte ,  e  i  sanguinosi  letti 
Di  quell'  empie  fanciulle ,  in  grembo  a  cui 
Fur  già  tanti  in  un  tempo  e  irati  e  sposi 
Sotto  fò  d' Imeneo  giovani  ancisi.  800 

Di  questa  spoglia  altero  e  baldanzoso 
Vassene  or  Turno.  O  cieche  umane  mentii , 
Come  siete  de*  fati  e  del  futuro 
Poco  avvedute  !  E  come  oltra  ogni  modo 
Ne* felici  successi  insuperbite!  805 

Tempo  a  Turno  verrà  eh'  ogni  gran  cosa         so» 
Ricompreria  di  non  aver  pur  tocco 
Panante  :  e  le  sue  spoglie  e  *1  di  che  V  obhe 
In  odio  gli  cadranno.  Il  morto  corpo 
Nel  suo  scudo  composto  i  suoi  compagni  810 

Levar  dal  campo ,  e  con  solenne  pompa 
E  con  molti  lamenti  e  molto  pianto 
Lo  riportare  al  padre.  O  qual  Fallante 


2vS4  ENEIDB 


830 


Tornasti  al  padre  tuo  gloria  e  dolore  ! 
Ch'una  stessa  giornata,  eh* a  la  guerra  815 

Ti  diede ,  a  lui  ti  tolse.  Oh  pur  gran  monti      5os 
Lasciasti  pria  di  tuoi  nemici  estmtL 

Corse  la  fama,  anzi  il  verace  avviso 
A.  r  orecchie  d' Enea  d*  un  danno  tale 
E  d'un  tanto  periglio,  che  già  volto  820 

Era  il  suo  campo  in  fuga.  Incontanente 
Si  fa  col  ferro  ima  spianata  intorno  ; 
Poscia  s' apre  una  via ,  di  te  cercando , 
Turno ,  e  1  tuo  rintuzzar  cresciuto  orgoglio 
Per  la  vittoria  di  Pallante  ucciso.  825 

Fallante,  Evandro  e  V  accoglienze  loro 
E  le  lor  mense ,  ove  con  tanto  amore 
Forestier  fti  raccolto ,  e  la  contratta 
Già  tra  loro  amistà  davanti  a  gli  occhi 
Si  vedea  sen^pre.  E  per  onore  a  V  ombra 
De  r  amico ,  e  per  vittima  al  grand'  Orco 
Molti  giovani  avea  già  destinati 
Vivi  salificar  sopra  al  suo  rogo; 
E  di  già  ne  facea  quattro  d' Ufente 
Addur  ledati,  e  quattro  di  Sulmona.  835 

E  tra  via  combattendo ,  incontr'  a  Mago 
Tirò  d' un'  asta  :  a  cui  sotto  chinossi 
L' astuto  a  tempo  si  che  sopra  al  capo 
Gli  trapassò  divincolando  il  colpo  ; 
E  ratto  risorgendo,  umilemente  840 

Gli  abbraccio  le  ginocchia ,  e  cosi  disse  :  523 

Per  tuo  padre  e  tuo  figlio ,  Enea ,  ti  prego , 
A  mio  padre,  a  mio  figlio  mi  conserva. 
Di  gran  legnaggìo  io  sono ,  e  gran  tesori 
Tengo  d'  argento  sotterrati  e  a  oro  845 

In  massa  e  n  conio.  La  vittoria  vostra 
Solo  in  me  non  consiste.  Una  sol'  alma 
In  cosi  grave  e  grande  affor  che  monta? 
Rispose  Enea  :•  Le  tue  conserve  d' oro 
E  d*  argento  conserva  a'  figli  tuoi  850 

Questi  mercati  ha  Turno  primamente  5^2 

Tolti  fra  noi ,  poi  eh*  ha  Fallante  ucciso. 
Ed  al  mio  padre  ed  al  mio  figlio,  in  grado 
Fia  la  tua  morte.  Ciò  dicendo ,  a  l' elmo 
Le  man  gli  stese;  e  poiché  gli  ebbe  il  collo 
Chinato  al  colpo ,  insmo  a  1*  elsa  il  ferro 
Ne  la  gola  gì'  immerse.  Indi  non  lungo 
Emonide  incontrando ,  un  sacerdote 
Di  Febo  e  Ai  Diana ,  il  fronte  adorno 
Di  sacra  benda ,  e  tutto  rilucente  860 


855 


LIBUO    DECIMO  285 


Di  vesti  e  d*  armi,  addosso  gli  si  scaglia. 

Fugge  Emonide,  e  cade.  Enea  gli  è  sopra, 

I.o  sacrifica  a  V  ombra ,  e  d*  ombra  il  copre. 

Poscia  de  V  armi ,  che  '1  meschino  a  pompa 

Portò  più  eh'  a  difesa ,  il  buon  Seresto  8G5 

Lo  spoglia,  e  per  trofeo  le  appende  in  campo 

A  te ,  gran  Marte.  Ecco  di  nuovo  intanto 

eccolo  di  Vulcan  V  ardente  figlio , 

E  *1  Marso  Ombron  ne  la  battaglia  entrando , 

E  rimettendo  le  lor  genti  insieme,  870 

Spingonsi  avanti.  Enea  da  1*  altra  parte 

Infuriava.  Ad  Ansure  awentossi, 

E  U  manco  braccio  con  la  spada  in  terra 

Gittògli  e  de  lo  scudo  il  cerchio  intero. 

Gran  cose  avea  costui  cianciate  in  prima  875 

E  concepute  ;  e  d*  adempirle  ancora  647 

S*  era  promesso.  Avea  forse  anco  in  cielo 

Riposti  i  suoi  pensieri ,  e  s' augurava 

Lunga  vita  e  felice.  E  pur  qui  cadde. 

Poscia  Tarquito  ardente  e  d*  armi  cinto  880 

Fulgenti  e  ricche  incontro  gli  si  fece. 
Era  costui  di  Fauno  montanaro 
E  de  la  Ninfa  Drlope  creato , 
Giovine  fiero.  Enea  paressi  avanti 
A  la  sua  fiiria ,  e  pinse  Y  asta  in  guisa  885 

Che  lo  scudo  impedìgli  e  la  corazza. 
Allora  indarno  il  misero  a  pregarlo 
Si  diede.  E  mentre  a  dir  molto  s*  affanna 
Per  lo  suo  scampo ,  ci  con  un  colpo  a  terra 
Gittògli  il  capo  ;  e  travolgendo  il  tronco  8^ 

Tiepido  ancor  sopra  gli  stette ,  e  disse  :  550 

Qui  con  la  tua  bravura  te  ne  stai, 
Tremendo  e  formidabile  guerriero. 
Né  di  terra  tua  madre  ti  ricopra. 
Né  di  tomba  t' onori.  A  i  lupi ,  a  i  corvi  893 

Ti  lascio ,  0  che  la  piena  in  alcun  fosso 
Ti  tragga,  0  che  nel  fiume,  0  che  nel  maro 
Ai  famelici  pesci  esca  ti  mandL 

Indi  muove  in  un  tempo  incontro  a  Lica, 
E  segue  Anteo ,  che  ne  le  prime  schiere  900 

Eran  di  Turno.  Assaglie  il  forte  Numa, 
Fere  il  biondo  Gamerte.  Era  Gamerte 
Figlio  a  Volscente ,  generoso  germe 
Del  magnanimo  padre ,  e  de'  più  ricchi 
D' Ausonia  tutta  :  in  quel  tempo  reggea  905 

La  taciturna  Amicla.  In  quella  guisa 
Che  Bi  dice  Egeon  con  cento  braccia 


E  cento  mani  da  cinquanta  bocche 

Fiamme  spirando  e  da  cinquanta  petti 

Esser  già  stato  col  gran  Giove  a  fronte,  910 

Quando  contra  i  suoi  folgori  e  i  suoi  tuoni      567 

Con  altrettante  spa  le  ed  altrettanti 

Scudi  tonava  e  folgorava  anch'  egli: 

In  quella  stessa  Enea  per  tutto  '1  campo , 

Poich'una  volta  il  suo  ferro  fti  caldo,  915 

Contra  tutti  vincendo  infuriossi. 

Ecco  Nifòo  su  quattro  corridori 

Si  vede  avanti  j  e  contra  gli  si  spinge 

Sì  ruinoso ,  e  tal  fa  lor  fremendo 

Tema  e  spavento,  che  i  destrier  rivolti  920 

Lui  dal  carro  traboccano,  e  disciolti  573 

Sen  vanno  e  vóti  imperversando  al  mare. 

Lucalo  intanto  e  Ligeri  due  frati 
Con  due  giunti  cavalli  ambi  in  un  tempo 
Gli  si  fan  sopra.  Ligeri  a  le  briglie  925 

Sedea  per  guida,  e  Lùcago  rotava 
La  spada  a  cerco.  Enea  non  sofferendo 
La  tracotanza,  a  la  ^ià  m.ossa  biga 
Piantossi  avanti;  e  Ligeri  gli  disse: 
Enea,  tu  non  sei  già  con  l5iomede,  930 

Né  con  Achille  questa  volta  a  fronte: 
Nò  son  questi  i  cavalli  e  '1  carro  loro. 
Di  Lazio  è  questo ,  e  non  de'  Frigi  il  campo. 
Qui  finir  ti  convien  la  guerra  e  i  giorni. 
Queste  vane  minacce  e  questo  vento  935 

SofTìava  il  folle.  Enea  d' altro  risposta 
Koa  gli  die  che  «le  i'  asta.  E  mentre  avanti 
Spinge  i*uno  1  desirieri,  e  l'altro  al  colpo 
Si  st/t  chinato  e  coi  pie  manco  in  atto 
Di  ferir  iui,  la  Sid.  lancia  a  lo  scudo  940 

Entro  sorto  di  Lùcago,  e  nel  manco  588 

Lato  ne  V  ingumaja  il  colse  a  punto , 
E  giù  fiel  carro  moribondo  il  trasse. 
Indi  ancor  egli  mottcggiollo ,  e  disse: 
A  te  nò  paventosi,  né  restii  945 

Son  già ,  Lùcago ,  stati  i  tuoi  cavallL 
Tu  da  te  stesso  un  si  bel  salto  hai  preso 

gnor  del  tuo  carro.  E  ciò  detto,  a  1  destrieri 
iè  di  piglio.  11  suo  frate  uscito  intanto 
Dal  carro  stesso,  umile  e  disarmato  950 

Stcndea  le  palme  in  tal  guisa  pregando: 
Deh  per  lo  tuo  valore  e  per  coloro 
Che  ti  fér  tale ,  abbi  di  me ,  Signore , 
Pietà ,  che  supplicando  in  don  ti  chieggio 


I.':;  .  j  ì>I::l:(:\io  2>7 


Qnc:  :,j  M!i-o   i  viia.  K  seguitando  955 

La  sua  i)j;e.^'iiera,  a  lui  rispose  Enea: 

Tu  non  ìiai  j^Mà  così  dianzi  abbaiato. 

Muori;  e  moiuado  il  tuo  frate  accompagna. 

E  con  qn(;sto  parole  il  ferro  spinse, 

E  j^ii  apriU  petto,  e  l'alma  ne  disciolse.  -'^0 

Mentre  cosi  per  la  campagna  Enea  eoi 

Stra.i^e  facendo,  e  di  torrente  in  guisa 
E  di  tempesta  infuriando  scorre, 
Ascanio  e  la  trojana  gioventute 
Indarno  entro  a  le  mura  assediati  905 

Saltano  in  campo.  Ed  a  Giunone  intanto 
Cosi  Giove  favella:  0  mia  diletta 
Sorella  e  sposa ,  ecco  testé  si  vede 
Com'  ha  la  tua  credenza  e  *1  tuo  pensiero 
Verace  incontro,  e  come  Giterea  970 

Sostenta  i  Teucri  suoi.  Vedi  commessi 
Non  son  nò  valorosi,  nò  guerrieri, 
E  i  cor  non  hanno  a  i  lor  perigli  eguali. 
A  cui  Giunon  tutta  rimessa ,  Ah  (  disse  ) 
Caro  consorte,  a  che  mi  strazi  e  pugni,  975 

Quando  è  pur  troppo  il  mio  dolor  pungente, 
E  pur  troppo  tem'  io  le  tue  punture  ? 
Ma  se  (ui'^l  era,  e  qual  esser  potrebbe, 
Fosse  or  teco  il  poter  de  l'amor  mio, 
Teco  che  tanto  puoi,  da  te  negato  '.''^^ 

Non  mi  fora,  Signor,  ch'oggi  il  mio  Turno 
Fosse  da  la  battaglia  e  da  la  morte 
Per  me  sottratto  e  conservato  al  vecchio 
Danno  suo  padre.  Or  pera,  e  col  suo  sangue. 
Che  pur  è  pio,  la  cupidigia  estingua  9.3 

De' suoi  nemici.  E  pur  anch' egli  e  nato  «i7 

Dal  nostro  sangue:  e  pur  Pilunno  è  quarto 
Padre  di  lui  :  da  lui  pur  largamente 
Gli  aitar  molte  fiate  e  i  tempj  tuoi 
Son  de'  suoi  molti  doni  ornati  e  carchi.  f'^^'J 

Cui  del  ciel  brevemente  il  gran  Motore         02j 
Così  rispose  :  Se  indugiar  la  morte , 
Ch'è  già  presente,  e  prolungare  i  giorni 
AI  già  caduco  giovine  t'  aggrada 
Per  alcun  tempo,  e  tu  con  questo  inteso  905 

L' accetti ,  va  tu  stessa ,  e  da  la  pugna 
Sottrailo  e  dal  destino.  A  tuo  contento 
Fin  qui  mi  lece.  Ma  se  in  ciò  presumi 
Ancor  più  di  sua  vita,  o  de  la  guerra, 
Che  del  tulto  si  mute  o  si  distorni;  1  '^^ 

In  vau  lo  speri.  A  cui  Giimo  piangendo 


288 


KNEIDK 


Soggiun-se  :  E  che  saria ,  se  quel  che  in  voce 

Ti  gravi  a  darmi,  almen  nel  tuo  secreto 

Mi  concedessi  ?  E  auesta  vita  a  Turno 

Si  stabilisse  ?  già  che  indegna  e  cruda  1005 

Morte  gli  s' avvicina ,  o  eh'  io  del  vero 

Mi  gabDO.  Tu  che  puoi,  Signor ^  rivolgi 

La  mia  paura  e  i  tuoi  pensieri  m  meglio. 

Poscia  che  cosi  disse ,  incontanente 
Dal  ciel  discese,  e  con  im  nembo  avanti  loio 

E  nubi  intorno ,  occulta  infra  i  due  campi       633 
Sopra  terra  calessi.  Ivi  di  nebbia, 
Di  colori  e  di  vento  una  figura 
Formò  (  cosa  mirabile  a  vedere  !  ) 
In  sembianza  d' Enea  :  d*  Enea  lo  scudo ,  1015 

La  corazza  »  il  cimiero  e  V  armi  tutte 
Gli  finse  intorno ,  e  gli  die  il  suono  e  '1  moto 
Propri  di  lui ,  ma  vani ,  e  senza  forze 
E  senza  mente;  in  quella  stessa  guisa 
Che  si  dice  di  notte  ir  vagabonde  1020 

L'ombre  de* morti,  e  che  i  sopiti  sensi 
Son  da*  sogni  delusi  e  da  fantasme. 

Questa  mentita  imago  anzi  a  le  schiere 
Lieta  insultando ,  a  Turno  s*  appresenta , 
Lo  provoca  e  lo  sfida.  E  Turno  incontra  1025 

Le  si  spinge  e  V  affronta  :  e  pria  da  lungo        645 
Il  suo  dardo  le  avventa ,  al  cui  stridore 
Volg'  ella  il  terffo  e  fugge.  Ed  ei  sospinto 
Da  la  vana  credenza ,  e  da  la  folle 
Sua  speme  insuperbito  la  persegue  1030 

Con  la  spada  impugnata  :  e ,  Dove ,  dove 
(Dicendo)  Enea,  ten  fuggi?  ove  abbandoni 
La  tua  sposa  novella  ?  lo  di  mia  mano 
De  la  terra  fatale  or  or  t*  investo , 
Che  tanto  per  lo  mar  cercando  andavL  1035 

E  gridando  l'incalza,  e  non  s'avvede 
Che  quel  che  segue  e  di  ferir  agogna. 
Non  e  che  nebbia  che  dal  vento  è  spinta. 

Era  per  sorte  in  su  la  riva  un  sasso 
Di  molo  in  guisa;  ed  un  navile  a  canto  1040 

Gli  era  legato,  che  la  scala  e'I  ponte 
Avea  su'l  lite,  onde  ne  fu  pur  dianzi 
Osinio  il  re  di  Chiusi  in  terra  esposto. 
In  questo  legno ,  di  fuggir  mostrando , 
Ricovrossi  d^Enea  la  unta  imago ,  1045 

E  vi  s' ascose.  A  cui  dietro  correndo  «56 

Turno  senza  dimora  infuriato 
n  ponto  ascese.  Era  a  la  prora  a  pena 


LIBRO  DKGIMO  '^^39 


Che  Giunon  ruppe  il  fune ,  e  diede  al  legno 

Per  lo  travolto  mare  impeto  e  fuga.  lor>a 

Intanto  Enea ,  di  Turno  ricercando , 
A  battaglia  il  chiamava.  Ed  or  di  questo 
Ed  or  di  quello  o  di  molti  anco  insieme 
Facea  strago  e  scompiglio;  e  la  sua  larva , 
Poiché  di  più  colarsi  uopo  non  ebbe ,  '055 

Fuor  de  la  nave  uscendo  alto  levossi, 
E  con  r  atra  sua  nube  unissi ,  e  sparvo. 

Turno  così  schernito ,  e  già  nel  mezzo 
Del  mar  sospinto ,  indietro  rimirando 
Come  del  fatto  ignaro ,  e  del  suo  scampo  1060 

Sconoscente  e  superbo,  al  ciel  gridando 
Alzò  le  palme ,  e  disse  :  Ah  dunque  io  sono 
D' un  tanto  scorno ,  onnipotente  padre , 
Da  te  degao  tenuto  ?  A  tanta  pena 
M'hai  riservato?  Ove  son  io  rapito?  10C5 

Onde  mi  parto?  Chi  cosi  mi  caccia?  àio 

Chi  mi  rimona  ?  E  ila  eh*  un'  altra  volta 
Io  ritorni  a  Laurento  ?  e  eh'  io  riveggia 
L'oste  più  con  quest'occhi?  E  che  diranno 
I  miei  seguaci,  e  quei  che  m'han  nor  capo  1070 

Di  questa  guerra ,  che  da  me  son  tutti 
(Ahi  vitupero  !  )  abbandonati  a  morte  ? 
E  già  rotti  gli  veggio ,  e  già  gli  sento 
Gridar  cadendo.  0  me  lasso  !  che  faccio  ? 
Qual  è  del  mar  la  più  profonda  terra  1075 

Che  mi  s'apra  e  m  ingoi?  A  voi  più  tosto, 
Venti ,  incresca  di  me.  Voi  questo  legno 
Fiaccate  in  qualche  scoglio ,  in  qualche  rupe , 
Gh'  io  stesso  lo  vi  chieggio  :  o  ne  le  Sirti 
Mi  seppellite ,  ove  mai  più  non  giunga  1080 

Rutulo  che  mi  veggia ,  o  mi  rinfacci  «78 

Questa  vergogna  e  questa  infamia ,  ond'  io 
Sono  a  me  consapevole  e  nimico. 

Cosi  dicendo,  un  tanto  disonore 
In  se  sdegnando,  e  di  se  stesso  fuori  1085 

Strani ,  diversi  e  torbidi  pensieri 
Si  volgea  per  la  mente ,  o  con  la  spada 
Passarsi  il  petto,  o  traboccarsi  in  mezzo. 
Si  com*  era ,  del  mare ,  e  far  notando 
Prova  0  di  ricondursi  ond'  era  tolto ,  109Q 

O  d'  affogarsi.  E  V  una  e  1'  altra  via 
Tentò  tre  volte  ;  e  tre  volte  la  Dea 
Di  lui  mossa  a  pietà  ne  lo  distolse. 
Dal  turbine  e  dal  mar  cacciato  intanto 
Sì  scorso  il  legno ,  che  del  padre  Dauiio  1095 


290 


ENEIDH 


A  r  antica  magion  per  forza  il  trasse. 

Mezenzio  in  q[uesto  mentre  che  da  Y  ira 
Era  spinto  di  Giove,  ardente  e  fiero 
Entrò  nella  battaglia ,  e  i  Teucri  assalse 
Che  già'l  campo  tenean  superbi  e  lieti. 
Da  r  altro  canto  le  tirrene  schiere 
Mossero  incontro  a  lui.  Centra  lui  solo 
S*  unir  tutti  de'  Toschi  e  gU  odj  e  1*  armi. 
Ed  egli  a  tutti  opposto  alpestre  scoglio 
Sembrava,  che  nel  mar  si  si)orga,  e  i  flutti 
E  i  venti  minacciar  si  senta  intorno , 
E  non  punto  si  crolli.  Ognun  eh'  avanti 
O  r  ardir  gli  mandava  o  la  fortuna , 
A  piò  si  distendea.  Nel  primo  incontro 
Ebro  di  DoUcào ,  Làtago  e  Palmo 
Tolse  di  mezzo.  Ebro  passò  fuor  ftiori 
Con  un  colpo  di  lancia  :  il  volto  e*l  teschio, 
Un  gran  macigno  a  Làtago  avventando , 
Infranse  tutto  :  ambi  i  garretti  a  Palmo , 
Ch'  avanti  gli  fuggia ,  tronchi  di  netto , 
Lasciò  che  rampicando  a  morir  lunge 
A  suo  beli*  agio  andasse  ;  ma  de  V  armi 
Spogliollo  in  prima ,  e  la  corazza  in  collo 
E  r  elmo  in  testa  al  suo  Lauso  ne  pose. 
Uccise  dopo  questi  il  frigio  Evante; 
Poscia  Mimante  ch'era  pari  a  Pari 
Di  nascimento ,  e  d'  amor  seco  unito. 
D'Amico  nacque,  e  ne  la  stessa  notte 
Teana  la  sua  madre  in  luce  il  diede , 
Che  die  Paride  al  mondo  Ecuba  pregna 
Di  fatai  fiamma.  E  pur  V  un  d'  essi  ucciso 
Fu  ne  la  patria ,  e  1*  altro  sconosciuto 
Qui  cadde.  Era  a  veder  Mezenzio  in  campo 
Qual  orrido ,  sannuto ,  irto  cignale 
In  mezzo  a'  cani  allor  che  da  pinoti 
Di  Vesolo ,  o  da'  boschi  o  da'  pantani 
Di  Laurento  è  cacciato ,  ove  molt  'anni 

ti  sia  difeso;  eh' a  le  reti  aggiunto 
ì  ferma,  arruifa  gli  omeri,  e  fremisce 
Co  'denti  in  ^isa  che  non  è  chi  presso 
Osi  affrontarlo  ;  ma  co  'dardi  solo ,  * 
E  con  le  grida  a  man  salva  dintorno 
Gli  fan  tempesta.  Cosi  contro  a  lui 
Non  8  'arrischiando  le  nimiche  squadre 
Stringere  i  ferri ,  le  minacce  e  1'  armi 
Gli  avventavan  da  lungo:  ed  ci  frc^'oado 
Stava  intrepido  e  salto ,  e  con  lo  sondo 


1100 


690 


11 05 


ino 


1115 


1120 


702 


1125 


iii:o 


707 


1135 


IMO 


Liiiuo  di:;giHO  291 


uo 


Sbattea  de  Y  aste  il  tempestoso  nembo. 

Di  Gòrito  venuto  a  questa  guerr^i 
Era  un  greco  bantlito,  Acron  chiamato,  li ir> 

Novello  sposo  che  non  giunto  ancora 
Con  la  sua  donna  a  le  sue  nozze  il  follo  ' 
Ayca  r  armi  anteposte.  E  in  quella  mischia 
D**ostro  e  d'  or  riguardevole  e  di  penne , 
Sponsali  arnesi  e  doni,  ovmicme  andava  li...» 

Per  le  schiere  focea  strage  e  baruffa. 
Mezenzio  il  vide;  e  qual  digiuno  e  lìero 
Leon  da  fame  stimolato,  errando 
Si  sta  talor  sotto  la  mandra ,  e  rugge  : 
Se  poi  fugace  damma,  o  di  ramose  Hjrj 

Corna  gli  si  discopre  un  cervo  avanti,  720 

S'allegra,  apre  le  canne,  arruffa  il  dorso, 
Si  scaglia ,  ancide  e  sbrana  ;  e  *1  ceffo  e  1*  ugile 
D 'atro  sangue  s' intride  :  in  tal  sembiante 
Per  mezzo  de  lo  stuol  Mezenzio  altero  ijjj 

S  'avventa.  Acron  per  terra  al  primo  incontro 
Ne  va  rovescio  :  e  1*  armi  e  '1  petto  infranto , 
Sangue  versando,  e  calcitrancfo  spira. 

Morto  Acrone,  ecco  Orode  che  davanti 
Gli  si  toUe.  Ei  lo  segue  5  e  non  degnando  i^j 

Ferirlo  in  fuga,  0  che  fuggendo  occulto 
Gli  fosse  il  leritor,  io  giunge  c'I  passa, 
L' incontra ,  io  ;UOVoca ,  a  corpo  a  corpo 
Con  lui  s'  azzuifa  ;  che  di  forze  e  d'  armi 
Più  valua  che  di  iiK-to.  Al  llu  l 'atterra  ,  1  j  70 

E  l 'asia  e  'i  ijie  sOiJia  gì'  imprime,  0  dice  :      735 
Ecco  Oi-odc  <i  ciidato.  Una  gran  parte 
Giace  de  iì;  bailcióiia.  A  questa  voce 
Lieti  aizaiO  ^  conipagni  al  ciel  le  grida. 
Ed  ei  meiiLiC  spulava,  0  (disse  a  lui)  a::, 

Qual  che  tu  sii,  non  lia  senza  vendetta 
La  morte  mia:  nò  lungamente  altero 
N'  andrai  ;  che  dietro  a  me  nel  campo  stesso 
Cader  convienti.  A  cui  Mezenzio  un  riso 
Tratto  con  ira ,  Or  sii  tu  morto  intanto  1 1  ;.ì 

Ì Rispose)  e  quel  che  può,  Giove  disponga 
^oscia  di  me.  Così  dicendo ,  il  telo 
Gli  divelse  dal  corpo:  ed  ei  le  luci 
Chiuse  al  gran  bujo  ed  al  perpetuo  sonna 

Còdice  uccise  Alcàto.  Socratore  1185 

Uccise  Idaspe.  A  due  la  vita  tolse  7i7 

Rapo  ;  a  Partenio  ed  al  gagliardo  Orsone. 
Messapo  .r.Kih'e^li  a  duo  la  morto  diede: 
A  Clonio  da  cavallo  j  ad  Ericatc , 


20^  BKBIDH 

Ch*  era  pedone ,  a  piede.  Agi  di  Licia  1190 

Movendo  incontro  a  lui ,  fu  da  Valero 

Valoroso  e  de'  suoi  degno  campione 

A  terra  steso  :  Atron  da  Salio  anciso  ; 

E  Salio  da  Nealce  che  di  dardo 

Era  gran  feritore  e  grande  arciero.  1195 

D'ambe  le  parti  erano  morti,  e  Marte 
Del  pari;  e  parimente  i  vincitori 
E  i  vinti  ora  cadendo  ora  incalzando 
Seguian  la  zuffa  ;  nò  viltà,  né  fuga 
Né  di  qrua,  nò  di  là  vedeasi  ancora.  12CJ 

L  'ira ,  la  pertinacia  e  le  fatiche 
Erano  e  quinci  e  quindi  ardenti  e  vane. 
E  di  questi  e  di  quelli  avean  gli  Dei , 
Che  dal  elei  gli  vedeaa ,  pietà  e  cordoglio. 
Stava  di  aua  Ciprigna  e  di  là  Giuno  1205 

A  rimirarli  ;  e  pallida  fra  mezzo  76o 

Di  molte  mila  infuriando  andava 
La  neauitosa  Erinni.  Una  grand'  asta 
Prese  Mezenzio  un'  altra  volta  in  mano , 
E  turbato  squassandola,  del  campo  1210 

Piantossi  in  mezzo,  ad  Orion  simile 
Quando  co'  piò  calca  di  Nereo  i  flutti , 
E  sega  r  onde ,  con  le  spalle  sopra 
A  r  onde  tutte  ;  o  qual  da'  monti  a  l 'aura 
Si  spicca  annoso  corro  ,  e  '1  capo  asconde  1215 

Infra  le  nubi  In  tal  sembianza  armato 
Stava  Mezenzio.  Enea  tosto  che  '1  vede 
Ratto  incontro  ^li  muove.  Ed  egli  immoto 
Di  coraggio  e  di  corpo,  ad  aspettarlo 
Sta  qua!  pilastro  in  se  fondato  e  saldo.  1220 

Poscia  eh  a  tiro  d' asta  avvicinato 
Gli  fu  d'  avanti ,  O  mia  destra ,  o  mio  dardo , 
(Disse)  che  Dii  mi  siete ,  il  vostro  nume 
A  questo  colpo  imploro  :  ed  a  te ,  Lauso , 
Già  di  questo  ladron  le  spoglie  e  l' armi  1225 

Per  mio  trofeo  consacro.  E  cosi  detto ,  774 

Trasse.  Stridendo  andò  per  l' aura  il  telo  ; 
Ma  giunto ,  e  da  lo  scuao  in  altra  parte 
Sbattuto,  di  lontan  percosse  Autore 
Fra  le  costole  e  '1  fianco  ,  Autor  d' Alcide  1230 

Onorato  compagno.  Era  venuto 
D' Argo  ad  Evandro  :  e  qui  cadde  il  meschino 
D'  altrui  ferita.  Nel  cader  le  luci 
Al  ciel  rivolse ,  e  d'  Argo  il  dolce  nome 
Sospirando ,  le  chiuse.  Enea  con  1'  asta  1235 

Ben  tosto  a  lui  rispose.  E  lo  suo  scudo  787 


LIBRO  DECIMO  1^3 

—  -irr  '  •  ^ — rriiar     r 


t 


Percosse  anch'  egli ,  e  V  interzate  piastre 

Di  ferro  e  le  tre  cuoja  e  le  tre  falde 

Di  tela  ,  ond'  era  cinto ,  inflno  al  vivo 

Gli  passò  de  la  coscia.  Ivi  fermossi,  i840 

Che  più  forza  non  ebbe.  Ma  ben  tosto 

Ricovrò  con  la  spada .  e  fiero  e  lieto» 

Visto  già  del  nimico  il  sangue  in  terra 

E  '1  terror  ne  la  fronte ,  a  lui  si  strinse. 

Lauso ,  che  in  tanto  rischio  il  caro  padre  1245 

Si  vide  avanti ,  amor ,  tema  e  dolore 
Se  no  sentì  ^  ne  sospirò ,  ne  pianse. 
E  qui ,  giovine  illustre ,  il  caso  indegno 
De  la  tua  morte  e  '1  tuo  zelo  e  '1  tuo  ùl\0 
Non  tacerò  ;  se  pur  tanta  pietate  1250 

Pia  chi  creda  de'  posteri ,  e  d' un  figlio 
D' un  empio  padre.  Il  padre  a  si  gran  colpo 
Si  trasse  in  dietro  ;  che  di  già  ferito  » 
Benché  non  gravemente ,  e  da  l' intrico 
De  r  asta  imbarazzato ,  era  a  la  pugna  1255 

Fatto  inutile  e  tardo.  Or  mentre  cede, 
Mentre  che  de  lo  scudo  il  dardo  ostile 
Di  sferrar  s'argomenta,  il  buon  ganone 
Succede  ne  la  pugna ,  e  del  già  mosso 
Braccio  e  del  brando  che  stridente  e  grave  126^ 

Calava  per  ferirlo .  il  mortai  colpo  707 

Ricevè  con  lo  scudo  e  io  sostenne. 
E  perch'  agio  a  ritrarsi  il  padre  avesse  ^<^ 

Riparato  dal  figlio ,  i  suoi  compagni 
Secondar  con  le  grida;  e  con  un  nembo  1265 

D' armi ,  che  gli  avventar  tutti  in  un  tempo  f  . 

Lo  ributtare.  Enea  via  più  feroce  \ 

Infuriando  sotto  al  gran  pavese 
Si  tenea  ricoverto.  E  qua! ,  cadendo 
Grandine  a'  nembi ,  il  vlator  talora ,  1270 

Che  in  sicuro  a  1'  albergo  e  già  ridotto  i 
Ogni  agricola  vede,  ogni  aratore 
Fuggir  da  la  campagna  ;  o  qual  d' un  greppo 
D' una  ripa ,  o  d' un  antro  il  zappatore , 
Piovendo ,  si  fa  schermo ,  e  '1  sole  aspetta  1275 

Per  compir  l' opra  :  in  quella  stessa  guisa ,      107 
Tempestato  da  1'  armi  Enea  la  nube 
Sostenea  de  la  pugna  :  e  Lauso  intanto 
Minacciando  garria  :  Dove  ne  vai  ; 
Meschinello ,  a  la  morte  ?  A  che  pur  osi 
Più  che  non  puoi?  La  tua  pietà  t^ ingannai 
E  sei  giovine  e  soro,  Ei  non  per  questo , 
Folle ,  meno  insultava  ;  onde  più  crebbe 


1280 


1* 


« 


2P4  KNKinE 


U  ira  del  teucro  duce.  E  già  la  Parca , 

Vota  la  rocca  e  non  pien  anco  il  fuso,  1285 

11  suo  nitido  filo  avea  reciso. 

Trasse  Enea  de  la  spada ,  e  ne  lo  scudo  » 

Che  liev'  era  o  non  pari  a  tanta  forza , 

Lo  colpì ,  lo  passò ,  passògli  insieme 

La  veste  che  di  seta  e  d' or  contesta  1200 

Gli  avea  la  stessa  madre;  e  lui  por  mezzo       sia 

Trafìsse,  e  moribondo  a  terra  il  trasse. 

Ma  poscia  che  di  sangue  e  di  pallore 
Lo  vide  asperso  e  della  morte  in  preda', 
Ne  ^r  increbbe  e  ne  pianse;  e  di  paterna  1-  "* 

Pietà  quasi  una  imago  avanti  a  gli  occhi 
Veder  gli  parve ,  e  'ntenerito  il  core 
Stese  la  destra  e  sollcvollo  e  disse  : 
Miserabil  fanciullo!  e  quale  aita, 
Quale  il  pietoso  Enea  può  farti  onore  i  »  -'^ 

Degno  de  le  tue  lodi  e  del  presagio 
Che  n'  hai  dato  di  te  ?  L'  armi  che  tanto 
Ti  son  piaciute ,  a  te  lascio ,  e  '1  tuo  corpo 
A  la  cura  de'  tuoi ,  se  di  ciò  cura 
Ha  pur  r  empio  tuo  padre,  acciò  di  tomba  i305 

E  d  esequie  t  onori.  E  tu ,  meschino , 
Poiché  dal  grand'  Enea  morte  ricevi , 
Di  morir  ti  consola.  Indi  assecura , 
Sollecita ,  riprende ,  e  de  T  indugio 
Garrisce  i  suoi  compagni;  e  di  sua  mano  1310 

L 'alza ,  il  sostiene ,  il  terge  e  de  la  gora 
Del  suo  sangue  lo  traggo,  ove  rovescio 
Giace  languido  il  volto  e  lordo  il  crine , 
Che  di  rose  eran  prima  e  d' ostro  e  d'  oro. 

Stava  del  Tcbro  in  su  la  riva  intanto  1315 

Lo  sfortunato  padre,  e  la  ferita  833 

Già  lavata  ne  l' onde ,  afflitto  e  stanco 
S' era  con  la  persona  appo  d' un  tronco 
Per  posarsi  appoggiato  ;  e  Y  elmo  a  canto 
Da'  rami  gli  pendoa.  L' armi  più  gravi  1320 

Su'l  verde  prato  avean  posa  con  lui. 
Stivagli  intorno  de'  più  scelti  un  cerchio 
E  de'  più  Mi.  Ed  egli  anelo  ed  egro , 
Chino  il  collo  al  troncone  e  '1  mento  al  petto , 
Molto  di  Lauso  interrogava,  e  molti  2325 

Gli  mandava  or  con  proci  or  con  precetti, 
Ch'  al  mesto  padre  omai  si  ritraesse. 
Ma  già  vinto ,  già  morto  e  già  disteso 
Sopra  al  suo  scudo,  a  braccia  riportato 
Da'  suoi  con  molto  pianto  era  il  moschino.  1330 


1 


) 


Udì  Mezenzio  il  pianto ,  e  di  lontano 
(Come  del  mal  sovente  è  l'uom  presago) 
Morto  il  figlio  conobbe.  Onde  di  polve 
Sparso  il  canuto  crine ,  ambe  le  mani 
Al  ciel  alzando ,  al  suo  corpo  accostossi  :  1335 

Ah  mio  figlio  (dicendo) ,  ah  come  tanto  845 

Fui  di  vivere  ingordo ,  che  soffrissi 
Te  di  me  nato  andar  per  me  di  morte 
A  si  gran  rischio  ,  a  tal  nimica  destra 
Succeflendo  in  mia  vece  ?  Adunque  io  salvo         1340 
Son  per  le  tue  ferite  ?  Adunque  io  vivo . 
Per  la  tua  morte?  O  miserabil  vita! 
O  sconsolato  esigilo  !  Or  uuesto  è  T  colpo 
Ch*  al  cor  m'  è  giunto.  Ed  io ,  mio  flgho ,  io  sono 
Ch*  ho  macchiato  il  tuo  nome ,  ch'ho  sommerso  1345 
La  tua  fortuna  e'I  mio  stato  felice  85 1 

Co'  demeriti  miei.  Dal  mio  furore 
Son  dal  seggio  deposto.  Io  son  che  debbo 
Ogni  grave  supplizio  ed  ogni  morte 
A  la  mia  patria,  al  grand'  odio  de'  mici.  1350 

E  pur  son  vivo ,  e  gli  uomini  non  fliggo  ? 
E  non  fliggo  la  luce  ?  Ah  fuggiroUa 
Pur  una  volta.  E  cosi  dotto ,  alzossi 
Su  la  ferita  coscia.  E  benché  tardo 
l^or  la  piaga  ne  fosse  e  per  1'  angoscia ,  I35i, 

Non  per  questo  avvilito ,  un  suo  cavallo 
Ch'era  quanto  diletto  e  quanta  speme 
Avea  ne  l' armi ,  e  quel  che  in  ogni  guerra 
Salvo  mai  sempre  e  vincitor  lo  rese , 
Addur  si  fece.  K  poi  che  addolorato  .  '  1360 

Se'l  vide  avanti,  in  tal  guisa  gli  disse: 
Rcbo ,  noi  Siam  fin  crui  vissuti  assai , 
Se  pur  assai  di  vita  na  mortai  cosa. 
O^^gi  ò  quel  di  che  o  vincitori  il  capo 
Riporterem  d'  Enea  con  quelle  spoglie  13C5 

Che  son  de  V  armi  del  mio  fìllio  infette , 
E  che  tu  del  mio  duolo  e  de  la  morte 
Di  lui  vendicator  meco  sarai  ; 
0  che  meco  (se  vano  è  '1  poter  nostro) 
Finirai  panmente  i  giorni  tuoi:  1370 

Che  la  tua  fé  ,  cred'  io ,  la  tua  fortezza  865 

Sdegnoso  ti  farà  d' esser  soggetto 
A'  miei  nemici ,  e  di  servire  altrui 

Cosi  dicendo ,  il  consueto  dorso 
Per  se  mcdcsmo  il  buon  Rcbo  gli  offerse.  1375 

Ed  ei  r  elmo  ripreso ,  il  cui  cimiero  $6? 

Era  pur  di  cavallo  un*  irta  coda , 


139C 


206                                         BNKIDH 
•^*^^  ^_^ ^ 

•— — ^ ' 

StiTTi,  come  potè,  comodamente 

Vi  s'  adagiò.  Poscia  d' acuU  strali 

Ambe  carche  le  mani,  infra  le  schiere  1380 

LanciossL  Amor ,  vergogna ,  insania  e  lutto 

E  dolore  e  ftirore  e  coscienza 

Del  suo  stesso  valore  accolti  m  uno 

Gli  arsero  il  core  e  gli  avvampare  il  volto. 

Qui  tre  volte  a  gran  voce  Enea  sfidando  1385 

Chiamò  ;  che  tosto  udillo ,  e  baldanzoso , 
Cosi  piaccia  al  gran  Padre  (gli  rispose) 
Cosi  r  inspiri  Apollo.  Or  vien  pur  via , 

Ì Soggiunse).  E  ratto  incontro  gli  si  mosse. 
2d  egli  :  An  dispietato  !  a  che  minacci 
Già  cne  morto  e  '1  mio  figlio  ?  In  ciò  potevi 
Darmi  tu  morte.  Or  né  la  morte  io  temo , 
Né  gli  tuoi  Dei.  Mon  più  spaventi  Io  vengo 
Di  morir  desioso  :  e  ouesti  doni 
Ti  porto  in  prima.  EU  primo  dardo  trasse  :  1395 

Poi  r  altro  e  V  altro  appresso  :  e  via  traendo    882 
Gli  discorrea  d' intorno.  A  i  colpi  tutti 
Resse  il  dorato  scudo.  E  già  tre  volte 
V  un  girato  il  cavallo ,  e  r  altro  il  bosco 
Avea  de'  dardi  nel  suo  scudo  infìssi  ; 
Quando  il  figlio  d' Anchise ,  impaziente 
Di  tanto  indugio  e  di  sferrar  tant*  aste , 
Visto  '1  suo  disvantaggio ,  a  molte  cose 
Andò  pensando.  Al  fin  di  guardia  uscito 
Addosso  se  gli  spinse,  e  trasse  il  telo,  1405 

Si  che  del  corridore  11  teschio  infisse 
Jjd  mezzo  de  la  fronte.  Inalberossi 
'A  quel  colpo  il  feroce ,  e  calci  a  Y  aura 
Traendo ,  scalpitando ,  e  '1  collo  e  '1  telo 
Sco tendo,  s'intricò:  cadde  con  l'asta,  1410 

Con  r  armi ,  col  campione  a  capo  chino  894 

Tutti  in  un  mucchio.  Andar  le  grida  al  cielo 
De'  Latini  e  de  Teucri.  E  tosto  Enea 
Col  brando  ignudo  gli  fu  sopra  e  disse  : 
Or  dov'  è  quel  si  fiero  e  si  tremendo  1415 

Mezenzio  ?  Ov'  è  la  sua  tanta  bravura  ? 
E'  1  Tosco  a  lui ,  poiché  l' afflitte  luci 
Al  elei  rivolse,  e  seco  si  ristrinse; 
Crudele ,  a  che  m' insulti  ?  A  me  di  biasmo 
Non  e  eh'  io  muoja.  Ne  per  vincer  teco  1420 

Venni  a  battaglia.  Il  mio  Lauso  morendo 
Fé'  con  te  patto  che  morissi  anch'  io. 
Solo  ti  preeo  (  se  di  grazia  alcuna 
Bop  degni  I  vinti)  che  '1  mio  corpo  lasci 


MOO 


tiBBo  Ultimo 

Coprir  di  terra.  Io  so  gli  odj  immortali 
Che  mi  portano  i  miei.  Dal  tiiror  loro 
Ti  supplico  a  flottrarmi,  e  col  mio  figlio 
Consentir  eh'  io  mi  giaccia.  E  ciò  dicendo , 
La  gola  per  se  titesso  al  ferro  offerse  ; 
E  con  un  fiume  che  di  sangue  spai'so 
Sopra  r  anni  versò  l'anima  e  '1  uato. 


rm  ML  LmRO  DBcnu* 


LIBRO  UNDECIMO 


ykRGOMSNTO 

re -^ Iso  Uezenzlo,  Enea  vincitore  inalza  un  trofeo  a  Marte  ;  peseta  rl- 
)>nnda  con  gran  pompa  fùnebre  il  corpo  di  Fallante  alla  città  di  Evandro, 
d'^ve  lo  ricevono  con  universale  cordoglio,  1-99.  Intanto  ambasciatori  la- 
tini domandano  dodici  ffiomi  di  tregua  :  i  quali  essendo  concessi,  e  Troiani 
f  Latini  ricercano  i  cadaveri  de*  loro,  e  rendono  ad  essi  gli  ultimi  onori, 
!(<9'224.  Frattanto  Yenulo,  che  sul  principio  della  guerra  era  stato  mandato 
diti  Latini  a  Diomede  per  indurlo  a  far  lega,  ritorna  dicendo  ei^mrgU  stati 
uogtitl  i  soccorsi  per  combattere  una  genia  cara  agli  Dei,  2a5-29ft.  Latino 
in  assemblea  consultando  intomo  a  questa  guerra,  propone  che  si  man- 
dino oratori  ad  Enea  per  trattar  della  pace,  296-885.  Ivi  Dranoe  e  Turno, 
tier  odio  inveterato  che  era  fra  loro,  a  vicenda  si  caricano  dHngiurie,  886-444. 
Frattanto  Enea,  diviso  l'esercito  in  due,  manda  innanzi  perle  vie  aperta 
la  cavalleria  leggera;  ed  egli  per  luoghi  selvosi  e  montuosi  cerca  di  riu- 
roire  verso  la  parte  più  elevata  di  Laurcnto.  ▲  tal  notizia  Tadunanaa  si 
scioglie,  e  si  provvede  alla  difesa  della  città,  445-485.  Turno,  scoperto  per 
mezzo  degli  esploratori  il  disegno  d*Bnea,  divide  anch*egli  Tesercito  in 
due  ;  ordinando  che  la  cavalleria  guidata  da  Xessapo  e  da  Camilla  si  fkcda 
incontro  alla  cavalleria  nemica  :  ed  egli  coi  fkntl  si  mette  in  agguato  in 
certe  gole,  per  dove  Enea  necessariamente  doveva  passare,  486-581.  — 
Marrazlone  che  fa  Diana  intomo  alla  vergine  OamiUa.  nel  raccomandarla 
alla  ninfa  Opi,  588-596.  —  Soontiro  delle  due  cavallerie  e  vittoria  lunga- 
niente  indecisa,  697-647.  La  vergine  Camilla,  i  cui  splendidi  fitti  accre- 
pcono  per  qualche  tempo  II  coraggio  nei  Latini,  è  ucci<«a  insidiosamente 
d:i  Arunte,  648-885  ;  il  quale  poco  appresso  è  traflUo  da  una  freccia  di 
Opi,  686-867. 1  Butuli  Sgomentati  per  la  morte  di  Camilla  si  danno  alla 
fuga  ;  i  Troiani  si  dispongono  a  dar  Tassalto  868-895.  Di  che  Acca,  una 
aoinpagna  di  Camilla,  recando  la  notizia  a  Turno,  questi  abbandona  le 
ffi.l?  ove  si  teneva  in  agguato,  e  vola  in  aiuto  de*  suoi.  Enea  gli  tien  dietro  ; 
•  poiché  pel  sopraggiungere  della  notte  non  si  può  venire  alle  mani,  Tan 
•seròH»  6  raltro  simette  a  campo  dinanzi  a  Laureato,  896-815. 

Passò  la  notte  intanto,  e  già  dal  mare 
1       Sorgea  T  Aurora.  Enea  miantunque  fl  tempo^ 
!       L'  oTncio  e  la  pietà  più  lo  stringesse 
A  seppellire  i  suoi  ;  quantunque  offeso 
Da  tante  morti  il  cor  funesto  avesse;  5 

Tosto  che  *1  sole  apparve ,  il  voto  sciolse 
De  la  vittoria.  E  sovra  un  picciol  coUe 
Tronca  de*  rami  una  gian  quercia  eresse: 
De  r  armi  la  rinvolse ,  e  de  le  spoglie 
L' adomò  di  Mezenzio ,  e  per  trofeo  10 

A  te ,  gran  Marte ,  dedicoUa.  In  cima 
L' elmo  vi  pose ,  e  'n  su  r  elmo  il  cimiero 
Ancor  di  polve  e  d*  atro  sangue  asperso. 
T/  aite  d' mtomo  attraversata  e  rotto 


LIBRO  UNDECIMO  299 


Stnvnn  qiiai  secchi  rami;  e  '1  tronco  in  meazo        15 

Sostcnca  la  corazza,  che  smagliata 

E  da  dodici  colpi  era  trafìtta. 

Dal  manco  lato  gli  pendea  lo  scudo; 

Al  dcstr' omero  u  brando  era  attaccato. 

Che  •!  fodro  avea  d*  avorio  e  V  else  d'  oro.  20 

Indi  i  suoi  duci  e  le  sue  genti  accolte^  il 

Che  liete  gli  gridar  vittoria  intorno. 

In  cotal  guisa  a  confortar  si  diede: 

Compagni ,  il  più  s'  è  fatto.  A  quel  che  resta 
Nulla  temete.  Ecco  Mezenzio  è  morto  25 

Per  le  mie  mani;  e  queste  che  vedete, 
L' opime  spoglie  e  le  primizie  sono 
Del  superbo  tiranno.  Ora  a  le  mura 
Ce  n'  andrem  di  Latino.  Ognuno  a  V  armi 
S*  accinga  :  ognun  s'  alfldi ,  e  si  prometta  30 

Guerra  e  vittoria.  In  punto  vi  mettete: 
Che  quando  da  gli  augurj  ne  s' accenno 
Di  muover  campo ,  e  che  mestier  ne  sia 
D*  inalberar  V  insegne  ,  indugio  alcuno 
Non  e'  impedisca ,  o  '1  dubbio  o  la  paura  35 

Non  ci  ritardi.  In  questo  mezzo  a'  morti 
Diam  sepoltura,  e  quel  che  lor  dovuto 
E  sol  dopo  la  morte ,  eterno  onoro. 
Itone  adunque,  e  quell'anime  chiare 
Che  n'  han  col  proprio  sangue  e  con  la  vita  40 

Questa  patria  acquistata  e  jjuesto  impero, 
D'  ultimi  doni  ornate.  E  primamente 
Al  mesto  Evandro  il  figlio  si  rimandi. 
Che  di  virtù  maturo  e  d' anni  acerbo 
Così  n'ha  morte  indegnamente  estinto.  .    45 

Ciò  detto,  lagrimando  il  passo  volse  f8 

Ver  la  magione ,  u*  di  Fallante  il  corpo 
Dal  vecchiarello  Accte  era  guardato. 
Era  costui  già  del  parrasio  Evandro 
Donzello  d'  armi  ;  e  poscia  per  compagno  60 

Fu  (ma  non  già  con  sì  lieta  fortuna) 
Dato  al  suo  caro  alunno.  Avea  con  lui 
D'Arcadi  suoi  vassalli  e  di  Trojani 
Una  gran  turba.  Scapigliate  e  meste 
Le  donne  d' Ilio ,  si  com'  era  usanza .  55 

Gli  piangevano  intorno  :  e  non  fu  pnma  tB 

Enea  comparso,  che  le  strida  e  i  pianti 
Si  rinnovare.  Il  batter  de  le  mani, 
Il  suon  de'  petti ,  e  de  T  albergo  i  mugghi 
N'  andar  fino  a  le  stelle.  Ei  poiché  vide  60 

Il  suo  corpo  disteso ,  o  'I  Manco  volto , 


800  ENEIDE 


E  r  aperta  ferita  che  nel  petto 

Di  man  di  Turno  avea  larga  e  profonda, 

Lagrimando  proruppe:  0  miserando 

Fanciullo,  e  che  mi  vai  s' amica  e  destra  65 

Mi  si  mostra  fortuna?  E  che  m'ha  dato, 

Se  te  m'ha  tolto?  Or  che  vincendo  ho  fatto? 

Che  regnando  farò ,  se  tu  non  godi 

De  la  vittoria  mia ,  né  del  mio  regno  ? 

Ah  !  non  fec'  io  queste  promesse  allora  70 

Al  buon  Evandro ,  eh'  a  1'  acquisto  venni 

Di  questo  impero.  E  ben  temette  il  saggio, 

E  ben  ne  ricordò  che  duro  intoppo , 

E  d' aspra  gente  avremmo.  E  forse  ancora 

Il  meschino  or  fa  voti  e  preci  e  doni  75 

Per  la  nostra  salute ,  e  vanamente  50 

Vittoria  s' impromette.  E  noi  con  vana 

Pompa  gli  rijportiam  questo  infelice 

Giovine  di  già  morto ,  e  di  già  nulla 

Più  tenuto  a'  GelestL  Ahi  sconsolato  80 

Padre  !  vedrai  tu  dunque  una  si  cruda 

Morte  del  figlio  tuo  ?  Questo  ritomo , 

Questo  trionfo  (oimà  !ì  d' ambi  aspettavi  ? 

E  da  me  questa  fede?  0  pur,  Evandro, 

No  '1  vedrai  già  di  vergognose  piaghe  85 

Ferito  il  tergo  ;  e  non  ^li  arai  tu  stesso  so 

(Se  con  infamia  a  te  vivo  tornasse) 

A  desiar  la  morte.  Ahi  quanto  manca 

Al  sussidio  d' Italia ,  e  quanto  perdi , 

Mio  figlio  Julo  !  E  posto  al  pianto  fine , 

Ordine  die  che  1  miserabil  corpo 

Via  si  togliesse  ;  e  del  suo  campo  tutto 

Scelse  di  mille  una  pregiata  schiera 

Che  scorta  gli  facesse  e  pompa  intomo , 

E  d' Evandro  a  le  lagrime  assistesse,  95 

E  le  sue  gli  mostrasse  :  a  tanto  lutto 

Assai  debu  conforto ,  e  pur  dovuto 

Al  suo  misero  padre.  Altri  al  suo  corpo, 

Altri  a  la  bara  intenti  avean  di  quercia, 

D' arbuto  e  di  tali  altri  agresti  rami  100 

Fatto  un  feretro  di  virgulti  intesto, 

E  di  frondi  co|)erto,  ove  altamente 

Del  giovinetto  il  delicato  busto 

Composto  si  giacea  qual  di  viola , 

0  di  giacinto  un  languidetto  fiore  105 

Colto  per  man  di  vernne .  e  serbato 

Tra  le  sue  stesse  fogUe  allor  che  scemo 

Non  è  del  tutto  11  suo  natio  goVt^^ 


90 


1113 aO   UNDEGIMO  3Ó1 


Né  la  sua  forma  ;  e  pur  da  la  siia  madre 

Punto  di  cibo  o  di  vigor  non  ave.  110 

Enea  due  preziose  vesti  intanto,  71 

L*una  djjsr  uno  e  V  altra  di  scarlatto, 
Addur  si 'fece  :  ambe  ornamenti  e  doni 
De  la  sidonia  Dido,  e  da  lei  stessa 
Con  dolce  sturilo  e  con  mirabil  arte  ile 

Ricamate  e  distinte.  E  Tuna-in  dosso 
Gli  pose ,  e  V  altra  in  capo ,  ultimo  onoro 
Con  che  dolente  la  dorata  chioma 
Allor  velògli ,  eh*  era  additta  al  foco. 
De  le  prede  oltre  a  ciò  di  Laùrento  12 

Gli  fan  gran  parte.  Fagli  in  ordinanza  78 

Spiegar  Tarmi,  i  cavalli  e  l'altre  spoglie 
Tolte  a'nimicì.  Gli  fa  gir  ledati 
Con  le  man  dietro  i  destinati  a  morte 


zQ 


Per  onoranza  del  funereo  ro^o.  123 

Portar  gli  fa  davanti  a  i  duci  loro 

L' armi  a  i  tronchi  sospese ,  e  i  nomi  scritti 

De  gli  uccisi  e  de'  vinti.  Il  vecchio  Acete 

Che ,  si  com'  era  aiUitto  e  d' anni  erravo , 

Gli  era  appresso  condotto,  or  con  Te  pugna  130 

Si  battea  '1  petto ,  ed  or  con  l'uraa  u  volto 

Si  lacerava ,  e  tra  la  polve  e  '1  fango 

Si  volgea  tutto.  Ivano  i  carri  aspersi 

Del  sangue  de' Latini.  Iva  lu^bre 

E  d*  ornamenti  ignudo  Eto ,  il  più  fido  135 

Suo  cdval  da  battaglia ,  che  gemendo 

In  giiisa  umana  8  lagrimando  andava. 

Seguian  le  meste  squadre  1  Teucri,  i  Toschi 

E  gli  Arcadi  con  1'  armi  e  con  l'insegne 

Rivolte  a  terra.  Or  poi  eh'  oltre  passata  1 10 

Con  quest'  ordine  fu  la  pompa  tutta;  04 

Enea  fermossi ,  e  verso  il  morto  amico 

Ad  alta  voce  sospirando  disse: 

Noi  quinci  ad  altre  lagrime  chiamati 
Dal  medesimo  fato ,  alti'e  battaglie  145 

Imprenderemo.  E  tu,  magno  Pallante, 
Vattene  in  pace,  e  con  etema  gloria 
Godi  etemo  riposo.  Indi  partenao 
Ver  r  alte  mura ,  ài  campo  si  ritrasse. 

Eran  nel  campo  già  co'  rami  avanti  150 

Di  pacifera  oliva  ambasciadori 
De  la  città  latina  a  lui  venuti, 
Che  tregua  a'  vivi  e  sepoltura  a'  morti 
Pregando ,  gli  mostrar  che  più  co'  vinti 
Nò  00*  morti  è  contrasto ,  e  che  Latino  155 


302  e>:i::ide 


Gli  era  d'ospizio  amico,  e  che  chinmato  103 

L'avea  genero  in  prima.  Il  buon  Tr(\jano 

A  le  giuste  preghiere ,  a  i  lor  quesiti , 

Che  di  grazia  eran  degni,  incontanente 

Grazioso  mostrossi:  e  da  vanta;j:gio  16( 

Cosi  lor  disse  :  E  qual  indegna  sorte 

Centra  me,  miei  Latini,  in  tanta  guerra 

Cosi  v'  intrica  ?  che  "pur  vostro  amico 

Son  qui  venuto;  né  venuto  ancora 

Vi  sarei,  se  da' fati  e  da  gli  Dei  idi 

Mundato  io  non  vi  fossi.  E  non  pur  pace, 

Siccome  voi  chiedete,  io  vi  concedo 

Per  color  che  son  morti  ;  ma  co'  vivi 

Ve  l'offro,  e  la  vi  chieggo.  E  la  mia  guerra 

Non  è  con  voi  :  ma  '1  vostro  re  s' è  tolto  17( 

Da  l'amicizia  mia;  s'è  confidato  113 

Più  ne  r  armi  di  Turno.  E  Turno  ancora 

Meglio  e  più  giustamente  in  ciò  farebbe, 

S'a  questa  guerra  sol  con  suo  periglio 

Ponesse  fine.  E  poiché  si  dispose  171 

Di  cacciarmi  d'Italia,  il  suo  dovere 

Fora  stato  che  meco ,  e  con  quest'  armi 

Difinita  r  avesse.  E  saria  visse 

Cui  la  sua  propria  destra,  e  Dio  concesso 

Più  vita  avesse  ;  e  i  vostri  cittadini  i8< 

Non  sarien  morti.  Or  poiché  morti  sono , 

Io  me  ne  dol^o ,  e  voi  gli  seppellite. 

Restaro  al  dir  d'  Enea  stupiai  e  cheti 
I  latini  oratori,  e  l'un  con  l'altro 
Si  guardarono  in  volto.  Indi  il  più  vecchio,  i 

Drance  nomato ,  a  cui  Turno  fu  sempre 
Per  sua  natura  e  per  sua  colpa  in  ira , 
Rotto  il  silenzio  in  tal  guisa  rispose  : 
O  di  fama  e  più  d*  arme  eccelso  e  ^an  io 
Trojano  Eroe ,  qual  mai  fia  nostra  lode  ' 

Che'l  tuo  gran  morto  agguagli?  E  di  che  p:  ima  iììò 
Ti  loderemo?  ch'io  non  veggio  gnale 
In  te  maggior  si  mostri ,  o  la  giustizia , 
O  la  gloria  do  l' armi.  A  qiiesta  tanta 
Grazia  che  tu  ne  fai ,  grati  saremo  : 
Rapporto  ne  faremo;  e  s'al  consiglio 
Nostro  è  fortuna  amica ,  amico  ancora 
Ti  fia  Latino.  E  cerchisi  d'altronde 
Turno  altra  lega.  A  noi  co'  sassi  in  collo 
Gioverà  di  trovarne  a  fondar  vosco  2\m 

Questa  vostra  fatai  novella  Troja. 

Poiché  Drance  ebbe  detto ,  a  i  detti  suoi 


LlBilO   LSDl'CJMO 


Tutti  gli  altri  fremendo  acconsentirò, 
E  per  ti  odici  di  commercio  e  paca 
Fu  tra  r  un  oste  e  1"  altro.  E  senza  offesa 
Entrambi  si  mischiare,  e  per  gli  monti 
E  per  le  selve  a  lor  diletto  andaro. 
Allor  sonare  accette ,  e  strider  carri 
Per  tutto  udissi.  In  ogni  parto  a  terra 
Ne  giro  i  corri  e  gli  orni  e  gli  alti  pini 
E  gli  odorati  cedri  al  ftmebre  uso 
Svelti,  squarciati  e  tronchi.  E  già  la  fama. 
Che  di  Fallante  a  Pallantèo  volata 
Dicea  pria  le  suo  prove ,  e  vincitore 
L' avea  gridato,  or  d' ogni  parto  grida 
Che  morto  si  riporta.  In  ciò  commossa 
La  città  tutta  in  vedovile  aspetto 
Di  funeste  facclle  ,  e  d' atri  panni 
Si  vide  piena;  e  ver  le  porte  ognuno 
Gli  uscirò  incontro.  Si  vedea  di  lumi 
E  di  genti  una  Aia  che  le  strade 
E  i  campi  in  lunga  pompa  attraversava. 

I  Frigi  e  gli  altri  col  suo  corpo  intanto 
Piangendo  ne  venian  da  l' altra  parte , 
E  con  pianto  incontrarsi.  Indi  rivolti 
Tutti  ver  la  città ,  non  pria  fur  giunti 
Che  di  pianti  di  donne  e  d' ululati 
Hisonar  d'ognintorno  il  cielo  udissi. 

Kè  forza ,  né  consiglio ,  né  decoro 
Fu  eh'  Evandro  tenesse.  Usci  nel  mezzo 
Di  tutta  gente;  e  la  funerea  bara 
Fermando ,  addosso  al  liglio  in  abbandono 
Si  gittò,  l'abbracciò,  stretto  lo  tenne 
Lunga  fiata,  e  da  l'angoscia  oppresso 
Pria  lacrimando ,  e  sospirando  tacque. 
Poscia  la  strada  al  ^ran  dolore  aperta 
Cosi  proruppe;  0  mio  Pallante,  e  queste 
Fur  le  promesse  tuo,  quando  partendo 

II  tuo  padre  lasciasti?  In  questa  guisa 
D'esser  jjuardingo  e  cauto  mi  dicesti 
Ke' perigli  di  Marte?  Ah!  ben  sapeva. 
Ben  sapev'  io  quanto  ne  I"  armi  prime 
Fosso  in  cor  generoso  ardente  e  dolce 
Il  desìo  de  la  gloria  e  de  l'onore. 
Primizie  infauste,  infausti  fondamenti 
De  la  tua  gioventù.!  Vane  preghiere, 
Voti  miei  non  accetti  e  non  intesi 

ìi'i  ■limi  Dio!  R;tiilis=ima  consorte. 
Clic  ;]ii):\..;ilu  tii-.^isti  uu  dolor  tale, 


304  BNBIDB 

*— — — i—  I    I  II     I     . 

Quanto  sei  tu  di  tua  morte  felice!  21 

Quanto  infelice  e  misero  son  io,  150 

Che  vecchio  e  padre  al  mio  diletto  figlio 
Sopravvivendo ,  i  miei  fati  e  i  miei  giorni 
Prolungo  a  mio  tormento!  Ah!  foss'io  stesso 
Uscito  co'  Troiani  a  questa  guerra  :  21 

Ch'io  sarei  morto;  e  questa  pompa  avrebbe 
•    Me  cosi  riportato,  e  non  Fallante. 
Né  per  questo  di  voi,  né  de  la  lega, 
Né  de  r  osi)izio  vostro  io  mi  rammarco , 
Trojan!  amici.  Era  a  la  mia  Vecchiezza  2< 

Questa  sorte  dovuta.  E  se  dovea  105 

Cader  mio  figlio  perché  tanta  strage 
Io  vedessi  de^  Volsci ,  e  perché  Lazio 
Fosse  a' Teucri  soggetto,  in  pace  io  soffro 
Che  sia  caduto.  E  più  compito  onore  2i 

Non  aresti  da  me ,  Fallante  mio , 
Di  questo  che  '1  pietoso  e  magno  Enea 
E  i  suoi  magni  Trojani  e  i  Toschi  duci 
E  tutte  insieme  le  toscane  genti 
T' han  procurato.  Con  si  gran  trofei  21 

Del  tuo  valor  si  chiara  mostra  han  fatto, 
E  de*  vinti  da  te.  Né  fora  meno 
Tra  questi  il  tuo  gran  tronco ,  s' a  te  fosse , 
Turno ,  stato  d' età  pari  il  mio  figlio , 
E  par  de  la  persona  e  de  le  forze  2^ 

Che  no  dan  gli  anni.  Ma  che  più  trattengo 
!  Quest'  armi  a'  Teucri  ?  Andate ,  e  da  mia  parte 

j  Riferite  ad  Enea ,  che  quel  eh*  io  vivo 

!  Dopo  Fallante ,  é  sol  perché  V  invitta 

{  Sua  destra  (come  vede)  al  figlio  mio  2^ 

I  Ed  a  me  deve  Tuma  E  questo  solo 

,  Gli  manca  per  colmar  la  sua  fortima 

}  E  '1  suo  gran  morto  ;  che  per  mio  contento 

i  No  '1  curo  ;  e  contentezza  altra  non  deggio 

Sperare  io  più,  che  di  portare  io  stesso  2i 

Questa  novella  di  Fallante  a  l'ombra.  isi 

Avea  r  Aurora  col  suo  lume  intanto 
n  giorno  e  l' opre  e  le  fatiche  insieme 
Ricondotte  a'  mortali.  Il  padre  Enea 
E  '1  buon  Tarconte,  ambi,  in  su'l  curvo  lito         2i 
I  cadaveri  addotti ,  a'  suoi  ciascuno , 
Gom'<6ra  l'uso,  un' alta  pira  eresse, 
La  compose  e  1*  incese.  E  mentre  il  foco 
Di  fumo  e  di  caligine  coverto 
Tenea  l'aere  intorno;  in  ordinanza  2S 

Tre  volte  armati  a  piò  la  circoudaro , 


LIBRO   UNDEGIMO  306 


E  tre  volte  a  cavallo ,  in  mesta  guisa 

Ululando ,  piangendo ,  e  V  armi  e'  1  suolo 

Di  lagrime  spargendo.  Infìno  al  cielo 

Penetrar  de  le  genti  e  de  le  tube  300 

I  dolorosi  accenti.  Altri  gridando  ì9% 

Le  pii'e  intorno ,  elmi ,  corazze  e  dardi 

E  ben  guarnite  spade  e  freni  e  ruote 

Avventaron  nel  luco ,  e  de'  nomici 

Armi  d'ogni  maniera,  arnesi  e  spoglie;  305 

Altri  i  lor  propri  doni ,  e  de  gli  uccisi 

Medcsmi  vi  gittàr  l'aste  infelici, 

E  gl'infelici  scudi,  ond' essi  in  vano 

S'  eran  difesi.  A  le  catasto  intomo 

Molti  gran  buoi,  molti  setosi  porci,  310 

Molte  fur  pecorelle  uccise  ed  arse. 

A  si  mesto  spettacolo  in  su  '1  lito 

Stavan  altri  piangendo,  altri  osservando 

Ciascuno  i  suoi  più  cari  infìn  che  '1  foco 

Gli  consumasse.  K  questi  Tossa,  e  quelli  315 

Le  ceneri  accoiiliondo ,  il  giorno  tutto 

In  si  pietoso  ofticio  trapassare: 

INO  se  ne  tolser  lìnchò,  spenti  i  fochi, 

Non  s' acceser  lo  stelle.  In  altra  parte 

I  miseri  Latini  a  i  corpi  loro  320 

Fer  catasto  inlinite.  Altri  sotterra  208 

No  seppellirò:  altri  a  le  ville  intomo, 

Ed  altri  a  la  città  ne  trasportaro. 

E  quei  clie  senza  numero  confusi    . 

Giacean  nel  campo,  senza  onore  a  mucchi  325 

Furon  combusti:  onde  i  villaggi  insieme 

E  le  campagne  di  funesti  incendi 

Lncean  por  tutto.  E  tre  luci,  e  tre  notti 

Durar  gli  afTlitti  amici  e  i  dolorosi 

Parenti  a  ricercar  le  tiepid'ossa,  330 

E  ne  r  urne  riporlo  e  ne'  sepolcri.  tii 

Ma  la  confusione  e  '1  pianto  e  '1  duolo 
Era  ne  la  città  por  la  più  parte, 
E  ne  la  roggia  a  re  Latino  avanti. 
Qui  le  madri,  le  ìuiorc,  le  sorelle  335 

E  i  miseri  jìupilli,  elio  de* padri. 
De'  figli,  do'  mariti  o  de' fratelli 
Erano  in  questa  guerra  orbi  rimasi , 
La  guerra  ahbominavano,  e  le  nozze 
Dctestavan  di  Turno.  Ei  da  sé  stesso ,  340 

Dicendo,  ci  che  d'Italia  al  regno  aspira, 
E  le  grandezze  e  i  primi  onori  agogna, 
Con  r  armi  e  col  suo  sangue  Io  s' acquisti , 

Dell'Eneide  ^ 


306 


ENEIDE 


E  non  col  nostro.  In  ciò  Drance  aggravando 

Vie  più  le  cose ,  come  a  Turno  infesto ,  345 

Attestando  dicea  che  sol  con  Turno 

Volea  briga  il  Troiano,  e  che  sol  esso 

Era  a  pugna  con  lui  cerco  e  chiamato. 

Altri  d  altro  parere  altre  ragioni 

Dicean  per  Turno;  e  T  gran  nome  d' Amata  350 

E  '1  suo  favore  e  di  lui  stesso  il  merto  223 

Con  la  fama  de'  suoi  tanti  trofei 

Sostenean  la  sua  causa.  Ed  ecco  intanto 

Che  cosi  si  tumultua  e  si  travaglia , 

Mesti  sopravvenir  gì'  imbasciadori  355 

Che  in  Arpi  a  Diomede  avean  mandati; 

E  riportar  che  le  fatiche  e  i  passi 

Avean  perduti;  che  ne  dono  alcuno, 

Né  promesse ,  né  preci ,  né  ragioni 

Furon  bastanti  ad  impetrar  soccorso  360 

Né  da  lui ,  né  da'  suoi.  Gh'  era  d' altronde 

Di  mestiero  a*  Latini  avere  altr'  armi , 

O  trattar  co'  nimici  accordo  e  pace. 

Gran  cordoglio  sentinne ,  e  gran  rammarco 
Ne  fece  il  re  Latino.  E  ben  conobbe  365 

Che  manifestamente  Enea  da'  Fati 
Era  portato  ;  e  via  più  manifesta 
Si  vedea  de  gli  Dei  l' ira  davanti 
In  tanta  che  de'  suoi  ne  gli  occhi  avea 
Strage  recente.  Il  gran  Consiglio  adunque,  370 


^■^5 


oé. 


3S0 


E  de' suoi  primi  ne  la  regia  corte  234 

Chiamar  si  fece.  In  un  momento  piene 

Ne  fur  le  strade  ;  e  di  già  tutti  accolti 

Ne  la  gran  sala ,  il  re  di  grado  e  d' anni 

Il  primo ,  a  tutti  in  mezzo ,  in  non  sereno 

Sembiante  comandò  che  primamente 

I  Legati  che  d' Arpi  eran  tornati, 

Fossero  uditi  ;  ed  a  lor  volto  disse  : 

Esponete  per  ordine  il  seguito 

De  la  vostra  imbasciata,  e  la  risposta 

Che  ritratta  n'  avete.  A  tal  precetto 

Tacquero  tutti;  e  Venolo  sorgendo 

Cosi  pria  cominciò:  Noi  dopo  molti 

Superati  pericoli  e  fatiche. 

Egregi  cittadini,  al  campo  argivo 

Ne  la  Puglia  arrivammo;  e  Diomede 

Vedemmo  al  fine  ;  e  queir  invitta  destra 

Toccammo^  ond'è'l  grand' Ilio  arso  e  distrutto. 

In  Japigia  il  trovammo  a  le  radici 

Del  gran  monte  Gargano ,  ove  fondava  390 


oor 


;>sò 


Ai 


LIBRO  UNDKCIMO  807 


r— 


Già  vincitore  Argiripa,  una  terra 
Che  dal  patrio  Argirippo  ha  nominata. 
Intromessi  che  fummo ,  il  presentammo  ; 
Gli  esponemmo  la  patria ,  il  nome  e  '1  fine 
De  la  nostra  imbasciata,  e  la  cagione 
Onde  a  lui  venivamo,  n  tutto  udito , 
Cosi  benignamente  ne  rispose: 

O  fortunate  genti ,  o  di  Saturno 
Felice  regno ,  e  de  gli  antichi  Ausoi\} 
Famosa  terra  !  E  quale  iniqua  sorte  400 

Da  la  vostra  quiete  or  vi  sottragge  ? 
Qual  consìglio ,  qual  forza  vi  costringe 
Di  nemicarvi ,  e  guerreggiar  con  gente 
Che  non  v'  è  nota  ?  Noi  quanti  già  fummo 
Gol  ferro  a  violar  di  Troja  i  campi  405 

ÌNon  parlo  de  gli  strazj  e  de  le  stragi  955 

)i  quei  che  vi  rimasero^  che  pieni 
Ne  sono  i  fossi  e  i  fìumi) ,  ma  quanti  anco 
N'  uscimmo  con  la  vita ,  in  ogm  parte 
Siani  poi  giti  del  mondo  tapinando ,  410 

Con  nefandi  supplicj  e  con  atroci 
Morti  pagando  il  fìo ,  come  d' im  grave 
E  scelerato  eccesso.  E  non  ch'altrui, 
Priamo  stesso  a  pietà  mosso  avrebbe 
n  fiero ,  che  di  noi  s' è  fatto ,  scempia  415 

Di  Palla  il  sa  la  sfortunata  stella; 
Sallo  il  vendicator  Gafàreo  monte , 
E  gli  eùboici  scogli  :  il  san  di  Proteo 
Le  longinque  colonne ,  insino  a  dove 
Dopo  quella  milizia  andò  ramingo  420 

L*  un  de'  figli  d' Atrèo.  D' Etna  i  Ciclopi  Wi 

Ne  vide  Uhsse.  n  suo  regno  a'  suoi  servi 
Ne  lasciò  Pirro.  Idomenèo  cacciato 
Ne  fu  dal  patrio  segete.  Esso  re  stesso 
Gondottier  de  gli  Achivi  il  piede  a  pena  425 

Nel  suo  regno  ripose ,  che  nel  regno , 
Del  letto  e  de  la  vita  anco  privato 
Fu  da  la  scelerata  sua  consorte. 
Né  gli  giovò ,  che  doma  V  Asia  e  spento 
L' uno  adultero  avesse ,  che  de  V  altro  430 

Scherno  e  preda  rimase.  A  me  T  invidia 
Ha  de  gli  Dei  di  più  veder  disdetto 
La  mia  bella  citta  di  Galidona, 
E  la  mia  cara  e  desiata  donna. 
Né  di  ciò  sazi,  orribili  spaventi  435 

Mi  danno  ancora.  E  pur  dianzi  in  atigeili        9tt 
Conversi  i  miei  compagni  (o  miseranda 


30S  ENEIDE 


Lor  pena  !  )  vau  per  V  aura  e  per  gli  scogli 

Di  lagrimosi  accenti  il  cielo  empiendo. 

Questi  sono  i  profitti  e  le  speranze  440 

Ch'io  fin  qui  ne  ritraggo,  da  che,  folle I 

Stringer  contro  a'  Celesti  il  ferro  osai , 

E  che  di  Citerea  la  destra  offesi. 

Or  eh'  io  di  nuovo  una  tal  pugna  imprenda 

Testé  con  voi?  no  no,  ch'io  co'Trojani,  445 

Dopo  Troja  espugnata,  altra  cagione 

Non  ho  di  guerra;  e  de* passati  mali 

Volentier  mi  dimentico ,  e  dolore 

Ancor  ne  sento.  E  criuinto  a' doni,  andate, 

Riportateli  vosco,  e  1  magno  Enea  450 

Ne  presentate.  E  solo  a  me  credete 

Del  valor  suo ,  che  fui  con  esso  a  fronte 

Con  r  armi  in  mano  ;  e  so  di  scudo  e  d*  asta 

Qual  mi  rese  buon  conto,  e  quanto  vaglia. 

Se  due  tali  altri  avea  la  terra  Idea,  455 

D'Ida  fora  più  tosto  ita  la  gente  M^ 

Ai  danni  de  la  Grecia;  e'I  trojan  fato 

Piangerebb'  ella.  Enea  sol  con  Ettorre 

Fu  la  cagion  che  tanto  s' indurasse 

La  mina  di  Troja ,  e  che  dieci  anni  460 

Durammo  a  conqruistarla.  Ambedue  questi 

Eran  di  cor,  di  lorze  e  d'arme  eguali; 

Ma  ben  fu  di  piotate  Enea  maggiore. 

10  vi  consiglio  che,  comunque  sia, 

Lega  seco,  amicizia  e  pace  aggiate,  465 

E  rincontro  fuggiate  e  Tarmi  sue. 

Questa  è  la  sua  risposta;  e  quinci  avete 

Ottimo  re ,  qual  sia  di  questa  guerra 

n  suo  parere  e  *1  nostro.  A  pena  uditi 

Furo  i  Lesati ,  che  bisbiglio  e  fremito  470 

Infra  i  turbati  Ausonj  udissi,  in  guisa     • 

Che  di  rapido  fiume  un  chiuso  gorgo 

Mormora  allor  che  fra  gli  opposti  sassi 

S'  apre  la  strada ,  e  gorgo§:liando  cade , 

E  frange  e  rugghia  e  le  vicine  ripe  475 

Ne  risonan  d' intorno.  Or  poiché  un  poco         S09 

Restò '1  tumulto,  e  gli  animi  acquetarsi. 

Gli  Dei  prima  invocando ,  un'  altra  volta 

11  re  da  1'  alto  seggio  a  dir  riprese  : 

Latini  miei ,  lo  mio  parere  e  '1  meglio  480 

Sarebbe  stato ,  che  d' un  tanto  aflEkre 
Si  fosse  prima  consultato ,  e  fermo 
n  nostro  avviso;  e  non  chiamar  consiglio , 
Quando  il  nimico  in  su  le  porte  avemo. 


LlùilO    UNDECIMO  309 


Una  importuna  e  perigliosa  guerra  485 

S' è ,  cittadini ,  impresa ,  e  per  nimica 

Tolta  una  gente,  che  dal  ciel  discesa 

Da'  Celesti  e  da'  Fati  è  qui  mandata  ; 

Feroce ,  insuperabile ,  indefessa , 

Ne  Tarmi  invitta,  che  nò  vinta  ancora  490 

Cessa  dal  ferro.  Se  speranza  alcuna 

Ne  gli  esterni  soccorsi  e  ne  V  aita 

Aveste  de  gli  Etoli,  ora  del  tutto 

La  deponete  ;  e  sia  speme  a  se  stesso 

Ciascun  per  se.  Ma  noi  per  noi,  che  speme  495 

E  che  possanza  avemo?  Ecco  davanti  soo 

A  gli  occhi  vostri ,  e  fra  le  vostre  mani 

Vedete  la  strettezza  e  la  ruina 

In  che  noi  siamo.  Nò  però  ne  *ncolpo 

Alcun  di  voi.  Tutto  '1  valor  s'  è  mostro  500 

Che  mostrar  si  potea:  con  tutto!  corpo, 

E  con  quanto  ha  di  forza  il  nostro  regno 

S' è  combattuto.  Or  quale  in  tanto  dubbio 

Sia  la  mia  mente ,  udite.  È  nel  mio  stato 

Vicino  al  Tebro  un  territorio  antico,  505 

Che  in  ver  V  occaso  per  lunghezza  attinge       siu 

Fin  dove  de'  Sicani  era  il  <:onfìne. 

Da  gli  Rutuli  è  colto  e  da  gli  Aurunci, 

Che  i  duri  colli  e  i  più  deserti  paschi 

Ne  tengon  da  V  un  canto.  A  questo  aggiungo         510 

Quella  piaggia  di  pini  e  guella  costa 

De  la  montagna.  E  tutto  è  mio  disegno 

Che  si  ceda  a'  Trojani ,  e  eh'  amicizia , 

Accordo  e  patti  e  lega  e  leggi  o^ali 

Abbiam  con  essi.  E  q;ui ,  s' a  qui  fermarsi  515 

Sono  0  da' fati  o  dal  desire  indotti, 

Ferminsi;  e  i  loro  alberghi  e  le  lor  mura 

Fondino  a  lor  diletto.  E  s' altra  parte 

Cercano  ed  altre  genti  (  se  pur  ponno 

Torsi  da  noi  )  quando  di  venti  navi,  520 

0  di  più  sovvenir  ne  gli  bisogni , 

$u  la  stessa  marina  appareccniata 

E  la  materia.  Essi  de'  legni  il  modo, 

E'I  numero  diranno;  e  noi  le  selve. 

La  maestranza,  i  ferramenti  e  tutto  525 

Che  fia  lor  di  mestiero  appresteremo.  W9 

Con  questa  offerta  io  manderei  de'  primi 

De  la  nostra  città  cento  oratori 

Co'  rami  de  la  pace ,  col  mandato 

Di  contrattarla ,  co'  presenti  appresso  530 

D' avorio  e  d' oro ,  e  col  seggio  e  col  manto 


310  BNHIDB  j^ 

Del  nostro  regno.  Consultate  or  voi , 
Ed  a  r  afflitte  e  mal  condotte  cose 
D*  aita  provvedete  e  di  soccorso. 

Surse  allor  Drance ,  quei  che  già  s' è  detto         535 
Avversario  di  Tiu*no.  Era  costui 
Del  re^o  de'  Latini  un  de'  più  ricchi 
E  de*  più  riputati  cittadini , 
Di  fozion,  di  seguito  e  di  lingua 
Possente  assai  ;  ne  le  consulte  avuto  540 

Di  qualche  stima  ;  nel  mestier  de  T  armi 
Codardo  anzi  che  no.  La  sua  chiarezza 
E 1  suo  fausto  venia  da  la  sua  madre 
Gh*  era  d*  alto  legnaggìo.  n  padre  a  pena 
Era  noto  a  le  genti.  Or  questi  infesto  545 

A  la  gloria  di  Turno ,  asperso  il  core  sse 

D*  amarezza  e  d' invidia ,  in  questa  guisa 
n  suo  fatto  aggravando»  e  l'ire  altrui 
Irritando  parlò:  Chiaro,  evidente 
E  necessario ,  ottimo  re ,  n'  è  tanto  550 

Quel  che  tu  ne  consigli,  che  bisogno 
D' altro  non  ha  che  di  comune  assenso. 
Ognun  vede ,  ognun  sa  quel  che  conviene 
Di  d  dura  fortuna;  e  nullo  ardisce 
Pur  d' aprir  bocca.  Libertate  almeno  555 

Di  parlax  ne  si  dia.  Scemi  una  volta 
Tanta  sua  tracotanza  e  tanto  orgog[lio 
Chi  co'  suoi  male  avventurosi  auspicj , 
Co' sinistri  suoi  modi  tio  pur  dirollo. 
Benché  d' armi  e  di  morte  mi  minacci  )  560 

N'ha  qui  condotti,  e  per  cui  tanti  duci,  $48 

Tanta  gente  è  perita ,  e  tutta  in  pianto 
Questa  cittade  e  questo  regno  è  vòlto  ; 
Mentre  ne  la  sua  fùria,  o  ne  la  fuga 
Confidando  più  tosto ,  il  trojan  campo  565 

Ha  d' assalila  osato .  e  fin  nel  cielo 
Posto  ha  con  l' armi  sue  tema  e  scompiglio. 
Solo  un  dono,  signor,  fira  tanti  doni 
Che  Cd  mandano  a'  Teucri,  un  sol  n'aggiungi; 
Nò  consentir  che  violenza  altrui  570 

Te  '1  proibisca.  Dà ,  buon  padre ,  ancora 
Questa  tua  figlia  a  genero  di  degno, 
E  con  si  degno  maritaggio  etema 
Fa  questa  pace.  E  se  1  terrore  è  tanto 
Che  8' ha  di  lui,  da  lui  stesso  impetriamo  575 

Grazia  e  licenza  che  la  patria  sua ,  35s 

Ghe'l  suo  re  prevaler  si  possa  almeno 
Del  suo  sangue  a  suo  moda  E  to  cagione, 


LIBRO  UNDECIMO  311 


Tu  di  tanta  ruina  autore  e  capo 

A  che  pur  tante  volte  a  tanti  strazj,  580 

A  tanti  rischi,  a  manifesta  morte 

Questi  tuoi  meschiuelli  cittadini 

Esponi  indarno?  E  qual'è  ne  la  guerra 

Più  salute,  0  speranza?  A  te  noi  tutti 

Pace ,  Turno ,  chiederne ,  e  de  la  pace  585 

Quel  eh'  è  sol  fermo  e  'nviolabil  pegno. 

Ed  io  prima  di  tutti,  io  cui  tu  fìngi 

Che  nimico  ti  sia  (  né  tal  mi  curo 

Che  tu  mi  ten^a  )  a  supplicar  ti  vcgno 

Umilemente.  Ahbi  pietà  de'  tuoi  :  590 

Pon  giù  la  stizza  ;  e  poiché  sei  cacciato , 

Vattene.  Assai  di  strage,  assai  di  morti 

S' è  visto  ;  assai  ne  son  le  genti  aflditte , 

Vedovi  i  tetti,  e  desolati  i  Campi. 

Ma  se  Toner  ti  muove,  e  se  concepì  595 

Di  te  tanto  in  te  stesso ,  e  tanto  agogni  sos 

O  la  donna ,  o  la  dote ,  a  che  non  osi 

Contro  a  chi  te  ne  priva  ?  A  Turno  dunque 

Regno  col  nostro  sangue  e  regia  moglie 

Procureremo  ;  e  noi  vili  alme ,  e  turba  600 

Non  sepolta  e  non  pianta ,  a'  cani  in  preda 

Giaceremo  in  su*  campi?  Or  tu,  tu  stesso, 

Se  tanto  hai  d*  ardimento  e  dì  valore 

Dal  paterno  legnaggio ,  a  luì  rispondi , 

A  Im  ti  volgi,  che  ti  sfida  e  chiama.  605 

Tìxtno ,  eh'  impetuoso  e  violento 
Era  da  se ,  questo  parlare  udito , 
Alto  un  gemito  trasse ,  e  d' ira  acceso 
Cosi  proruppe  :  Usanza  tua  fu  sempre , 
Drance,  allor  che  di  mani  è  più  bisogno  610 

Oprar  la  lingua ,  essere  in  corte  il  primo ,       878 
L  ultimo  in  campo.  Ma  non  più  parole 
In  (Tuesto  loco ,  che  già  pieno  troppo 
Ne  r  hai  ;  pur  troppo  grandi  e  troppo  gonfie 
L'avventi,  e  senza  rischio  or  che  i  nemici  615 

Son  lungo,  e  buone  fosse  e  buone  mura 
Ci  son  di  mezzo ,  e  non  e'  inonda  il  sangue. 
Apri  qui  bocca  ài  solito ,  e  rintuona 
Con  la  facondia  tua.  Tu ,  che  sei  Drance , 
Me,  che  son  Turno,  imbelle  e  vile  appella;  620 

Tu  la  cui  dianzi  sanguinosa  destra 
Pieni  i  campi  di  morti ,  e  pieni  i  colli 
Ha  di  trofei.  Ma  che  non  provi  ancora 
Questa  tua  gran  virtù  ?  Forse  eh'  avemo 
A  ccicar  de  nomici?  Ecco  d'intorno  625 


312  ENEIDE 


Ci  sono ,  e  'n  su  le  porte.  Andrem  lor  contra  ? 

Che  bacU  ?  Ov*  è  la  tua  tanta  prodezza  ? 

Sempre  è  nel  vento ,  sempre  e  ne  la  fuga 

De  la  lingua  e  de'  pie  ?  Tu  mi  rinfacci 

Ch'io  sia  cacciato?  Tu,  vituperoso,    «  630 

Di  dirlo  osasti  ?  E  chi  meritamente  S92 

Sarà  che  '1  dica  ?  Oh  !  non  s' è  visto  il  Tebro 

Fatto  gonfio  da  me  del  frigio  sangue  ? 

Non  s' è  vista  la  casa  e  '1  seme  tutto 

Spento  d' Evandro  ?  e  gli  Arcadi  spogliati  0:>5 

D*  armi  e  di  vita  ?  Io  non  fui  già  da  Pandaro 

Cacciato,  né  da  Bizia,  né  da  mille 

Che  in  un  dì  vincitore  a  morte  io  diedi, 

Circondato  da  loro  e  cinto  e  chiuso 

Da  le  lor  mura.  Nulla  è  ne  la  guerra  CIO 

Più  salute ,  0  speranza.  Al  teucro  duce , 

A  te ,  folle ,  al  tuo  capo ,  a  le  tue  cose 

Fa  questo  annunzio.  E  non  tutto  in  soqquadro 

Por  con  tanta  paura,  e  tanta  stima 

Che  fai  de  la  prodezza  e  de  lo  forze-  645 

D'una  gente  cne  già  due  volte  è  vinta:  4oi 

E  non  tanto  avvilir  da  V  altro  canto 

L' armi  del  re  Latino.  A  i  Mirmidoni 

Son  ora ,  al  gran  Diomede ,  al  grande  Achille 

I  Teucri  formidabili  e  tremendi  ;  650 

E  dal  mar  se  ne  toma  per  paura 

L' Aufìdo  indietro.  E  forse  cne  non  finge 

Temer  di  me ,  perchè  '1  mio  fallo  aggravi  ? 

Malvagia  astuzia  !  Ma  non  più  per  nulla 

Vo'  che  ne  tema.  Un'  anima  si  vile  655 

Non  ti  torrà  la  mia  destra  giammai. 

Stiesi  pur  teco ,  e  nel  tuo  petto  alloggi , 

Di  lei  ien  degno  albergo.  Òr  a  te  vegno , 

Gran  padre ,  e  '1  tuo  parer  discorro ,  e  dico. 

Se  tu  più  non  t' affidi ,  e  più  non  credi  660 

Ne  r  armi  tue  ;  s' abbandonati  affatto 
Siam  d' ogni  parte  ;  s' una  volta  rotti 
Siam  per  sempre  perduti ,  e  se  fortuna , 
Variando  le  veci,  unqua  non  cangia; 
Signor,  pace  imploriamo  ;  e  l' armi  in  terra  665 

Gittando,  a  giunte  mani  accordo  e  venia         aia 
Impetriam  da' nemici  Ancorché,  quando 
Oh!  del  nostro  valor  punto  in  noi  fosse, 
Sopra  tutti  felice ,  riposato, 

E  glorioso  spirito  sarebbe  670 

Chi ,  per  ciò  non  veder ,  morto  si  fosse. 
Ma  se  le  nostre  forzo  ancor  àon  verdi , 


;.'»    i  ■.,!»!•:(:  IMO  '^'3 


La  nostra  gioventù  florida,  intatta, 
Disposta  0  pronta  a  V  armi^  e  per  sussidio 

I  popoli  d*  Italia  e  lo  cittadi  075 
Son  con  noi  tutto  ;  e  s' a'  nemici  ancora 
Sanguinosa ,  dannosa  e  poco  lieta 

E  questa  gloria  ;  ed  han  de'  morti  anch'  ossi 

La  parte  loro  ;  e  la  tempesta  è  pari 

D'  ambe  le  parti  :  a  che  nel  primo  intoppo  030 

Con  tanto  scorno,  a  noi  stessi  mancando,       423 

Gittarne  a  terra?  A  cho  tremare  avanti 

Che  la  tromba  si  senta?  A  la  giornata 

II  tempo  stesso ,  il  variar  de'  casi , 

L'industria,  le  vicende,  il  moto  e'I  gioco  685 

Potria  de  la  fortuna  in  molte  guise , 

Come  suol  l'altre  cose,  ancor  le  nostre 

Cangiando  risarcire ,  e  porre  in  saldo. 

Non  avrem  Diomede  in  nostro  ajuto. 

Avrem  Messapo;  avremo  il  fortunato  690 

Tolunnio  ;  avrem  tant*  altri  incliti  duci 

Di  tant'  altre  città.  Nò  di  men  gloria , 

Nò  di  minor  virtù  saranno  i  nostri 

Di  Laurento  e  di  Lazio.  Avrem  Camilla 

La  gran  volsca  virago  che  n'  addusse  695 

Di  cavalieri  e  di  caterve  armate 

Si  bella  gente.  E  se  me  solo  appella 

lì  nemico  a  battaglia,  e  se  v'aggrada 

Che  sol  io  gli  risponda,  ed  io  sol  osto 

Al  ben  comune;  10  solamente  assumo  700 

Sopra  me  questa  impresa.  E  già  non  credo      135 

Che  le  mie  man  sì  la  vittoria  abborra, 

Che  per  tanta,  ch'io  n' aggio,  e  speme  0  gioja 

Accettar  non  la  dcggia.  Andrògli  incontro 

Con  r  animo ,  se  fosse  anco  maggiore  7^.) 

Del  magno  Achille,  e  come  Achille  anch' egli 

L'armi  di  Mongibcllo  indosso  avesse. 

Io  Turno ,  io  che  non  punto  a  qual  si  fosse 

Mai  de  gli  antichi  di  valor  non  cedo, 

Questa  mia  vita  stessa  a  voi,  Latini,  710 

Ed  a  Latin  mio  suocero  consacro 

Solennemente.  Enea  me  solo  invita. 

L'accetto,  il  bramo  o'I  prego,  anzi  cho  Dranco, 

S'irà  ò  Questa  di  Dio,  con  la  sua  morto 

La  purghi,  0  che  la  gloria  me  ne  tolga,  71.") 

S'  è  pur  gloria  e  virtute.  In  cotal  guisa 

Consultando  i  Latini,  avean  tra  loro 

Dispareri  e  tenzoni.  Usciti  a  campo 

Erano  i  Teucri  intanto.  Ed  ecco  un  messo 


314  .'  BNBIDB 

Venir  volando^  che  la  reggia  tutta  720 

E  tutta  la  citta  pose  in  tumulto ,  4^8 

Annunciando  che  dal  tosco  fiume 

Già  mosso  de'  Trojani  e  de'  Tirreni 

Se  ne  venia  V  esercito  in  battaglia 

In  ver  Laurento;  e  che  di  genti  e  d'armi  725 

Si  vedean  piene  le  campagne  e  i  colli 

Gli  animi  incontanente  si  turbaro  ; 
Sgomentossene  il  volgo;  a  i  valorosi 
S' acceser  l' ire.  Trepidando  ognuno 
Discorrea  per  le  strade  :  arme  fremea  730 

La  gioventù  :  dolenti  e  la^imosi 
I  padri  discordando ,  e  chi  per  Turno 
Sentendo  e  chi  per  Drance ,  avean  tra  loro 
Vari  bishiffli.  E  tutto  il  corpo  insieme 
Facea  de  la  città  tale  un  trambusto ,  735 

E  tal  ne  1'  aura  unitamente  un  suono , 
Qual  è  se  spaventata  esce  d' xm  bosco 
Torma  di  rechi  augelli ,  o  qual  talora 
Da  le  pescose  rive  di  Padusa 
Van  per  gli  stagni  schiamazzando  a  schiere  740 

Turbati  i  cigni.  In  tale  occasione  458 

Gridava  Turno  :  Or  questo  è,  Padri,  il  tempo 
Di  sedere  a  consiglio:  or  consigliate 
Agiatamente:  aggiate  sopra  tutto 
Cura  a  la  pace  or  che  i  nemici  armati  745 

Ne  son  già  sopra.  E  cosi  detto  a  pena , 
Saltò  fuor  de  la  reggia  ;  e  volto  a  torno , 
Arma  (disse)  tu,  Voluso,  i  tuoi  Volsci; 
E  tu,  Messapo ,  i  rutuli  cavalli 
Tu,  Gatillo .  e  tu ,  Gora ,  uscite  a  campo.  750 

Va  tu  con  la  tua  gente  a  la  muraglia  405 

Incontanente:  e  tu  dispensa  i  tuoi 
Fra  le  porte  e  le  torrL  Ite  voi  meco, 
Ghe  rimanete  ;  e  ciascun  armi  i  suoi* 

Per  tutta  la  città  si  va  scorrendo  755 

A  le  mura.  A  l' insegne ,  a  i  capitani 
Ognun  8'  adduce.  I  padri  irresoluti 
Se  n'  escon  dal  Gonsislio.  n  re  turbato 
Si  ritira,  e  si  pente  che  non  aggia 
Per  se,  senza  consulta,  il  frigio  duce  760 

Per  amico  e  per  genero  accettato. 
Dansi  tutti  a  munire ,  a  cavar  fosse , 
Tutti  a  somministrar  chi  sassi  e  travi, 
E  chi  dardi,  e  chi  strali  E  già  la  reca 
Tromba  ne  va  per  la  città  squillando  765 

De  la  battaglia  il  sanguinoso  accento. 


LIBRO  UrlDEGlMO  Slo 


Le  matrone  ,  i  fanciulli ,  i  vecchi,  ognuno 

jy  ogni  età ,  d' ogni  sesso ,  e  d' ogni  grado 

A  r  ultimo  periglio ,  al  gran  bisogno 

Corrono  a  la  muraglia.  E  d' altra  parte  770 

Da  gran  cortèo  di  donne  accompagnata  477 

Con  doni  e  preci  di  Minerva  al  tempio 

Va  la  regina,  ed  ha  Lavinia  seco. 

La  vergine  sua  figlia,  onde  venuta 

Era  tanta  ruina  :  e  di  ciò  mesta  775 

Porta  i  begli  occhi  lagrimosi  e  chinL 

Soguon  le  madri ,  e  d' odorati  incensi 

Vaporando  il  delubro  in  flebil  voce 

Pregano  in  su  la  soglia:  Armipotente 

Tritonia ,  tu  che  puoi ,  la  possa  e  V  anni  730 

Frangi  aJ  frigio  ladrone ,  e  di  tua  mano 

Anciso  in  su  la  porta  ne  lo  stendi 

Esso  re  Tiu*no  da  la  fùria  spinto 
Ricorre  a  l' armi  ;  e  di  squamoso  acciajo 
E  d'or  già  tutto  orribile  e  splendente.  785 

Cinto  di  brando ,  e  sol  del  capo  ignudo  488 

Lieto  mostrossi ,  e  di  speranza  altero 
Di  vedere  il  nemico.  E^n  quella  giùsa 
Da  la  rocca  scendea  che  da'  presepi 
Sciolto  destriero  esce  ruzzando  in  campo ,  700 

O  eh'  amor  di  giumente ,  0  che  vaghezza 
Di  verde  orato ,  0  pur  desio  lo  tragga 
Del  noto  uume ,  che  sbuffando  fteme , 
E  ringhia  e  drizza  il  collo  e  squassa  il  crine. 

A  r  uscir  do  la  porta  ecco  davanti  795 

GH  si  £a  co'  suoi  volsci  cavalieri 
La  vergine  Camilla.  E  si  com'  era 
Non  men  gentil  che  valorosa  e  bella , 
Tosto  che  l' incontrò ,  con  tutti  i  suoi 
Dismontò  da  cavallo ,  e  ver  lui  disse  :  800 

Turno ,  se  degnamente  uom  forte  ardisce^ 
Io  mi  rincoro ,  e  ti  prometto  io  sola 
Di  gire  a  i  cavalier  toscani  incontro. 
Lascia  me  col  mio  stuolo  assalir  jprima 
La  trojana  oste ,  e  che  primiera  10  tragga  805 

Di  questa  pugna  e  de'  tuoi  rischi  un  saggia 
E  tu  qui  co'  pedoni  a  piò  rimanti 
A  guardia  de  la  terra.  A  tal  proposta 
Turno  ne  la  terribile  virago 

Gli  occhi  fissando  ;  O  de  r  Italia  (disse)  810 

Ornamento  e  sostegno ,  e  di  che  lode, 
E  di  che  premio  al  tuo  gran  morto  eguale 
Ristorar  ti  poss'  io  ?  Ma  (  poiché  cosa 


316  L:^•E1I»13 


Non  è  che  la  pareggi)  abbi ,  famosa 

Guerriera  j  in  grado  cVio  con  te  comparta  815 

Questa  fatica.  Enea,  come  dal  grido 

Avemo  e  da  le  spie  fin  qui  ritratto, 

Spinte  ha  le  schiere  de'  cavalli  avanti 

Per  batter  la  campagna;  ed  egli  altronde 

Presa  la  via  del  monte  ,  per  alpestro  e 20 

Sentiero  a  la  città  di  sopra  al  giogo  514 

Yien  con  V  altre  sue  genti.  Il  mio  disegno 

E  fargli  agguato ,  e  collocarmi  appresso 

Là 've  sopra  la  foce  il  doppio  bosco 

Del  curvo  monte  ambe  le  strade  accoglie.  '623 

Tu ,  raunati  i  tuoi  con  gli  altri  tutti 

Nostri  cavalli,!  suoi  nel  piano  assagli 

A  spiegate  bandiere.  Il  fìer  Messapo 

Sara  con  te  :  saranvi  de'  Latini , 

Vi  saran  di  Gorace  e  di  Gatillo  830 

Le  smiadre  tutte;  e  tu  con  essi  il  carco 

Prendi  di  comandarle.  Indi  esortando 

Parimente  Messapo  e  gli  altri  duci 

A  la  lor  fazione,  egli  .a  la  sua 

Tostamente  si  volse.  E  tra  due  branche  835 

Del  monte  una  vallèa  che  d' ambi  i  lati 

Ha  folte  selve,  e  luoghi  occulti  e  chiusi 

A  r  insidie  de  l' armi  accomodati. 

Ha  ne  l' imo  una  semita  per  mezzo 

Angusta,  malagevole  e  scontorta  840 

Che  d'ognintorno  è  da  le  ripe  offesa.  525 

In  cima  in  su  1'  uscita  è  tra  le  selve 

Ascosa  una  pianui-a,  con  ridotti 

Acconci  a  lìtirarsi ,  ed  opportuni 

A  spingersi  0  dal  destro  0  dal  sinistro  845 

Lato ,  che  si  rincontri  0  che  s' aspetti 

Nemica  gente ,  0  pur  che  di  gran  sassi 

Si  tempesti  di  sopra.  A  questo  loco , 

Di  cui  nen  era  pratico ,  m  agguato 

Turno  si  pose ,  e  i  suoi  nemici  attese.  850 

Diana  intanto  timorosa  e  mesta 
Favellando  con  Opi,  una  del  coro 
De  le  sue  Ninfe,  in  tal  guisa  le  disse  : 
Vedi  a  che  perigliosa  e  mortai  guerra 
A  morir  se  ne  va  la  mia  Gamilla  855 

Ne  le  nostr'  armi  ammaestrata  in  vano. 
E  pur  m*  è  cara,  e  sovr'  ogni  altra  io  1*  amo. 
Ne  questo  è  nuovo,  0  repentino  amore. 
Fin  da  lo  fasce  è  mia.  Metabo  il  padre 
Di  lei  fu  per  invidia  e  por  sovercliia  ^00 


LIBRO  UNDEGIMO  317 


Potenza  da  Priverno  antica  terra  689 

Da'  suoi  stessi  cacciato:  e  da  T insulto, 

Che  gli  feee  il  suo  popolo ,  fuggendo 

Nel  suo  misero  esiglio  ebbe  in  compagna 

Questa  sola  bambina  che,  mutato  8C5 

Di  Gasmilla  sua  madre  il  nome  in  parte. 

Fu  Camilla  nomata.  Andava  il  padre 

Con  essa  in  braccio  per  gli  monti  errando    ^ 

E  per  le  selve,  e  de' nemici  Yolsci  v^«. 

Sempre  d' intorno  avca  T  insidie  e  V  armi.  870 

Ecco  un  giorno  assalito  con  la  caccia 

Dietro,  fuggendo  a  T  Amasene  arriva. 

Per  pioggia  questo  fiume  era  cresciuto, 

E  rapido  spumando  infino  al  sommo 

Se  ne  già  de  le  ripe  ondoso  e  gonfio  :  875 

Tiìì  che,  per  tema  de  V  amato  peso 

Non  s'  arrischiando  di  passarlo  a  nuoto. 

Permessi;  e  poiché  a  tutto  ebbe  pensato, 

Con  un  subito  avvisa  entro  una  scorza 

Di  selvatico  suvcro  rinchiuse  -  880 

Ija  pargoletta  figlia.  E  poscia  in  mezzo  554 

D' un  suo  nodoso ,  inarsicciato  e  sodo 

Telo,  ch'aveaper  av\'entura  in  mano, 

Legolla  acconciamente:  e  Tasta  e  lei 

Con  la  sua  destra  poderosa  in  alto  885 

Librando,  a  V  aura  si  rivolse,  e  disse:  ^ 

Alma  Latonia  virgo,  abitatrice 
Do  le  selve  e  de' monti,  io  padre  stesso 
Questa  mia  sfortunata  figlioletta 
Per  ministra  ti  dedico  e  per  serva.  8C0 

Ecco  eh'  a  te  devota,  a  1'  armi  tue 
Accomandata,  dal  nimico  in  prima 
Sol  per  te  la  sottraggo.  In  te  sperando 
A  r  aura  la  commetto  ;  e  tu  per  tua 
Prendila,  tene  prego,  e  tua  sia  semprr».  8Cj 

Ciò  detto,  il  braccio  in  dietro  ritraeii  lo,        sco 
Oltre  il  fiume  lanciolla  :  e  '1  fiume  e  '1  vento 
E  '1  dardo  ne  fèr  suono  e  fischio  e  roKiLo. 
Metabo  da  la  turba  sovraggiunto 
De'  suoi  nemici  a  nuoto  al  fin  gittossi  900 

E  salvo  a  l'altra  riva  si  condusse. 
Ivi  d' un  verde  cespo ,  ove  piantato 
Avea  Tri  via  il  suo  dono,  il  dardo  e  lei 
Divelse,  e  via  fuggissi  ;  e  più  mai  poscia 
Non  fu  da  tetti ,  o  da  cittadi  accolto  j  905 

Che  per  natia  fierezza  a  legge  altrm 
If on  si  fora  unqua  additto.  U  tempo  tutto 


318 


BNBIDB 


De  la  sua  vita ,  di  pastore  in  guisa , 

Menò  per  monti  solitari  ed  ermi  ; 

E  per  grotte  e  per  dumi  e  per  orrende  910 

Selve  e  tane  di  fere  ebbe  ricetto 

Con  la  fanciulla ,  a  cui  fti  cibo  un  tempo 

Ferino  latte ,  e  Dalia  una  d*  armento 

Ancor  non  doma  e  pavida  giumenta. 

Ne  le  tenere  labbra  il  padre  stesso  015 

De  la  fera  premea  V  orride  mamme.  579 

Né  pria  tenne  de'  piò  salde  le  piante , 

Che  d*  arco ,  di  faretra  e  di  nodosi 

Dardi  le  mani  e  gli  omeri  gravoUe. 

Non  d'  or  le  chiome ,  o  di  monile  il  coUo^  020 

Né  men  di  lunga ,  o  di  fregiata  gonna 

La  ricoverse  ;  ma  di  tigre  un  cuojo 

Le  (Iacea  veste  intomo,  e  cuffia  in  capo. 

n  fanciullesco  suo  primo  diletto 

E  '1  primo  studio  fu  lanciar  di  palo,  025 

E  trar  d' arco  e  di  firomba;  e  *n  fin  d*  allora    678 

Facea  strage  di  ani ,  d'  oche  e  di  dgnL 

Molte  la  desi&r  turene  madri 

Per  nuora  indamo.  Ed  ella  di  me  sola 

Contenta ,  intemerata  e  pura  e  casta  030 

La  sua  verginità ,  1'  amor  de  T  armi 

Sol  ebbe  in  cale.  Or  mio  fora  disio 

Che  di^questa  mtiizia  e  de  la  pugna. 

Che  presa  ha  co'  Trojani  e  co'  Tirreni, 

Fosse  digiuna;  per  si  cara  io  V  aggio ,    .  035 

E  tale  or  mi  saria  grata  compagna. 

Ma  poiché  acerbo  fato  la  persegue , 

Scendi ,  Ninfa ,  dal  cielo ,  e  nel  paese 

Va  de*  LatinL  Ivi  al  conflitto  assisti , 

Che  per  Lazio  e  per  lei  mal  s*  apparecchia»  040 

Prendi  quest'  arco,  e  prendi  onesta  mia 

Stessa  faretra,  e  di  qui  trag^  il  telo 

Per  vendicarmi  di  qualunque  ardito 

Sari  di  violar  quesr  a  me  sacra 

E  devota  virago  :  Italo  o  Teucro  045 

Che  sia.  Poscia  io  verrò  di  nube  involta  69f 

A  provveder  che  1  miserabil  corpo 

Non  sia  d' armi  spogliato ,  e  che  raccolta 

Sia  ne  la  patria ,  e  seppellito  e  pianto. 

Cosi  dicendo ,  entro  un  sonoro  nembo ,  050 

Da' mortali  occhi  non  veduta  a  terra 
Lievemente  calossL  I  Teucri  intanto  » 
E  i  tosclii  duci  le  lor  genti  avanti 
Spingendo ,  a  la  città  r  awldnara 


LIBRO    UNDKGI.MO 3l9 


Piena  ci'  armi ,  d' insegne ,  di  cavalli  955 

E  di  schierati  fanti  e  di  squadroni         ' 

Si  vedea  la  campagna.  Eran  per  tutto 

Gualdane ,  giramenti ,  scorribande 

Di  cavalieri  :  in  secche  selve  i  colli 

Parean  conversi  :  ardea  la  terra  e  '1  cielo  960 

Di  ferrimi  splendori;  d' ogni  parte 

S' udia  fremer  cavalli ,  e  squillar  trombe. 

Incontro  a  lor  da  Y  altra  parte  uscirò 
n  fler  Messapo ,  i  cavalier  latini . 
Gorace  col  suo  frate ,  e  di  GamUla  965 

La  bellicosa  banda.  Era  il  concorso  604 

Tuttavia  de  le  genti,  e  de'  cavalli 
Il  fremito  maggiore.  E  già  la  massa 
Ristretta ,  e  già  vicine  ambe  le  parti 
A  tiro  d'  asta ,  a  fronte  si  fermaro  970 

L' ima  de  Y  altra  ;  e  con  le  lance  in  resta , 
Con  saette  e  con  dardi  incominciaro 
Primamente  da  lungo  a  salutarsi 
Poi  di  subite  grida  unito  un  tuono 
Al  ciel  levossi  ;  e  due  contrari  neml)l  975 

Da  la  terra  sorgendo ,  armi  fioccaro 
Di  neve  in  guisa ,  e  coprir  d' ombra  il  sole» 
Alfin  da  ciascun  lato  i  destrier  punti 
Andar  tutti  con  tutti  a  rincontrarsL 

Era  Tirreno  al  fìero  Aconte  opposto  98C 

Ne  la  battaglia  ;  e  questi  primamente 
S' urtare ,  e  per  la  luria  e  per  la  forza 
De  r  urto  amne  le  lancio ,  ambi  i  cavalli , 
Ed  ambi  i  corpi  infranti ,  stramazzati  » 
L'un  da  T  altro  disgiunti,  guai  percossi  985 

Da  fulmine  o  da  macchine  avventati. 
Caddero  a  terra.  E  pria  ne  l' aura  Aconte 
Lasciò  la  vita.  Conturbate  e  sparse 
Le  schiere  de'  Latini ,  incontanente 
Con  le  targhe  rivolte ,  a  tutta  briglia  990 

Ver  le  mura  spronando ,  in  fuga  andaro.         623 
Gli  seguirò  i  Trojani  ;  e  prima  Asila 
Gli  assalse,  e  gli  cacciò  nn  su  le  porte. 
Qui  fermi  e  rincorati  alzan  lo  gridai 
Volgon  le  teste,  e  si  rifan  lor  sopra,  995 

Gh' eran  lor  centra.  Cosi  quando  questi. 
E  quando  quelli  or  cacciano .  or  cacciati 
Tornano  ;  in  quella  guisa  ch*^  a  vicenda 
n  mare  or  d' alto  a  riva  i  flutti  increspa^ 
E  ne  r  ultima  arena  ondeggia  e  spuma;  1000 

Or  da  la  riva  indietro  se  ne  torna^ 


320  ENBIDB 

E  le  stess'  onde,  e  la  commossa  ghiara 
Sorbendo  e  voltolando,  si  ritragge. 
Due  volte  i  Toschi  i  Rutuli  incalzare 
Fino  a  le  mura;  e  i  Rutuli  due  volte  loos 

Risos^insero  i  Toschi.  Al  terzo  assalto  02.) 

Mischiarsi  ambe  le  schiere,  e  l'im  con  T altro 
Vennero  a  zuffa.  Allor  le  grida  e  i  mugghi 
Si  sentir  de'  cadenti  :  allor  si  vide 
Il  pian  tutto  di  sangue ,  e  tutto  d'armi  1010 

E  d' uomini  coverto  e  di  cavalli 
Feriti  e  morti.  Orsiloco  a  rincontro 
Di  Remolo  trovossi;  e  non  osando 
Di  star  seco  a  le  mani,  al  suo  cavallo 
Trasse  del  dardo ,  e'  n  su  T  orecchio  il  colse.        1015 
Del  colpo  impaziente  e  per  se  fiero 
Si  scosse ,  s' avventò ,  col  petto  in  alto 
E  con  le  zampe  il  corridor  levossi, 
E'n  su  l'arena  il  cavalier  distese. 
Gatillo  Jola  e'I  grande  Erminio  uccise;  1020 

Erminio  che  di  corpo  e  d' armi  e  d*  animo 
Era  de'  più  robusti ,  de'  più  chiari 
E  de'  più  riguardevoli  guerrieri  v 

De'  Toschi  tutti.  Avea  la  chioma  stessa 
Per  sua  celata  ;  avea  gli  omeri  ignudi  1025 

Di  ferro  al  ferro  esposti,  e  di  ferite  643 

Ampio  bersaglio.  In  su  l' aperte  spalle 
Catulo  il  colse;  e  tremolando  il  telo 
Passògli  il  petto  e  raddoppiògli  il  duolo. 
Per  tutto  si  fa  sangue  ;  in  ogni  parte  1030 

Si  traggo ,  si  ferisce ,  si  stramazza  : 
E  chi  cede,  e  chi  segue.  In  varie  guise 
Ne  van  tutti  a  morir  morte  onorata. 
In  mezzo  a  tanta  occislone ,  ignuda 
Da  r  un  de  lati  infuriando  esulta  1035 

La  vergine  Camilla;  ed  or  di  dardo  648 

Fulminando ,  or  di  lancia,  or  di  secure 
Non  mai  stanca  percuote.  E  qual  Diana 
Di  sonora  faretra  e  d'arco  aurato 
Gli  omeri  onusta,  ancor  che  si  ritragga ,  1040 

Saettando,  ferite  e  morti  avventa. 
D' intorno  ha  per  compagne  e  per  guerriere 
D' archi ,  di  mazze  e  di  bipenm  armate 
Tulla,  Tarpea,  Larina,  ed  altre  illustri^ 
Italiche  donzelle  a  suo  decoro  1045 

Scelte  da  lei  per  sue  degne  ministre 
Ne  la  pace  e  ne  V  armi  Li  lai  sembianza 
Termoaoonlyd  U  bellicoso  stoolo 


LIBRO  UNBEGIMO  ^  321 


De  r  Amazoni  sue  vide  in  battaglia 
Attorneggiare  Ippolita,  o  col  carro  1050 

Gir  di  Pcntesilca  le  schiere  aprendo 
Con  feminei  ululati.  Or  chi  fu  prima, 
Chi  poi,  cruda  virago,  e  quali  e  quanti 
Quei  ch'abbattesti ,  e  che  di  vita  spenti 
Mandasti  a  r  Orco  ?  Eumenio  primamente,  1055 

Di  Clizie  il  figlio ,  da  costei  trafìtto  eoe 

Fu  d*  un  colpo  di  lancia  in  mezzo  al  petto. 
Cadde  il  meschino ,  e  fé'  di  sangue  un  rivo , 
Sopra  cui  voltolandosi  e  mordendo 
n  sanguigno  terren,  di  vita  uscio.  iqqq 

Indi  va  sopra  a  Liri  e  sopra  a  Pègaso 
Quasi  in  un  tempo ,  a  T  un  mentre  >  inciampando 
Il  suo  destriero,  il  fren  raccoglie;  a  l'altro 
Mentre  a  lui ,  che  trabocca ,  il  braccio  stende 
Per  sostenerlo  :  onde  in  un  g^ruppo  entrambi        1CC5 
Precipitare.  A  cui  d'Ippòta  il  figlio  073 

Amastro  aggiunse  :  e  via  seguendo ,  Arpàtico 
E  Tèrea  e  uromi  e  Demofonte  uccise. 
Quanti  dardi  lanciò ,  tanti  Trojani 
Gittò  per  terra.  Ornilo ,  un  cacciatore,  1070 

Gli  già  davanti;  e  stranamente  armato 
Cavalcava  di  Puglia  un  gran  destriero. 
Per  sua  corazza  avea  d' ispido  toro 
Un  duro  tergo ,  per  celata  un  teschio 
Di  lupo  che  dal  capo  insino  al  mento  1075 

Sbarrava  le  mascelle ,  e  digrignando 
Mostrava  i  denti.  In  man  portava  ad  uso 
Di  contadini  un  noderoso  palo 
Di  grave  ronca  armato.  Egli  nel  mezzo 
,     De  gli  altri  suoi  con  le  due  leste  andava  1080 

Sovrano  a  tutti,  e  le  ferine  orecchie 
Ergea  di  cresta  e  di  pennacchi  in  vece. 
Camilla  il  giunse ,  lo  fermò ,  V  uccise 
Senza  contrasto  ;  già  che  volta  in  fuga 
Era  la  schiera  sua.  Sovra  al  suo  corpo  1085 

Disse  rimproverando:  E  che  pensasti,  685 

Tosco  insolente  ?  Di  venire  a  caccia 
In  qualche  selva,  e  seguir  damme  imbelli? 
Venuto  sei  là  've  una  dama  armata 
Col  ferro  amaramente  vi  rintuzza  1090 

La  superbia  e  la  hngua.  Oh  pur  poco 
Ti  fla  di  vanto ,  riferendo  a  1  ombre 
De'  tuoi  :  Per  man  fui  di  Camilla  ucciso. 
Indi  Orsìloco  assalse  e  Bute  appresso, 
Duo  corpi  de'  maggiori  e  de*  più  forti  1095 


32'3;  ENEIDE 


.^•JL 


Del  trojan  oste.  A  Bute  un  colpo  trasse 
Che  '1  giunse  ove  tra  V  elmo  e  la  corazza 
Si  scopre  il  collo ,  onde  lo  scudo  appeso 
Sta  da  sinistra.  Orsìloco,  fuggendo 
E  girando  ,  gabbò  ;  eh'  al  giro  interno 
S' attenne  e  strinse  ;  e  là  'v'  era  seguita , 


1100 

605 


Seguitò  luL  Gli  fu  sopra  in  un  tempo 

A  colpi  di  secure ,  e  Tarmi  e  Tossa 

Gli  pestò  si  che  per  suo  scampo  a'  prieghi 

Si  volse.  Al  fine  un  tal  sopra  la  testa  1105 

Ne  gli  piantò ,  che  le  cervella  infranto 

Gli  schizzar  da  la  fronte  e  da  le  tempie. 

D' Alino  montanar  de  V  Appennino 
Il  bellicoso  figlio  a  Y  improvviso 
Fu  da  lei  colto:  un  Ligure  scaltrito,  Ilio 

Che  per  ordire  inganni  (infìnchè  *1  fato 
Gliel  concedè)  non  de  sii  estremt  avuto 
Era  tra'  suoi.  Costui  nel  primo  incontro 
Sbigottito  fermossL  E  poiché  vide 
Non  poter  con  la  fuga  a  lei  sottrarsi,  1115 

Che  gli  era  sopra ,  a  la  malizia  usata 
Ricorrendo,  Oh!  gran  prova  (a  dir  comincia) 
Sarà  la  tua ,  se  ben  femina  sei , 
Di  sfidar  me ,  ffuando  un  cavai  t'  affidi 
Si  fugace  e  si  forte.  Or  al  vantaggio  I120 

Rinuncia  de  la  fuga,  e  meco  a  piede  706 

Prendi  zuffa  del  pari  ;  e  poi  vedrassi 
A  cui  questa  ventosa  tua  bravura 
Onore  acquisti.  A  cotal  dir  Camilla 
Di  fùria,  di  dolor,  di  sdegno  ardendo  1125 

Ratto  dismonta  ;  e  '1  corridor  deposto 
In  man  de  la  compagna ,  a  pie  si  pianta 
Stringe  la  spada,  imbracciasi  lo  scudo, 
E  con  pari  armi  intrepida  V  attende* 

n  giovine  che  vinto  si  credette  1130 

Aver  con  quello  avviso,  incontanente 
La  groppa  le  mostrò  del  suo  cavallo, 
E  via  spronando  a  tutta  briglia  il  pinse. 
Ligure  vano,  vano  orgoglio  in  prima 
Ti  mosse:  or  vana  astuzia  e  vana  fuga  1135 

Sarà  la  tua  ;  che  V  arte  del  fallace 
Tuo  padre ,  0  di  tua  patria  a  far  non  basta 
Che  vivo  da  le  man  mi  ti  ritolga. 
Disse  la  Virgo .  e  qual  da  cocca  strale 
Dietro  gli  si  spiccò,  ratto  l'aggiunse,  1140 

Passollo,  attraversollo ,  al  firen  di  piglio  1x9 

Piedeglii  lo  feri,  Tancise  al  fine* 


LIBRO  UNDEGIMO  323 


Cosi  d' un  alto  sasso  agevolmente 

Sparvier  grifagno  al  timido  colombo 

S  avventa,  e  lo  ghermisce:  onde  in  v^n  tempo     1145 

Sangue  e  piuma  dal  ciel  nevica  e  piove. 

In  questa  de*  mortali  e  de*  Celesti 
L*  eterno  Regnator,  che  pur  talvolta 
Alcun  de' ra«:gi  suoi  ver  noi  rivolge, 
Non  con  lieve  disdegno,  o  picciol  ira  1150 

Mosse  Tarconte  a  sovvenir  le  schiero 
De'  suoi  eh*  erano  in  volta.  Egli  per  mezzo 
Va  de  r  occisioni  e  de  le  mischie , 
Or  il  destrier  contra  i  nemici  urtando, 
Or  le  sue  squadre  inanimando,  insieme  1155 

Le  ristringe ,  le  instiga ,  le  garrisco , 
E  per  nome  ciascun  chiamando ,  Ah  (disse) 
Tirreni ,  e  che  timore  e  che  spavento 
E  '1  vostro  ?  che  viltà ,  che  codardia 
V*ha  presi?  e  quando  mai  fìa  che  vi  punga        1160 

0  dolore ,  o  vergogna  ?  Adunque  in  ftiga 
Gite  per  una  femmina  ?  una  femmina 
Vi  disperge ,  e  v*  ancide  ?  A  che  di  ferro 
In  van  così  le  destre  e  i  petti  armate? 

De  le  donne  temete?  E  pur  di  loro  1165 

Sì  timidi  di  notte ,  né  sì  fiacchi  734 

Ne  gli  assalti  di  Venere  non  siete; 

Nò  quando  a  suon  di  pifferi  intimati 

Vi  sono  i  Baccanali.  Or  via,  campioni 

Da  letti  e  da  bottiglie  ,  a  nozze,  a  pasti,  1170 

A  sacrifici  allor  che  ne  le  sacre  788 

Foreste  è  da  1*  aruspice  intonato 

Che  la  vittima  è  grassa  :  itene  tutti 

Seco  a  goder  del  saginato  bue 

A  piena  pancia;  che  nuli' altro  amore,  1175 

Nuìr  altro  studio  c'I  vostro.  E  ciò  dicendo. 

Ne  va  come  devoto  a  morte  anch'  egli. 

Con  Vetiolo  s*  affronta  ;  0  sì  com'  era 

Turbato,  l'aggavigna,  e  fuor  lo  traggo 

Del  suo  cavallo.  Alto  le  vessi  un  grido  llóO 

Tal  che  tutti  a  veder  le  ciglia  alzaro 

1  Latini  e  i  Tirreni.  Iva  Tarconte 

Per  la  camnagna  con  la  preda  in  grembo 

Del  nimico  "e  de  1'  armi  ;  e  'n  mezzo  al  corso 

Svelle  da  1'  asta  sua  medesma  il  ferro,  1185 

E  cerca  ove  è  di  piastra  il  corpo  ignudo 

Per  dargli  morte.  E  mentre  ne  la  gola 

Tenta  feru4o ,  ci  con  le  braccia  in  alto 

Si  scherma ,  reggo  il  colpo ,  0  da  la  forza 


\ 


1195 


c2i  BNBIBB 

Quanto  può  con  la  forza  si  districa.  il90 

Come  ne  V  aria  insieme  avviticchiati  750 

Si  son  visti  taior  V  aquila  e  '1  serpe 
Pugnar  voIaDdo ,  e  V  una  aver  con  V  ugne 
E  col  becco  ghermito  e  morso  I*  altro; 
E  r  altro  co*  suoi  giri  e  co'  suoi  nodi 
Farle  vincigli  a*  piò  ,  volumi  a  V  ali  ; 
E  questo  con  la  testa  alto  fischiando, 
E  quella  schiamazzando  e  dibattendo, 
Ambedue  voltolarsi,  ambedue  stretti 
Far  di  squame  e  di  piume  un  sol  viluppo  :  1200 

Cosi  Tarconte  per  lo  campo  a  volo 
Vincitor  de  le  schiere  di  Tiburte 
Venolo  sen  portava.  E  questo  esemplo 
Del  suo  duce  seguendo,  e  del  successo 
Assecurata  la  meonia  torma  ^205 

Tutta  centra  i  Latini  impeto  fece.  759 

Tra  questi  Arunte ,  un  cne  di  già  dovuto 
Era  al  suo  fato ,  con  un  dardo  in  mano 
Camilla  astutamente  insidiando. 
Si  diede  a  seguitarla ,  a  circuirla ,  1210 

A  cercar  destra  e  comoda  fortuna 
Di  darle  morte.  Ovunque  ella  0  per  mezzo 
Fendea  le  schiere ,  0  vincitrice  m  dietro 
Si  ritraea ,  V  era  vicino  Arunte  ; 
E  tutti  i  moti  suoi ,  tutte  le  vie  I215 

Osservando,  attendea  che  netto  il  colpo 
Gli  riuscisse  ;  e  da  fellone  intanto 
Aveà  r  asta  a  ferir  librata  e  pronta. 
Giva  per  avventura  a  lei  davanti 
Cloro,  un  giovine  idèo  che  sacerdote  12*^0 

Era  già  di  Cibele.  I  Frigi  tutti 
Non  avean  chi  di  lui  fosso  ne  V  armi 
Più  riccamente  adorno.  Un  suo  corsiero 
Per  lo  campo  spingea  di  spuma  asperso, 
Cinto  di  barde  e  d*  acciarine  lame  1225 

Como  di  scaglie,  e  di  leggiadre  piume  771 

Leggiadramente  inteste.  Un  arco  d'oro 
Gli  pendea  da  le  spalle ,  una  faretra 
A  la  Cretese.  In  testa v in  gambe,  in  dosso 
D*  armi  e  d'arnesi  in  barbara  sembianza;  1230 

Di  peregrina  porpora  e  di  seta, 
.     Di  bisso,  di  teletta  e  d'ostro  e  d'oro 
Tutto  coverto ,  tutto  ricamato , 
Tutto  trinciato:  e  saettando  andava. 
Costui  veduto ,  ogni  altra  impresa  indietro         1235 
^     Lasciando ,  a  lui  si  volse  0  per  vaghezza 


LtnRO  UNDKCIMO  325 


Di  consccrar  le  sue  beli'  armi  al  tempio , 

O  pur  che  di  si  vago  ostile  arnese 

Di  gir  pomposa  cacciatrice  amasse. 

Basta  che  per  le  schiere  incauta,  ardente f  1240 

E  come  donna  vogliolosa  e  folle 

De  r  amor  de  la  preda  e  de  lo  spoglie 

Contro  a  lui  se  ne  giva;  allor  ch'Arante,  "" 

Dopo  molto  appostarla,  alfln  le  trasse 

In  tal  guisa  pregando  :  O  di  Soratte  1245 

Sommo  custode  Apollo,  a  cui  devoti  785 

Noi  fummo  in  prima ,  a  cui  di  sacri  pini 

Nutrimo  il  foco,  e  per  cui  nudi  e  scsuzi 

Tra  le  fiamme  saltanTlo  e  per  le  brage 

Securamente  e  senza  offesa  andiamo;  1250 

Dammi  (che  tutto  puoi)  Padre  benigno. 

Che  questa  infamia  per  mia  man  si  tolga 

Da  r  armi  nostre.  Io  di  costei  non  bramo 

Armi ,  spoglie ,  o  trofeo.  Gli  altri  miei  fittU 

Mi  sian  di  lode;  e  pur  che  questo  mostro  1255 

Gaggia  spento  da  me,  ne  la  mia  patria 

Senza  più  gloria  andrò  di  questa  guerra 

Pago  e  contento.  Udì  Febo  del  voto 

Parte ,  e  parte  per  1*  aiu'a  ne  disperse. 

Udì  che  morta  aa  quel  colpo  fosse  1250 

La  vergine  Camilla  ;  e  non  udio  796        \ 

Di  lui,  eh' ei  vivo  in  patria  ne  tornasse:  ^.:- 

Chè  ciò  per  V  aura  ne  portare  i  venti.  gli 

Tosto  che  da  le  man  r  asta  ronzando 
Gli  uscio,  ftir  gli  occhi  e  gli  animi  e  le  gxUft      1265 
De*  Volsci  tutti  a  la  regina  intenti 
Ed  ella  nò  del  telo ,  nò  de  Y  aura 
Moto  0  fischio  senti  ;  né  vide  il  colpo , 
Mentre  giù  discendea,  finché  non  giunse. 
Giunsele  a  punto  ove  divelta  e  nuda  12T0 

Era  la  poppa  ;  e  del  vergineo  sangue, 
Non  già  cu  latte,  sitibonda  scese 
Si  che  '1  petto  Y  apri.  Le  sue  compagne 
Le  fiir  trepide  intorno;  e  già  che  morta 
Cadea ,  la  sostentaro.  Arante  in  ftiga  1275 

Ratto  si  volge ,  di  paura  insieme  loe 

Turbato  e  di  letizia  ;  che  ne  l' asta 
Più  non  confida,  e  più  di  star  non  osa 
Incontro  a  leL  Qual  affamato  lupo 
Che ,  ucciso  de  Y  armento  un  sran  giovenco,        1280 
O  lo  stesso  pastore ,  in  se  contuso 
Di  tanta  audacia,  anzi  che  da' villaggi 
Qli  si  levin  le  grida,  infra  le  gambe 


22(^  ENEin!^ 


Si  rimetto  la  coda,  e  ratto  a' morì  ti 

Fuggendo ,  si  rinpclva  :  in  colai  guisa  1285 

Arunto  dopo  '1  tratto  impaurilo, 

Solo  a  salvarsi  inteso ,  in  mezzo  a  Y  armi 

Si  mischiò  tra  le  schiere.  Ella  morendo. 

Di  sua  man  ftior  del  petto  il  crudo  ferro 

Tentò  svellersi  indamo  ;  che  la  punta  1290 

S'  era  altamente  ne  le  coste  infissa  : 

Onde  languendo  ahbandonossi ,  e  fredda 

Giacque  supina  :  e  gli  occhi  che  pur  dianzi 

Scintillavano  ardor,  grazia  e  fierezza. 

Si  fèv  torbidi  e  gravL  II  volto  in  prima  1205 

Di  rose  e  d'  ostro ,  di  palior  di  morte  sio 

Tutto  si  tinse.  In  tal  guisa  spirando. 

Acca  a  se  chiama ,  una  tra  r  altre  sue 

La  più  fida  di  tutte  e  la  più  cara  ; 

E  dice:  Acca  sorella,  i  giorni  miei  I30vi 

Son  qui  finiti  :  questa  acerba  piaga 

M'  adduce  a  morte ,  e  già  nero  mi  sembra 

Tutto  che  veggio.  Or  vola ,  e  da  mia  parte 

Dì  per  ultimo  a  Turno ,  che  succeda 

A  questa  pu^a ,  e  la  città  soccorra  :  13^5 

E  tu  rìnunti  in  pace.  A  pena  detto 

Ebbe  cosi ,  che  abbandonando  il  freno 

E  r  arme  e  se  medesma ,  a  capo  chino 

Traboccò  da  cavallo.  Allora  il  freddo 

Le  occupò  de  la  morte  a  poco  a  poco  1310 

Le  menubra  tutte.  E  dechinato  il  collo  sso 

Sopra  un  verde  cespuglio ,  alfln  di  vita 

Sdegnosamente  sospirando  uscio. 

Camilla  estinta,  per  lo  campo  un  grido 
Levossi  che  n'andò  fino  a  le  stelle,  1315 

E  surse  al  cader  suo  zuffa  maggiore  : 
Che  i  Teucri  e  i  Toschi  0  gli  Arcadi  in  un  tempo 
Finsero  avanti  Opi  ministra  intanto 
Di  Trivia ,  che  nel  monte  era  discesa 
Vicino  a  la  battaglia ,  indi  il  conflitto  1320 

Stava  mirando  intrepida  e  sicura. 
E  visto  di  lontan  tra  molte  genti 
Nascer  nuovo  tumulto  e  nuove  grida. 
Poscia  in  mezzo  di  lor  caduta  e  morta 
La  vergine  Camilla,  Ah  (sospirando  1325 

Disse)  virgo  infelice  !  troppo ,  troppo 
Crudel  supplizio  hai  de  r  ardir  sonerto  » 
Se  d' irritar  Y  armi  trojane  osastL 
E  di  che  prò  t' è  stato  a  viver  nosco 
Solinga  vftai  armar  de  raCrmi  nostre,  1330 


•«•«■ 


7 


ìA])  j")   i:;;f>..J.:.MO  32'J 


Gradire  i  boschi,  e  venerar  Diana?  848 

Ma  te  non  lascerà  la  tua  regina 

Giacer  disonorata  in  questa  fine 

Da  la  tua  vita;  e  la  tua  morte  oscura 

Non  sarà  tra  le  ^enti;  e  non  dirassi  1335 

Che  non  è  chi  di  te  vendetta  faccia: 

Che  chiunque  di  ferro  avrà  ferito  * 

Il  corpo  tuo  j  sarà  meritamente 

Di  ferro  anciso.  Era  a  Dercenno  aùtico 

Re  de'  Laurenti  uri  gran  sepolcro  eretto,  1340 

Cui  sopra  era  di  terra  un  monte  imposto  » 

£  d*  elei  annosi  e  folti  un  bosco  opaco. 

Qui  la  veloce  Dea  dal  ciel  calessi 

Al  primo  volo;  e  di  qui  visto  Arante 

Splender  ne  Tarmi,  e  gir  di  sua  follia  1345 

Superbo  e  gonfio  »  Ove  ne  vai  ?  (diss'  ella) 

Qui  convien  che  ti  fermi ,  e  gui  morendo 

De  la  morta  Camilla  il  premio  avrai 

Degno  di  te ,  se  di  perir  sei  degno 

De  r  armi  di  Diana.  E  ciò  dicendo  1350 

La  buona  arciera  del  turcasso  aurato  857 

Trasse  un  acuto  strale ,  e  V  arco  tese , 

E  tirò  si  eh'  ambe  le  corna  estreme   ' 

Vennero  al  mezzo ,  ed  ambe  parimente 

Le  mani ,  una  tirata  e  1'  altra  spinta,  i355 

Quella  toccò  la  poppa  e  questa  il  ferro. 

L'arco,  Taura,  lo  strai  sonare  udio, 

E  ferir  e  morir  sentissi  Arante 

Tutto  In  un  tempo.  I  suoi  quasi  in  oblio 

Cosi ,  come  spirava ,  in  mezzo  al  campo  1360 

L9  lasciar  fra  la  polve  in  abbandono  : 

Ed  Opi  al  ciel  tornando  a  volo  alzossL 

Camita  lei ,  la  schiera  di  Camilla 
Primieramente  in  fuga  si  rivolse. 
Indi  turbarsi  i  Rutuh ,  e  dier  volta.  1365 

Die  volta  il  fiero  Atina  ;  e  i  duci  tutti 
E  tutte  fur  le  insegne  abbandonate. 
Cerca  ognun  di  salvarsi ,  e  ver  le  mttrà 
Ne  vanno  a  tutta  briglia  ;  e  più  nel  campo 
Alcun  non  è  che  di  far  testa  ardisca  .  1370 

Centra  la  strage  e  centra  la  mina  stu 

Che  fanno  i  Teucri  Se  ne  van  con  gli  archi 
Scarichi  in  su  le  terga  e  spenzoloni; 
E  più  che  di  galoppo  inver  Laurento 
Battono  il  campo ,  e  flEui  nubi  di  |KdlTe«  1375 

Le  madri  da' balconi  e  d^^torraxu, 
Percossi  i  petti ,  alzano  al  ciel  lo  gridA 


^ 


vmrtm 


Con  femineo  ululato.  E  quei  che  primi 
Giunti  trovar  le  porte  ancor  non  chinse, 
Mischiati  co'  nemici ,  ove  più  salvi 
Si  cre^ean ,  ne  V  entrata  e  fra  le  mura 
De  la  b tessa  lor  patria,  anzi  a  gli  alberghi 
Lor  propri  e  da'  nemici  e  da  la  morte 
Fiu*  sopraggiuntL  In  cotal  guisa  in  prima 
Stette  la  porta  a  gli  avversari  aperta. 
Poi  chiusa ,  escluse  i  suoi,  che  fuori  in  preda 
Restando  de' nemici,  a  1  lor  ]^iù  cari. 
Che  morir  gli  vedean ,  perche  s'aprisse 
Supplicavano  indamo.  £  qui  tra  quelli 
Che  n'  erano  a  difesa ,  e  quei  eh'  a  forza 
Anzi  a  fùria ,  a  ruina  incontro  a  loro 
S' awentavan  ne  Y  armi ,  orrenda  strage 
Si  fece  e  nuseranda.  E  de  gli  esclusi 
Altri  in  cospetto  de  gli  stessi  ^adri, 
E  de  le  ms^  che  dogUose  grida 
Ne  facean  da  le  torri  e  da  le  mura , 
Da  r  impeto  cacciati  o  da  la  calca 
Precipitar  ne*  fossi ,  e  giù  da'  ponti 
Gadder  sospinti  ;  ed  al&i  ne  la  fuga 
Da  sfrenati  cavalli  e  da  la  cieca 
Lor  taria.  trasportati ,  a  dar  di  cozzo 
Gir  ne  le  chiuse  porte.  In  su'  ripari 
Ancor  le  donne  (chà  le  donne  ancora 
Il  vero  de  la  patria  amore  infiamma) 
Come  giunte  a  V  estremo ,  allor  che  morta 
Vider  Camilla,  il  feminil  timore 
Volgono  in  sicurezza;  e  sassi  e  dardi 
Lanciando,  e  con  aguzzi  inarsicciati 
Pali  il  ferro  imitando ,  osano  anch'  elio 
Per  la  difesa  de  le  patrie  mura 
Gir  le  prime  a  morir  morte  onorata. 
A  Turno  intanto  ne  le  selve  arriva 
Acca,  la  già  spedita  messaggera 
Con  Tamara  novella,  un  gran  tumulto 
Portando ,  che  l' esercito  è  sconfìtto , 
Morta  Camilla,  annichilati  i  Volsci, 
E  i  Teucri  d'  ogni  cosa  impadroniti 
Stanno  in  campagna  col  favor  che  porta 
Seco  de  la  vittoria  il  corso  e  '1  nome  ; 
Spingonsi  avanti;  e  già  pianto  e  paura 
Assaleon  la  città.  D' ira ,  di  sdegno , 
E  di  furore  il  giovine  infiammato , 
(Che  tale  era  u  voler  empio  di  Giove) 

Pa  l' insidie  li  togltoi  esce  de' boschi 


138Ò 


1585 


1390 


880 


1395 


1400 


1405 


1410 


89! 


1415 


898 


1420 


LIBRO  UNDKCIMÓ 


Ov*  era  ascoso ,  e  giù  scende  da'  colli. 
Smarriti  non  gli  avea  di  vista  a  pena, 
A  pena  era  nel  piano ,  allor  eh'  Enea 
Prese  del  monte  ;  e  la  'v'  era  r  agguato , 
Trovando  aperto ,  senz'  offesa  anch'  egli 
Superò  '1  giogo ,  e  de  la  selva  uscio. 
Cosi  con  passi  frettolosi  entrambi 
Con  tutte  le  lor  genti ,  e  l' un  da  1'  altro 
Poco  lontani  a  la  città  sen  vanno. 
E  'nsiememente  da  V  un  canto  Enea 
Vide  di  polverio  fumare  i  campi , 
E  di  Laurento  sventolar  V  insegne  ; 
Turno  da  1'  altro  Enea  scoperse^  udendo 
V  annitrir  de'  cavalli  e  '1  calpestio 
Crescer  di  mano  in  mano.  Eran  vicini 
Si  che  venuto  a  zuffa  ed  a  battaglia 
Si  fora  anco  qiiel  di  ;  se  non  che  Febo 
Fatto  vermigho  i  suoi  stanchi  destrieri 
Stava  già  per  tuffar  ne  1'  onde  Ihere. 
Onde  avanti  a  le  mura  ambi  accampati 
Di  trincee  si  munirò  e  di  ripari. 


929 


1425 


1430 


1435 
908 


1440 


M45 


FINE  DBL  LIBRO  UNDECIIfO 


LIBRO    DUODECIMO 


ARGOMENTO 

TQ'^o  vedendo  Tabbattimento  dei  Latini,  e  che  ornai  solo  in  sé  9trc«o 
poteva  riporre  ogni  speranza,  a  malgrado  delle  rimostranze  di  Latino  e  dplle 
molte  lacrime  della  regina  cne  lo  scongiurano  a  torsi  giù  dair  impreca , 
delibera  di  venire  a  singoiar  tenzone  con  Enea,  e  gli  manda  la  sfida,  l-ioo. 
Enea  Faccetta  ;  e  le  condizioni  sono  solennemente  giurate  da  una  parto  e 
dairaltra:  ma  la  ninfa  luturna,  sorella  di  Turno,  ecatata  da  Giunone,  turba 
subito  raccordo,  107-248.  Ad  istigazione  dello  stesso  augure  Tolumnio,  di 
qua  e  di  lÀ  Si  viene  a  sanguinoso  conflitto,  nel  quale  Enea  ferito  è  co- 
suretto  di  abbandonare  il  combattimento,  244-898.  Di  ciò  accortosi  Turno, 
te  del  Troiani  intomo  a  sé  un  monte  di  cadaveri,  324-382.  Intanto  Tenere 
con  dittamo  eretico  guarisce  la  piaga  del  figlio,  883-429.  Il  quale  dopo  una 
breve  esortazione  ad  Ascanio,  accorre  di  nuovo  in  aiuto  de*  suoi,  e  pro- 
voca Turno  a  battaglia,  chiamandolo  a  nome.  Ma  questi  per  frodi  oella 
sorella  luturna  è  vOlto  altrove,  480-485.  Onde  Enea,  fatta  molta  ucci- 
sione di  Rutuli,  avvicina  tanto  resercito  alla  città,  da  appiccare  il  fuoco 
•gli  steccati  e  ai  primi  edifi:^,  486-592.  Allora  la  regina  Amata  credendo 
che  Turno  fosse  spento,  s*  impende  a  un  laccio,  593-618.  Turno,  saputo 
queste  cose,  vedendo  che  nOB^opuò  salvarsi  dal  combattere  da  solo  a  solo 
con  Enea,  se  pur  non  voglia  che  sotto  i  suoi  occhi  quella  città  alleata 
venga  In^potere  de* nemici,  lo  provota,  secondo  il  patto,  a  duello 
614-6V.  Enea  vincitore  in  questo  coipbattijqe nto ,  mentre  aller  preghiera 
del  caduto  rivale  sente  ffià  quasi  commuoversi  a  pietà,  venendogli  a  un 
tratto  veduto  il  balteo  di  Fallante  sugli  omeri  del  nemico,  preso  aa  subita 
Ira,  gì*  inmnerge  la  spada  nel  petto,  697-059. 

Turno,  poscia  che  vede  afflitti  e  dòmi 
Già  due  volte  i  Latini;  e  non  pur  scemi 
Di  forze ,  ma  di  speme  e  di  baldanza , 
Da  lui  farsi  rubelu;  e  che  a  lui  solo 
Ognun  rivolto  in  tanto  afTare  attende  5 

Le  prove,  le  promesse  e  i  vanti  suoi; 
Furioso ,  implacabile ,  inqitìeto 
Arde ,  s*  inanimisce ,  e  si  rinfranca 
Prima  in  se  stesso.  Qual  massila  fera 
Gh'  allor  d' insanguinar  gli  artigli  e  il  ceffo  10 

Dispensi .  allor  s' adira,  allor  si  scaglia 
Ver  chi  la  caccia ,  che  da  lui  si  seote 
Gravemente  ferita;  e  glÀ  godendo 
De  la  vendetta ,  saqgmnosa  e  Aera 
Con  le  giubbe  e'  arruflb  i  e  con  le  rampo  IC 


tìnnn  doodbciuo 


Accesa ,  impetuosa  e  furibonda^ 

£  così  conturbato  appreseniossi 

Al  re  davanti  o  disse  :  Indugio ,  o  scusa 

Più  non  fa  Turno  ;  e  più  non  ponno  ì  Teucri 

Da  quel  eh' è  patteggiato  e  statiiito, 

Se  non  se  per  viltà,  ritrarsi  ornai. 

Eccomi  in  campo  :  ecco  parato  e  pronto 

Sono  al  duello.  Or  fa.  Padre,  che'l  patto 

Sia  fermo  e  rato  e  sacro  ;  e  i  sacriUcj 

E  '1  giuramento  appresta.  Oggi ,  Signore , 

Sii  certo  o  ch'  io  con  lo  mie  mani  a  morte 

Questo  de  l' Asia  fuggitivo  adduco , 

È'I  difetto  di  tutti  io  solo  ammendo; 

(Stiansi  i)ure  a  vedere  i  tuoi  Latini) 

0  ch'ei  vincendo  tìa  padrone  a  voi 

E  marito  a  Lavinia.  A  cui  Latino 

Col  cor  sedalo  in  tal  guisa  risposQ  ; 

Giovine  valoroso ,  al  tuo  valore , 
A  la  ferocia  tua ,  che  tanto  eccede 
Ne  r  armi ,  io  deferisco.  E  tu  dovrai 
Appagarti  di  me ,  s' io  d' ogni  eoa» 
Temendo ,  con  ragione  e  con  maturo 
Consiglio  in  tutti  i  casi  inveglio ,  e  coro 
Che  '1  mio  stato  si  salvi  e  la  tua  vita. 
A  te  del  vecchio  Danno  erede  e  Aglio 
Seggio  e  regno  non  manca,  oltre  a  le  terre 
Di  cui  tu  fatto  hai  da  te  stesso  acquisto 
Per  forza  d'armi.  Oro,  favori  e  gradi 
Da  Latino  avrai  sempre:  e  maritaggi 
E  donne  d' alto  aCfar  son  per  lo  Lazio , 
E  per  le  terre  di  Laurento  assaL 
Ma  soflVi  eh'  io  ti  parli ,  e  senti  e  nota 
Poscia  quel  ch'io  dirò;  che  dirò  vero. 
Ben  che  noja  ti  sia.  Fatai  divieto 
Mi  proibiva ,  e  gli  uomini  e  gli  Del 
M' avean  vaticinando  in  molte  guise 
Denunciato ,  che  mia  figlia  a  nullo 
Io  maritassi  di  color  che  chiesta 
Me  r  avean  prima.  E  pur  da  l' amor  vinto 
Che  ti  porto  io,  dal  parentado  astretto 
Ch'  ho  con  la  casa  tua ,  mosso  dal  pianto 
E  da  le  preci  de  la  donna  mia. 
Dandola  a  te  mi  sono  al  i^to  opposto; 
Ho  rotto  fede  al  genero  ;  ho  con  Ini 
Presa  non  giusta  «  non  sicura  pierra. 


33i2  ENEIDE 


Da  indi  in  qua  tu  stesso ,  tu  che  primo 
Soffri  tante  fatiche  e  tanti  affanni , 
Hai  veduto  in  che  rischi,  in  che  travagli  fio 

Siam  noi  caduti;  che  due  volte  rotti 
In  duo  si  ^ran  battaglie,  in  questo  cerchio 
No  Siam  rmchiusi  a  sostentare  a  pena 
La  speranza  d'Italia.  11  Tehro  è  caldo 
Del  nostre  sangue.  I  campi  son  già  bianchi  70 

De  le  nostr'  ossa.  Ed  io  folle  a  che  torno  -'^ì 

Tante  fiate  al  precipizio  mio  ? 
Chi  cosi  da  me  stesso  mi  sottraggo  ? 
Se ,  Turno  estinto ,  io  nel  mio  regno  deggio 
I  Trojani  accettar,  che  non  gli  accetto  75 

Or  eh'  egli  è  vivo  e  salvo  ?  E  che  non  pongo 
Fine  a  la  guei-ra ,  a  la  ruina  espressa 
Del  mio  regno  e  de'  miei  ì  Che  ne  diranno 

I  rutuli  parenti  ?  che  diranno 

Italia  tutta ,  quando  a  morte  io  lasci  80 

(  Voglia  Dio  che  non  sia)  gir  un  che  tanto 

Ama  la  parentela  e*l  sangue  miot 

Rimira  de  la  guerra  come  vana 

Sia  la  fortuna.  Abbi  pietà  del  vecchio 

Danno  tuo  padre  che  da  te  lontano  85 

In  Ardea  se  ne  sta  mesto  e  dolente. 

Turno  a  questo  parlar  nulla  si  mosse 

De  la  ferocia  sua  :  crebbe  più  tosto 

II  suo  ftirore;  e  lo  rimedio  stesso 

Gli  aggravò '1  male.  Ei,  come  pria  poteo  90 

Formar  parola ,  in  tal  guisa  rispose  :  47 

Nulla  per  conto  mio  di  me  ti  caglia, 
Signor  benigno  :  anzi ,  ti  prego ,  m  grado 
Prendi  eh'  io  per  la  lode  e  per  l' onore 
Patteggi  con  la  morte.  Ed  anch'  io ,  Padre ,  95 

Ho  le  mie  mani;  ed  anco  il  ferro  mio 
Ha  taglio  e  punta,  e  fa  ferita  e  sangue. 
Non  sempre  avrà ,  cred'  io ,  la  madre  a  canto , 
Che  di  nube  lo  copra  e  lo  trafigga 
Come  vii  femminella ,  e  di  van'  ombra  100 

Seco  s' inveiva.  E  ciò  detto  si  tacque. 
Ma  la  regina  de  V  audace  impresa 
Del  genero  dolente  e  spaventata , 
Piangendo,  e  per  angoscia  a  morte  giunta 
Lo  tenea ,  lo  pregava ,  e  gU  dicea  :  105 

Turno ,  per  queste  lagrime ,  per  quanto 
T' è ,  se  pur  fé,  de  r  infelice  Amata 
L' onor ,  1  amore  e  la  salute  in  pregio  : 
(  Già  che  tu  sola  spome  i  e  sol  riposo 


Liiìao  d'';o:k':c:mo  333 


Sei  de  la  mia  vecchiezza;  a  te  s* appoggia,  lio 

In  te  si  fonda  di  Latino  il  regno,  57 

E  la  sua  dignitade ,  e  la  sua  casa 

Che  mina  minaccia  )  in  don  ti  chìeggio , 

Astienti  di  venir  co'  Teucri  a  T  arme. 

Che  qualunque  ne  segua  avverso  caso  115 

Sopra  me  cade.  Ch*  io  teco  di  vita 

Uscirò  pria  che  mai  suocera,  0  serva 

Io  mi  veggia  d' Enea.  Queste  parole 

De  la  madre  senti  Lavinia  virgo 

Di  rugiadose  lagrime  e  d*  un  foco  120 

Di  vergineo  rossor  le  guance  aspersa, 

Qual  fora  se  di  porpora  macchiato 

Fosse  un  candido  avorio,  0  che  di  rose 

Si  spargessero  i  gigli  In  lei  mirando 

n  giovine ,  d' amor  non  men  che  d' ira  125 

Acceso,  a  la  regina  brevemente  70 

Cosi  rispose  :  Ah  !  madre  mia ,  ti  pre^^c. 

In  cosi  perigliosa  e  dura  impresa 

Non  mi  far  col  tuo  pianto  e  col  tuo  duolo 

Sinistro  annuncio.  Cnè  s*  a  Turno  è  dato  130 

Che  muoja ,  in  suo  poter  più  non  è  posto 

Che  di  morire  indugi.  Indi  a  Y  araldo 

Rivolto,  Va  (gli  disse  )  e  da  mia  parte 

Quest'ingrata  e  spiacevole  imbasciata 

Porta  al  frigio  tiranno,  che  dimane  135 

Tosto  che  na  la  rubiconda  Aurora 

A  r  oriente  apparsa ,  i  Teucri  suoi 

Contr'  a'  Rutuli  addur  più  non  s'  affanni. 

Stiensi  r  armi  de'  Rutuli  e  de'  Teucri 

Per  mio  conto  in  riposo.  Che  tra  noi  140 

Col  nostro  sangue  a  difìnir  la  guerra, 

E  di  Lavinia  le  bramate  nozze 

In  su  quel  campo  a  procurarci  avemò. 

Detto  cosi ,  ver  la  magion  s' invia 
Rapidamente  ;  addur  si  race  avanti  145 

I  suoi  cavalli,  e  le  fattezze  e'I  fremito  si 

Notando,  se  ne  gode,  e  ne  concepe 
Speme  e  vittoria  :  che  di  razza  usciti 
Eran  già  d' Orizìa ,  da  cui  Pilunno 
Ebbe  giumente  e  corridori  in  dono,  150 

Che  di  candor  la  neve ,  e  di  prestezza 
Superavano  il  vento.  Avean  d'intorno 
I  valletti  e  gli  aurighi  che  palpando , 
Forbendo  e  vezzeggiando ,  m  varie  gutóe 
Gli  facean  lieti ,  baldanzosi  e  fieri.  155 

Fatte  poscia  venir  l' anni ,  si  vesto 


'./* 


33i  —  BNEIDB 

La  sua  corazza  d' oricalco  e  d' oro , 

E  dentro  vi  s'adatta  e  vi  si  vibra 

Con  la  persona.  Imbracciasi  lo  scudo. 

Provasi  r  elmo  :  e  la  vermiglia  cresta  iCO 

Squassando,  il  brando  impugna,  il  lido  brando  to 

Da  lo  stesso  Vulcano  al  padre  Danno 

Temprato  in  Mongibello  a  tutto  prove. 

Al  fine  im*  asta  poderosa  e  grave , 

Ch'appo  un'alta  colonna  era  appoggiata  ig5 

In  mezzo  de  la  casa ,  in  man  si  pianta , 

Spoglio  d' Attóre  Aurunco.  E  poiché  T  ebbe 

Brandita  e  scossa ,  Asta  (  gridando  disse  ) 

Gh'  a  le  mie  fazioni  unqua  non  fosti 

Chiamata  indarno ,  ora  al  maggior  bisogno  170 

Da  te  soccorso  imploro.  Il  ^ande  Attóre 

Armasti  in  prima,  or  sei  di  Tiu^no  in  mano. 

Dammi  che  1  corpo  atterri,  e  la  corazza 

Dischiodi ,  e  '1  petto  laceri  e  trapassi 

Di  questo  frigio  effeminato  eunuco.  175 

Dammi  che  T  profumato ,  inanellato , 

.Gol  ferro  attorcigliato  zazzcrino 

Gli  scompigli  una  volta,  e  ne  la  polve 

Lo  travolga  e  nel  sangue.  In  cotal  guisa 

Dicendo,  inftirlava,  ardea  nel  volto,  ISO 

Scintillava  ne  gli  occhi,  orribilmente  loi 

Fremea,  qual  mugghia  il  toro  allor  che  irato 

Si  prepara  a  battaglia,  e  Tira  in  cima 

Si  reca  de  le  corna:  indi  V  arrota 

A  qualche  tronco,  e'I  tronco  e  Taura  in  prima     185 

Ferendo ,  alto  co'  piò  sparge  l' arena , 

E  del  futuro  assalto  i  colpi  impara. 

Da  r  altro  canto  Enea ,  non  men  feroce 
Ne  Tarmi  di  sua  madre,  al  fiero  Marte 
S'inanima,  e  s'accinge,  e  del  partito  iOO 

Ghe  gli  era  per  compor  la  guerra  oflferto, 
Si  rallegra,  l'accetta;  e  i  suoi  compagni 
E  '1  suo  figlio  assicura ,  or  di  se  stesso 
La  fipanchezza  mostrando ,  or  le  venture 
De' Fati  rammentando  e  le  promesse.  l'J5 

Indi  con  la  risposta  al  re  Latino  1 1 1 

Manda  chi  la  disfida  e'I  patto  accetti, 
E  del  patto  i  capitoli  e  le  leggi 
Stabilisca  e  confermi.  Era  de'  monti 
In  su  la  cima  a  pena  il  sole  apparso  200 

De  r  altro  «iomo  allor  che  i  suoi  destrieri 
Sorgon  da  l'onde,  e  con  le  nari  in  alto 
Fiamme  anelando ,  il  mondo  empion  '0.  luco  ; 


LIBRO  DUOl>BGlMO  S86 

Quando  nel  campo  i  Rutuli  discesi 

E  i  Teucri  insieme ,  sotto  a  Y  alte  mura  205 

Fabbricar  lo  steccato,  a  cui  nel  mezzo 

I  fochi,  e  r  are  di  gramigna  asperse 
Furo  a  gli  Dei  d'  ambe  le  parti  eretti 
Comunemente  ;  e  d' ambi  i  sacerdoti 

Di  bianco  lino  involti,  e  di  verbena  210 

Cinti  le  teippie  andare  altri  con  l'acqua. 

Altri  con  le  facelle  intorno  accese. 

Poscia  ecco  de  gli  Ausonj  da  1"  un  canto 

A  piene  porte  V  ordinate  schiere 

Uscir  da  la  città  di  picche  armate;  215 

Da  r  altro  de*  Trojani  e  de*  Tirreni  i2S 

Gir  r  esercito  tutto  in  varie  guise 

D' abiti  e  d'  armi  ;  e  questi  incontro  a  quelli 

Non  altramente  eh'  a  Battaglia  instruttL 

Fra  mezzo  a  tante  mila  i  condottieri  220 

Ciascun  da  la  sua  parte  si  vedea 

Gir  d' oro  e  d' ostro  alteramente  adomi. 

E'I  gran  Memmo  con  questi  e'I  forte  Asila, 

E  Messapo  con  quelli ,  de'  cavalli 

II  domatore  e  di  Nettuno  il  figlio.  225 
Poscia  che,  dato  il  segno,  ebbe  ciascuno       .-^s 

Chi  di  qua  chi  di  là  preso  il  suo  loco; 

Piantar  le  lance,  e  dechinàr  gli  scudi 

Le  donne ,  i  vecchi ,  i  putti  e  '1  volgo  inerme 

Di  veder  desiosi ,  altri  m  su'  tetti ,  230 

Altri  in  su'  rivellini  e  'n  su  le  torri 

Stavan  mirando.  E  non  dal  campo  lungo 

Sedea  Giuno  iCTun  colle,  Albano  or  detto 

Gh'allor  nò  d'Alba  il  nome  avea,  nè'l  pregio, 

Né  i  sacrifìci.  In  questo  monte  assisa  235 

Vedea  de'  Laùrenli  e  de'  Trojani 

L' accolte  genti ,  e  di  Latino  il  seggio. 

Ivi  la  Dea  di  Turno  a  la  sirocchia, 

Che  Dea  de'  laghi  era  e  de'  fiumi  anch'  ella , 

(Privilegio  che  Giove  allor  le  diede  240 

Che  de  la  pudicizia  il  fior  le  tolse) 

Disse  cosi:  Ninfa  de' fiumi  onore, 

Sovr'  ogni  Ninfa  a  me  gioconda  e  cara , 

Tu  sai  come  te  sola  ho  preferita 

A  tutte  r  altre  che  di  Giove  in  Lazio  245 

L'ingrato  letto  han  di  salire  osato; 

E  come  volentier  del  cielo  a  parte 

Meco  t'ho  posta.  Ascolta  i  tuoi  doloilf 


Perchè  di  me  delerti  unqua  non  possa. 
Finché  di  Lazio  la  fortuna  e  '1  fato 


250 


«30-  —  BNBIDB 

Me  rhan  concesso,  lo  prontamente  e  Turno    147 
B  la  tua  terra  e  i  tuoi  sempre  ho  diteso. 
Or  TB^gio  questo  giovine  a  duello 
Con  disegnai  destino  esser  chiamato  : 
Veggio  il  di  de  la  Parca,  e  la  nemica  255 

Forza  che  gli  è  vicina,  lo  ^esto  accordo, 
i  Questa  pugna  veder  cop  gh  occhi  miei 
Per  me  non  posso.  Tu,  se  cosa  ardisci 
In  prò  del  tuo  germano ,  ora  è  mestiere 
Che  tu  r  adopn  ;  e  puoi  farlo ,  e  convientL  260 

Fallo:  e  chi  sa  che  1  misero  non  cangi 
Ancor  fortuna?  A  pena  avea  ciò  detto, 
Che  Juturna  gemendo  e  lagrimando 
Tre  volte  e  quattro  il  petto  si  percosse. 
A  cui  Giuno  sog^unse  :  Eh  non  è  tempo  265 

Da  stare  in  pianti.  Affretta  ;  e  da  la  morto        i56 
Scampa  (  se  scampar  puossi  )  il  tuo  fratello , 
O  turbando  P  accordo ,  0  suscitando 
Nuova  cagion  di  mischia  e  di  tumulto. 
Io  son  che  te  1*  impongo ,  e  te  n*  affido.  270 

Con  questo  la  lasciò  sospesa  e  mesta, 
B  d' amara  puntura  il  cor  trafitta. 

Ecco  ven^no  al  campo  i  regi  intanto; 
Latino  il  pnmo ,  alto  in  un  carro  assiso 
Che  da  quattro  suoi  nitidi  corsieri  275 

Di  gran  macchina  in  guisa  era  tirato , 
B  di  dodici  raggi  il  fronte  adomo 
Del  Sole  avo  di  lui  semhiania  avea. 
Turno  traean  due  candidi  destrieri, 
Con  due  suoi  dardi  in  mano ,  agili  e  forti  280 

Enea  de  la  romana  stirpe  autore 
Con  r  armi  sue  celesti  e  con  lo  scudo 
Che  dianzi  da  le  Étélle  era  venuto , 
Uscio  da  r  altro  canto ,  e  seco  a  pari 
Ascanio  il  Aglio  suo,  de  la  gran  Boma  285 

La  seconda  speranza.  A  mano  a  mano  108 

n  sacerdote  in  pan  veste  involto 
Anzi  a  gli  accesi  altari  il  nuovo  parto 
D*  una  setosa  porca ,  ed  una  amiella 
Ancor  non  tosa  al  sacrificio  addusse.  290 

E  volti  a  r  oriente ,  in  atto  umile 
S*  inchinar  tutti  ;  e  vino  e  farro  e  sale 
Sparser  d* amli0  le  parti;  amhe  col  ferro, 
Si  com'  era  uso^  a  le  devote  belve 
Segnar  le  tdhLmelr  Ailor  il  padre  Enea  20^ 

Stnnse  la  s^da ,  e  gli  occni  al  ciel  rivolti , 
Cosi  disse  pregando  ;  Io  quMto  sole 


LIBRO   DUODECIMO  337 


Per  testimone  invoco  o  questa  terra , 

Per  cui  tanti  ho  fin  qui  sofferti  affanni: 

Invoco  te  celeste ,  onnipotente  ,  SOO 

Eterno  Padre ,  e  te  Saturnia  Giuno  178 

Già  ver  me  più  benijj^na  (e  ben  ti  prego 

Che  mi  sii  tale)  e  te  gran  Marte  invoco, 

Gh*  a  r  armi  imperi  :  e  voi  fónti,  e  voi  flusìi , 

E  voi  tutti  del  mar ,  tutti  del  cielo  905 

Numi  possenti  ;  e  vi  prometto  e  giuro 

Che  se  Turno  per  sorte  è  vincitore 

Di  questa  pujjna ,  il  successor  del  vinto 

Gli  cederà  ;  eh'  a  la  città  d*  Evandro 

Si  ritrarrà  ;  che  mai  poscia  ribelle  310 

Non  gli  sarà  ;  che  guerra ,  o  lite ,  0  sturbo 

Alcun  altro  più  mai  non  gli  farà. 

Ma  se  più  tosto  (come  io  prego ,  e  come 

Spero  che  mi  succeda)  al  nostro  Marte 

La  dovuta  vittoria  non  si  froda;  315 

Io  non  vo'  già  che  gì'  Itali  soggetti 

Siano  a'  miei  Teucri ,  nò  d' Italia  io  solo 

Tener  V  impero  :  io  vo*  eh*  ambi  del  pari 

Questi  popoli  invitti  aggian  tra  loro 

Governo ,  e  leggi  eguali ,  e  pace  eterna.  320 

A  me  basta  eh'  io  dia  ricetto  e  culto  i9i 

A'  miei  Numi ,  a  mìei  Teucri  ;  e  sia  Latino , 

Suocero  mio ,  del  suo  regno  e  de  V  armi 

Signor,  rettore  e  donno.  Io  poscia  altrove 

Altre  mura  ergerommi ,  e  de'  miei  stessi  321 

Fien  le  fatiche ,  e  di  Lavinia  il  nome. 

Cosi  pria  disse  Enea:  cosi  Latino 
Seguitò  poi  con  gli  occhi  e  con  la  destra 
Al  ciel  rivolto^  Ed  io  giuro  (dicendo) 
Le  stesse  Deità ,  la  terra ,  il  mare ,  330 

Le  stelle,  di  Latona  ambi  i  gemelli,  i«i 

Di  Giano  ambe  le  fronti,  il  chiuso  centro i 
E  la  ^an  possa  degl'  inferni  DiL 
Odami  di  la  su  1*  eterno  Padre 

Che  fulminando  stabilisce  e  ferma  336 

Le  promesso  e  §li  accordi.  I  Numi  tutti 
Chiamo  per  testimoni ,  e  tocco  1*  ara , 
E  tocco  il  foco ,  e  questa  pace  approvo 
Dal  canto  mio.  Nò  mai  (cne  che  si  sia 
Di  questa  pugna)  ne  per  forza  alcuna ,  3^0 

Né  per  tempo  sarà  eh*  ella  si  rompa 
Di  voler  mio ,  non  se  la  terra  in  acqua 
Si  dileguasse ,  non  se  '1  ciel  cadesse 
Ne  r  imo  abisso  :  cosi  come  ancora 

Dell' Eni^titk  ^ 


^:^- 


338  ENTKIDFi 


Questo  mio  scettro  (che  lo  scettro  in  mano  345 

Avea  per  sorte)  più  nò  fronda  mai 

Né  virgulto  farà,  poiché  reciso 

Dal  vivo  tronco ,  o  da  radice  svelto 

Mancò  di  madre ,  e  già  d' arbore  eh'  era , 

Sfrondato,  diramato  e  secco  legno  350 

Di  già  venuto ,  e  d' oricalco  adomo , 

E  per  man  de  V  artefice  ridotto 

In  questa  t'orma ,  e  per  quest'  uso  in  mano 

De  1  re  Latini  è  posto.  In  cotal  guisa 

Fermati  i  patti,  e  T ostie  in  mezzo  addotte,  355 

Tra  i  più  lamosi  anzi  a  T  accese  fiamme         tit 

Le  svenar ,  le  smembrar ,  le  sviscerare. 

E  si  com'  eran  palpitanti  e  vive , 

Le  fibre  ne  spiar ,  le  diero  al  foco , 

N'  empier  le  quadre,  e  ne  colmar  gli  altari  360 

Di  già  disvantaggioso  e  diseguale 
Questo  duello  a'  Rutuli  sembrava  ; 
E  già  vari  bisbigli ,  e  vari  moti 
N*  eran  tra  loro  :  e  com*  più  sanamente 
Si  rimirava,  più  di  lorze  impari  365 

Si  vcdea  Turno  ;  ed  egli  stesso  indizio  t is 

Ne  die,  che  lento  e  tacito  e  sospeso 
Entrò  nel  campo.  E  come  ancor  di  pelo 
Avea  le  guance  lievemente  asperse , 
Orando  anzi  a  Y  aitar  pallido  il  volto  370 

Mostrossi ,  e  chino  il  flronte  j  e  grave  il  ciglio. 

Tale  una  languidezza  rimirando , 
E  tal  del  volgo  un  susurrare  udendo 
Giuturna  sua  sorella,  infra  le  schiere 
Gittossi,  e  di  Gamerte  il  volto  prese.  375 

D'  alto  legnaggio  ,  di  valor  paterno , 
E  di  propria  virtute  era  Gamerte 
Famoso  infra  la  gente.  E  tal  sembrando. 
Già  de  gli  animi  accorta ,  iva  Giuturna 
Rumor  diversi  e  tai  voci  spargendo  :  380 

Ah!  che  vergogna,  che  follia,  che  fallo, 
Rutuli,  è  '1  nostro ,  che  per  tanti  e  tali 
Sola  un'  alma  s' arrischi  ?  Or  slam  noi  forse 
Di  numero  a'  nemici  int'ertori , 

O  d*  ardire ,  o  di  forze  ?  Ecco  qui  tutti  385 

Accolti  i  Teucri  e  gli  Arcadi  e  gli  Etruschi     tsi 
Ghe  sono  anco  per  fato  a  Turno  infensi* 
A  due  di  noi  centra  im  di  loro  a  miscnia 
Che  si  venisse,  di  soverchio  ancora 
F'^rano  i  nostri.  Ei  che  per  noi  combatte ,  390 

N<'  sarà  fra  gli  Dei ,  cui  s' è  devoto , 


LIBRO  DUODBCIMO                                            '339 
_. * 

In  ciel  riposto  ;  e  qui  tra  noi  famoso 

Vi  vera  sempre.  Ma  di  noi  che  fta, 

Ch*  or  ce  ne  stiam  si  neghittosi  a  badaf 

La  patria  perderemo?  e  da  stranieri,  206 

E  da  superbi  in  servitute  addotti, 

Preda  e  scherno  d' altrui  sempre  saremo? 

Da  g[uesto  dir  la  gioventù  commossa 
Yia  pm  s'  accende ,  e  '1  mormorio  serpendo 
Più  cresce  per  le  squadre.  Onde  i  LaUni,  400 

E  gli  stessi  Laurenti  che  pur  dianzi 
Di  pace  eran  si  vaghi  e  di  quiete , 
Pensier  cangiando  e  voglie ,  or  X  arme  tutti 
Gridano,  tutti  pregan  che  T  accordo 
Sia  per  non  fatto  ;  e  tutti  han  do  T  iniqua  405 

Sorte  di  Turno  ira,  pietate  e  sdegno.  243 

In  questa  ecco  apparir  no  T  aria  un  mostro 
Per  opra  di  Giuturna ,  onde  turbati 
E  dal  primo  proposito  distolti 

Fur  da  vantaggio  de'  Latini  i  cuori.  410 

Videsi  per  lo  lito  e  per  lo  cielo 
Di  rog^o  asperso  un  di  palustri  augelli 
Impaurito  e  strepitoso  stuolo. 
Dietro  un*  aquila  avea ,  eh'  a  mano  a  mano 
Giuntolo  de  lo  stagno  in  su  la  riva,  415 

Un  cigno  ne  ghermì ,  eh'  era  di  tutti 
n  maggiore  e  *1  più  bello.  A  cotal  vista 
Gli  occhi  e  gli  animi  alzar  T  itale  squadre; 
E  5IÌ  augei  che  pur  dianzi  erano  in  fuga 
(Mu'abile  a  vedere  !) ,  in  un  momento  420 

Stridendo  si  rivolsero,  e  ristretti 
In  densa  nube ,  ond'  era  il  ciel  velato , 
La  nimica  assalirò.  E  sì  d' intorno 
La  cinser ,  T  aggirar ,  T  attraversare , 
Ch'  a  cielo  aperto  ,  u'  dianzi  orano  in  fuga»  425 

Le  fér  gabbia ,  ritegno  e  forza  al  fine 
Che  gravata  dal  peso  e  stretta  e  vinta 
De  la  lena  mancasse  e  de  la  preda. 
Il  cigno  dibattendosi ,  da  T  ugno 
Sovra  l'ondo  gli  cadde;  ed  ella  scarca,  430 

Da  la  turba  fuggendo ,  al  cielo  alzossi.  «56 

I  Rutuli  a  tal  vista  con  le  grida 
Salutar  pria  l'aui^urio:  indi  a  la  pugna 
Si  prepararo.  E  fu  Tolunnio  il  primo , 
Ch'augure,  incontro  al  patto  anzi  a  le  schierp.       435 
Si  spinse  armato ,  e  disse  :  Or  questo  ò ,  queslo 
Ch'  10  desiava  ;  e  questo  è  quel  eh*  io  cerco 
Ho  ne'  miei  voti.  Accetto  e  riconosco 


A 


340  BNsmB 

n  favor  de  gli  Dei  Me ,  me  seguite , 

Rullili  miei.  Gou  me  T  armi  prendete  440 

Contro  al  malvagio  che  di  strana  parte  sei 

Venuto  con  la  guerra  a  spaventarci , 

Ha  voi  per  vili  augelli,  e  i  vostri  lidi 

Cosi  scorre  e  depreda.  Ma  ritolto 

Questo  cigno  gli  Ha  ;  di  nuovo  al  mare  445 

In  fuga  se  n'  andrà.  Voi  combattendo 

In  guisa  de  la  pria  fugace  torma  « 

Ristringetevi  insieme ,  e  riponete 

n  vostro  re ,  che  v*  è  rapito ,  in  salvow 

Detto  cosi,  spinse  il  destriero ,  e  trasse  i-  0 

Contro  a*  nemici  Andò  stridendo  e  dritto 
L'  aura  secando  il  fulminato  dardo; 
E  insieme  udissi  col  suo  rombo  un  grido , 
Che  insino  al  elei ,  de'  Rutuli ,  sentissi 
Insieme  scompigliossi  il  campo  tutto,  455 

Turbarsi  i  petti ,  ed  infiammarsi  i  cuori* 
V  asta  volando  giunse  ove  a  rincontro 
Nove  fratelli  eran  per  sorte  accolti, 
Che  tutti  d*  una  sola  etrusca  moglie 
Da  r  arcadie  Gilippo  eran  creati.  460 

Un  dì  lor  ne  colpi  là  've  per  mezzo  vtt 

n  cinto  s' attraversa ,  e  con  la  fìbbia 
S*  afferra  al  fianco.  Ivi  tra  costa  e  costa 
Penetrando,  altamente  lo  trafìsso, 
E  morto  in  su  V  arena  lo  distese.  465 

Questi  il  più  riguardevole  ne  T  armi 
Era  degli  altri,  e  '1  più  bello  e  *1  più  forte. 
E  gli  altri  (come  tutti  eran  feroci) 
Dal  dolore  infiammati ,  incontanente 
Chi  la  spada  impugnò ,  chi  prese  il  dardo  ;  470 

E  centra  il  foritor  tutti  in  un  tempo , 
Come  ciechi,  avvenlàrsL  Incontro  a  loro 
Si  mosser  de*  Laurenti  e  de'  Latini 
Le  genti  a  schiere  ;  e  d'  altro  lato  a  schiere 
Spinsero  i  Teucri  e  gli  Arcadi  e  gli  Etrusci.  475 

Cosi  d'armi  e  di  sangue  uguale  ardore  «si 

Surse  d'  ambe  le  parti  ;  e  1*  are  e  '1  foco , 
Ch'  eran  di  mezzo ,  e  1*  ostie  e  le  patene 
N'andar  sossopra;  e  tal  di  ferri  e  d'aste 
Denso  levossi  e  procelloso  un  nembo,  4d0 

Che  '1  sol  se  n'  oscurò ,  sangue  ne  piovve. 
Grida  e  fugge  Latino ,  e  i  numi  otfcsi 
Se  ne  riporta ,  e  detestando  abborre 
Il  violato  accordo.  Armasi  intanto 
Il  campo  tutto  \  e  chi  fi*ena  i  destrieri ,  485 


LIBRO  DUODECIMO  341 


Chi  '1  carro  appresta;  o  ^ià  con  V  aste  basse, 
E  con  le  spade  ad  investir  9*  vanno. 

Messapo  desioso  che  raccordo 
Si  disturbasse ,  incontro  al  tosco  Auleste 
Che,  corno  re,  di  real  fregi  adorno  490 

E  d' ostro  al  sacrillzio  era  assistente , 
Spinse  il  cavallo ,  e  spaventollo  in  guisa 
Cne  mentre  si  ritraggo  intra  gli  altari 
Cli'  avea  da  tergo ,  urtando ,  si  travolse. 
Messapo  con  la  lancia  incontanente  495 

Gli  si  fé'  sopra ,  e  si  com'  era  in  atto  t94 

Di  supplicarlo ,  il  petto  gli  trafìsse. 
Cosi  Ben  va  (dicendo)  :  or  a  ^ran  numi 
Porco  più  grato  e  miglior  ostia  cadi.  -  '• 
Cadde  il  meschino ,  e  fu  spirante  e  caldo  500 

Sovraggiunto  da  gV  Itali,  e  spogliato. 

Die  Corinèo  per  un  gran  tizzo  a  l'ara 
Di  piglio  ;  e  sì  com'  era  ardente  e  grave , 
Ad  Eduso  che  incontro  gli  venia , 
Nel  volto  il  fulminò.  Schizzonnc  insieme  505 

Il  foco  e  '1  sangue  ;  e  di  baleno  in  guisa  soo 

Un  lampo  ne  la  barba  gli  refulse 
Che  die ,  d' arsiccio ,  odore.  Indi  gli  corse 
Sopra  senza  ritegno  ;  e  (mal  trovillo 
Da  la  percossa  abbarbagliato  e  fermo,  510 

L'  afferrò  per  la  chioma ,  a  terra  il  trasse , 
Col  ginocchio  lo  strinse ,  e  col  trafìere 
Gli  passò  '1  fianco.  Podalirio  ad  Also 
Pastor ,  che  fra  le  schiere  infuriava , 
S'  affilò  dietro  ;  e  già  col  brando  ignudo 
Gli  soprastava,  allor  eh' Also  rivolto 
La  gravosa  bipenne,  ond'  era  armato , 
Gli  piantò  ne  la  fronte,  e  'usino  al  mento 
n  teschio  gli  sparti ,  1'  armi  gli  sparso 
Tutte  di  sangue  :  ond'  ei  cadde ,  e  le  luci  520 

Chiuse  al  gran  bujo  ed  al  perpetuo  sonno. 

Enea  senz'  elmo  in  testa ,  infra  le  genti 
La  disarmata  destra  alto  levando , 
E  discorrendo,  e  richiamando  l  suoi, 
Dove,  dove  ne  gite?  che  tumulto,  525 

Dicea ,  che  furia ,  che  discordia  è  questa 
Cosi  repente  ?  Oh  trattenete  T  ire } 
Oh  non  rompete.  Il  patto  è  stabilito  : 
V  accordo  è  fatto.  Solo  a  me  concesso 
E  eh'  io  combatta.  A  me  sol  ne  lasciate  tSO 

La  cura ,  e  '1  carco.  Io,  non  temete ,  io  solo 
n  patto  vi  ratifico  e  vi  fermo 


515 


31S 


■^iWitói*-'^""-'-' 


348 


■NBlM 


545 


3S5 


Con  ^esta  sola  destra;  e  Turno  a  morte 

Di  già  mi  si  promette,  e  mi  si  deve 

Da  questi  sacriiicj.  In  questa  guisa  535 

firidava  il  teucro  duce  ;  ed  ecco  intanto 

Venir  d'  alto  stridendo  una  saetta  ; 

I^on  si  sa  da  qual  mano ,  o  da  qual  aroo 

Si  dipartisse.  0  caso ,  o  Dio  che  fosse 

Che  tanta  lodo  a  Rutuli  prestasse ,  540 

L' onor  se  ne  celò ,  né  mai  s*  intese 

Chi  del  ferito  Enea  vanto  si  desse. 

Turno,  poiché  dal  campo  Enea  fti  tratto, 
E  turbar  vide  1  suoi ,  di  nuova  speme 
S' accese,  e  ^ridò  r  armi ,  e  sopra  al  carro 
D*un  salto  si  lanciò,  spinse  i  cavalli 
Infra'  nemici ,  e  molti  a  morte  dionne , 
Molti  ne  sgominò ,  molti  n*  infranse , 
E  con  r  aste ,  fuggendo ,  ne  percosse. 

Sual  e  de  1*  Ebro  in  su  la  fredda  riva  550 

sanguinoso  Marte  allor  eh*  entrando 
1^8  la  ^attaglia,  o  con  lo  scudo  intuona, 
O  fulmina  con  T  asta ,  e  i  suoi  cavalli 
Da  la  fai'ia  e  da  lui  cacciati  e  spinti 
Ne  van  co'  venti  a  gara ,  urtando  i  vivi ,  555 

E  calpestando  i  morti  ;  e  fan  col  suono 
De' pie  lino  a  gli  estremi  suoi  confini 
Tremar  la  Tracia  tutta,  e  van  con  essi 
Lo  spavento ,  il  timor ,  V  insidie  e  l' ire , 
Del  Bellicoso  Iddio  seguaci  etemi;  500 

In  cosi  fiera  e  spaventosa  vista  rào 

Se  ne  già  Turno  la  campagna  aprendo , 
Uccidendo ,  insultando ,  e  di  nemici 
Miserabil  mina  e  strage  e  strazio 
Or  con  r  armi  facendo ,  or  co'  destrieri ,  5C5 

Che  sudanti ,  fumanti  e  polverosi , 
Spargean  di  sangue  e  di  sanguigna  arena 
Con  le  zampe  e  con  l' ugne  un  nembo  intorno. 
Stèndo,  ne  l'entrar,  Tamiro  e  Polo 
Condusse  a  morte;  i  due  primi  da  presso,  570 

L' ultimo  da  lontano.  E  da  lungo  anco 
Glauco  percosse  e  Lado  ;  i  due  famosi 
Figli  d'iinbràso  ne  la  Licia  nati. 
Da  lui  stesso  nutriti,  e  parimente 
k  cavalcale  e  guerreggiare  instruttì.  575 

Da  l'altra  parlo  Kumcde ,  il  chiaro  germe     345 
De  l'antico  Dolone.  Il  nome  avea 
Costui  do  l'avo,  e  l'ardimento  e  i  fatti 
Seguia  del  padre ,  che  do'  Greci  U  campo 


LI»  ;0    DUODEiintO  ^'i^J 


Spiare  osando,  osò  d' A  e.  hi  Ho  ;ìiicora  ociU 

In  pivniio  do  r  ar  lir  cliij  loro  il  carro. 

Ma  d'altro  olio  di  cirro  prcmiollo 

Il  tìglio  di  Tidòo;  iio  perù  "loi^'uo 

D'un  tanto  gai  h»r  ione  nnaua  si  loiiae. 

Turno,  poscia  chtj'l  vide  (che  da  lunge  585 

JiO  scorso)  con  un  dardo  il  giunse  in  prima: 

Indi  a  terra  gittossi  ;  e  qual  trovollo 

Di  fcjià  caduto  e  moribondo ,  il  piede 

Sopr'  al  collo  gì'  impresse ,  e  ne  la  strozza 

Lo  suo  stosso  pnguai  cacciògli ,  e  disse  :  590 

Trojano,  ecco  l'Italia,  ecco  i  suoi  campi , 

Che  tanto  desiasti  ;  or  gli  misnra 

Costi  giacendo.  K  questo  si  guadagna 

Chi  contro  a  Turno  ardisce  ;  e  'n  questa  guisa 

Si  fondan  le  città.  Dietro  a  costui  595 

Bute ,  e  di  mano  in  man  Darete  8  Cloro 

E  Sibari  e  Tersiloco  e  Timote , 

Lanciando,  uccise.  Ma  Timete  in  terra 

Feri ,  che  por  sinistro ,  o  per  difetto 

D' un  suo  restio  cavallo  era  caduto.  600 

Qual  sopra  ai  grande  Egèo  sonando  scorre   S64 
U  tracio  Éorca ,  clic  le  nubi  e  i  llutti 
Si  sgombra  avanti  ;  e  questi  a  i  lidi ,  e  quelle 
A  r orizzonte  in  fuga  se  ne  vanno: 
Tal  per  lo  campo ,  ovunque  si  rivolge,  605 

Fa  Turno  sgominar  V  armi  e  le  schiere  ; 
E  tal  seco  ne  va  furia  e  spavento, 
Che  fin  an<;  )  al  cimier  morte  minaccia. 

Fegèo ,  tanta  fierezza  e  tanto  orgoglio 
Non  sofferendo ,  al  concitato  carro  610 

Parossi  avanti:  e  lievemente  iin  salto  37 1 

Spiccando ,  con  la  destra  al  £ren  s*  appese 
Del  sinistro  corsiero.  E  sì  com'  era 
Da  la  fuga  rapito  e  da  la  forza 
Di  tutti  insieme ,  insiememente  a  tutti  615 

(Dal  sentier  divertendoli,  e  dal  corso) 
Facea  storpio  e  disturbo.  Ed  ecco  al  ffanco , 
Che  da  la  destra  parte  era  scoperto , 
Cotal  sentissi  de  la  lancia  un  colpo. 
Che  la  corazza  ancor  che  doppia  e  forte 
Stracciògli,  e'n  fino  al  vivo  lo  trafisse; 
Ma  di  liove  puntura.  Ond*  ei  rivolto , 
E 'nibracciato  lo  scudo  e  stretto  il  brando, 
(lontra  gli  s'allllava,  e  per  soccorso 
(rridava  intanto.  Ma  le  ru  -ìo  e  l'asse,  625 

eli'  erano  in  moto ,  urtandolo ,  a  rovescio 


oeo 


344  ENEIDE 


630 

882 


640 


Gittàrlo:  e  Turno  immantinente  addosso 
Saglicndo^li ,  infida  V  olmo  e  la  gorgiera 
H  collo  gli  recise ,  e  dal  suo  busto 
Tronco  u  capo  lasciògli  in  su  V  arena. 

Mentre  cosi  vincendo ,  e  d*  ogni  parto 
Con  tanta  strage  il  campo  trascorrendo 
Se  ne  va  Turno  ;  Enea  dal  fìdo  Acato , 
Da  Mommo  e  dal  suo  figlio  accompagnato, 
(Come  da  la  saetta  era  ferito )  635 

Sovr*  un'  asta  appoggiato  a  lento  passo  • 
Verso  gli  alloggiamenti  si  ritraggo. 
Ivi  contro  a  lo  strai,  contro  a  se  stesso 
S*  inaspra ,  e  fì*ango  il  telo,  e  di  sua  mano 
Ripesca  il  ferro.  E  poiché  indarno  il  tenta , 
Comanda  che  la  piaga  gli  s'  allarghi 
Con  altro  ferro,  e  d'ognintorno  s^apra, 
Si  che  tosto  dal  corpo  gli  si  svelga , 
E  tosto  a  la  battaglia  se  ne  torni. 
Comparso  intanto  ora  a  la  cura  lapi  645 

D' laso  il  figlio ,  sovr'  ogn'  altro  amato  f9t 

Da  Febo.  E  Febo  stesso ,  allor  eh'  acceso 
Era  da  l' amor  suo ,  la  cetra  e  l' arco 
E  '1  vaticinio ,  e  qua!  de  V  arti  sue 
Più  gli  aggradasse ,  a  sua  scelta  gli  offerse.  650 

Ei  che  del  vecchio  infermo  e  già  caduco 
Suo  padre  la  salute  e  gli  anni  amava , 
Saper  de  l' erbe  la  possanza ,  e  1'  uso 
Di  medicare  elesse ,  e  senza  lingua 
E  senza  lode  e  del  futuro  ignaro  655 

Mostrarsi  in  pria ,  che  non  ritorre  a  morte 
Chi  gli  dio  vita.  A  la  sua  lancia  Enea 
Stava  appoggiato ,  e  fieramente  acceso 
Premendo ,  avea  di  giovani  un  gran  cerchio 
Col  figlio  intorno  ,  al  cui  tenero  pianto  660 

Punto  non  si  movea.  Sbracciato  intanto 
E  con  la  veste  a  la  cintura  avvolta , 
Qual  de'  medici  è  l'  uso ,  il  vecchio  lapi 
Gli  era  d' intomo  ;  e  con  diverse  prove 
Di  man ,  di  ferri ,  di  liquori  e  d' erbe  665 

In  van  s'affaticava,  invano  ogni  opra, 
Ogni  arte ,  ogni  rimedio ,  e  i  preghi  e  i  voti 
Al  suo  maestro  Apollo  eran  tentati 

De  la  battaglia  rinforzava  intanto 
Lo  scompiglio  e  l'orrore;  e  già'l  periglio  670 

S' avvicinava  :  già  di  polve  il  cielo  ,  407 

Di  cavalieri  il  campo  era  coverto  ; 
Che  fin  dentro  a' ripari  e  fra  le  tende 


LIBRO  DUODECIMO  345 


Ne  cadevano  i  dardi;  e  già  da  presso 

S*  udian  de'  combattenti  e  do*  caduti  ^5 

I  lamenti  e  le  grida.  Il  caso  indegno 

D*  Enea  suo  figlio ,  e  '1  suo  stesso  dolore 
In  se  Ciprigna  e  nel  suo  cor  sentendo , 
Ratto  V*  accorse ,  e  fin  di  Creta  addusse 
Dì  dittamo  un  cespuglio ,  che  recente  680 

Di  sua  man  colto,  era  di  verde  il  ^ambo,       412 
Di  tenero  le  foglio ,  e  d*  ostro  i  fìon 
Tutto  cosperso  e  rugiadoso  ancora. 
Quest'erba  per  natura  a  i  capri  è  nota, 
E  da  lor  cerca  allor  che  '1  tergo .  o  '1  fianco  685 

Ne  van  di  dardo ,  0  di  saetta  mussi. 
Con  questa  Citcrea  per  entro  un  nembo 
Ne  venne  ascosa ,  e  col  salubre  sugo 
D'  ambrosia  e  d'  odorata  panacea 
Mlschiolla  :  e  poscia  i  tepidi  liquori  690 

Ch'eran  già  presti  in  tal  guisa  ne  sparse 
Che  nXun  se  n'  avvide.  E  n'  ebbe  a  pena 
La  piaga  infusa ,  che  1'  angoscia  e  '1  duolo 
Cessò  repente  :  il  sangue  d*  ogni  parte 
De  la  ferita  in  fondo  si  raccolse  ;  605 

E  seguendo  la  mano ,  il  ferro  stesso 
Come  da  se  n'  uscio.  Spedito  e  forte , 
E  nel  pristino  suo  vigor  ridotto 
Enea  dritto  levossi.  lapi  il  primo, 
A  che  ,  disse  ,  badate  f  e  perchè  T  arme  700 

*  Tosto  non  gli  adducete?  Indi  a  lui  vólto,         AZb 
Contro  a' nemici  in  tal  guisa  infiammoUo: 
Enea ,  non  è ,  non  è  per  possa  umana , 
O  per  umano  avviso ,  0  per  mia  cura 
Questo  avvenuto.  Un  Dio  certo ,  un  gran  Dio         705 
A  gran  cose  ti  serba.  In  questo  mezzo 
Ei  già  di  pugna  desioso ,  entrambi 
S' avea  gli  stmchi  di  dorata  piastra , 

II  dorso  di  lorica,  e  la  sinistra 

Di  scudo  armata.  E  già  l'asta  squassando,  710 

D' indugio  impaziento  in  su  la  soglia 

Tanto  sol  do  la  tenda  si  ritenne, 

Che  ,  si  com'  era  di  tutt'  armi  involto , 

Il  caro  Julo  caramente  accolse , 

E  con  le  labbia  a  pena  entro  l'elmetto  /,15 

Baciollo  ,  e  disse:  Figlio  mio ,  da  me  43". 

La  sofferenza  e  la  virtute  impara; 

La  fortuna  da  gli  altri.  Io  (juel  che  posso, 

Or  con  questa  mia  destra  ti  difendo  : 

Onor ,  grandezza  e  signorìa  t' acquisto  720 


{ 


■^.i^^.',A 


346  ENEIDK 


Gol  san^o  mio.  Tu  poi,  quniido  maturi 

Fian  gli  anni  tuoi ,  fa  che  d' i-^nea  tuo  padre 

E  d'  Ettore  tuo  zio  si  ti  rammenti , 

Che  ti  sian  lo  fatiche  e  i  gestì  loro 

A  gloria  cri  a  virtule  esempi  e  sproni.  725 

Detto  cosi ,  fuor  dello  porto  uscendo 
Bran-U  la  lancia,  e  tutti  in  un  drappello 
Ristrinse  i  suoi.  Mommo  ed  Anteo  con  esso, 
E  qu?inti  altri  del  vallo  erano  in  prima 
Lasciati  a  guarlia ,  il  vallo  abbandonando ,  730 

Diclr  I  ijli  s'inviaro.  AlU)r  di  polve 
Levossi  un  nembo,  e  d'ognintorno  scossa 
Al  cnlpìtar  de' pie  tremò  la  terra. 

Turno  di  snpra  im  arcane  mirando , 
Questa  gente  venir  si  vide  incontro.  736 

Viderla ,  e  ne  temerò  e  ne  tremare  we 

Gli  Ausonj  tutti.  Udinne  il  suon  da  lunge 
Juturna  in  prima ,  e  per  timore  in  lietro 
Se  ne  ritrasse.  Enea  volando ,  al  campo 
Spinse  lo  stuol ,  che  polveroso  e  scuro  740 

Tal  se  n'  andò  qual  d' alto  mare  a  terra 
Squarciato  nembo ,  mianlo  ,  ohimè  !  che  segno 
£  che  spavento  »  e  cne  ruina  apporta 
A  i  miseri  coloni  ;  e  quanta  strage 
A  gli  alberi ,  a  le  biade  ,  a  la  vendemmia  745 

Se  ne  prepara  ;  e  qual  se  n'  ode  intanto 
Sonar  procella ,  e  venir  vento  a  riva  ! 
Cotal  contro  a'  nemici  il  teucro  duce 
Co'  suoi  come  in  un  gruppo  insieme  uniti 
Entrò  ne  la  battaglia.  Al  primo  incontro  750 

Osiri ,  Archezio ,  Ufente  ed  Epulone  sss 

Ne  ^  per  terra.  Acate  e  Mommo  e  Già 
E  Timbrèo  gli  affrontare  ;  e  ciascun  d' es&i 
Atterrò  '1  suo.  Cadde  Tolunnio  appresso , 
L' augure  che  primiero  il  dardo  trasse  755 

Nel  turbar  de  f  accordo.  Al  suo  cadere 
Tutto  in  un  tempo  empiessi  il  elei  di  grida. 
La  campagna  di  polve  ;  e  volti  in  fuga 
Se  no  giro  i  Latini  Enea  sdegnando 
E  di  seguire  e  d' incontrar  qual  fosse  7(M) 

Pedone  o  cavalier ,  che  o  lungo  o  presso 
Di  provocarlo  e  di  ferirlo  osasse , 
Sol  di  Turno  cercando  iva  per  entro 
Quella  densa  calij^me,  e'I  suo  nome 
Solamente-  gridando  ,  a  la  battaglia  765 

Lo  disfidava.  Impaurita  e  mesta 
Di  ciò  Juturna  la  virago  ardita 


LlliUO  DUODECIMO  317 


Tosto  (li  Turno  al  carro  appropinqiiossi , 

E  giù  Metisco  il  suo  tedelu  auriga 

Subito  trabocconne.  Ed  ella  invece  770 

£  'n  sembianza  di  lui ,  lui  stesso"  al  corpo , 

A  r  armi,  a  la  favella,  ad  ogni  moto 

Rassomigliando ,  in  seggio  vi  si  pose , 

E  ne  prese  le  redine,  e  lo  resse. 

Qua!  ne  va  negra  rondine  aliando  775 

Per  le  case  de'  ricchi  allor  che  piume  473 

E  ftiscelletli  al  cominciato  nido 
Quinci  e  quindi  radna ,  0  picei olìssca^ 
A*  suoi  loquaci  {pargoletti  adduco  ; 
Che  sotto  a'  porticau  e  sopra  1*  acque ,  780 

E  per  gli  atrj ,  volando  e  per  le  sale 
Or  alto  or  basso  si  travolve  e  gira  : 
Gotal  Jiuturna  il  campo  attraversando 
Per  ogni  parte  si  spingea  col  carro 
E  co' destrieri  infra  i  nemici  a  volo,  785 

Sovente  a  loco  a  loco  il  suo  fratello  478 

Yincitor  dimostrando  ,  e  non  soffrendo 
Che  punto  dimorasse  ,  0  eh'  a  rincontro , 
O  pur  vicino  al  gran  Teucro  ne  gisse. 
Enea  da  l'altro  canto  incontro  a  lui  790 

Volgendo ,  rivolsendo ,  0  fra  le  schiere 
Cosi  com'eran  dissipate  e  sparse 
Indarno  ricercandolo  ,*  il  chiamava 
Ad  alta  voce.  E  mai  gli  occhi  non  torse 
Ov*  ei  si  fusse ,  e  dietro  non  gli  mossQ,  705 

Ch'  ella  co'  suoi  corsieri  in  più  diversa 
E  più  lontana  parto  non  fuggisse. 
Or  che  fera  ,  cn'  ogni  pensiero  •  ogni  opra , 
Ogni  disegno  gli  riesce  invano? 
E  i  pensier  son  diversi  ?  Ecco  Messapo ,  800 

Che  per  lo  campo  discorrendo  intanto 
D' improvviso  l' incontra,  E  si  com'  era 
D'  una  coppia  di  dardi  a  la  leggiera 
Ne  la  sinistra  armato ,  un  ne  gli  trasse 
Dritto  si  che  feria ,  se  non  eh'  Enea  805 

Gli  fece  schermo  ,  e  rannicchiato  e  stretto       4»o 
Ghinossi  alquanto.  E  pur  ne  l' elmo  il  colse  , 
E  '1  cimier  ne  divelse.  Irato  surse , 
E  poiché  da'  nemici  attorneggiato 
Si  vide ,  e  che  i  cavalli  eran  di  Turno  «lu 

Di  già  spariti ,  a  Giove ,  a  i  sacri  altari 
Del  violalo  accordo  e  de  l'insMio 
Molto  si  protestò  :  poscia  tra  loro 
Gittossi  impetuoso ,  e  strazio  e  stragq 


501 


348  ENBIDB 

Prosperamente ,  ovunque  si  rivolse ,  815 

Ne  fece  a  tutto  corso  j  e  senza  freno 
Si  diede  a  Y  ira  ed  a  la  furia  in  preda. 

Or  qual  nume  sarà  eh'  a  dir  m*  aiti 
Le  tante  uccisioni  e  sì  diverse 
Che  di  duci  e  di  schiere  e  di  falangi  820 

Fecer  quel  giorno ,  Enea  da  V  una  parte , 
Turno  da  V  altra?  Ah  Giove!  si  crudele , 
Si  sanguinosa  guerra  infra  due  genti 
Che  saran  poscia  eternamente  in  pace? 

Enea  Sucronc  ,  un  de'  più  forti  Ausonj ,  825 

Uccise  in  prima ,  e  primamente  i  Teucri 
Fermò  ,  eh*  eran  da  lui  rivolti  in  fuga. 
L' incontrò ,  lo  ferì ,  senza  dimora 
Morto  a  terra  il  gittò;  che  in  un  de'  fianchi 
Con  la  spada  lo  colse ,  e  ne  le  coste  830 

E  ne  la  vita  stessa  ne  gì'  immerse. 

Turno  a  piò  dismontato ,  Amico  in  terra, 
Che  da  cavallo  era  caduto ,  infisse  ; 
E  seco  il  frate  suo  Dioro  estinse. 
L' un  di  lancia  feri ,  l' altro  di  brando  ;  835 

E  d' ambi  i  capi  da  i  lor  tronchi  avulsi. 
Sì  come  eran  di  polvere  e  di  sangue 
Stillanti  e  lordi ,  per  le  chiome  appese 
Anzi  al  carro  si  pose.  E  via  seguendo 
Quegli  Talone  e  Tanai  e  Cctego  840 

Tre  feroci  Latini  ad  uno  assalto  5is 

Si  stese  avanti ,  e  '1  mesto  Onite  appresso , 
Figlio  di  Peritìa ,  gloria  di  Tebe. 
E  tre  dal  canto  suo  questi  n'  ancise 
Gh'eran  fratelli  de  la  Licia  usciti  845 

E  de'  campi  d'  Apollo  ;  a  cui  per  quarto 
Monete  aggiunse.  Ah  come  il  fato  indamo 
Si  fugge  !  Infin  d' Arcadia  fu  costui 
Qui  condotto  a  morire.  E*  n  su  la  riva 
Era  nato  di  Lerna  ,  ove  pescando  850 

Da  r  armi ,  da  le  corti  e  da'  palagi 
Si  tenea  lunge;  e  solo  il  suo  tugurio 
Avea  per  reggia,  e  per  signore  il  padre 
Povero  affricoltor  de  campi  altrui. 

Come  due  fochi  in  due  diverse  parti  855 

D'un  secco  bosco  accesi  ardon  sonando 
Le  querce  e  i  lauri;  o  due  rapidi  e  gonfi 
Torrenti  che  nel  mar  da  gli  alti  monti 
Precipitando ,  se  ne  va  ciascuno 
n  suo  cammino  aprendo,  e  ciò  che  trova  8r>ù 

Si  caccia  avanti ,  e  rumoreggia  e  spuma:         525 


LTBBO  DUODSdMO  849 


,  866 

Or  si  che  di  furor  si  bollo  e  scoppia: 

E  con  tutte  le  forze  a  ferir  vassi; 

Che  r  esseiT  vìnto»  e  non  la  morte  ò  morte. 

B  qui  Murrano  (un  che  superbo  e  gonfio 

Del  nome  e  de  r  ori^e  vantando  870 

Se  ne  già  de  gli  antichi  avi  e  bisavi 

Latini  reKi)  fu  d' un  balzo  a  terra. 

Da  la  furia  d' Enea  spinto  d  travolto  ; 

Si  che  di  lui  9  del  carro  e^de  le  ruote 

Fatto  un  viluppo ,  i  suoi  stesd  cavalli  875 

n  signóre  obhanao  incrudelirsi, 

E  sotto  al  giogo  e  sotto  a  i  calci  accolto 

L'infranser,  lo  piag^,  lo  strascinaro 

E  r  ancisero  al  une.  Ilo,  che  fiero 

E  minaccioso  avanti  eli  si  fece,  880 

Segui  Turno  a  ferir  £  dardo  «  in  guisa  635 

Che  de  r  elmetto  la  dorata  piastra 

E  le  tempie  e  '1  cerèbro  gli  trafisse. 

Né  tu,  GretòOy  di  man  df  Turno  uscisti, 

Perche  de'  più  robusti  e  de' più  forti  885 

Fosti  de'  Greci  Me  di  man  d*  Enea 

Scampa  Gupento  i  suoi  numi  invocati  : 

Che  nel  petto  ferìllos  e  non  gli  videe 

Lo  scudo  che  di  bronzo  era  coverto. 

E  tu  che  contro  a  tante  ar^j^ve  jchieré»  890 

E  contro  al  domator  di  Troia  Achille,    .         54t 

Eolo ,  non  cadesti  ;  in  quesu.  campi  '^ 

Fosti .  qual  gran  colosso ,  a  terra  steso. 

Ma  che  ?  Qucst'  era  il  fin  de'^omi  tuoi:  ' 

Qui  cader  t' era  dato.  Appo  Limesso  806 

Altamente  nascesti:  appo  Laurento 

Umii  sej[)olcro  avesti.  Eran  già  tutti  . 

Quinci  1  Latini  e  quindi  i  Teucri  ar  fronte,  ' 

E  tra  lor  mescolati  Asila  e  Memmò  » 

E  Scrosto  e  Messane ,  e  le  fSalangi  000 

De  gli  Arcadi  e  der  Toschi»  ognun  per  de* 

E  tutti  insieme  con  .estrema  possa  » 

Con  estremo  valor ,  seuMÈ,  ^ripcÀo  ' 

Facean  mortale  e  sanguinosa  miscld&. 

Qui  nel  pensiero  al  travagliato  fl£;Ii(r  005 

Pose  Gìprignaf  di  voltar  le  schiere 
Subitamente  a  1^  nemiche  munL,. 
E  con  quel  nuovo  Inopinato.àwiiRl  '     '      '  '^ 


r 


362  ,_.  KNEIDB 

Già  scemo  di  vigore ,  e  trasportato 

Da' suoi  cavalli  che  ritrosi  e  stanchi 

Ognor  più  se  n'andavano  e  lontani,  1005 

In  se  confuso  e  duhbio  so  ne  stava, 

Quando  ecco  di  Laurento  ode  le  grida 

Con  un  terror,  che  non  compreso  ancora 

Gli  avea  da  quella  parte  il  vento  addotto. 

Porse  roreccnie,  e  1  mormorio  sentendo  1010 

De  la  città,  che  tuttavia  più  chiaro 

Di  tumulto  sembrava  e  di  travaglio, 

Oh,  disse,  che  sent'io?  che  novitate 

E  che  rumore  e  che  trambusto  è  questo 

Che  di  dentro  mi  fere  ?  E  quasi  uscito  1015 

Di  se ,  mirando  ed  ascoltando  stette.  «ti 

Cui  la  sorella  (  come  già  conversa 

Era  In  Metisco,  e  come  i  suoi  cavalli 

Stava  reggendo  )  si  rivolse ,  e  disse  : 

Di  qua  Turno ,  di  (pia.  Quinci  la  strada  1020 

Ne  s'  apre  a  la  vittoria.  Altri  a  difesa 

Saran  de  la  città.  Se  d' altra  parte 

Enea  de' tuoi  fa  strage,  e  tu  da  questa 

Distruggi  i  suoi:  che  non  men  gloria  aremo , 

E  più  sangue  faremo.  E  Turno  a  lei,  1025 

0  mia  sorella  !  (  che  mia  suora  certo 

Sei  tu  )  ben  ti  conobbi  infln  da  l' ora 

Che  turbasti  l'accordo,  e  che  poi  meco 

Ne  la  battaglia  entrasti  Or  benché  Dea 

Indarno  mi  t' ascondi.  E  chi  dal  ciclo  1030 

Cosi  qua  giù  ti  manda  a  soffrir  meco  «a* 

Tante  fatiche?  A  veder  forse  a  morte 

Gir  tuo  fratello  ?  E  che ,  misero  !  deggio 

Far  altro  omai  ?  qual  mi  si  mostra  altronde 

O  salute,  0  speranza?  Io  stesso  ho  visto  1035 

Con  gli  occhi  miei ,  lo  mio  nome  chiamando , 

Cadere  il  gran  Murrano.  E  chi  mi  resta 

Di  lui  più  fido  e  più  caro  compagno  ? 

E  '1  magnanimo  u fonte  anco  è  perito, 

Credo,  per  non  veder  le  mie  vergogne.  1040 

E  1  corpo  e  1*  armi  sue  (  lasso  !  )  in  potere 

Son  de'  nemici.  E  soflfrirò  (  che  questo 

Sol  ci  mancava  )  di  vedermi  avanti 

Aprir  le  mura ,  e  minare  i  tetti 

De  la  nostra  città  ?  Nò  Ha  che  Drance  1045 

Menta  de  la  mia  fuga  ?  E  ila  che  Turno 

Volga  le  spalle ,  e  qnella  terra  il  vegga? 

Si  gran  male  è  morire  ?  Inforni  Du  ! 

Accogjietenàl  voi ,  poiché  i  superni 


LIBRO  DUODKCIMO  §53 


Mi  sono  infesti.  A  voi  di  questa  colpa  1050 

Scenderò  spirto  intemerato  e  santo ,  618 

E  non  sarò  de'  miei  grand'  avi  indegno. 

Ciò  disse  a  pena,  ed  ecco  a  tntt;\  briglia 
Venir  per  mezzo  a  le  nemiche  schi^-ro  ^ 
Un  cavalier  che  Sage  era  nomato.  1035 

Di  spuma  e  di  sudore  il  suo  cavallo, 
Ei  di  sangue  era  sparso.  In  volto  infìssa 
Portava  una  saetta,  e  con  gran  furia 
Turno  chiamando  e  ricercando  andava. 

Poscia  che  '1  vide,  In  te,  disse,  è  riposta  lOOO 

Ogni  speranza  ;  abbi  pietà  de*  tuoi. 
Enea  va  come  folgore  atterrando 
Tutto  ciò  che  davanti  gli  si  para; 
E  le  mura  e  le  torri  e  '1  regno  tutto 
Di  minar  minaccia;  e  già  le  faci  1005 

Volano  a  i  tetti.  A  te  gli  occhi  rivolti  obo 

Son  de'  Latini.  E  già  Latino  stesso 
Vacilla,  e  fra  due  stassi  a  qual  di  voi 
S' attenga ,  e  di  cui  suocero  s' appelli 
La  regina,  che  solo  era  sostegno  1070 

De  la  tua  parte,  di  sua  propria  mano 
Per  timore  o  per  odio  de  la  vita 
S'  è  strangolata.  Solamente  Atma , 
E  Messapo  a  difesa  de  le  porte 
Fan  testa  :  ma  gli  vanno  1  Teucri  a  schiere  1075 

Con  tant'  aste  a  rincontro  e  tante  spade 
Serrati  insieme ,  quanto  a  pena  in  campo 
Non  son  le  biade.  E  tu  per  questa  vota 
E  deserta  campagna  il  carro  indarno 
Spingendo  e  volteggiando  te  ne  stai?  1080 

Turno  da  tante  orribili  novelle 
Sopraggiunto  in  un  tempo  e  spaventato 
Si  smagò ,  s' immuti ,  col  viso  a  terra 
Chinossi.  Amor  ,  vergogna ,  insania  e  lutto 
E  dolore  e  furore  e  conscienza  1085 

Del  suo  stesso  valore  accolti  in  uno  ees 

Gli  arsero  il  core ,  e  gli  avvamparo  il  volto. 

Ma  poscia  che  ^\ì  fu  la  nebbia  e  l'ombra 
De  la  mente  spanta,  e  che  la  luce 
Gli  si  scopri  de  la  ragione  in  parte;  1090 

Cosi  com'  era  ancor  turbato  e  fero , 
Di  sopra  al  carro  a  la  città  rivolse 
L'  arciente  vista.  Ed  ecco  in  su  le  mura 
Vede  eh'  una  gran  fiamma  al  cielo  ondeggia, 
Gli  assiti,  i  ponti  e  le  bertesche  ardendo  1095 

D' una  torro  eh'  a  guardia  era  da  lui 

Veir  Eneide  .  23 


iHatogm  infuriando  il  mio  furore. 

Cosi  dicendo ,  fuor  del  carro  a  terra 
Oìttossì  incontanento ,  e  la  sirocchia 
Lasciando  afflìtta,  via  per  mezzo  a  l'am 
E  per  mezzo  a'  nemici  a  correr  diessL 

Qual  di  cima  d'un  monte  in  precipizio 
Rotolando  ai  volge  un  sasso  alpestre , 
Che  dal  vento  o  da  gli  anni  o  da  la  piogi 
Divelto ,  per  le  piagge  a  scosse ,  a  balzi 
Vada  senza  rilegno ,  e  de  le  selve 
B  de  gli  armenti  e  de'  pastori  insieme 
Meni  guasto ,  mina  e  stragi  avanti  : 
Tal  por  r  opposte  e  sbaragliate  schiere 
Se  no  ^a  Turno.  E  ^unto  ove  in  conspet 
De  la  città  lii  molto  s.iiiguu  il  campo 
Era  già  sparso,  e  pion  di  danli  il  ciclo; 
Alzò  la  mano ,  e  con  gran  voce  disse  : 

Stette,  Butuli,  a  dietro;  e  voi.  Latini, 
Toglietevi  da  1"  armi.  Ogni  fortuna , 
Qual  eh'  alla  sia  di  questa  pugna ,  è  mia. 
A  me  la  colpa,  a  me  ai  dee  la  pena 
De!  violato  accordo  ;  a  me  per  tutti 
Pugnar  debitamente  si  conviene. 

A  questo  dir  di  mezzo  ognun  si  tolse, 
Ognun  si  ritirò.  Di  Turno  il  nome 
Enea  sentendo,  il  cominciato  assalto 
Dismesse,  e  da  le  mura  o  da  te  torri 
E  da  tutte  l' imprese  si  ritrasse. 
Per  letizia  esultò ,  terribilmente 
Fremè,  si  rassetto,  si  vibrò  tintv* 


LIBRO  DUODECIMO  855 


Fosser  de  la  muraglia»  ognuno  a  gara 

L'armi  deposte,  a  rimirar  si  diero.  1145 

Latino  esso  re  stesso  spettatore 

Ne  fu  con  meraviglia ,  eh'  anzi  a  lui 

Altri  due  re  si  grandi,  e  di  due  parti 

Del  mondo  si  diverse  e  si  remote 

Fosser  de  l' armi  al  paragon  venuti.  1150 

Eglino,  poiché  largo  e  sgombro  il  campo 
Ebber  davanti,  non  si  ftir  da  lungo 
Veduti  a  pena,  che  corrend  •  entrambi 
Mosser  l' un  centra  l' altro.  I  dardi  in  prima 
S*  avventar  di  lontano ,  indi  s*  urtare;  1155 

E  '1  tonar  de  gli  scudi  e  '1  suon  de  gli  elmi     7ii 
Fé'  la  terra  tremare ,  e  l' aura  a  i  colpi 
Fischiò  de'  brandi.  La  fortuna  insieme 
Si  mischiò  col  valore.  In  cotai  guisa 
Sopra  al  gran  Sila  o  del  Taburno  in  cima  1160 

D' amore  accesi ,  con  le  fronti  avverse 
Van  due  tori  animosi  a  rincontrarsi; 
Che  pavidi  in  disparte  se  ne  stanno 

I  lor  maestri,  s'ammutisce  e  guarda 

La  torma  tutta ,  e  le  giovenche  intanto  1165 

Stan  dubbie  a  cui  di  lor  marito  e  donno 

Sia  de  l' armento  a  divenir  concesso. 

Ed  essi  lU'tando  con  le  coma  intanto 

Si  dan  ferite,  che  le  spalle  e  i  fianchi 

Ne  grondan  sangue ,  e  ne  rimuL'glùa  il  bosco.     1170 

Tal  del  trojano  e  dell*  ausonio  duce  7ss 

Era  la  pugna,  e  tal  de  le  percosse 

E  de  gli  scudi  il  suono.  A  questo  assalto 

II  gran  Giove  nel  ciel  librate  e  pari 

Tenne  le  sue  bilancic,  e  d*  ambi  il  fato  1175 

Gontrappesando ,  attese  a  qual  di  loro 
Desse  la  sua  fatica  e  '1  suo  valore 
De  la  vittoria  o  de  la  morte  il  crollo. 

Qui  Turno  a  tempo^  che  sicuro  e  destro 
Gli  parve,  alto  levossi,  e  con  la  spada  1180 

Di  tutta  forza  a  1'  avversario  trasse , 
E  ne  l'elmo  il  ferL  Gridare  i  Teucri, 
Trepidare  i  Latini,  e  sgomentarsi 
Tutte  d' ambi  gli  eserciti  le  schiere. 
Ma  la  perfida  spada  in  mezzo  al  colpo  1185 

Si  ruppe ,  e  'n  sul  fervore  abbandonoUo , 
Si  che  la  fliga  in  sua  vece  gli  valse  ; 
Ch'  a  ftiggir  diessi ,  tosto  che  la  destra 
Disarmata  si  vide,  e  che  da  l'else 
L' arme  conobbe ,  che  la  sua  non  era.  1190 


356  BNEIDB 


È  fama,  che  da  V  impeto  accecato  731 

Allor  che  prima  a  la  battaglia  uscendo 
Giunse  Turno  i  cavalli  e  '1  carro  ascese, 
Per  la  confusione  e  per  la  fretta 
Lasciato  il  patrio  brando,  a  quel  di  piglio  1195 

Die  per  disavventura,  che  davanti 
Gli  s*  abbattè  del  suo  Metisco  in  prima. 
E  questo,  fm  che  dissipati  e  rotti 
N'andaro  i  Teucri,  assai  fedele  e  saldo 
Lungamente  gli  resse.  Ma  venuto  1200 

Con  Tarmi  di  Vulcano  a  paragone 
(Come  quel  che  di  mano  era  costrutto 
Di  mortai  fabro)  mal  temprato  e  frale, 
Qual  di  ghiaccio,  si  franse  e  ne  la  sabbia 
Ne  rifulsero  i  pezzi.  E  cosi  Turno  1205 

Fuggendo ,  or  quinci  or  quindi  per  lo  campo 
Qua!  forsennato  inlarno  s'  aggirava , 
D'  ogni  parte  rinchiuso  ;  che  da  T  una 
Lo  serravano  i  Frigi  e  la  palude, 
E  '1  fosso  0  la  muraglia  era  da  Y  altro.  1210 

E  non  men  eh'  ei  fnggisse ,  il  teucro  duce 
(Come  che  da  la  piaga  ancor  tardato 
Fosse  de  la  saetta ,  e  le  ginocchia 
Si  sentisse  ancor  fiacche)  il  seguitava. 
L'ardente  voglia,  e  la  speranza  eguale  1215 

A  la  tema  di  lui  sì  lo  spingea , 
Glie  già  già  gli  era  sopra,  e  già*l  feria, 
Gt>si  cervo  fugace  0  da  le  ripe 
Ghiuso  d'un  alto  fiume,  0  circondato 
Da  le  vermiglie  abbominate  penne,  1220 

Se  da  veltro  è  cacciato  0  da  molosso 
Cìv)  correndo  e  latrando  lo  persegua. 
Di  qua  di  lui,  di  là  del  precipizio 
Tornendo  e  de  gli  strali  e  de  gli  agguati 
Fu^cge,  rifugge,  si  travolge,  e  toma  1225 

jper  mille  vie;  né  dal  feroce  alano 
È  però  meno  atteso  e  men  seguito, 
Ghe  mai  non  1'  abbandona;  e  già  gli  è  presso 
A  bocca  aperta,  e  già  par  che  l'aggiunga, 
E  '1  prenda  0  '1  tenga ,  e  come  se  '1  tenesse ,  i330 

Schiattisce  e  '1  vento  morde  e  i  denti  inciocca. 

Allor  le  grida  alzarsi ,  a  cui  le  rupi 
De'  monti  e  i  laghi  intorno  rispondendo , 
L' aria  e  '1  ciel  tutto  di  tumulto  empierò. 
Mentre  cosi  fUggia  Turno,  gridando  ^  1235 

E  rampognando  1  suoi,  del  proprio  nome 
Ciascun  chiamava ,  e  1  suo  brando  chiedea. 


LIBRO  DDODBCIHO 

Knoa  (la  l'altra  parto,  minacciando 
A  tutti  unitamente  eiì  a  qualunque 
Di  sovvenirlo  e  d'appressarlo  osasse, 
Che  farla  de  le  genti  Decisione 
Senza  pietà ,  eh"  a  sacco  a  ferro  a  foco 
Metterla  la  cittailo  e'I  re^^no  tutto. 
Si  com'era  ferito  il  seguitava. 

Cinque  volte  girando  il  campo  tutto , 
E  cinque  rigirando,  e  molte  e  molte  t.ì 

Di  qua  di  là  correndo,  imperversaro. 
Che  non  per  gioco ,  non  per  lieve  acquisto 
D'onor,  ma  per  l' impero,  per  lo  sangue. 
Per  la  vita  di  Turno  era  il  contrasto. 
Per  aorte  in  questo  loco  anticamente 
Era  a  Fauno  sacrato  un  oleastro 
D'amare  foglie,  vanerabil  legno 
A'  naviganti  che  dal  mare  usciti 
A  salvamento,  al  tronco,  a  ì  rami  suoi 
Lasciavano  i  lor  voti  e  le  lor  vesti 
A  questo  Dio  de'Laùrenti  appese. 
Nnn  ebbero  i  Trojani  a  questo  sacro 
Più  eh'  a  gli  altri  profani  arbori  0  sterpi 
Alcun  riguardo  :  onde  con  gli  altri  tutti 
Lo  ilistirj)ir,  perchè  netto  e  spedito 
Restasse  il  campo  al  marziale  incontro. 

De  r  oleastro  m  loco  era  caduta 
L'  asta  d' Enea  :  qui  l' impeto  la  trasse  : 
Qui  si  tenca  tra  le  sue  barbe  infìssa 
E  ^i  per  ricovrarla  il  teucro  duce  ti 

Chinossi ,  e  per  far  prova  se  con  essa 
Lanciando  lo  formasse  almen  da  lunga, 
Poich' appressar  correndo  noi  potea, 

Allor  per  tema  in  se  Turno  confuso. 
Abbi,  Fauno,  di  me  cura  e  piotale 
(Disse  pregando),  e  tu  benigna  terra 
Sii  del  suo  ferro  a  mio  scampo  tenace. 
Se  i  vostri  sagriQcj  e  i  vostri  onori 
Io  mai  sempre  curai,  che  pur  da'  Frigi 
Son  così  vilipesi  e  profanati.  r. 

Ciò  disse,  e  non  (u  '1  detto  e  '1  volo  in  vano. 
Ch'  Enea  molta  fatica  e  molto  indugio 
Mise  intorno  al  suo  telo ,  né  con  forza 
Né  con  industria  alcuna  ebbe  pnssania 
Mai  dì  sferrarlo.  Or  mentre  vi  s'  affanna 
E  vi  studia  e  vi  suda,  ecco  Jiutuma 
Un'  altra  Tolta  ne  lo  stesso  auriga 
Mutata  gli  ai  mostra,  e  la  soa  spada 


358  ENEIDB 


Al  fratello  appresenta.  E  d' altra  parte  1285 

Venere,  disdegnando  che  la  Ninfa 

Cotanto  osasse ,  incontanente  anch'  ella 

Accorse  al  figlio ,  e  V  asta  gli  divelse. 

Cosi  d' arme ,  di  speme  e  d^  ardimento 

Ambidue  rinforzati ,  e  T  un  del  brando ,  1200 

L*  altro  de  1*  asta  altero,  un'  altra  volta 

A  vittoria  anelando  s'  azzufibro. 

Stava  Oiuno  a  mirar  questa  battaglia 

Sovr'un  nembo  dorato,  allor  che  Giove 

Cosi  le  disse  :  E  che  faremo  al  fine .  1295 

Donna  ?  E  che  far  ci  resta  ?  Io  so  che  sai  »      793 

E  tu  r  affermi ,  che  da'  Fati  Enea 

Si  deve  al  cielo .  e  che  tra  noi  s' aspetta. 

Che  agogni  più  ?  Che  macchini ,  e  che  speri  ? 

A  che  tra  queste  nubi  or*  ti  ravvolgi  t  1300 

Gonvenevol  ti  sembra  e  degna  cosa 

Che  mortai  ferro  a  violar  presuma 

Un  che  fla  Divo  ?  E  ti  par  degno  e  giusto 

Gh'  a  Tiu*no  in  man  la  spadii  si  riponga 

Quando  egli  stesso  la  si  tolse,  e  ruppe?  1305 

E  r  avria  senza  te  Jiutuma  osato  » 

Non  che  potuto ,  e  crescer  forza  a*  vinti  ? 

Togliti  giù  da  questa  impresa  omai, 

Togliti:  e  me,  che  te  ne  prego,  ascolta: 

Né  soffrir  che  'I  dolor ,  eh'  entro  ti  rode,  1310 

Cangiando  il  dolce  tuo  sereno  aspetto,  80i 

Si  ti  conturbi,  e  si  spesso  cacone 

Mi  sia  d'amaritudine  e  di  noja. 

Quest'  è  r  ultima  fine.  Assai  per  mare , 

Assai  per  terra  hai  tu  fin  qm  potuto  1315 

A  vessare  i  Trojani ,  a  muover  guerra 

Cosi  nefanda ,  a  scompigliar  la  casa 

Del  re  Latino ,  e  'ntorbidar  le  nozze , 

Si  come  hai  fatto.  Or  più  tentar  non  lece  ; 

Ed  io  te  '1  vieto.  E  qui  Giove  si  tacque.  1320 

Abbassò  'I  volto ,  ed  umilmente  a  lui 
Cosi  Giuno  rispose  :  Io ,  perchè  noto 
M' è ,  Signor  mio ,  questo  tuo  gran  volere  » 
Ancor  centra  mia  voglia  abbandonata 
Ho  r  alta  di  Turno ,  e  qui  da  terra  1325 

Mi  son  levata.  Che  se  ciò  non  fosse , 
Me  cosi  solitaria  non  vedresti , 
Com'  or  mi  vedi,  in  questo  niu>i  ascosa, 
E  disposta  a  soffrir  tutto  eh'  io  soffro 
Degno  e  non  degno;  ma  di  iBlamme  cizìta  1330 

Mi  rimescolerei  per  la  battaglia  8^1 


L3R0  DUODBCDiO  3Sd 


A  danno  de'  Trojani.  Io  solo  in  questo 

(Te  '1  confesso)  a  Jiulurna  ho  persuaso 

Ch*  al  suo  misero  frate  in  si  grand*  uopo 

Non  manchi  di  soccorso ,  e  eh'  ogni  cosa  Ì33S 

Tenti  per  la  salute  e  per  lo  scam{>o 

De  la  sua  vita.  E  non  però  le  dissi 

Giammai  che  l'arco  e  le  saette  oprasse 

Incontr'Enea.  Te  '1  giuro  per  la  ionte 

Di  Stige,  quel  eh'  a  noi  celesti  numi  1340 

Solo  è  nume  implacabile  e  tremenda 

Ora  per  obbedirti»  e  perchè  stabca 

Di  questa  guerra  e  fastidita  io  sono. 

Cedo  e  più  non  contendo.  E  sol  di  questo 

Desio  cne  mi  compiaccia  (  e  questo  al  ùio  1345 

Non  è  soggetto)  che  per  mio  contento. 

Per  onor  de'  Latini ,  per  grandezza 

E  maestà  de'  tuoi ,  quando  la  pace , 

L'  accordo  e  '1  maritag^o  fia  conchiuso 

(Che  sia  felicemente),  il  nome  antico  1350 

Di  Lazio  e  de  le  sue  native  genti,  sti 

L' abito ,  e  la  favella  non  si  mute  : 

Né  mai  Teucri  si  chiamino ,  o  Trojan! 

Sempre  Lazio  sia  Lazio ,  e  sempre  Albani 

Sian  d'Alba  i  regi  e  la  romana  stirpe  1355 

D*  italica  virtù  possente  e  chiara. 

Poiché  Troja  peri ,  lascia  che  pera 

Anco  il  suo  nomo.  A  ciò  Giove  sorrìse, 

E  così  le  rispose  :  Ah  sei  pur  nata 

Ancor  tu  di  Saturno ,  e  mìa  sorella.  1360 

E  consenti  che  l' ira  e  1'  acerbezza 

Cosi  ti  vinca  ?  Or  come  follemente 

Le  concepisti ,  il  cor  te  ne  disgombra 

Omai  del  tutto.  E  tutto  io  ti  concedo 

Che  tu  domandi ,  e  vinto  mi  ti  rendo.  136P 

La  favella ,  il  costume  e  '1  nome  loro 

Ritcngansi  gli  Ausonj  ;  e  solo  i  corpi 

Abbian  con  essi  i  Teucri  uniti  e  mistL 

D'ambedue  guestì  popoli  i  costumi, 

I  riti ,  i  sacnlicj  in  uno  accolti ,  1370 

Una  ^ente  farò  eh'  ad  una  voce  sm 

Latini  si  diranno.  E  quei  che  d' ambi 

Nasccran  poi ,  sovr'  a  T  umana  gente 

Si  vcilran  di  possanza  e  di  pietade 

(Urne  a'  Celesti  uguali  ;  e  non  mai  tanto  1375 

Sarai  tu  colta  e  riverita  altrove. 

Di  ciò  Giuno  appagossi ,  e  lieta  e  mite 
Già  verso  i  Teucri,  al  elei  fece  ritorno. 


360  ENEIDE 


Giove  poscia  Jiuturna  da  V  aita 

Distor  ponsò  di  suo  fratello,  e'I  fece  1380 

In  questa  guisa.  Due  le  pesti  sono ,  8i4 

Che  son  Dire  chiamate ,  al  mondo  uscite 

Con  Megera  ad  un  parto,  a  lei  sorelle, 

Figlie  a  la  Notte,  e  di  Gocito  alunno, 

Che  d'aspi  han  parimente  irte  le  chiome,  1385 

E  di  ventose  buccie  i  dorsi  alali. 

Queste  di  Giove  al  tribunale  intorno, 

E  de  la  sua  gran  reggia  anzi  a  la  soglia 

Si  presentano  allor  cne  pena  e  pesti 

E  morti  a  noi  mortali ,  e  guerre  a'  luoghi  1390 

Che  ne  son  meritevoli  apparecchia. 

Una  di  loro  a  terra  immantinente 

Spinse  il  Padre  celeste ,  onde  Jiuturna 

De  la  fraterna  morte  augurio  avesse. 

Mosse  la  Dira ,  e  di  tempesta  in  guisa  1395 

Ch'  impetuosamente  trascorresse , 
Volò  come  saetta  che  da  Parto , 
O  da  Cidone  avvelenata  uscisse , 
E  non  vista  ronzando ,  e  Y  ombre  aprendo 
Ferita  immedicabile  portasse.  1400 

Giunta  la  Ve  di  Turno  e  de'  Troiani  858 

Vide  le  schiere ,  in  forma  si  ristrinse 
Subitamente  di  minore  augello. 
Ed  in  quel  si  cangiò  che  da'  sepolcri 
E  da  gli  antichi  e  solitari  alberghi  1405 

Funesto  canta ,  e  sol  di  notte  vola. 

Tal  divenuta ,  a  Turno  s*  appresenta , 
Gli  ulula ,  gli  svolazza ,  gli  s'  aggira 
Molte  volte  d*  intorno  ;  e  fin  con  1'  ali 
Lo  scudo  gli  percuote,  e  gli  fa  vento.  1410 

Stupì ,  81  raggricciò ,  muto  divenne 
Turno  per  la  paura.  E  la  sorella , 
Tosto  cne  lo  stridor  sentinne  e  V  ali , 
Le  chiome  si  stracciò,  grafflossi  il  volto, 
E  con  le  pugna  il  petto  si  percosse.  1415 

Or  che  {dicendo)  omai.  Turno,  più  puote 
Per  te  la  tua  germana  ?  E  che  più  resta 
A  far  per  lo  tuo  scampo ,  o  per  Y  indurrlo 
De  la  tua  morte  ?  E  come  a  cotal  mostro 
Oppor  mi  posso  io  più?  Già  già  mi  tolgo  i420 

Di  qui  lontano.  A  che  più  spaventarmi?  s~i 

Assai  di  tema,  sventurato  augello. 
Nel  tuo  venir  mi  desti.  E  ben  conosco 
A  i  segni  del  tuo  canto  e  del  tuo  volo 
Quei  cne  m'apporti  E  non  punto  m'inganna       *425 


LTBHO  DUODECIMO  361 


Il  severo  precetto  e  '1  voler  empio 

Del  superto  Tonante.  E  questo  è  '1  pregio 

De  la  verginità  che  m' ha  rapita  ? 

E  perchè  vita  mi  concesse  eterna  ? 

Perchè*!  morir  mi  tolse?  Acciò  morendo  1430 

Non  Unissi  il  mio  duolo?  acciò  compagna 

Gir  non  potessi  al  misero  fratello  ? 

Immortai  io?  Che  vaimi?  E  che  mi  puote 

Ne  l'immortalità  parer  soave 

Senza  il  mio  Turno  ?  Or  qaaì  mi  s' apre  terra     1435 

Che  seco  mi  riceva  e  mi  rinchiug^a 

Tra  r  ombre  inferne;  e  non  più  Nmfa  e  Dea, 

Ma  sia  mortale  e  morta?  E  cosi  detto. 

Grama  e  dolente  di  ceruleo  ammanto 

n  capo  si  coverse.  Indi  correndo  1440 

Nel  suo  fiume  gittossi ,  ove  s' immerse  8S5 

Infine  al  fondo,  e  ne  mandò  gemendo 

In  vece  di  sospir  gorgogli  a  raura. 

Intanto  il  suo  gran  telo  Enea  vibrando 
Gol  nimico  s*  azzuffa ,  e  fieramente  1445 

Lo  rampogna ,  e  gli  dice  :  Or  qual  più ,  Turno , 
Farai  tu  mora,  o  sotterfugio,  o  schermo? 
Con  r  armi ,  con  le  man ,  Turno ,  e  da  presso , 
Non  co*  pie  sì  combatte  e  di  lontano. 
Ma  fuggi  pur,  dileguati,  trasmutati,  1450 

Unisci  le  tue  forze  e  '1  tuo  valore , 
Vola  per  Tarla,  appiattati  sotterra. 
Quanto  puoi  t' argomenta  e  quanto  sai , 
Che  pur  giunto  vi  sei.  Turno,  squassando 
Il  capo ,  Ah  (gli  rispose)  che  per  fiero  1455 

Che  mi  ti  mostri,  io  de  la  tua  fierezza ,  sm 

Orgoglioso  campion ,  punto  non  temo , 
Né  di  te  :  de  [jli  Dei  temo ,  e  di  Giove , 
Che  nimici  mi  sono  e  meco  irati. 

Nulla  più  disse;  ma  rivolto,  appresso  1460 

Si  vide  un  sasso,  un  sasso  antico  e  grande 
Ch*  ivi  a  sorte  per  limite  era  posto 
A  spartir  campi  e  tor  lite  ai  vicini 
Era  si  smisurato  e  di  tal  peso. 
Che  dodici  di  quei,  ch'oggi  produce  1465 

Il  sccol  nostro ,  e  de'  più  forti  ancora 
Non  Tavrcbbon  di  terra  alzato  a  pena. 
Turno  diègli  di  piglio,  e  con  esso  alto 
Correndo  se  ne  già  verso  il  nimiro, 
Senza  veder  né  come  indi  il  togliesse,  1470 

Né  come  lo  leva«sse,  né  se  gisse. 
Né  se  corresse  Disnervate  e  flaccbe 


-.    _-^*s. 


362  BNEIDlS 


Gli  vacillar  le  gambo,  e  freddo  e  stretto 

Gli  si  fé  '1  sangue.  Il  sasso  andò  per  V  aura , 

Si  jche  '1  colpo  non  giunse ,  e  non  percosse.  1475 

Come  di  notte ,  allor  che  'I  sonno  chiude       907 
I  languid'  occhi  a  V  affannata  gente , 
Ne  sembra  alcuna  volta  essere  al  corso 
Ardenti  in  prima ,  e  poi  freddi  in  su  '1  mezzo 
Manchiam  di  lena  si  che  i  pie,  la  lingua,  1480 

La  voce ,  ogni  potenza  ne  si  toglie 
Quasi  in  un  tempo  ;  cosi  Turno  invano 
Tutte  del  suo  valor  le  forze  oprava 
Da  la  Dira  impedito.  Allora  in  dubbio 
Fu  di  sé  stesso,  e  molti  per  la  mente  -      1485 

Gli  andaro  e  vari  e  torbidi  pensierL 
Torse  gli  occhi  a'  suoi  Rutuli ,  e  le  mura 
Mirò  de  la  città  :  poscia  sospeso 
Fermossi ,  e  pauroso  :  e  sopra  il  telo 
Vistosi  del  gran  Teucro,  orror  ne  prese,  1490 

Non  più  sapendo  o  dove  per  suo  scampo  9i6 

Si  ricovrasse ,  o  quel  che  per  suo  schermo , 
O  peiT  offesa  del  nimico  oprasse. 

Mentre  cosi  confuso  e  forsennato 
Si  sta ,  la  fatai  asta  Enea  ribrando,  1495 

Apposta  ove  colpisca ,  e  con  la  forza 
Del  corpo  tutto  gli  1*  avventa  e  fere. 
Macchina  con  tant' impeto  non  pinse 
Mai  sasso,  e  mai  non  fu  squarciata  nube 
(^he  si  tonasse.  Andò  di  turbo  in  guisa  1500 

Stridendo ,  e  con  la  morte  in  su  la  punta 
Furiosa  passò  di  sette  doppi 
Lo  rinforzato  scudo;  e  la  corazza 
Aprendo ,  ne  la  coscia  gli  s' infìsse. 
Die  del  ginocchio  a  questo  colpo  in  terra  1505 

Tiurno  ferito.  I  Rutuli  gridaro  ; 
E  tal  surse  fra  lor  tumulto  e  pianto, 
Chv3  '1  monte  tutto  e  le  foreste  intomo 
Ne  rintonaro.  Allor  gli  occhi  e  la  destra 
Alzando  in  atto  umilmente  rimesso ,  1510 

E  supplicante,  Io  (disse)  ho  meritato  93o 

Questa  fortuna  j  e  tu  se^i  la  tua  : 
Che  né  vita,  ne  venia  ti  dimando. 
Ma  so  pietà  de' padri  il  cor  ti  tanse, 
(Che  ancor  tu  padre  avesti,  e  padre  sei)  1515 

Del  mio  vecchio  parente  or  ti  sovvenga. 
E  se  morto  mi  vuoi ,  morto  eh'  io  sia 
Rendi  il  mio  corpo  a'  miei.  Tu  vincitore , 
Ed  io  son  vinto.  E  già  gli  ausonj  tutti 


LIBRO  BUOBBCnfO  363 


Mi  ti  yeggiono  a  pie,  che  suppplìcando  1520 

Mercè  ti  chieggio.  E  già  Lavinia  è  tua. 
A  che  più  contra  un  morto  odio  e  tenzone? 

Enea  ferocemente  altero  e  torvo 
Stette  ne  r  arme  »  e  volti  gli  occhi  a  tomo. 
Frenò  la  destra  ;  e  con  V  indugio  ognora  1525 

Più  mite ,  al  suo  pregar  si  raddolciva.  989 

Quando  di  cima  a  V  omero  il  fermaglio 
Del  cinto  infortunato  di  Fallante 
Ne  gli  occhi  gli  rifulse.  E  hen  conobbe 
A  le  note  sue  bolle  esser  quel  desso,  1530 

Di  che  Turno  quel  di  V  avea  spogliato , 
Che  gli  die  morte;  e  che  per  vanto  poscia 
Come  nimica  e  gloriosa  Spoglia 
Lo  portò  sempre  al  petto  attraversato. 
Tosto  che  '1  vide ,  amara  rimembranza  1536 

Gli  fu  di  quel ,  eh'  ei  n'  ebbe ,  affknno  e  doglia. 
E  d' ira  e  di  furore  il  petto  acceso , 
E  terribile  il  volto ,  Ah ,  disse ,  adunque 
Tu  de  le  spoglie  d' un  mio  tanto  amico 
Adorno  oggi  di  man  presumi  uscirmi  1540 

Sì  che  non  muoja?  Muori.  E  questo  colpo 
Ti  dà  Fallante ,  e  da  Fallante  il  prendi 
A  lui,  per  mia  vendetta  e  per  sua  vittima, 
Te ,  la  tua  pena .  e  1  tuo  sangue  consacro. 
E  ciò  dicendo ,  il  petto  gli  trafisse. 
Allor  da  mortai  gelo  il  corpo  appreso 
Abbandonossi  ;  e  1*  anima  di  vita 
Sdegnosamente  sospirando  uscio.  1^^ 

«5S 


/ 


FINE. 


i 


r 


L'È  NE  IDE 


U  subietto  ^^WErteide^  dice  P.  J.  ProDdhon,  è  la  fondazione 
della  città  latina  per  opera  d'Enea,  in  altre  parole,  le  origini 
e  le  antichità  di  Koma  e  doiritalia. 

Il  sno  obietto  ò  la  rinnovazione  del  mondo  conosciuto,  sotto 
rimpero  e  la  legge  di  Kooia. 

Virgilio  ha  posto  mano  alla  maggiore  impresa  che  si  sia  vista 
nel  mondo  delr  intelligenza.  Celebrando  la  grandezza  di  lioma, 
nelle  sue  origini,  egli  ha  Toluto  indurre  la  rigenerazione  stessa 
di  Boma,  e  per  mezzo  di  Boma,  dell'umanità,  nella  rtUgione, 
nei  costumi,  nelle  leggi,  nella  poLtica,  nelle  istituzioni,  nelle 
idee,  nella  nlosofia,  nelrarte. 

Il  mbiettù-obietto,  bisogna  metter  insieme  questi  due  termini 

Suando  si  parla  di  Virgifio ,  tanto  profondamente  li  seppe  fon- 
ere  insieme,  ò  quintuplo  nella  sua  maestosa  e  possente  unità. 

1.^  Caduta  d'Hio,  vale  a  dire  decadenza  irrevocabile  deirAsia, 
alla  quale  ò  tolto  r  impero  del  mondo. 

2.^  Migrazione  d^Enea:  la  dignità  messianica  non  si  ferma 
alla  Grecia  anarchica  e  frivola;  passa  airitiilia,  ^rave  e  giurista. 

3.®  Stabilimento  dei  coloni  troiani  nel  Lazio  ;  iniziazione  delle 
popolazioni  ausoniche,  semi-barbare  e  loro  passaggio  dallo  stato 
saturnio  (secolo  d*oro,  costumi  primitivi)  ad  un  incivilimento 
superiore. 

4.^  Biconciliazione  degli  Dei  sulla  culla  di  Boma:  posizione 
del  principio  dell*  unità  dei  culti ,  espressa  più  chiaramente  da 
Augusto  nel  Panteon. 

5.^  Sviluppo  storico ,  provvidenziale  della  potenza  latina ,  e 
prima  rivelazione  del  progresso  e  della  cattolicità  del  genere 
umano;  idea  svolta  cent^anni  dopo  da  Floro  e  imitata  nel  se- 
colo XYII  d:i  Bossuet,  che  ne  fdM  un  argomento  della  rivala- 
ziono  cristiana. 

Lo  scioglimonto  àeWBneide  ò  altamente  insegnativo.  Vinta 
nella  per/ona  di  Turno ,  in  realtà  Giunone  trionfa.  I  Troiani 
hanno  refugio  in  Italia»  ma  perdono  il  loro  nome  e  il  loro  essere 


866  L^  ENEIDE 

di  nazione.  Lltalia  resta  inviolata  co*  suoi  costami,  colla  sua  reli- 

f'one^col  sno  nome,  con  le  sne  leggi,  con  la  sna  lingaa;  TAgia 
assorta:  e  n'ò  pegno  lae^lorìa  di  Soma,  la  più  devota  fra  tntte 
le  città  del  mondo  sd  colto  di  Giunone.  Pare  che  Virgilio  dica 
ai  Bomani^  diventati  anch'essi  conquistatori  e  fonaatori  di 
colonie:  L'incivilimento  che  si  trasmette  da  nna  razza  all'altra 
non  le  spoglia  del  loro  carattere. 

L'epopea  latina,  dice  E.  Benoist,  aveva  durato  fatica  a  nar 
score.  I  domani  non  possedevano  un  ciclo  di  leggende  popolari 
da  far  la  trama  air  invenzione  epica.  Spiriti  formalisti,  minati, 
positivi  non  avevano  abilità  e  destrezza  a  tessere  un  racconto 
misto  di  favola  e  di  tradizione  storica.  Non  avevano  saputo  trovar 
da  so  le  forme  d'un  genere  letterario  che  tuttavia  sembra  essere 
il  privilegio  della  razza  indo-europea  K  La  loro  imaginazione  stette 
lungo  tempo  contenta  ad  alcune  formule  grossolane,  ed  agli  aridi 
Annali  dei  Pontefici.  La  loro  lingua  rude  e  grossiera,  priva  di  gra- 
zia e  di  armonia,  non  avrebbe  potuto  piegarsi  al  libero  andamento 
della  narrazione  epica.  Quando  avevano  finalmente ,  tra  V  altre 
spoglie  dei  Greci ,  trasj)ortato  a  Boma  i  monumenti  della  loro 
letteratura  e  gli  uomini  stessi  capaci  di  farli  gustare  ,  ^li 
Andronichi  e  gli  Ennj ,  non  s' era  di  tratto  potuto  costitoire 
un'  arte  completa.  I  pnmi  poeti  epici  o  furono  traduttori  o  al- 
meno imitatori  senza  originalità  degli  scrittori  Greci ,  o  anna- 
listi soverchiamente  ingenui,  e  le  loro  opere  mancavano  dell'  atp 
trattivo  e  del  garbo  che  viene  all'epopea  dal  maraviglioso  uni- 
versalmente accettato.  ~  Questi  stavano  troppo  alla  storia  e  non 
sapevano  aprire  ^li  eventi  che  celebravano  un  campo  abbastanza 
libero  e  ampio.  Gli  altri  andavano ,  duci  gli  Alessandrini ,  sol- 
l'orma  delle  favole  elleniche.  I  poeti  storiografi  mancavano 
d'arte;  la  quale  i)er  contro  signoreggiava  troppo  i  concepimenti 
dei  poeti  imitatori  dei  Greci.  Le  loro  opere  non  facevano  effetto 
in  quelli  che  non  erano  raffinati  in  punto  di  stile,  e,  continua- 
mente composti  sopra  un  medesimo  sabietto,  annoiavano  chiunque 
non  fosse  membro  delle  consorterie  o  unioni  letterarie.  Tuttavia, 
anche  in  questi  poemi  ancora  imperfètti  si  arrivava  a  poco  a 
poco  al  momento  della  maturità ,  m  cui ,  essendosi  condotto  a 
perfezione  lo  stile  epico  nell'uno  e  nell'alido  genere,  un  indegno 
sovrano  poteva  fare  l' accoppiamento  dell'  epopea  mitologica  e 
dell'epopea  storica.  Questa  gloria  toccò  a  Virgilio.  Solo  tra  i 
poeti  del  suo  tempo,  secondo  dice  il  Patin,  solo  tra  i  poeti  ro- 
mani seppe  condurre  un'opera  non  mag^ore  di  ouella  d'Omero, 
ma  tuttavia  assai  grande,  e  per  meriti  differenti.  Nell'unità  com- 
plessa àeW  Eneide,  egli  accoppiò  un' imagine  dell'  Odissea  e 
nn'imagine  àeWIliade,  ì  mondi  della  favola  greca  e  della  favola 
aosonica.  Egli  trovò  al  medesimo  tempo  bellezze  di  composizione, 

1  A  questa  idea,  die  il  Benoisi  dic«  aver  attinto  neUa  conyersazionc 
del  nostro  i  llustre  Gorresio ,  si  oppone  Oaston  Boissier  nella  Retiie  des 
éeun  Mo  nOes,  15  febbraio  UC?. 


l'enbidb  367 


d^  espressione,  di  sentimento  atte  ad  innamorare  chinnqno  ha  tan- 
tino di  ^Qsto  e  di  lettere  ;  egli  rinnovò  la  memoria  degli  antichi 
poeti  epici,  in  modo  da  renderne  Tattraenza,  ed  oltre  a  questi 
pregi  cu  arte  e  di  erudizione ,  seppe  ordire  la  tela  del  racconto 
per  modo  che  il  suo  lavoro  fu  un*opera  nazionale  e  spiegò  a^li 
occhi  dei  Bomani  tutta  quanta  la  loro  patria  co' suoi  principi 
oscuri ,  le  sue  pretensioni  di  un'  origine  divina ,  la  sua  glena 
senza  pari  e  il  suo  maraviglioso  destino. 

Virgilio  non  s'era  dato  di  tratto  e  senza  prepararsi  al  lavoro 
immenso  dell'epopea.  Egli  era  grado  grado  salito  all'altezza  di 
pensiero  e  di  stile  che  si  richiede  all'epica.  Insomma  egli  s'era 
già  esercitato,  a  dir  così,  nelle  due  specie  di  epopea  già  note  al 
suo  tempo.  L'episodio  che  chiude  il  primo  libro  aelle  OdoraichCf 
l'elogio  dell'Italia  nel  secondo,  il  principio  del  terzo,  semorano 
frammenti  di  un  poema  storico ,  quale  poteva  essere  ideato 
dai  Varroni  d'Atace  e  dai  Vari.  La  fine  del  quarto  libro  ò  un 
poema  mitologico  simile  a  quelli  di  cui  Catullo  diede  esempio 
neìT Epitalamio  di  Teti  e  di  Pelea,  È  notevole  che  dopo  Virgilio 
r  anione  eh*  egli  aveva  fatto  delle  due  forme  si  solve  di  nuovo. 
Se  ne  levi  le  Metamorfosi  e  i  Fasti  d'Ovidio,  in  cui  sono  rac- 
colte e  abbreviate  le  ispirazioni  diverse  della  mitologia  e  della 
storia,  ma  con  minor  arte  che  in  Virgilio,  la  poesia  latina  torna, 
daJl'un  lato,  alle  Tébaidi,  alle  Achilleidi,  alle  Argonautiche,  e 
dall'  altro  alle  Farsaglie ,  alle  Guerre  Puniche.  Ma  la  verace 
epopea  è  un'  opera  cosi  alta  e  così  sublime ,  che  anche  ad  in- 
gegni sovrani  non  fu  dato  il  riuscirvi  e  nazioni,  anche  ricchis- 
sime in  lettere,  ne  desiderano  il  vanto.  Pertanto  non  è  da 
maravigliare  se  tra  i  Bomani  il  solo  Virgilio  abbia  potuto  ottener 
questa  gloria. 

Il  subietto  àeìVBneide  non  è  al  tutto  un'invenzione  del  poeta. 
I  primi  epici  romani  avevano  già  trattato  la  medesima  favola, 
ma  non  così  in  grande,  nò  con  tale  conclusione.  Desiderando 
connettere  le  origini  antiche  della  loro  patria  ai  vecchi  miti 
della  Grecia,  Nevio  ed  Ennio  avevano  già  accettato  la  tradizione 
che  Enea  fosse  V  uno  degli  eroi  fondatori  della  città,  tradizione 
messa  in  corso  dai  Greci  accasatisi  in  Boma.  Certe  antichità 
latine  male  interpretate,  somiglianze  di  n'>mi,  raccolte  con  com- 
piacenza, e  soprattutto  un  vivo  desiderio  di  trovare  un'attinenza 
tra  i  principi  della  razza  latina  e  q^uelli  del  popolo  letterato  che 
tutti  1  Bomani  di  qu^^l  tempo  ammiravano  avevano  finalmente 
ronfuso  il  guerriero  Trojano,  cantato  da  Omero,  col  Dio  princi- 
pale della  confederazione  latina.  Pater  Indiges,  il  culto  del 
quale  s' intrinsicava  con  quello  dei  Penati.  Molte  città  poste 
sulle  rive  deir  Italia  ,  della  Sicilia,  della  Grecia ,  tra  V  Asia  e 
il  Lazio ,  notevoli  o  pel  culto  di  Venere ,  che ,  sulle  coste  del 
Mediterraneo,  aveva  il  soprannome  di  Atvftocc,  o  per  apparenti 
somiglianze  di  nome,  erano  come  i  segni  delPitinerario  di  Enea, 
Nevio,  nei  suo  poema  della  guerra  pomca,  aveva  fatto  aj^ 


368  L*  ENEIDE 


prodare  ^uf^sto  eroe  a  Cartaf^'ine.  ^oconlo  Ennio.  Enea  era  l'an- 
tt-nato  di  Komulo,  altro  Dio  scpduto  dal  suo  antico  grado  e  sceso 
a  quello  duomo  indiato,  l  ^^riulj  avevano  trovato  il  modo  di  far 
risalire  la  loro  «^en^^alo'^ia  fi. io  a  lui.  Pronipoti  forse  dei  servi- 
tori speciaU  della  Dùtà  che  era  stata  confusa  con  Enea,  ave- 
vano imaginato  pel  fioflio  dellV-roe  un  nuovo  nome  assai  simile  al 
loro.  Quando  la  legi^.^nda  venne  in  favore,  altre  famiglio  s'oi-ano 
spacciato  per  discoso  dai  compagni  del  capo  troiano.  E  il  loro 
amor  proprio  vi  si  ora  anche  più  invescato,  quanlo  i  Gialj  orano 
divenuti  col  dittatore,  poi  ol  suo  fiijli)  adottivo,  i  padroni  della 
Kopubblica.  Virgilio  alunque  aveva  a  mano  una  leggenda  tanto 
popolare  da  e>ser  co  apre-;a  da  tutti  e  sebbene  antichissima,  già 
consacrata  da' suoi  predecessori.  Q lesta  leggenda  toccando  a  un 
medesimo  tratto  le  origini  di  Ro  uà  e  gli  annali  domestici  della 
famiglia  di  Augusto,  dav.i  il  modo  di  unire  in  un  medesimo  omagsrio 
le  glorie  storicho  della  cittì,  e  colui  che  aveva  saputo  procacciarle 
un  riposo,  la  cui  dolcezxii  era  gustata  sovra  ogni  altro  da  Virgilio. 
11  campo  vastissimo  che  olla  a))bracciava  poteva  per  altro  restrin- 
gersi senza  danno.  Lo  profezie,  urli  episoaj,  lo  descrizioni  acces- 
sorie, arte  nuova,  già  usata  dai  poeti,  i  quali  celebravano  le 
tradizioni  «Iella  mitologia  greca,  aintavano  ad  evitare  lo  scoglio 
ove  avea  percosso  Eniiio .  quello  di  compilare  Aruiaii  monotoni. 
Senza  u-cire  dalla  narrazione  dogli  an tieni  eventi,  si  poteva  pas- 
sare in  rassegna  il  pia  cjrto  delle  origini  Italiche,  richiamar  sem- 
Sre  r animo  a  Roma,  prosente  sempre  allo  spirito  del  lettore, 
are  insomma  ad  Augusto  una  delle  parti  principali  in  quest'opera 
nazionale.  Il  subbietto  era  poi  tale  che  il  poeta,  con  vantag^o 
inestimabile ,  poteva  collegarlo  direttamente  ai  poemi  omerici, 
fonte  di  tutto  le  ispirazioni  e  modello  di  ogni  epopea.  Ij  Eneide^ 
esprimendo  nelle  sue  due  parti  il  disegno  delle  duo  più  grandi 
opere  prodotte  dal  genio  epico  dei  Greci,  diveniva  allo  stesso  tem- 
po come  la  conclusione  dei  ciclo  dei  canti  che  da  quel  ^enio  eran 
mossi.  Essa  li  continuava  e  li  compieva.  Vero  è  che  m  qnesta 
unione  delle  tradizioni,  greche  e  delle  antichità  latine,  queste 
figurava n  meno  e  si  facuvan  meno  importanti  e  la  loro  fisonomia 
s'alterava.  Ala  non  poteva  andar  la  cosa  diversamente.  La  storia 
e  la  religione  di  Roma  si  trasformavano  ogni  giorno  più  tra  le 
mani  dei  Greci  o  dei  Romani  loro  discepoli.  Virgilio  accettava 
forse  in  buona  fede,  c«*rto  per  giovarsene  al  suo  concepimento 
poetico ,  tutte  le  invenzioni  correnti  :  se  finiva  di  mescolare 
le  tradizioni,  lo  faceva  almeno  a  prò  aella  poesia,  e  da  questa 
confusione  pregiudizievole  alla  scienza  pura  traeva  una  mi- 
rabile opera  d  arte.  E  poi  se  egli  ha-  snaturato  le  vecchie 
leggende  latine  forse  le  na  conservate  in  quanto  potevano  con- 
servarsi; e  accoppiandole  ai  prodotti  dell  imaginazione  greca, 
ha  saputo  dar  loro  un  risalto  che  ci  aiuta  al  presente  a  ri- 
conoscerle ed  a  restituirle  alla  loro  integrità. 
Vi  fu  un  momento  in  cui  Roma  cercò  il  suo  autore  fra  diversi 


eroi,  antenati  supposti  delle  colonie  greche  stabilite  sulle  rire 
d'Italia.  Da  Plutarco  rìcaTÌamo  che,  secondo  certe  tradizioni, 
Bomolo,  vale  a  dire  il  fondatore  leggendario  della  città,  era  di- 
scondonto  di  Dlisae,  di  Telemaco,  di  TeTofo,  d'Ercole.  Ma  la  fa- 
vola d'Enea  prevalae  aesai  presto.  Introdotta  in  Sicilia  e  nel- 
lltalia  meridionale  da  Stesicoro,  s' era ,  in  virtù  di  congìontore 
in  cai  la  religiono  aveva  gran  parte,  come  connaturata  in  alcnnì 
punti.  Il  suo  centro  principale  era  divenato  Egeste,  snlla  costa 
Eottentrionale  delta  Sicilia ,  città  che  faceva  nn  rilevante  com- 
mercio con  Cartagine  o  con  la  costa  del  Lazio,  Pare  che  intomo 
al  tempo  deUa  guerra  dei  Latini  il  cnlto  di  Venere  Ericina  e 
quello  di  cnrto  deità  analoghe  della  riva  latina  venissero  per  al- 
cuni punti  ad  assimilarsi.  La  leggenda  si  diffuse.  Qnando  i  Bo- 
iniiiii  si  videro  vicini  a  combattere  ì  Greci  del  Sud,  vennero  na- 
turalmente a  trascegliore  le  favole ,  tra  le  quali  ondeggiavano 
ancora  ;  e  difatti,  al  tempo  della  guerra  di  Pirro,  Timeo  dà  una 
forma  stallie  alta  tradizione,  che  diventa  allora  una  credenza 
indi.struttibilo  do'  Romani.  La  accolgono  non  solo  Nevio  ed  En- 
nio, ma  lo  stesso  Senato  romano  riconosce  per  fratelli  gli  abi- 
tanti dllio,  l'anno  282  a.  C.  ~  Catone  nelle  sue  Origini,  Fabio  Pit- 
tore, Cicerone  nelle  Verrine  gridano  Enea  l'antenato  dot  Bomani. 

VErteide  era  la  favola  delle  origini  romane ,  univenialiuente 
accetta.  Ma  giresso  le  viveano  altre  leggende,  meno  grate,  dacché 
la  favola  troiana  teneva  il  campo;  soprawiveano  oscure,  ma  non 
erano  al  tatto  spento.  À  VirgiBo  eran  note,  ed  ei  le  ricordai 
egli  non  si  lascia  tratto  a  inserire  nel  suo  poema  tutto  quello  che' 
può  ravvivare  alcuna  notevole  memoria  delle  antichità  nazionaU. 

Vediamo,  por  atto  d'esempio,  il  vecchio  re,  o  piuttosto  l'antico 
dio  Janns  sol  Oianicolo,  Saturno  sul  Capitolino,  Evandro  il  baono, 
vaio  a  dire  Fauno,  snl  Palatino,  col  SUO  figlio  Pallante,  vale  a 
dire  Palafi  o  Fales ,  il  dio  dei  pastori,  con  sua  madre  o  sua  mo- 
glie, la  profetessa  Carmenta. 

Ha  qnando  abbandonarono  gli  antichi  fondatori,  prima  di  sce- 
gliere per  antenato  l'eroe  troiano  Enea,  ì  Bomani  vollero  rappic- 
carsi  ai  Greci.  V'ha  pertanto  anche  nn  altro  ciclo  di  tradizioni, 
In  antico  si  credoa  veder  dappertutto  ì  vestigi  d'Ercole.  Di  fatti 
qui  egli  BCambia  in  nn  mito  antico  una  deità  nazionale,  ed  a 
lai  sì  reca  l'institnzione  del  culto,  veramente  romano,  dellMra 
mawima;  altrovo  si  fa  padre  d'Avontinns,  l'eroe  eponimo  del 
monto  Aventino.  Ulisse ,  gran  tempo  popolare  snlla  costa  occi- 
dentale d'Italia,  in  vecchie  fole,  era  dato  pel  padre  di  Bomanns, 
il  quale  non  è  altro  che  Bomolo ,  alterato  lievemente  il  nome. 
Di  ci6  Viigilio  non  potea  tener  contoj  ma  io  penderei  a  ere- 
dorè  che  non  solo  il  desiderio  d'imitare  Omero  lo  movesse 
a  diffondersi  con  tanto  compiacimento  nell'episodio  del  Ciclope; 
egli  non  poteva  dimenticare  la  traccia  che  l'eroe  dltaca  aveva 
lasciata  nello  antichità  italiane. 

Boma  è  congiunta  al  Lazio  per  genealogìe  mitolo^che,  em- 
Dell'Eneutt.  H 


370  L'ENEIDE 


blemi  dei  vecchi  culti  e  delle  antiche  meiiiorie  che  s'intrecciano  e 
confondono.  Virgilio  le  pone  tutte  nel  suo  poema.  E^li  ci  presenta 
Latino,  marito  d'Amata,  figlio  di  Fauno,  ch'era  figlio  ai  Pico, 
.figlio  di  Saturno;  Pilunno ,  fratello  di  Pico,  fratello  di  Dauno, 
avolo  di  Turno  ;  la  ninfa  Marica,  che  è  tutt'uno  con  Circe,  dive- 
nuta maglio  dì  Fauno  ;  la  ninfa  Yenilia,  che  in  origine  eiu  forse 
tutt'uno  con  Venere,  ma  che  nel  poema  ò  madre  ai  Turno. 

Egli  assembra  gli  antenati  comuni  dell'Italia,  Italo^  Sabino, 
Giano ,  Pico.  Altrove  ha  cura  di  raccogliere  le  vecchie  tradi- 
zioni; (](uolla  degli  Enotrj,  quella  degli  Aborigeni,  degli  Ausonj 
e  dei  Sicani,  quella  altresì  dei  Pelasgi.  Non  lascia  di  notare 
r  antenato  comune  di  Boma  e  dell'  Etruria ,  Dardano  venuto  da 
Cortona,  come  altresì  la  scrofa,  simbolo  della  confederazione  delle 
città  latine.  Vediamo  apparire  i  due  gemelli  di  Tibur,  Ceculo, 
l'eroe  di  Preneste,  nato  dal  dio  del  fuoco,  vale  a  dire  dal  foco- 
lare domestico,  il  Sabino  Clauso,  abavo  de'  Claudj.  ì  fondatori 
sconosciuti  di  Nomento,  di  Gabia  e  dell'altre  borgate  del  Lazio, 
Tarconte,  eroe  di  Tarquinia,  Polite,  eroe  di  Politorio.  Appresso 
sono, le  tradizioni j  mezzo  italiane,  mezzo  greche  del  campano 
Alesò,  preteso  figlio  di  Agamennone,  d'Ebalo,  venuto  da  Capri , 
di  Virbiot  figlio  d'Ippolito,  venuto  da  Aricia,  ed  allevato  nella, 
selva  della  ninfa  Eeeria,  dei  guerrieri  Ligun,  discesi  da  Cicno, 
da  Ocno,  l'eroe  di  Mantova.  Altrove  ricorda  le  leggende  di  Dio- 
mede, tanto  caro  agli  abitatori  delle  rive  dell'Adriatico,  d'An- 
tenore e  dei  Padovani ,  di  Filottete  e  di  Petilia ,  d' Idomeneo  e 
Salente.  Dal  nome  dei  Danni,  da  quello  di  Dauno,  si  era,  per 
analogia ,  tratta  l' opinione  che  Danae  fosse  arrivata  in  Italia , 
nò  Virgilio  se  ne  scorda.  U Eneide  ò  il  libro  delle  orìgini  delle 
città  italiane. 

Ia  Eneide  ò  altresì,  fino  a  un  certo  punto,  il  libro  d'oro  della 
nobiltà  romana  che  pretendeva  esser  discesa  dai  compagiii  di 
Enea;  Mnesteo  è  l'antenato  dei  Mommi,  Sorgeste  dei  Sergj,  Già 
dei  Gegani ,  Cleante  dei  Cluenzi ,  Nauie  dei  Nauzj ,  Ati  deffU 
Aay,  Anteo  degli  Anzj ,  Capi  dei  capi  di  Capua.  E  evidente  cne 
s'intende  non  ometter  nulla  e  ridurre  e  confonder  tutto  nell'unità 
primitiva.  Cosi  l' Italia  si  rannoda  a  Boma  per  vincoli  stretti  e  mol- 
teplici. D'altra  parte  Enea  compare  sopra  tutte  le  sue  coste,  rinno- 
veilando  e  concentrando  sul  suo  nome  tutte  le  vecchie  leggende. 
Se  a  Virgilio  piacque  mostrarcelo  in  Tracia,  a  Enos,  a  Delo,  nel 
mare  Egeo,  per  spiegare  ed  estricare  una  confusione  della  mi- 
tologia, in  Creta,  alle  Strofadi,  gli  piace  anco  pia  di  mostrarcelo 
nei  luoghi  scialati  da  memorie  romane,  al  promontorio  d'Azio, 
in  Epiro,  sulle  coste  dellltalia  meridionale  e  della  Sicilia.  Taccio 
del  suo  soggiorno  a  Cartagine;  si  vede  benissimo  da  qual  me- 
moria Virgilio  sia  stato  tratto  ad  accattare  questa  nzione  da 
Nevio.  Non  mi  fermo  sul  lungo  episodio  della  sua  dimora  presso 
Aceste  :  in  quelle  bande  il  fiore  della  favola  aveva  allegato.  Ma 
Enea  approda  su  tutti  i  punti  bagnati  dal  mar  Tirreno,  per  ad- 


L'ENEtDB  871 


dietro  tntti  celebri  nella  leggenda  d'Ulisse  ed  ora  colle^Siti  a 

Snella  delPeroe  troiano:  Paunoro  diventa  il  suo  pilota,  Miseno 
suo  trombetta  ;  egli  va  a  interrogare  la  Sibilla  di  Guma,  ora- 
colo famoso,  donde  preser  le  mosse  tutte  le  leggende  greche  cU^ 
penetrarono  in  Italia;  e^li  dà  sepoltura  alla  sua  nutrice  a  Gaeta; 
scorge  gli  scogli  delle  Sirene,  sente  ^li  urli  de^P  infelici  imbe* 
stiati  da  Circe.  Cosi  nella  persona  di  lui  si  fa  il  mescolo  delle 
tradizioni  della  Grecia  e  di  Boma,  emblema  dell'unione  dello 
spirito  greco  e  dello  spirito  romano.  Cosi  con  singoiar  precisione 
61  caratterizza  Tassimuazione,  opera  del  temj^o,  e  della  fortuna| 
che  senza  spogliare  i  Romani  della  loro  originalità,  gli  ha  fatti 
abili  a  diventare  anch'essi  il  primo  popolo  del  mondo* 

So  il  poema  di  Virgilio  abbraccia  tutto  il  ciclo  delle  tra- 
dizioni storiche  e  leggendarie  dell'  Italia,  si  può  dire  che  non  d 
meno  importante  per  quel  che  concerne  la  reìi^one.  In  lui  Te- 
diamo la  religione  romana  nello  sue  diverse  fasi,  con  le  cause  di- 
verse elio  la  vennero  trasformando ,  e  la  forma  ultima  a  cui  si 
atteggiò  quando  T  impero  ora  giunto  al  colmo  del  suo  splendore, 
e  non  ancora  manifestamente  compreso  dai  mali  che  lo  dila- 
niare U'^. 

S' intendo  facilmente  che  la  religione  dei  Bomani  e  degli  altri 

Sopoli  deiritalia  non  fu  sempre  simile  a  so  stessa.  Si  trasformò 
i  mano  in  mano  tanto  che  venne  ad  alterarsi  e  modificarsi 
profondamente.  Studiando  le  notizie  diverse  che  abbiamo  della 
religione  romana,  si  vede  che  le  antiche  credenze  ii&liche  erano 
da  principio  una  religione  di  pastori  ed  a§[ricoli ,  in  cui  il  ca- 
rattere degli  Dei  era  piuttosto  incerto  ed  indeterminato .  e  Te- 
nivano  rappresentati  piuttosto  con  simboli ,  con  attributi ,  che 
con  imagini.  Causa  di  un  primo  mutamento  assai  notevole  fu 
Tunione  dei  Latini  e  dei  Sabini,  espressa  nell'organizzazione  re-* 
ligiosa  attribuita  a  Numa  Pompilio.  H  culto  ò  osservabile  cosi 
per  la  semplicità  degli  Dei ,  ai  quali  si  volge ,  come  pel  gran 
numero  di  usi,  di  cerimonie^  che  abbraccia.  JPin  d'allora  si  tro- 
van  segni  dell'  adorazione  di  Giano ,  di  Giove ,  di  Giunone ,  di 
Marte,  di  Quirino,  di  Vesta,  iddii  supremi,  uficiati  dai  Flamini 
e  dai  Pontefici,  dei  collegi  dei  Lupe  rei,  sacerdoti  di  Fauno,  dei 
SalJ,  dei  Fratelli  Arvali,  e  si  vede  in  piò  il  collegio  degli  au- 
guri, a  cui  era  commesso  d'interpretare  i  sogni  della  volontà 
divina.  Più  innanzi  con  la  dinastia  etrnsca  giunsero  nuovi  culti, 
già  i.'origine  ellenica.  Difatti  in  quel  temp  oTincivilimento  etru- 
sco era  fortemente  imbevuto  di  civiltà  greca .  A  quel  tempo  si 
dove  riferire  rintroduzione  dei  libri  sibillini  portati  da  Cuni a,  la 
religione  di  Giove  Capitolino,  quella  d'Apollo  venuta  dall'Italia 
mendionale.  Dietro  a  questi  s'introdussero  via  via  molti  culti  greci, 
quelli  di  Cerere,  di  Libero  e  Libera,  vale  a  dire  di  Demoter,di  Dio- 
uyoos  e  Porseionc,  d'Esculapio,  di  Plora  e  di  Venero  Ericina,  deità 
aìialogtie  all'Afrodite  greca,  della  Gran  Dea  La  letteratura  e  la 
poesia  bvolgeudosi  sul  modello  dei  Greci  facevano  queste  usur- 


372  L'BNBIDB 


pazioni  continue  a  danno  delle  credenze  antiche.  Fra  gli  Dei 
indigeni  e  qvL&ìlì  che  yenivan  di  fuori  correvano  analogie  le 
j[uali  conferivano  ad  assimilarli.  Ma  i  primi  si  modificarono 
in  mezzo  a  questi  movimenti  e  una  nuova  gerarchia  si  formò 
in  cui  presero  parte  in  diversi  gradi  le  deità  nuove  e  le  antiche. 

L'oUmpo  greco,  Tolimpo  d'Omero,  ebhe  necessariamente  la 
preponderanza  nei  poeti  epici  nutriti  dei  canti  della  Grecia .  e 
che  poi  rannodavano  la  loro  opera  alle  tradizioni  greche.  Ma 
anche  in  essi,  generalmente,  prevalsero  i  nomi  romani. 

Ennio  ha  raccolto  in  due  versi  i  nomi  de*  dodici  Dei,  che  Boma 
riconosceva  ad  esempio  della  Grecia  : 

Juno,  Vesta,  Minerva,  Ceres,  Diana,  Venus,  Mara, 
Mercurius,  Jovis,  Neptunus,  Vulcanus,  Apollo. 

È  da  notare  che  il  solo  Apollo,  il  dio  di  Cuma.  il  dio  g^reco  per 
eccellenza,  ha  conservato  il  suo  nome.  I  nomi  romani  preval- 
sero ;  Plutone,  che  non  è  comproso  in  questa  lista,  è  scambiato 
da  Dis  e  Orcus.  Ma  lo  deità  greche  non  perderono  solo  il  loro 
nome  :  il  lor  carattere  si  modificò.  Divennero  più  gravi.  In  Vir- 
ilio continuano  a  rissarsi  insieme  e  a  sostenere  almeno  partiti 
diversi.  Ma  non  combattono  più  l'uno  contro  l'altro  a  mano  ar- 
mata, né  hanno  più  avventure  pazze.  I  grandi  iddii  stanno  in  con- 
tegno ,  come  magistrati  che  il  loro  uncio  astringe  alla  decenza. 
Alcune  deità  romane,  che  per  effetto  dell'assimilazione  passavano 
al  primo  grado,  Minerva,  Ccres,  VemiSy  Afercuritis,  Neptunus, 
Vulcanu.9,  perderono  quasi  al  tutto  il  loro  antico  carattere,  e 
presero  invoce  quello  aelle  deità  greche  eh'  esse  scambiavano. 
Air  incontro  gl'iddii  di  prim'  ordine ,  che  scendevano  di  grado 
nella  nuova  gerarchia,  furono  considerati  come  semidei,  eroi,  re 
antichi. 

Tuttavia,  presso  a  loro,  restava  un  vasto  panteon,  i  cui  per- 
sonaggi non  s'eran  tutti  trasformati.  Cosi  si  mantenne  il  cidto 
dei  Penati,  spiriti  della  casa,  ch'eran  onorati  nell'atrio.  Erano 
alquanto  diversi  dai  Lari ,  co'  quali  spesso  furon  confusi.  Non 
v^ha  culto  che  sia  più  profondamente  romano.  V'erano  i  Penati 
delle  case,  i  Penati  delle  città,  i  Penati  di  Boma,  d'Alba,  di 
Lavinio,  oggetti  di  una  costante  adorazione.  Di  fatto  Boma  non 
ora  stata  sempre  a  capo  della  lega  latina.  Da  prima  i  Penati 
della  capitale  erano  stati  quelli  della  confederazione.  Questo 
onore  era  una  volta  proprio  di  quelli  d'Alba;  ma  ad  un  certo 
punto  Alba  era  scaduta.  Lavinio  era  venuta  in  gran  conto 
porche  era  attigua  alla  frontiera  dell'  eterno  nemico  de'  Latini , 
il  Rutulo.  Per  ciò  si  spiega  l'importanza  dei  Penati  di  Lavinio, 
'  associati  al  Giove  Indigete  ,  dio  di  Numico.  Anche  quando 
Roma  diventò  la  prima  città  latina,  la  memoria  d'Alba  e  di 
Lavinio  durò.  Ove  si  consideri  che  per  questa  riva  penetrò  la 
leggenda  d'Enea,  s'intendo  come  Enea,  Giovo -Indicete,  il  Numicio, 
si  confusero,  e  come  il  culto  dei  Penati  si  iissociò  strettamente 


k 


V  BNEIBB  873 


a  quello  d^Enea.  Essendosi  creduto  che  i  Penati  di  Boma  e  di 
Lavinio  fossero  i  Penati  troiani ,  si  tentò  più  innanzi  di  con- 
netterli ad  una  religione  orientale  analoga,  e  furono  identificati 
con  griddii  Cabiri  di  Samotracia.  Cosi  divennero  i  grandi  dei, 
i  protettori  della  navigazione,  che  sostengono  e  dirigono  Teroe 
ne^'suoi  viaggi.  Onde  Enea  s'imbarca. 


Cum  sociis  gnatoquej^enatibus  et  magnis  dts* 

Ecco  quel  ch^ò  al  tutto  e  assolutamente  romano  nel  poema,  e 

fli  dà  un  colorito  essenzialmente  nazionale.  Questa  venerazione 
ei  Penati   è  tratta  dal  cuore  della  religione  romana.  Nessun 
poema  epico  greco  somiglia  B^TEneide  per  q^uesto  lato. 

Le  deità  locali  dellltalia  stanno  allato  ai  grandi  iddii  notati 
da  Virgilio.  Giove  Anxur ,  Feronia,  Egeria,  Albunea,  Angitìa, 
Giutuma,  Portuno,  figurano  nel  poema. 

Virgilio  ricorda  con  compiacimento  i  culti  romani.  In  prima 
linea  è  quello  dell'Ara  maxima ,  che ,  attribuito  ad  Ercole .  è 
in  realtà  un  sagrifìcio  antico  al  ^enio  dell'abbondanza,  al  dio 
protettore  del  suolo ,  a  chi  lo  fa  fruttificare ,  al  dio  della  verità 
e  della  buona  fede,  Cerus,  Sancus,  Dius  Fidius.  Egli  ci  mostra  i 
Luperci^  sacerdoti  di  Fauno,  i  Salj  sacerdoti  di  Marte.  I  Mani,  i 
Lari  e  i  Penati,  le  deità  protettrici  che  hanno  con  essi  alcuna 
analogia,  spesseggiano  nel  suo  poema  le  loro  apparizioni  e  i  loro 
avvertimenti  notturni.  Finalmente  egli  avrà  cura  d' indicarvi  il 
culto  della  madre  degl'iddìi,  d'origine  recente,  ma  ond'egli  fa 
più  remota  Tinstituzione  per  crescere  autorità  alla  favola  cn'egli 
svolge.  Egli  è  insomma  un  poeta  teologo. 

L'Eneide  era  altresì  pei  Romani  la  dipintura  della  loro  vita  pub- 
blica e  privata.  Accanto  ai  costumi  omerici  compaiono  di  tempo 
in  tempo  le  usanze  e  i  costumi  romani.  Dal  palagio  di  Priamo  e 
dalle  imitazioni  àelV Biade  e  deW  Odissea  passiamo  alla  descri- 
zione della  vita  selvaggia  delle  rudi  popolazioni  del  Lazio.  Poi 
entriamo  in  caso,  in  vestiboli  pieni  d'imagini,  come  quelli  de' 
vecchi  patrizj.  Gli  eroi  combattono  sopra  carri,  come  Ettore  ed 
Achille  ;  hanno,  com'  essi ,  ricche  armature  ;  ma  i  compagni  che 
hanno  intorno  sono  muniti  degli  ordigni  di  guerra  pronri  dei 
montanari  dell'Apennino  o  dei  soldati  delle  legioni.  Si  aà  e  si 
respin^^o  V  assalto  secondo  tutte  le  regole  della  tattica  romana. 
I  sagrifizj  son  descritti  nel  modo  che  i  contemporanei  di  Vir- 
gilio jiotcnn  vederli.  S' inviano  le  ambasciate,  si  dà  perfezione 
ai  tn;tliiti  con  le  medesime  cerimonie.  I  noti  ludi  dei  Eomani 
si  fanno  risalire  a  Quella  remota  antichità.  Io  non  vo  con  quegli 
eruditi,  i  quali  creaono  che  Virgilio  abbia  voluto  rappresentare 
nel  suo  p(^ema  la  vita  dei  Romani  in  tutti  i  suoi  minuti  parti- 
colari ;  ma  è  lecito  dire  che,  pei  uno  sforzo  del  suo  ingegno  so- 
vrano, seppe,  con  arte  maravigliosa ,  creare  un  mondo  novello  , 
che,  al  medesimo  tratto,  tiene  delle  età  eroiche,  delFantica  Italia^ 


874 


L*VNBn>B 


e  del  secolo  in  eoi  tìtoil  Elementi  cosi  srariati  non  tanno  cne  un 
tutto,  di  cui  Boma  è  il  centro  ed  Enea  Teroe. 

Noi  crediamo,  diceva  F.  J.  Prondhon,  che  la  formazione  del- 
Timpero  romano,  la  preponderanza  latina,  la  trasformazione  giuri- 
dica 6  morale  che  ne  Teniya  per  conseguenza,  costituivano  un  sub- 
bietto  sommamente  epico;  noi  lo  crediamo  tanto  più,  in  aaauto 
il  mondo,  illuminandosi  e  filosofando,  non  aveva  cessato  a' aver 
fede  nel  sovrannaturale,  nelllntervento  diretto  e  manifesto  delle 
potènze  del  cielo  negli  affari  umani,  e  i  popoli,  non  curanti  del- 
l'esattezza  storica,  continuavano  per  loro  uso  a  travestire  gli 
o\'enti  in  leggende.  Donde  noi  ricaviamo  che  V Eneide  y  sebbene 
sfa  stata  concepita  e  per  cosi  dire  improvvisata  da  un  uomo  solo, 
sebbene  per  questo  lato  non  possa  aversi  per  un'  opera  della 
Bpontaneità  collettiva  tanto  quanto  Vlliadi,  non  fu  tuttavia  un 
Pi»ema  artificiale,  come  i)arve  a  certi  eruditi  nostri  contemporanei. 
ÌA^Eneide  ò  un  fatto  universale  non  meno  che  un  parto  dellUn- 
^gno  individuale,  un  monumento  inseparabile  dalla  formazione 


ragione 


e  dalla 
Europa  contro  TAsia. 
Per  sventura  tutto  il  reale  che  V  Eneide  conteneva  secondo 
il  disegno  del  suo  autore  lo  ha  perduto  por  la  degradazione 
romana,  la  caduta  deirimpero,  lo  stabilimento  del  Cristianesimo, 
Padottamento  dei  libri  degli  ebrei,  a  modo  di  epopea  dell'amanita: 
tantochò  questo  poema,  che  dovea  crescere  coi  destini  di  Boma, 
e  che  il  suo  autore  non  ebbe  tempo  di  compiere,  ò  morto,  a  dir 
cosi ,  in  sul  nascere ,  o  rimasto  quasi  un  sogno.  Pertanto  la 
lettura  di  Omero  attrae  più  che  quella  di  Virgilio.  Omero  non 
ci  attrae  solo  per  la  poesia;  in  questo  punto  egli  fu  superato 
da  Virgilio;  ma  perchè  desta  più  profondamente  ne' nostri  animi 
il  sontimonto  delia  realtà. 


■JinHl 


IL    MAGO    VIRGILIO 


PER 


BARTOLOMEO  CARACCIOLO 


Come  VirgiUo  per  la  piacenoletta  ddl'aero 
di  Napoli  ce  compose^  la  Oeorgica, 

De  la  qual  cita  de  Napoli  Virgilio  molto  più  chiaro  de  tutti  li 

Soeti  non  pò  tacere,  imperocliò  vi  fu  Officiale,  et  ivi  scripse  il  libro 
e  la  Oeor^ica,  in  nel  tempo  quando  Octaviano  ordenao  Marcello  Duca 
de  li  Napoletani  ;  in  nel  lempo  dil  qual  Marcello,  essendo  consillario, 
et  quasi  rectore  suo,  o  vero  maistro ,  lui  homo  sa/^ace  et  discipulo 
de  le  Muse,  chiamato  Virgilio  Mantuano,  si  forono  facte  le  chiaviche 
sotto  terra,  havendo  cnrso  al  mare.  E  U  puzi  publici  con  li  condutti 
d'acque  per  diverse  vie  et  con  sottile  artificio  congregate  in  uno 
alto  monticello  chiamato  Sancto  Pietro  a  cancellarla,  correno  a  le 
fontane  publice,  facte  et  edificate  in  ne  la  dieta  cita.  Per  la  sagacità 
dil  qual  Marcello,  e  per  {)regere  del  dìcto  Virgilio.  Octaviano  chiamò 
Napoli,  Donna  de  nove  cita,  oppido  o  vero  castello  murato. 

Come  VirffUU)  per  arte  magica  levò  lo  male  aere 

da  NapiM. 

In  ne  la  qual  cita,  per  Taiero  de  le  padule  in  quello  tempo  si  era 

gran  habundatie  de  mosche,  in  tanto  che  quasi  ingeneravano  morta- 
tà.  Il  sopradicto  Virgilio,  per  la  grande  affectione,la  quale  haveva 
a  la  dieta  cita  et  a  li  soi  citadini ,  se  fò ,  per  arte  de  nigromantia , 
una  moscha  d'oro,  et  fella  furgiare  grande  quanto  una  rana  sotto 
certi  poncti  de  stelle,  che  per  la  efficacia  et  virtù  de  la  auale  mosca 
tutte  le  mosche  create  in  ne  la  cita  fugeevano ,  seconno  che  Ale- 
xandre dice ,  in  ne  la  sua  opera ,  che  egli  vide  la  predicta  in  una 
fenestra  del  Castello  do  Capuana,  et  Gervase  in  ne  la  sua  Cronica , 
la  quale  se  intitola  li  Risponsi  Imperiali,  proba  questa  cosa  fosso 

*  Tratto  dalla  sua  Cronaca  di  Partenopea  secondo  la  lezione  data  da 
Domenico  Coniparoiti  tra  l  Documenti  del  suo  Virgilio  nel  medio  evo,  vo 
lume  II,  pag.  230-239. 


376  TL  MAGO  vmaiLio 


Btata  cosi.  De  poi  la  dieta  moscha,  levata  da  quillo  loco,  e  portata 
al  Castello  di  Cicala,  si  perdio  la  virtute. 

Come  per  incanto  levò  le  sangtiestighe 
del  CKqua  de  Napoli, 

Fò  dtiamdio  fare  una  certa  sangnesucra  di  oro  formata  sub  certa 
consteUatione,  la  quale  fò  gictata  in  del   profondo  de  pozzo  bianco, 

Ser  la  efficacia  et  virtù  de  la  quale  le  sauguesughe  furono  cacciata 
e  la  cita  de  Napoli,  le  quale  ce  habundavano  in  gran  quantitate  et 
come  mo  manifestamente  noi  vidiamo ,  operante  ht  divina  gratia , 
senza  la  quale  non  se  pò  fare  ninna  cosa  perfecta,  la  predicta  grazia 
et  virtù  aura  perfino  lu  di  d'hoggi,  et  durerà  in  eterno. 

Come  fé  un  cavallo  sub  certa  cosldUmonCf 
che  sanava  la  infirmila  de  U  cavaUL 

Anche  fé  forgiare  un  cavallo  di  metallo  sub  certa  consteUatione 
di  stelle  che  per  la  visione  sola  dil  quale  cavallo^  le  inflrmitate 
8*haviano  remedio  di  sanità,  il  quale  cavallo  li  mmiscarchi  de  la 
cita  di  Napoli,  havendo  di  ciò  grande  dolore,  che  non  haviano  gua- 
dagno a  le  cure  de  li  cavalli  mflrmi,  si  andaro  una  nocte,  et  per- 
fkirarolo  in  ventre,  dapò  dil  quale  percussione  et  roctura  il  dicto 
cavallo  perdi  la  virtù  et  fò  convertuto  a  la  construtione  de  4e  cam- 
pane de  la  majoro  Ecclesia  de  Napoli,  in  nello  anno  MCCCXXII  ;  il 
quale  cavallo  si  stava  ^ardato  a  la  Corte  de  la  predicta  Ecclesia  di 
Napoli,  del  quale  cavallo  si  crede,  che  la  piaza  de  Capuana  porte 
Tarme,  o  vero  ìnscì^ne,  cioò  uno  cavallo  in  colore  d'oro,  senza  freno, 
per  la  qual  cosa  quando  il  Serenissimo  Prìncipe  Re  Carlo  primo, 
intrò  in  la  cita  di  Napoli,  maraviglandose  de  le  arme  di  questa  terra, 
o  vero  piaza,  et  de  la  piaza  di  Nido,  la  quale  havia  per  arme  uno 
cavallo  nigro,  puro  senza  freno,  si  comandò,  che  fossero  scripti  doi 
versi  : 

Hactenus  efifTenis,  nunc  freni  portat  habenas 
Rex  domat  hunc  aequus,  Partnenopensis  Equum. 

De  li  quali  versi  la  senteutia  in  vulgare,8i  è  guesta^  che  el  Rejusto 
di  Napoli  doma  questo  cavallo  isfrenato,  a  li  homlni  senza  freno, 
li  apparecchia  le  retene  del  freno. 

Come  levò  le  cicale  per  incantamento, 

Etiamdio  quello  chiarissimo  Poeta  si  fò  fare  una  cicala  o  vero 
oantatrice  de  rame,  per  arte  de  nigromancia  incantata,  et  si  la  li- 
ghò  a  uno  arbore  con  una  catenella,  per  la  efflcacità  et  virtù  de  la 
quale  cicala,  si  fuggerono  da  la  dieta  cita  tutte  le  cicale,  le  quale 
erano  tanto  infestante,  et  contrarie  a  li  citadini  per  brutto  canto, 
che  guasi  no  potevano  de  nocte  dormire  nò  riposare  et  la  dieta 
gratia  dura  per  fina  al  di  de  hogi. 

Come  ancora  provedette  aUe  carne, 
che  non  puzzassero. 

Niente  dimeno  volou<Io  lo  dicto  Virgilio  provedere  a  la  utilitate 
do  quelli  li  quali  soutiva  danno ,  molto  volte  in  ne  la  cui*ne  fresca 


IL  MAGO  VIRGILIO  877 


6  salata,  cho  spisso  volte  fiitiva,  per  lo  vento  austro,  il  quale  ò  a  la 
dieta  dtà  molto  contrario  et  imperò  se  corrompevano  le  aicte  carne, 
il  (lieto  Vir'jilio  fé  append«jr<i  diversi  pezzi  di  diversi  carne  per  la 
dieta  arte  maij^ica  in  uno  archo  della  Ducciaria  de  la  piaza  dello 
Marcato  Vecchio,  dove  in  quel  tempo  se  vendeva  la  carne,  et  anche 
mo  se  vende,  per  la  virtù  de  li  quali  pezzi  di  carne,  tutta  la  carne 
la  quale  restava,  che  non  se  poteva  vendere,  si  se  conservava  per 
più  di  et  somane  senza  corruptione,  et  la  carne  salata  se  conser- 
Tava  ben  tre  anni  et  più. 

Come  Vergilio  provedio  a  lo  vento  de  AprUe , 
che  gtuistava  H  frucH  di  Napoli, 

Per  lo  vento  lo  quale  se  chiamava  Favonio  o  vero  fbrano,  che 
guastava  li  arbori  et  comunemente  sole  ventare  a  la  entrata  di  Aprile . 
ne  la  dieta  cita ,  et  destrugitivo  de  le  frunde ,  de  li  fiori,  et  de  li 
frutti  teneri  de  li  arbori,  lo  dicto  summo  Poeta  fò  forgiare  una  ima- 
^ine  de  rame,  sotto  certi  segni  et  congiuntione  de  pianeti,  la  quale 
imagine  teneva  una  tromba  in  bocca ,  la  qual^^  percossa,  o  ponta  dal 
dicto  vento  Favonio,  por  hi  virtù  de  li  diete  pianate,  faceva  ventare 
un  altro  vento  contrario  al  dicto  vento  Favonio,  lo  quale  era  de 
necessità  de  tornarese  in  dietro,  per  la  qual  cosa  li  arbori,  e  li  fructi 
crescevano  senza  noeimento,  et  perveniano  ad  maturatione  perfecta. 

Come  per  la  sanità  de  li  citadini  fé  venire  a  Napoli 

ynolte  herbe  de  virtit. 

Volendo  anco  lo  dicto  eximio,  et  summo  de  li  Poeti,  previdero  an- 
cora alle  inflrmitate  de  li  homini,  con  quelle  salutifere  et  medicinale 
herbe,  li  quale  bisognavano  per  li  suoni  e  sciroppi,  le  quale  herbe 
in  molte  parte  de  le  mundo  non  si  trovano,  maximamenie  la  state, 
a  pedi  0  sotto  la  schiapa  Monte  Vergine,  sopra  Avelie,  et  apresso 
Mereholiano,  lo  quale  monte  mo  se  chiama  lo  Monte  Verj^ine  per  le 
meravigliose  sue  arte  et  ingegni,  fò  ordinare  uno  giardino  o  vero 
orto  meraviglioso,  et  fece  d'ogni  generatione  de  herbe,  lo  quale 
giardino,  tutti  quelli  che  andavano  per  cogliere  herbe  per  le  cure,o 
remedio  de  li  infirmi ,  la  herba  ei  la  via  si  se  demostrava  lieve- 
mente. Et  quelli  che  andavano  per  destruggere  et  siparo  et  levarene 
le  dicto  herbe,  per  pastenare  ad  altrove ,  non  so  lassava  vedere,  et 
non  ce  trovavano  mai  via  donde  ce  potcaero  andare;  in  nel  quale 
Giardino,  etiandio  per  fin  al  tempo  nostro  senzeconglieno  molte 
herbe  medicinale  et  virtuosissime,  de  le  quale  alcune  herbe  non  se 
trovano  in  altro  loco,  se  non  in  quel  giardino. 

Come  non  ce  eì'u  pesre  et  in-  (mio  una  preta^ 
et  f ecela  copiosa, 

Anchora  vedendo  lo  dicto  Poeta  la  predicta  cita,  la  quale  con 
gran  volontate  desiderava  de  'se  magnificare  per  fama  et  riccheza, 
che  non  era  fertile  de  pesce,  per  lo  poco  fondo  del  mare ,  che  sta 
di  jjrusso  de  Napoli,  volendo  providere  a  la  utilità  del  mare,  et  de 
li  citadini,  fò  laborare  una  preta,  et  fé  intagliare  uno  pescitello,  et 
fello  fabriearw  iu  quello  loco  dove  se  chiama  mo  la  Preta  de  lo 
pesce,  iu  de  lo  quale  loco  per  fino  che  stette  la  dieta  preta ,  giamai 
non  mauchao,  che  uou  ce  rosse  pesce  grosso  et  minuto. 


378  IL  MAGO  VIRGILIO 


Conie  a  la  porta  Noi.ina  fé  fare  due  teste, 
che  segnifìcavaTW  augurij. 

In  ne  la  entrata  de  la  dieta  cita  sopra  la  porta  Nolana  succe- 
dendo ad  ipso  le  mirabile  influentie  do  li  dicti  pianeti ,  fò  mirabU- 
mente  edincare  et  iscolpire  doi  teste  humaae  per  sino  a  lo  pecto 
di  marmore,  Tuna  de  homo  allegro,  che  rideva,  e  Taltra  di  aonna 
trista,  che  piangeva,  havendo  diversi  augurij  et  effetti;  se  alchuno 
homo  intrava  a  la  dieta  cita  per  obtinere  alcuna  grazia,  et  per  spaz- 
zare alcuna  sua  facenda,  et  casualmente  declinava  la  sua  mirata  da 
lo  lato  de  la  porta  dove  stava  lo  homo,  o  la  imagine  che  rideva, 
consequitava  douo  augurio,  e  tutto  suo  desiderio  naviva  bono  ef- 
fecto,  et  tutte  sue  facendo,  se  declinava  la  sua  intrata  al  lato  de  la 
porta  dove  era  la  testa,  che  piangea ,  ogni  male ,  et  ninno  apaccia- 
mento  ilio  havea  in  nelle  sue  facende. 

Come  fo  ordinato  io  joco  ad  Carbonara. 

Et  in  quello  tempo  ancora  lo  ingeaioso  Poeta  ordinao,  che  ogni 
anno  se  facesse  lo  Joco  de  Carbonara ,  non  con  morte  de  homini , 
come  de  pò  ò  facto,  ma  exercitare  li  homioi  a  li  facti  dell'arme,  et 
donandosi  certi  doni  ad  quelli ,  che  erano  vincitori.  Et  hebbe  prin- 
cipio lo  dicto  Joco  dal  menare  de  li  citrangoli,  a  lo  quale  da  pò 
successe  lo  menare  de  le  prete,  et  pò  ad  macze;  ma  stavano  col 
capo  coperto  con  bacinetti  et  ermi  di  coirò.  Et  de  pò  più  nanci 
V june  al  tempo  di  anni  MCCCLXXX  che  quelli  chenze  jocavano  non 
obstante,  che  se  armavano  de  tutte  arme ,  infinite  ce  ne  morevano 
et  ò  chiamato  Caronara ,  in  nel  qual  joco  se  solevano  gettare  le 
bestie  morte,  et  le  mondecze.  Ordinò  anche  in  la  dieta  citk  per  sua 
arte  magica  quattro  capi  humaui,  che  ciano  stati  morti  nanci  longo 
tempo,  li  quali  capi  davano  risposta  v»ra  de  tutti  li  &cti,  che  se 
facevano  in  le  quattro  parte  do  lo  mundo,  ad  ciò  che  tutti  U  facti 
de  lo  mundo  fosseno  manifestati  al  Duca  de  Napoli. 

Come  Virgilio  levò  le  serpe  de  Napoli. 

Anchora  in  ne  la  dieta  cita  de  Napoli,  a  la  Porta  Nolana,  la  quale 
mo  se  chiama  de  Forcella,  ò  una  via  de  prete  artificiosamente  con- 
structa  et  ordinata,  et  a  la  dieta  via  ò  au  sigillo,  al  quale  sigillo  lo 
dicto  Virgilio  %ion  senza  gran  ministerio  concluse  et  annullao  o^ni 
generatione  de  serpenti  et  de  altri  vermi  nocivi,  la  qual  cosa  Dio , 
per  sua  misericordia,  per  fino  mo  la  observa  in  tanto,  che  per  chia- 
viche, et  per  tossati  facti  sotto  terra,  per  fare  le  edificij  et  puczi, 
mai  non  ro  trovato  serpe,  nò  altro  verme  nocivo,  nò  vivo,  nò  morto, 
excetto  si  con  legame  di  fieno  ce  fosse  stato  portato  casualmente. 
Et  a  doetxina  et  ammaistramento  de  li  Napoletani,  nati  in  patri8 
fertile  et  habondevole  stando  in  Nappli,  compose  el  libro  de  la 
Georgica,  in  nel  qual  libro  se  insegnano  li  modi,  come  et  in  qual 
tempo  se  debbiano  arare  et  cultivare  li  campi  et  seminareli,  et  in 
qual  tempo  si  debbiano  piantare  li  arbori  et  tagliare  et  insertare, 
secondo  che  ipso  attesta  a  lo  fino  do  la  dieta  oprerà.  Dove  dice  :  in 
quello  tempo  si  me  ne  nutricava  la  dolce  Parthenope  multo  nobil- 
in  ocio,  et  florido  in  nello  stililo.  Lo  quale  Vir:^ilio  per  natione  Lome 
bardo  hebbe  principio  da  una  villa  de  M.uituani,  chiamata  Andes, 


IL  MAGO   VIRGILIO  379 


et  florio  in  fuma  nel  tompo  do  Julio  Cesare  sotto  Octaviano;  et  in 
neiranno  dello  suo  impeno  XXV  finio  la  sua  vita  in  ne  la  cita  do 
Brindesi,  et  i)ò  t*ò  rapto  per  li  Calabresi,  come  a  cosa  molto  djlec- 
tevole,  et  fò  portato  in  Napoli  et  fò  sepellito  in  quello  loco,  dove  se 
chiama  S.  Miiria  dell'  Uria,  al  presente  S.  Maria  de  Pedigrotta ,  in 
una  sepoltura  ad  uno  piccolo  tempio  quatrato,  con  quattro  cantoni 
fabricati  do  tigole,  sotto  ad  uno  marmore,  scripto  et  ornato  da  lo 
suo  epitaj'hio  d«  lotter^;  antique,  lo  quale  marmore  fò  sano  al  tempo 
de  li  anni  MCCCXXVI.  In  ne  lo  qualti  epitaphio  erano  scripti  doi 
versi,  li  quali  <licuvauo  in  sententia,  Mantoa  me  generò,  li  Cai ubrusi 
me  raperò,  mo  me  tiene  Napoli,  lo  quale  scripsi  in  versi  la  Bucco- 
lica ec  la  Qeorgica  et  la  Eneida. 

Come  orcHnó  Virgilio  le  acque  de  Baja  et  distinse 

le  virtù  de  le  acque  et  fé  U  bagni 

con  scripture, 

Chonsiderò  ancora  il  predicto  Poeta  eximio,  che  in  ne  le  parte  de 
Bajii,  appresso  de  Cuma  erano  le  acque  calde,  havendo  diversi  corsi 
sotto  terra,  per  le  Vvjiia  et  materie  ae  diversi  operationi  de  sulfo, 
cioè  de  aluine  e  di  ferro,  de  pece  et  de  argento  vivo,  le  qual<*  ha- 
bundavano  de  diverse  virtute  ;  considerò  aduncha  edificare  per  la 
comune  salute  de  li  citadini  de  Napoli ,  et  per  la  utilitato  de  tutta 
la  ropublica,  nioUi  et  diversi  bagni,  et  maximameute  quello  avan- 
tagiaco  baìj^nio,  lo  guale  ò  chiamato  Tritola,  in  ne  lo  quale  erano 
scripte  tutte  li  nomi  et  virtutj^  de  tutte  le  acque,  specificatamente 
per  sottile  magisterio  de  fabriche  disi^nate,  ad  ciò  che  li  poveri 
malati  stmi^  aiuto  et  consiglio  de  Medici,  li  quali  senza  alchuna  ca- 
rità domandano  esserne  pacati ,  potessero  de  la  desiderata  cha- 
rità  trovare  remodio  di  loro  infirmitate.  In  ne  li  quali  bagni  li  cat- 
tivi Modici  di  Salerno  demostrauo  la  poca  charitate  et  grande  ini- 
quità che  haviano,  che  una  nocte  navigaro  per  fino  a  li  dicti  ba'j^iii, 
et  si  guastare  tutte  lo  scriptui^e  et  picture.  scripte  et  pente  in  ne 
li  dicti  bagni,  con  ferri  et  altri  instrumenii  da  dirompere  li  dicti 
edifici^.  La  justa  et  condigna  virtù  de  Dio  li  ponto,  che  comò  li  dicti 
medici  ritornavano  ad  Salerno  per  mare .  furono  assaltati  de  una 
grandissima  tempestate  et  annegati,  excepro  uno  lo  quale  manifestò 
questa  cosa,  et  proprio  annegaro  intra  Capre  et  la  Minerva,  pro- 
muntorio  di  Salerno. 

Come  fé  la  grotta  per  la  commodità  de  li  cittadini  de  Napoli ,  dove 
se  chiama  fare  grotte  ^  "bent^hè  alcuni  dicono  che  la  fece  fare  LO' 
cuUo. 

Havendo  ancora  lo  dicto  Poeta  advertenza  alle  fatighe  e  tedij  do 
li  citadini  di  Napoli^  che  voleano  gire  spisso  ad  Puczoli  et  a  li  bagni 
Boprascripti  de  Baja^  per  li  arbostri  de  uno  monte  dorissimo,  lo 
quale  era  principio  di  affanno  di  quelli  che  volevano  passare  lo  so- 
pradicto  monte,  tanto  da  capo ,  quanto  da  piedi,  fò  aperire  innanci 
che  ce  comenzasse  la  grotta.  Et  considerando  per  geometria,  con 
una  mesura  per  potere  cavare  sotto  di  questo  monte,  ordinò  che  fò 
forato  et  cavato  il  monte  predicto,  fò  farci  una  cava,  o  vero  grotta 
di  longhezza  et  di  larghezza,  la  quale  grotta  fu  con  tanta  subtilità 
ordinata,  che  la  motate  de  la  dieta  grotta  per  lo  nascimento  del 
•ole  luce  da  parte  de  levante ,  da  la  matina  por  fi  ad  mezo  di ,  et 


880  IL  MAGO  VIRGILIO 


da  mezo  di  per  fi  a  posta  del  sole  luce  Taltra  metate  da  la  parta 
de  ponente  ;  et  imperochè  quelli  che  passavano  lo  loco  era  teneoroso 
et  obscuro,  che  per  questo  pariva  male  segno ,  in  tal  dispositione  de 
pianeti  et  corsi  de  stelle  fò  dieta  grotta  cavata  et  di  gratta  dorata, 
che  ninno  timore  ne  suspictione  ò  ad  quelli  che  ce  passano,  et  non 
Bence  pò  ordinare  imbuscamento;  nò  sence  pò  fare  acto  dishonesto 
a  donne,  et  questo  ò  provato  et  inducto  per  fino  a  li  nostri  tempi , 
di  la  quale  grotta  ne  parie  Seneca. 

Come  consacrò  lo  ovo  aUo  Castolo  deWOvo 
donde  iii^iò  lo  nome. 

Bra  in  nel  tempo  de  lo  dicto  Virgilio  uno  castello  edificato  dentro 
mare  sopra  uno  scoglio,  come  per  fine  mo  è,  el  quale  se  chiamava 
lo  Castello  Marino  o  vero  di  Mare  ;  in  dell'opera  ai  lo  quale  castello 
Virgilio  dilectandose,  con  sue  arte  consacrò  uno  ovo,  el  primo  che 
fé  una  gallina;  lo  quale  ovo  posse  dentro  una  carrafa,  per  lo  più 
astritto  forame  de  la  dieta  carrafa,  la  quale  carrafa  et  ovo  fò  ponere 
dentro  una  ga^ia  di  ferro  sottilissimamente  lavorata,  et  la  dieta  gabia, 
la  quale  contineva  la  carrafa  et  lo  ovo,  fé  ligare,  o  appendere,  con 
alchune  lamine  de  ferro,  de  sotto  uno  travo  di  cerqua,  che  stava 
appoggiato  per  traverso  alle  mura  de  una  camarella,  facta  studio- 
samente per  questa  casone,  et  con  gi*an  diligeutia  et  solemnità,  la 
fò  guardare  in  ne  la  dieta  camarella,  in  loco  secreto  et  sicuro  de 
bone  porte,  et  chiavature  di  ferro.  Imperocché  da  quello  ovo,  da  lo 
quale  lo  castello  pigliò  il  nome,  pendevano  tutti  li  fati  del  Castello.  Li 
antiqui  nostri  tennero,  che  dalrovo  pendevano  li  fati  et  la  fortuna , 
del  Castello  Marino,  o  vero  lo  castello  dovia  durare  tanto,  quanto 
lo  ovo  se  conservava  cosi  guardato. 

Come  acquistò  la  scientia  Virgilio. 

Non  ò  da  maravigliare  se  lo  dicto  Virgilio  hebbe  tante  scientie  et 
tante  virtute  ;  imperochè  in  nello  tempo  de  la  sua  gioventù,  secondo 
che  se  lege  ad  una  chronica  antiqua,  intrò  ad  una  grotta,  che  sta 
dentro  Monte  Barbaro  cavata  di  sotto ,  una  con  un  suo  discipulo 
chiamato  Philomelo,  volendo  bavere  chiara  notitia  de  li  mìraculi  et 
de  quelle  cose  che  le  haviva  operate  uno,  nomine  Chironte,  philo- 
Bopho.  Et  là  trovare  la  sepultura  de  lo  dicto  Chironte,  et  li  levò  di 
Botto  la  testa  uno  libro,  in  ne  lo  quale  libro  se  fò  doctissimo  et  am- 
Diaistrato  in  ne  la  nigromantia,  et  in  ne  le  altre  scientie. 

Quello  che  sit-'cessf'  dopo  la  morte  de  Virgilio. 

Dicesi,  che  morto  lo  dicto  Virgilio  in  Briudesi,  et  essendo  lo 
e<)n>Q  de  quello  portato  in  Napoli,  con  gran  diligeutia,  la  sepoltura 
di»  tal  corpo  se  guardava  et  observava,  la  quale  come  ò  decto,  stava 
vicino  S.  Maria  de  Ped«?grotta  (jjer  la  quale  sepoltura  in  verità  lo 
Vìilgo  la  chiama  grotta  do  Virgilio);  o  vero  por  la  via  vecchia  de 
Puozoli,  lontano  da  Napoli  circri  duo  miglia.  Lo  che  intendendo  uno 
physioo  Inglese,  porsuadondoso ,  che  alcuna  virtù  fusse  in  lo  ossa, 
et  poluertt  dy  quello,  come  soi,'liono  ossero  vane  lo  opinioni  de  li 
h(»miui,  impetrò  dal  Ilo  Rogiori ,  possoro  aprire  dieta  sepoltura,  et 
distillai'»  io  ossa,  ot  bevoro  Ta-^jua  de  quello,  per  possero  bavere  lo 
iogoguo  et  supjro  de  Vii'gillo,  et  haveudo  presentato  tale  littere  a  la 


IL  IfAGO  VIRaUJO 


881 


inclita  cita  de  Napoli,  dubitando  quella,  come  sole  essere  la  opinione 
del  vulffo,  che  se  tale  opera  se  facesse,  non  havesse  successo  qual- 
che in£ue,  per  lo  primo  lo  negò;  tamen  volendo  obedire  alle  sacre 
littere  del  Re,  se  contentò ,  che  lo  dioto  phvsico  Inglese  ftusesse 
quello  li  piaceva,  non  però  dovesse  guastare  le  ossa,  o  vero  remo- 
vere da  la  dieta  sepoltura;  lo  che  fò  facto ,  et  dicono  che  lo  dicto 
phjrsico  havesse  trovato  uno  libretto  de  certi  secreti  mirabili  in  la 
dieta  sepoltura,  lo  quale  libretto  pervenne  poi,  secondo  veleno  al- 
cuni, in  le  mano  de  Joanne  Cardinale  de  Napoli,  et  che  da  quillo 
libretto  foreno  havuti  molti  secreti.  Dicono  ancora,  che  li  Napolitani 
pigliarono  quelle  ossa,  et  le  fecero  sepellire  in  lo  Castiello  novo,  a 
ialchò  non  fossero  levate.  Io  potria  del  dieto  Virgilio  dicere  multe 
altre  cose,  le  quali  ho  sentito  dicerese  de  tide  homo,  ma  perchò  in 
major  parte  mi  pareno  favolose,  et  ftiLie,  non  ho  voluto  al  tutto  im- 
plire  la  mente  de  li  homini  de  sogni ,  et  perchè  multe  cose  sono 
stata  diete  de  sopra  de  Virgilio,  a  le  quale  io  soriptore  de  quelle 
meno  che  li  altri  eredo,  prego  ciascuno  lectore  me  habbia  per  ezcu- 
sato,  perchè  non  ho  voluto  fraudare  la  fama  de  lo  ingeniosissimo 
Poeta,  o  vera  o  falsa,  et  la  benivolenza  la  quale  ipso  portava  a  questa 
inclita  cita  di  Napoli.  Ma  la  verità  de  tutte  le  cose  la  cognobbe, 
et  conosce  solo  Dio;  questo  bdn  dirò,  che  io  non  scrivo  cosa  falsa 
nò  fabolosa,  che  de  quella  lo  lectore  non  aia  &cto  accorto. 


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ElDb\  —  Libro 


igo  Virgilio,  per  Biirtoloiiieo  Caraeclolo 


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TITO  I.OCREZ10  CARO 


m\ì  ma  BEILE  COSE 


TITO  IDCmO  MJO 

D[LU  NJTIM  DELLE  COSE 

LIBRI    SEI 

TRADOTTI  DA  ALESSANDRO  MARCHETTI 


GLI  ARGOMEtrn  DEL  BLANCHET 

LA  SCIENZA  DI  LUCRKZIO  PER  CONSTANT  MARTHA 

E  LE  NOTIZIE 

INTORNO  ALL'AUTORE  ED  AL  TRADUTTORE 

2,*    Edizione   stereotipa 


EDOARDO  SONZOGNO,  EDITORE 

14.  Via  PEtBquirolo.  14. 


Cui   «ini  «li    i:i)M.\ir)«)  S<i\/.  .(;\M.   n   Mi'nnn. 


liuijo  ririvvii/irjiii'  dr-llit  slrtiii[m  .  ilit'f  il  Ilglii»  Frunwscit , 
III  111  vi  111  li!>i<i  clic  tuli  ti:  viilU'  si  (a^ijiinssf  ;  e  il  curiiiaosi  è 
■  'li<>  Cii'ili'iiili  i>  gl'Ili!  (iroluli    iTun  ijiii;!!!  cin-  pii'i  UosidiTU- 

CilliSUUll   Mill'lllll    ''111'    lui     ti'lldllil  1(1   Vl'l>:^ìl>ll^    pr.iclir-n    ili 

iili-iitii  |m-^i.,li  l.ini'i'yin,  .li--"  HsKiii  Ih'ii..:  SniiK  rr'-ii'im 
iir-ir  Jan  l'ur  U'iinur<-  lomr.Ur,  vii-  tir  ••otmrrrr  h:  iiioii- 
ri:fiirnl  lotiujiif  ,  In  iviiiir  k<  n-iv  il'tin  iiui-la  ii/iilus'i/i/ii'  •ini 
rumiiiin-  ìoiiiiuirx  i„.inr  •ifiii'l  il  i.r(„t.  <"<nt  ii/tf  inlulvUtt- 
urn-  il-uirni-  l.i  i,n,„i,' ,1.-  lA,a-rir,„  iuiii>,,shrillnriu'i<.uinÌK 
hi-mr»."l.\j-"--lllnl':  '■'■/wxlr  i'-i  0  v< xpi'l' r  fir.rnl  Un-t  l'I 
siiiU-.lin  /ii/,n:V«;  /,■  ftKli-  >Kt  un  iiiir.-iihli- >\iirrn-tf,  iiu'il  /'ItU 


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'-T-i»Ul  i).'l  I  l.ijiin  nvc  r  ii;;^Mist'i  «a 
,-i'Vj'ii'i  (-iiiiiirii-  111  {iiittia  i>  iu  Sicilia, 
M'  ssinu  riilt'-'i  i'i  Si:!i'-iisji.  r>''l  liiis- 
:,;;:^-.^:^J  ik.j  Lilnn  V.  VA  «lt?-nsi.  liri- 
1  pi.v.'it.  «'il  iiiwinìciciiwt  ilflia  lin- 
i<u  11  litillu-<-  iiiiili'!ìi>  nUtsoli'-Jin,  il  Miin-liiUti  elio 
Il  tli-lla  liti;:itii  (..^'iMiiH  Tiitii  nii'iio  t1i'ssil>il«4  >lfllii 
lii'i'H  ili  limili  i'|m' (ili  -ia  '■s|H'iiii('r(Mif,'iii  [liii  usIiiish 
j  Vi  1  ;=i  lKI-:>i;!  Sri  Iddìi  del  ftilicL?  istniiiiiinto  cli«  uvuvu 


Tni.liissi'    .'un 
t'ii  ■<^.:]ii   SII)   lil> 


trari" 


•l'iilii; 


i  Imre  clitì  ii(>  .'tiilu  di  cjiiif)  In  ir 


rum  e  ili  tnuno  il  bicchii'- 

i.-iiiiiipi  i"'';'i'"'«_''*  ''^i;';'- 

•  li  linpiiii  .■  smivitii  .l'iiniionii),   i>' cpi  !*'iii[ii'('  vivnrj  ilrllii 

TlSi-hhìi  .■  rii"  ^i  I  jv.. 1-iii.iii..  Rtio   in  un  HTriitiiiiii"0 ,   lu-l 

iL'iliiii;  e  il  Mii»ii!iilti,  .tii"lla  uiuii  iin'iili'.  m'Ilf  suo  fiin- 
Z..I1I-Ì1H-  .'  II..]  Shlr>,,  min  <•  chVì  viifrliit^simii  i'  di-IÌ7Ì..si.r 
A  .jii'sln  vi-isii.iii'si»,i,li.'<'li]..'n.  ni' eli"  le  I"di  chediii- 
s  '[i|ii'  Maiiii  0"ii;iiii  (ili  'l'ivti  i"'l  l.uf.mio.  (i  In  soiniiiii,  il 
Mn;i-lii'lti,  l'L'ti  wiiv'vii.  iiujTiefipii  il  puMiiiii  d-'lla  Satwa 
iMln  i-i.tu;  i;i.iiic  su  rusjHii  uiiui-é,'''iiii"iit.iu[ii<H'i>su,n.'('lnia'i- 
d.ilij  [li;!-  ut;iii  d.'vi^  di  tutt.i  W.  delizio  dullu  siile,  di  lutti  i 


■\«'' 


14  INTRODUZIONE 


vezzi  drtla  poesia,  final  monte  di  tu  Ite  le  lascivie  del  parlar 
toscano.»  Il  che  in  parte  è  vero  e  l'incanto  si  ravvalora  per 
le  reminiscenze  dei  nosl'i  poeti  elussici ,  che  a  q  lando  a 
quando,  come  quel  purpuieo  nastro  d(»ll' Ariosto,  partono 
la  tela  d'arp^nlo  delTindustre  testore. 

G.  B.  Clenif^nte  Nelli ,  l'erede  delh»  ire  di  Vincenzo  Vi- 
viani  conU^o  il  Marclietli  dice:  o  Non  molta  pompa  crederei 
doversi  fare  di  questa  benclié  per  altro  hella  tiaduzione, 
ed  in  ottimo  g.*nere  di  verso  sciolto  conilolta...  poiché  oltre 
r  esse:  e  stata  criticata  dal  Lazza!  ini  come  mal  tradotta, 
«  stata  censurata  dalla  Sacia  Congregazione  e  reputata 
opera  perniziosa  al  Cristianesimo  per  it»  male  conseguenza 
ed  eflelti  da  essa  prodotti.... 

L'Emin.  Canl^lnio,  arcivescovo  <li  Napoli,  per  essersi  sco- 
perto nella  predetta  città  che  (ìio.  Andrea  de  Magistris  e 
Carlo  Hosito  speziale  di  medicina  insegnavano  Tatf^ismo, 
pi'ima  della  pubblica  o  solenne  abima  degli  erroii  da  co- 
storo piofessati,  fece  nella  sua  Chiesa  cattedrale  il  di  15 
Febbraio  KV.W  un  sermone,  in  cui  t'a  le  altre  cose  disse  : 
....  o:a  si  rendono  palesi  auellcmani  sacrileghe,  le  quali 
con  irritare  V  indignazione  Jivina  hanno  posto  ftioco  alle 
mine  de' terremoti  scoppiati  pochi  giorni  sono  con  tanto  spa- 
vento ed  hanno  più  reccnlnmenlepMivocato  il  llagello  della 
peste  estinto  miiacolosamente  per  ess<»r  prevaluto  il  me- 
rito de'  buoni  alla  mali/ia  de'  cattivi...  Seguitò  inculcando 
la  necessitH  indispensabile  di  fuggire  come  mnstii  veleiu^i  i 
libri  infetti  d'eresia,  e  dell' infaìiie  ateismr>  e  specialmente 
l'empio  Lucrezio  traslatato  per  arte  rìel  Dcrnonio  in  metro 
iialiauo  pur  tvoppo  applffiuìito .... 

Il  di  \i\  nove  nhre  171^*,  segue  il  Nelli,  fu  fatto  dalla  Con- 
g  egaziom^  dell'Indice  in  Hoiiia  il  decreto  di  pioibizione  del 
Lucrezio  tradotto  dal  Marchetti  o  manoscritto  o  stampato, 
che  egli  si  fos*^.»,  a  motivo  che  alcuni  IVatelli  del  casato  dei 
Legni,  essendo  stati  processati  dal  tribunale  dell'Inquisi- 
zione confessarono  di  essere  divenuti  atei  per  aver  soltanto 
Ietto  il  Lucrezio  dal  signor  Alessandio  Marchetti  tradotto. 

Gli  proibirono  anche  la  versione  di  Anacreonte. 

Critiche  e  raffronti. 

Mentre  alcuni  volevano  bandire  dal  regno  delle  lettere 
la  versione  di  Lucreado  come  empia  e  pervertitrice,  Dome- 
nico Lazzarini  di  Morrò,  secondo  accennali  Nelli,  lettone  un 
3uattrocento  versi  e  non  più,  con  dodici  osservazioni  tentò 
i  annullarne  il  pregio  e  pi*oscriverla  come  inesatta,  e  di- 
mostrante poca  conoscenza  del  sistema  di  Epicuro,  scusan- 


ilo  p<ù  ipDcritampntf  l'auturt^  die  l'avfifisi'  ftitla  mentre  era 
Uf^saì  Rilavano,  Ile  rnnluiv  voluto  poi  rivederla  per  non  pen- 
der pcrfclltì  uiMJpiru  si  ppniÌ7;iosa. LVriiditomarcliPgiuao, 
iliinostralu  soitiliuciitei  difetti  He'  hm^lii  muai  ail  rsaiiiinai'e 
li  riffco  cfrli  in  vi'fsì  o  ijiii  fili  cadile  Itiff^j;  perclié  poco 
mìgli'ir  saffifioili  sèa\rp|ilie  dato  rAlfiaiolli,  se,  dopo  lesu« 
critiche  del  Caro,  avesse  prvso  a  rifarlo.  E  si  eh  era  uno 
dei  pift  ftiiri(iPÌ  versiseioltHÌ  del  suo  lonipo.  Ora  ai  senta 
l'onip  il  Laz^urini  rifece  il  Sacrificio  di  Auliilv: 

Ci.iii!  ^n;i  UH  tempo  in  AiilMn  (;li  Altari 

Ihillu  v«r;;LiiM  Dt-a  loiitar  cui  raiigu« 

D'itl.iiinssa  liruttainnuto  i  Rapi 

IhUriCsL-ivtto  Dunao  e  gli  erui  primi. 
.  1,A  Qunl,  inunli-e  din  a  lei  Vinfiiia  intorno 

Adi  ornanicuti  vi-r^'iimU  avvolta 

Ci>u  tu  binila  ugualmentn  ricoperse 

K  r  iiMH  gota  e  l'altra  e  vMa  fi  pad™ 

siaraeiiu  e  <lritlo  r.  mesto  iiiiian/.i  l'Ara; 

V.  a  lui  vicino  fax  minttri  o  potn|>a 

D'un  i-nltuilo  i  miiiiKlrì  ;  «  viilv  infliis 

i  cittadini  suoi  guatarla  «  pianger-): 

ella  ili  itiligion  pinna  e  di  tema 

Nuppuri!  Oliando  di  parlar,  cliiuava 

l>irotami?iite  le  Klnoccliia  in  turra. 

Nd  uir  iufulicu  in  qui^l  malvagio  tempo 

Pot«o  punto  r;iovar  cliViisa  la  pi'ima 

Al  l*<^  Ili  pailru  il  noin<^  avt;x»<9  dato. 

K'n-hd  da  nuefdi  ei-oi  tolta  'li  tirrra 

Fu  vuuilotta  all'aitar  trumaa'lo  tutta  : 

Xon  pi.-rcliA  t'innìoata  la  MolenDu 

E  ponipa  e  riti,  elln  potusHt  poi 

KiiHiir  KtiiluitUi  rial  SUO  chiaro  siiofo: 

Ma  purché  al  tempo  ntes^o  itcllu  nozze 

HromeKHi;,  col  dolor  d'esser  dal  mio 

I*adr«  scannala,  ella  a  cailur  veniNce 

D'iiu  saeriflG'o  impuro  ostia  innoccnta. 


Non  purctiè  liirininnto  il  sacriR'rio 
Fopsit  l'-2ata  col  soave  nodo 
D"un  illustri!  Iineiu-o  ; 

il  Laxzariiii  la  V urf^uto  e  dice:  «Le  prometto  io  che  dopo 
che  fosse  slata  vamllcala,  sarebbe  stata  la  bella  sposa.  Ma 
Lucrezio  di  queste  non  ne  dice.  Egli  dice  nnnptrcnè  termi- 
nato,  non  il  sacrijìrio,  nia  more  sacrorum  il  rito,  e  quelle 
pei'imonte  che  si   fanno  avanti  ì  samticj,   dopo  le  quali 


ir, 


iNTn«>r»r/ioNn 


ln)hn'H  ì»r*n  (»ssiM*t»  farilnipnlc  sposa.  Ma  •ì«ij»''>  che  ft.»ss:»* 
stcìta  scanTfalrt,  imn  Pimlf)  <»|io  scn/a  Jiniou'tà  g='aikl«* 
avrol)b(»  ])otiil<»  rsj^'.'i'c  :  »  »Mvilln  lirlN.)  o  hiiono,  porcile 
il  tiailnlloro,  a>lia"inl'.»si  tialla  «nia'ilà  o  ilal  line  «Ir^^ii  aj»- 
jmì(.H-clii,  non  lia  l'aninn)  ciir  nlia  ^Movan*.»,  la  quah*  f,'ià  si 
tigni HVH  ili  rssi'P  ontlotta  airnltai**'  p<*r  altro  e  lìnita  la 
n'r  ini' tuia  iniziaN»  cssr"'  s|»(»f:a  ad  Acliill»'.  • 

Paolo  I{<»ili  l'In»  l'i!  iljviiiH)  imIìIoi*«mI('1  poema  «li  Luci  e/in 
liailollo  dal  Ma'(?lii'lti  tL<»n(lra,  1717),  lo  molt  *  t'MZo  Ij-a 
VKtiiiiìc  ilr*l  (^aro  e  \o  Mcifimurfosi  iTi irìiiin  cii'ir  \n^ni!lar-a. 
Krf^rdi*  (lairnn  lato  ronK*  il  Han^tli  ilaii'allro,  ({nandù  iis- 
s(»V''i*a  ,  eli' «  irli  era  non  so]nnn'nl«'  nnlPall'alto  porta,  ma 
v(MS' !2r^'"iator<'  molto  niedioc;  e,  prr<'li(*  n^'ii  c'è  pairina  nella 
sua  tradn/i  Mif*  «di''  non  ronh'n^M  al-pianfi  vei*i<f  nudlc»  llns..M 
«•  Zoppi.  Il  TiJ*al•^.^^rdli  la  •li'dnar"<d«'irHnlJis^inja  e  della  rri- 
tira  del  Laz-zarini  diee,  eia»,  da  "fnalnìKMn*.  rairioia*.  ella  iiu>- 
Vf  s<i',  non  Ila  avjilo  olTrttoe  nulla  lia  Si/eniato  la  stima  di 
eni  «imlla  ha  ^?"ln])r^'  goduto.  Invano,  ri]>cte  nltove,  lui 
p;  \\i  s  >  di  condialliv'  o  il  eonuni  S"idini'  nlo  deMotti.  11  s/»niino 
l.eiiiniz  dovendo  lilerirc»  india  hua  Tcnfh'r.ra  un  pa«so  df»l 
S'Tondo  lihro  ove  si  fh  Sfi'ive  il  movineMito  spontainM)  attri- 
huiloagLi  atonn  da  Kpi"n"o,  si  vale  della  vei*sione  del  Mai^ 
t'Ietti  anzi  eia*  didì' «vicinale. 

I*r«*ntlerò  «lai  Maìtlia  un  tratto  snll'anìore,  elio  ni»  streiii 
niitrlio  elir  il  rit^eimento  d(d  Lazzarini  con  quale  lilaMlà 
il  Slarelietli  trattasr^e  Lucrezio. 

(!os  toui'iiieiits  tW  riiiiHun*  iisfiit  !•<  corps  «'t  l'ànn*  ; 

'Vii  vii-  est  ^usji.,Miili|..'  !iu  ;:i-st!!  d'un»'  Cuinììii', 

Toh   l»i«  Il   •lO'ilc,  riisia'M  «iivaliit  t;i  lu.esnii  , 

t).ai.s  rdiilili  d'.'s  il'-vnirs  s\jv;in(iuit  tnn  noni. 

Uni,  ptuii'  qirnii  liio.|,(juin  \-u\\  do  Sm-voiic, 

Rie  II  d''s  jiird"*  mi;ri»«iis,  cjM'ii  di*  l>"ai!X  ■loi^'^ts  l'.'iyouUiì 

l"U  irrand  i'ut»is  daiis  Por.  ijuc  le»  plus  lìiis  tissus' 

S*.jl»rrllVe'nt    cIl.inU"  .ioUl"  d-  s    MUMIIS   de    V'MUIS. 

Toh  liiiM»,  raiiti(|inj  iViiit  d'.*s  vortus  juttirMcllfs. 
Fl<»tr»'  IMI  HJiti-H,  IMI  rultaiis  sur  la  ti'lo  d<s   Ut',lli.'.s, 
Traili  •  siM'  Irs  jj/ivós  eii  roli-s,  imi  iiiaut'-aux 
'i'i.'iiits  «l's  nifdl'S  cnul-iii's  d*AliiiiIÌH  ft  «!<•   ('hins. 
l*uis  \i\  vili  coiiiu  ji  diit'*  :  aux  r'*st.iii.*«  fpn^  tu  donriiis. 
Il  laut  eii'-oi'  pai't*iniis.  tapis  luDilIfUX.  «'nuroine's. 
Vaili  filnrt  «In  plaisir  I  dii  fond  «l."  •••■«  doiici'iirs 
Mr»iii'«  un  dj'ijòut  anM['  (|iii  T'e*  au  si-in  ri  -s  ll..;urs. 
Suit  (pi'un  I"  -nmrds  S'MT««t  av«  rti>s«?  i^n\  àini* 
Uin*  tn  pfivls  t.  s  l>  'aìix  aiis  dans  un  rcpop  infrinit.*, 
S:'it  »|ii>'  jiar  ta  ni.'iUì*  >^:'  ini  ni"i  dit  aii  liasard 
Alt  j'I.Mit»'  ilaas  tn»i  r(o\ii'  '.:!i  soupreii.  vimvw*'.  nu  danl, 
Qui  s'v  lix -,  y  d 'Sf-'inl.  rf-us'.*  uii'.-  jila-i*  ar'l«*ut'.', 
Soit  ipic  toM  {.v.\\  j.'dcux.  l'piaiit  sur  fanLiiitt.' 
<J'ii  l'pi  '  r  L.'ard  hirtil".  surpi'i-niif  avi-f  i-UVoi 
l.l   li".i<'.-  d'Uii    ^'.lUns   qui    Uo  l'ul   pas   fujlir  toi. 


INTRODUZIONE 


Lucrezio  e  Memmlo. 

Alfredo  Tpnnyson,  lo  sfiiiiftUo  noflla .  ideò  p  scriean  un 
monologo  di  Lutii'mii  intiiiii/i  ai  miìcidio.  Kglì  acct'lU)  la 
tradizione  che  desse  in  accessi  di  duini>n7a  per  un  fillro 
pòrtigli  da  una  donna  die  si  ciedi^va  meno  amtita,  non 

imdaiido  egli  alle  cni-ezzf.  di  k'i. 

Fnr-IiÌ8  iLiin'l 

Ha I r  liu rifili  ili  Bomu  WiuKhtior  argini ant, 

Ol  furila v-Ijot'ii'J  pi'i-iiai)!i  lirjdH  tlia  risa 

Awl  lim'tt  niTl  or  tlifi  Uox:..ii.tlur-lid  pant 

'j'o  tui'ii  ;liii1  ti.iadur  tlio.iu  tliruti  liiiii<)i'u<l  koi-oUs 

l.uft  by  Illa  Ì^nr.h.,r  wlLoni  ho  liiil.l  «IÌvìub. 

Quppfn  tr8dij;ione  non  si  Tonda  che  sopra  )'  autniitii  di 
San  GPiolaTno,  jl  i]uole  scrisse  pii'i  di  tifi  sechili  dopo  Ln- 
cieKio.  Ornali  e. a  di'lla  g-ttn  famigiiu  Lucrezia  e  cavalier 
romano.  Nu'.'qnr'  rmiDo  iió  avanti  Ciisto.  I-j  ptnlial>ilc  chi! 
viaitussi'  ta  iJincin  e  udisse  Zenone,  i-iie  in  (\\\p\  torno  epa 
capo  della  wlla  epìrniea.  Tigli  e  Cesare  sono  i  due  soli 
prandi  se.  tttoi  i  elio  Roma  aliliiti  prodotli.  La  sua  vita  co<  se 
tra  i  pnni-iiij  di  Siila  e  la  imute  di  Clndio.  Hectmdo  la  tradi- 
zione, etili  si  xHielilio  uceiso  di  44  anni,  moicnclo  lo  stesso 
giorno  in  cui  Viipìlio  pi  esc  la  toga  vii  ile, 

C,  Mennnio  fieniello,  al  fjiiale  n  iiititoltito  il  poema,  era 
d'illuftiR  ftinii^flia,  tiglio  e  nipote  ili  ciliari  oratori.  EhUo 
presto  onoii  ed  uficj.  .Nondnalo  al  governo  della  Bitinìa. 
condufisft  seco  ("iiizio  Nicia  e  il  poeta  Catullo,  l'ornato  elio 
fii ,  tocw  un'ac<nsa  da  Cesare,  dalla  (piale  si  dilV-ae  ci>n 
vjolenm.  Nel  diPendetsi  trasejjise  a  lafiaeciaigii  i  (•noi  dif- 
famali ei'Stunii-  Dicitore  facondo  ;  se  non  che,  a  detta  di  Cice- 
jono,  fuggiva  la  fiitica  non  Stjlo  di  parlare,  ma  ancoi-a  di 
pensale.  Aecuso  parecchi;  tra  gli  aiti  i,  L,  Lucullo,  vincitele 
di  Mitridate,  volendo  impcdiigli  il  tiionfo.  Di  che,  avendo 


I  •  ■  "*«V»*W' 


(i  iNTRODUZIONfi 


egli  tìiato  alle  sue  voglie  la  moglie  del  fi  atollo  di  lui,  M. 
Lucullo.  Cicerone  disse  argutamente  che  si  era  levato  con- 
tro Agamennone  non  ehe  contro  Menelao.  Tento  sedurre,  ma 
invano,  anche  la  figlia  di  Cesare  moglie  di  Pompeo.  Dopo  la 
questura  e  pretura  aspirò  al  consolato,  garcggiaiulo  veemen- 
temente cona^tri  tre  pretendenti.  Fu  insieme  ad  essi  accusato 
di  broglio  e  condannato  all'esilio.  Tornò  in  Atene,  dove  da 
giovane  avea  studiato,  e  v'ebbe  lite  con  la  setta  di  Epicum 
per  esseisi  fatto  cedere  dall'Areopago  una  parte  dei  Giar- 
dini, ove  quella  aveva  sua  stanza.  La  famiglia  Memniia 
aveva  un  culto  particolare  per  Veneie,  e  il  Martha  crede 
che  anche  questo  riflesso  abbia  indotto  Lucrezio  alla  sua 
splendida  Invocazione. 

Dai  trecento  volumi  lasciati  dal  marstro,  ch'egli  reputava 
divino ,  secondo  dice  il  Tennyson ,  Lucrezio  trasse  la  dot- 
trina esposta  nel  suo  poema!  Il  Mnrtlia  la  ha  considerata 
assai  bene  rispetto  alla  religion»»,  alla  morale  ed  alla  scien- 
za. Egli  ha  dimostrato  che  l^picmio  e  il  suo  i»()eta  combat- 
tevano piuttosto  il  puganrsùno  che  lo  sr)iritualismo,  inten- 
«lendo  a  liberare  V  uomo  dai  terrori  delle  ftilse  religioni,  e 
a  svolgerlo  dai  riti  feroci  onde  i)retendevano  dejìi'ecar  l'ira 
od  impetrare  il  favore  delle  loro  deità.  Furono  in  questo  i 
precursori  dei  c(witi*oversisti  ci  istiani  ;  se  non  che ,  non 
avendo  altro  lume,  esautorando  gli  Dei,  abolirono  la  Prov- 
vi<lenza.  Ma  per  tutto  il  poema  spira  il  seiitimento  del  di- 
vino ,  che ,  ni'lla  pienezza  dei  tempi ,  dovea  poi  avverarsi 
nella  più  pure  credenze  ;  rest^ndt)  quasi  armi  imbelli  gli 
«'gtmienti  delKateismo,  che  di  secolo  in  secolo  alcune  selle 
di  iìlosofanti  riprendono  e  riforbiscono,  ma  inutilmente, 
contro  la  coscienza  del  genere  umano.  Rispetto  alla  mo- 
rale ,  il  Martha  fa  vedere  che  la  dotti  ina  «Iella  voluttà  si 
riduce  ad  un  auittismo ,  favorito  ni  tempi  di  Epicui'o  dallo 
scadimento  e  aal  s-Tvaggio  indeclinabile  drlla  Grecia,  e  ai 
tempi  ili  Lucrezio  fatto  «lesidei  abib»  dagli  (»riori  delle  giierre 
civili.  Della  sci'nza  parla  il  Martha  egregiamente  in  un 
capitolo  che  diamo  tradotte»  in  fondo  a  questo  volimie,  fa- 
cendo vedere  come  a  puerili  fallacie  si  mes(*olino  intuiti  di 
veli  sublimi  ac.c(»ttati  ai  di  nastri  '. 

Del  merito  i)oetico  di  Lucrezio,  toccato  in  una  frase  dubbia 
di  Cicerone,  passato  in  silenzio  da  Virgilif)  ed  Ciazio,  che 
tacili  lo  imitavano ,  celebrato  altameiite  da  Ovidio  e  da 
Stazio,  parla  il  suo  libro,  e  son  piene  le  storie  letterarie 
e  i  traltiifti  di  estetica.  Egli  ha  bellezze  si  sfulgoranti  e  si  uni- 
versalmente ammirate  che  non  occ<»rre  additarle.  Il  suo  atei- 
smo non  faceva  paura  nemmeno  al  buon  Cesari,  il  quale 

I  Ls  Poòmc  de  Lucrece  par  Constant  Marflia.  Paris,  1873. 


per  'jiifl  siiij  squisito  sGntimrnlo  del  bello  e  JcUa  imturuin 
sutitiiiiilfi,  aiimva  i  versi  dì  lui  forse  nun  lucoo  clic  quelli 

dell'AIigliÌRi-i. 

Alessandro   Marchetti. 

AWstàndPo  Marclielli  narque  nella  sua  \illa  dì  l'outtmiio 
il  di  17  iimr/.o  16^2  di  Angi^lu  e  di  Luisa  BonavenluEi.  fi- 
glia a  I''ilìnj>o  colcljre  profL'SBi>re  di  ragion  civile  iifll'U- 
.'ivereità  ili  Pise  e  assai  beufiiieritn,  per  le  sue  futiclie, 
('.dia  lin^'iia  tuscana.  Aveva  appena  di  «^elte  giorni  oltrepas- 
sato i  iiovr!  mesi  di  vita,  dio  perde  il  padre  e  rimase  c^on 
iIiiHtlro  ri-Htelli  suUo  la  tutela  della  madre,  In  ([uale,  rinipa- 
Iriando,  pntvvide  in  t'ii-en/.e  alla  lom  educ!a7i[)ne. 

Destinato  alla  mcrcatuin  ,  gib  vi  si  ntì  introdotto;  se- 
noncliii ,  u»  giorno  di  niium-o  applicazione,  cantando  egli 
solluvooe  il  lanir>nlo  tli  Aiinidh  e  dicendogli  rainpognauilo 
il  diri  lloi'O  ilei  uei^o/Jo:  "  Voij/i'jn  esser  calcnli,  non  pm'hì,  » 
eijli  lisposc  die  nella  tregua  delle  faccende  non  sapeva 
spender  meglio  il  lem|>o  che  n  niminare  gli  aurei  versi 
del  Tasso  divino  e  lasciiinilo  il  nego/.ii>.  .tu  posto  a  stu- 
diare riiislilula  Silfio  un  vidmile  ilolloi'é.  Ne  della  leggn 
si  apjwpo  pian  fallo,  come  'luetla  elio  non  gli  dava  cai  nix» 
di  pi'nsup  lì  PUÒ  modo  e  di  siiecolape  lilierainente.  Ne  al- 
lenili lo  studio  e  si  dolte  alla  lettura  dei  poeti  latini  e  to- 
scani'.  S(^  issi'  allora  akim  liei  sonetto,  o  cominciò  a  tra- 
durre riini'ide  in  oIIhvu  rima  —  parendogli,  come  smsse 
poi  al  Maglialiedjì;  die  ijuel  sovrano  poeta  da  ninno  fossa 
istillo  tradotto  nel  volgar  noslro  con  ijuella  dignità  di' e'  me- 
rittiva,  ma  non  n'id'i  pii^  in  Iti  del  ([uni'lo  liliro. 

Ottenulo  un  luopodi  scolaro  nello  studiodi  Pisa  dal  Prin- 
cipe Cardinal  Lcnjioldo,  udi  i  lìlosoli  pei i patetici  che  v'in- 
segnavano; nm  lei-at'isi  a  noia  quella  servile  (ìli  sofia,  si 
slìigi'i  coatto  in  un  '.apiln'o  liorn<'Si:o.  Si  st'ìnt^e  allora  d'a- 
inisltt  con  un  giovane  dei  Galilei  ',  eli  "era  altresì  in  Sti|iieii»t 
e  dando  insieme  opein  allo  uliiJio dei Clattsiei,  talv>>lla  per 
più  rict-cai-o  Io  spirito  npci  sei  o  al  puliMico  scena  inasijntla- 
tameiite  e  tolvolla  sulla  eeira  eli"  ciascuno  di  loro  sapeva 
inai."Mt!ev'ilm;'iil!'  tm^enrc,  all'improvviso  canlarono  veisi 
tali  che  ne  slupinjno  gli  aseollanti.  Oia  abbaltulosi  a  sen- 
tirli il  gran  inatemalieo  Gian  Alfonso  Boielli,  nniniiiando 
l'ìiicegno  del  noslni  Alessandro,  s'invaghì  d'inli-oduHo  allo 
studio   delle  inatiMiialielie  e  della  lll<isufia  espa  imentale  ; 

1  TO«  e  Poftle  di  àletsa.iai-o  3l/iivh.'tll,  per  0(ii.'ra  fi  iMira  di  Fraii.effo 
Nui-ilielU  KUO  IìkIIo.  Vhii>.'/Im,  tiU. 

n  C'Hìiiiiodi  Vino«ti/i>  nylio  naturale  di  GhIìLco  ualllvl.  11  Nelli  nega 
<|Ufsli  uilriiL'ulì  ilei  fixti  Iriseeitii. 


lina  an- 
.    .    flk«olta 

e  npl  l(ìiA>,  anno  del  suo  dotUiralo  in  fìlot^'^fla  r  iiiodicina. 
«bhe  una  Icttuia  di  Loffùn  in  iiiioll'Univcisilt».  Il  Boielli 
fatlosfilo  fronimcnsHlf,  16  dit!  piT  lipi'liloto  ni  piopri  s(n)lai-i, 
tia'  quali  Ola  Unvmo  Bnlliiii  '.  Kl.l.c  In  cattcdia  di  flk^- 
sofla  siraordinai  in  clic  rilcnim  por  anni  oli",  i-il  allora  npllp 
lifzi'ini,  ni-jlo  [lis]<ulc.  mi  circoli,  e  n<'i  (.-(illoriuì  pii)mns<>e 
/  lo  studio  dcllu  fìiiisi.itin  ppin  inicntalc,  e  il  Mali>if;lii  fr!i  scri- 
veva <li  noliipiiii  il  4  pcunuui  Ulfil;  n  Dal  siRiior  Bollili  ffiu 
ìntfE>i  cliiì  con  suo  onoi-i*  v  sommo  niiplaum  frninmoth'Vti 
cose  nuovp  nel  l*  pKcM',  «  !>peri)  clic  a  [loniì  n  poco  si  po- 
tranno n ddo ni cs tifare  qucfitn  Itcstip  pclvajrpic.  w  Partito  da 
Pisa  il  lìorcllì,  fu  il  nati  nncccasurc  nella  cattedra  di  male- 
tnaticlie  e  la  rìlMnie  u  lulla  sua  vita. 

Di  3Ì>  anni  ^piìsi'i  Anna  Luc.i-exia  dei  CnncelHe^  i  di  Pistoia. 
bella  e  «apRla,  eli«  visse  Ano  a  'Jl  hiiiiu.  Di  lei  i-lihe  undici . 
flRli,  selli!  macelli  e  i|UHltio  reniLiiinc.  Il  ninR/rioiP  Angelo 
riuscì  assai  mne  nelle  nialenin!iche  f  si  fece  eortopc^'i-e  con 
le  Crmcliigioni  slam[iatc  in  Fiìcm^o  nel  i(jS8  in  dife.»!  del 
padif,  beistìpliodei  {reomi  Iri  italiani,  con  rupera/JtV/rt^ro- 
jiorai'iru-  it  proiinrzinnnlità.  con  VEwlìiìe  rìf'irmntn,  con  la 
sua  Jnirndiisi'nit  a/In.  fJvsniK'jrafìa  e.  Kimtlra^  ecc. 

Dei  letterali  della  sua  eia  amò  assai  il  Mafrlinlicchi  e  jr!i 
fu  caro,  e  spnisasi  la  voce  della  »\w  luoite  sciiSBtì  veisì 
afTeltuosi  in  compianto.  Pianse  alti  osi  in  versi  In  nioite  dui 
Hedi  e  del  Ma^iiUUti.  due  del  pii^  prrarKii  ìnlclletli  che  la 
TiiSL-nua  av.'ss.;  proiU>t(ii  nella  sua  veccliijila,  veccliiaia  di 
Sara,  poci.  fi'crirnia,  ma  di  Pati  iui'ciii  delle  lelteie  e  dellH 
«sieii/e.  V.vn  andi'epli,  come  tulli  i  p'^nlili  siili  ìli  rii  Toscana, 
amico  airiLivialo  dciriTiphilleria.  Ne",  i  Newlon,  e  dello  A'oisi 
al  suo  puiliri'.  Nolevole  e  eome  ^'i■lll£.'ll■si  ci  Ij-amulaasern  il 
loKi  IlawkwiHid  <Iie  aiiuiva  tio]ipo  le  nosric  tene  e  le  no- 
stre ricclie/Ko  nel  Mill.nn,  che  aduni  la  iiosl.ia  lingua  o  poe- 
sìa, oin  tallii  coltissimi  ÌNVìati,  die  fnvo'i  uno  i  iiusliisludj. 
La  tradi/ioiie  vive  tino  al  ili  d'off^ji  :  e  la  lena  di  Toscano 
die  Bl' Inglesi  ni  cdilessero  siopia  tulle  laccolse  lo  spiiito  fl 
i  alcuni  ramosi    loi-o  scritloi'i. 

[■;ra  piunlo  all'anno  T»<  senya  die  jmr  pivivasse  in  parlo 
Ri' incomodi  dclPavan^atn  vecdiiez/a,  se  si  ei-(.^eUiii  cho 
poco  li  nijH)  inrian/i  aveva  eominciato  a  paliro  di  stillicidio 
u  slranfnnÌH,  efì'i  tto  di  pietra. 

«  linlrato  nell'anno  otianladne,  enmineió  n  provar  dad- 
dovcro  gl'incomodi  della  vecdiiez^n,  in  particolare  per  li» 

1  II  Krlli  nnn  cniieoib-  che  11  Hi'lllni  fns-:i-  •.-•>1iirii  il.'l  MHn'lK-Ut,  e  on- 
BttPii"  che  \vT  ironia  lu  cliiamHSitì  r*r  durtUrlmui  afilel**tmu»g»t  ci  ulli'i 
ptvtecpiitr  meut. 


Kra 


li>riiiPiiti>6o  dolore  cnRiiiiialopli  flalla  piolra.  clip  non  Io  la- 
sciava ìli-  ilonuir'',  ni!  pr.  ndi'ie  liiwisn,  sf  non  ]ji>evjfi»irn<i ; 
■  lai  'IUhI  doliirn,  dopd  lispersi  iiiit<i  <'nl  tnì;arw)k«0  lii:{iiunt 
<li  Stm  Nicoli!  (li  Buri,  vcaii-v»  di  Mila,  o  ciip  il  santu  (rii 
i;iU'iPPil' ssi'  Ih  pi'H/iu,  wtMio  a  hiii)ria  inpìotin  eiedcp  fi 
[nn'i ,  SI'  s|ii'rinl[ii('iilr  si  consiili-ni  la  devozione  dn  fpwì 
(ivHla  l'fy  ddtii  santo,  al  vivo  csprcswi  iti  vaiie'Cuniiiu- 
?ì7.ii>tii  da  Alcssaridrn  ooiiipi'Stc,  in  Imle  dM  niodcsimo ,  o 
che  la  pietra  lu-eiuli'^se  pusìlura  luic  da  non  più  impedii  f^U 
it  paf^s^aj-'sii '  'iflle  iiriiLe,  IVirelto  fu  die  dopo  raddilata  lui- 
/i'iiie,  limi  più  noi  cìikiiu!  niepì  die  di  pni  visse  la  pietra 
nessun  duliy  e  pli  <-nf.'iiiini.  i>  Col  tu  d'api  iplessia  mori  (.-oii  [ut  li 
i  Sacramefili  i'i  0  scltembic  ITli  d'unni  82,    mesi  ciiiiua  e 

Fu  Alessandro,  ermlinna  il  llfriio  Franoeseo,  dì  piup|a 
slatii'n,  liiaiieo  i-  rnsso  di  (.■ani  «pione .  di  capei  liióndo , 
d'oeelii  as^-^ui  eil's-iJÌ,  ma  vivati  e  si  perfetti  rìifi  mai  non 
riroisc  npli  nceliiali.  FÀAitì  ])i'0|iorzioiiatissinie  tutte  le  palli 
lii'l  (inrpii,  ili  volldallipro  e  (rii.viale,  dolue  e  diiara  la  voce 
e  di  «impìfssintif*  Kff'.ile  an^i  elia  mi. 

Parrh  lurse  elTctlo  di  delK-ilcz/a  seniln  o  dell' infenniti»  il 
ricrirso  di  1  Mareli*  Iti  al  limicue  di  San  Xìecolù  di  Rari:  ma 
ó  un  Tallo  die  aceaii'/zandu  del  contìnuo  la  sua  veiaione 
ili  I-UL'ii.;/io,  dava  |ioi  In  aciissi  di  devoriune  e  flirta  non 
tìnta.  —  Valpa  di  piiiva  il  seguente  sonetti!  all'KccellenKa 
de!  Sip.  Dertmixl'  >  Trevisani  per  la  sua  opera  dell '/minor  to//w 
de/rimami. 

Taccia  P:p:'^'.i-o:  iiidii  «li  umani  petti 

Viv„  KMlitfi  c-'k-ste.  aura  vit:dd 

II.-' foia  mi  Olila  e  t',-iiii:l-ai-i  (lotti, 

ULiiriii  tiEiilii  priivurlu  inlVirina  n  (raìc. 

I  'Luili  nìi'ui  si'ii'.-cij  ili  niortu  iiiri-tli, 

Itall'af'n  ili  iuh  linmin  eiiipU  «  Iji-utale, 
M..'ivu  ilot  tuo  vuinf  (•iuccinu  mr^kttl. 
Uio  fenili  Ik'i'iiHiil»,  i:  RiHinuai.-oliiutii  liaii  l'ald  — 
Tu,  nmi-uiio  il-^ll'Aili-iu  ouoi-u  lì  luiiiu. 
IX'M'i'Vi'oNu  Lutt  inviitu  vrgrr  iiotuiti 
l»t  [l'i'i'u  ili  uiul  III  non  limi  Klanclm  iiiumc. 
Chiurli  ivi  le  iiiistr'ulitm  (■««ur  viiduBti 
Kl'/ni»'  e  iliv''  <i  in  iiobilw  votuni» 
Quanti!  a  tu  fu  jiuk'Si',  a  noi  ^ponesti  '. 

1  QuPBlo  fnri.'tto  ì)  nnclip  pii'i  psijlinto  cli'lla  Proletla  cL'el  premise  b11;i 

PROTESTA 
Tiio  I.iicTPiin  Cfiro  l'pr  sii«  UÌ.juvm'iiiiu-b  nacqui'  (iphUIc  p  fii  di  «nUa 
siiicurwi:  imt  Ih  yual  ros»  lii  noti  dovnil  punto  niaravifrtiaiti,  o  pio  u 
discreto  l4>(lorf>,  "reW  In  ulruiii>  KOfe  ta  coclrarlo  alla  religioni!,  lo  non- 
lìitiieno,  *corai-niln  in  (■«"■n  fra  le  Korbre  di  poctii  prroi'l  vivamenle  rl- 
eplpDdrre  luoltl  lumi  della  più  luldti  e  sensuta  fllosofla  e  delia  più  robusta 


>^MMa«^**aa 


-T       ««1  •    '~<f 


12  INTI^nbUZIUNK 


Sua  versione  di  Lucrezio. 

Liicre7i»>  (Ma  un  antorn  in  (hIìo  alla  Chirsa  ;  tanto  niù  ó 
Ha  tener  ronlo  di  un  Ic-tterato  ohe  in  Roma,  nell  a<x*a(lernia 
degli  Inrìwti,  ne  parlò  spassi»»natarnente.  Girolamo  Fra- 
ch(  tla  (la  Rovipro  nioilo  in  Napoli  nel  MV2S),  essenelo  provi- 
gionatodal  redi  Spagna,  scrisse,  e  stampò  n(»i  l.'»si,  non  eom- 
pito  il  21  anno,  un  liialogo  diM  Furore  jujrtf'f^o,  ov\  gli  enti  a  a 
ragi  )r»are  eon  tre  giovani,  tutti  allo,  a  slu<ionti  noli' Uni- 
vi»! sita  di  Padova.  Nel  loS'J  pubblio)  in  Venezia  prrsso 
i  (iii»lili  la  si>osizione  della  tanto  vessata  Cnnznnc  d* amore 
si  (iuido  Cavalcanti.  Nel  15S',)  pubblico  pui  e  in  V(Hi*^7.ia 
dppj'c  sso  PietiO  Paganini  la  sua  Brere  Sfjftsisìnne  dì  tutta 
a' «pei a  di  Lueiezio  distesa  in  S'4  lezioni  nella  nuale  si  di- 
ramina la  dottrina  di  Kpicuro,  e  si  mostra  in  cIh*  sia  c«»n- 
foime  col  veio  e  eon  gli  ins^'giiannrili  di  Ai  istotile  a 
in  elle  dilTerente ,  eon  alenili  discoisi  distasi  in  sette  le- 
zioni S'.»jMa  r  Invt)eazionr  di  detta  oprici.  E  intitolata  eon 
lettiera  in  data  di  Rovigo  1  Genaio  !>«}<,  al  cardinale  Sei- 
l)ione  Gonznga,  al  (piau»  <liee  ti  a  l'alti  e  cose:  «  Lucrezio 
cosi  grave  seiitlore,  non  dovi'va  a  paitito  ninno  limaneie 
senza  sposizione  ;  iinpeioccliA,  oltre  Tessere  osculo  e  cron- 
ten<  re  molte  cose  buone,  che  sono  stale  fiantese,  ne  con- 
tiene anco  molte  di  ree,  le  quali  fa  di  mr sliei o,  acciocché 
altri  non  vi  s'inganni,  in  iseambio  toglìcMidole  ,  rifiutare; 
et  è  ìin  iavvivatoi(»  della  dott»  ina,  di  già  per  p<'»co  dimen- 
ticata, del  giande  Epicuro,  a  cui  soncì  app(»ste  a  torto  niollrt 
luigi*^.  » 

Il  Marchetti  si  mise  a  tradurlo.  Voleva  dedicarlo  a  Cosi- 
mo III  ',  ma  non  fu  accettata  la  dedica  nò  gradita  la  pubbli- 
cazione;  ondo  la   versione  girò  buona  pezza  inedita,   ma 

1  Tra  1p  «uè  Poryic  dette  ei^oiche  v'è  il  sopuoiito  panetto  a  Cosimo  tarzo 
credei.du  (dice  il  liiulo)  di  dodicurgli  la  tradu/.ioiie  di  Lucrezio. 

It*»n<*.  o  versi  mlpi  ;  dt^l  re  toso:  !»> 

Inchinbtt*  il  divino  alto  iiildletlo  : 

li**,  e  ^'jpipj'alt»  a  lui  d«^l  >rrMii  roniHiio 

1  carmi  «'coi'lsi  ii»  uinil  stile  e  sclii«»Un. 

Dire  quai  iV  elo<ineiizu  il  siif;uto  p»'tu» 
Fpai^ra  torremi  olire  o^rni  ii)gi';jriio  umano. 

Mentre  assofriia,  per  cause,  <»ad'  ojrni  effetto 

renda  in  rinest' ampio  spazio,  il  pieno  e  'l  vano; 
Onde  il  mare  e  la  terra  e  '1  del  tonante. 

L'auree  stelle  vatjranti  e  j»li  \ì,<\y\  immf)ti, 

iìli  augelli,  i  pesci,  gli  animai,  le  piante. 
Ite.  scevri  dal  volf;o,  a  lui  sol  noti  ; 

A  lui  pien  di  virtù  si  varie  e  tante 

Voi  stessi  offrite  e  1  miei  pensier  divoti. 


Qui  veramente  il  Marchetti  traducendo: 

0  perchè  troppo  ha  cupidi  e  Taennti 

Oli  occhi  e  troppo  gli  volge  al  elio  l-ìvale 
E  eoa  lui  troppo  parla  e  troppo  ride, 

ha  guastato  le  finezza  di  miol  in  rultuque  cidet  r-estìgUi  rimt, 
mnts ,  dice  benissimo  il  Martha ,  yiti  peignent  acne  une  si 
Aeureuse  kardiesse  la  jalounie  doni  la  perspicacité  déme/e 
nur  un  risoije  im/ias«iOle  non  pas  Keulement  un  sourire,  mais 
les  traces  d^un  sourire  infidèle. 

Ora  senliamo  comò  il  Molière,  lo  scolare  del  Gasaenili, 
che  s'era  provato  alla  versione  di  Lucrezio,  ne  trasportasstì 
un  tratto  nel  suo  Misantropo  '  ; 

L'amour  pour  l'ordinaire  ett  peu  fait  &  cea  loia. 

Et  l'oa  voit  les  amatits  vantor  toujours  lunr  choix, 

Jsmaia  leur  passioit  n'y  voit  riun  aa  bUmable 

Et,  daua  l'ohjut  siine,  tout  luui'  deriuni  aimable; 

IIs  compCtint  ìf.a  dérautn  ponr  dan  pcrfectionB 

Et  Bavant  y  donnur  do  favorablea  uoms. 

La  pUe  aàt  au  Jaaiuiii  ea  blaDcheur  comparable; 

La  noire  à  fuiru  p«ur  una  brune  adorable; 

La  maigra  a  do  la  biillu  et  do  la  libiTté; 

La  gi'aasu,  Hxt.  dans  noti  port,  pteine  de  inflette 

La  malpropri)  xui'  soi.  de  pcu  <i'attraits  chai-góo, 

Eft  mise  sous  li)  nom  du  baauté  Dé^'llgàti  ; 

La  géautu  paratt  uQu  ilée^so  uux  vuut: 

La  uiLJni;  un  abrù^ji!  dus  murvoillos  <tus  ciauz. 

L'orgUdiUtiuse  a  1»  uoour  dignu  d'una  couroane; 

La  foiirhH  a  de  l'asprit;  la  sotta  est  tonte  bonne; 

Lii  trap  graudu  pai'Lcuao  est  d'agnjiibld  humeur; 

Et  la  muettrj  saMa  una  hoaaèle  pud.iur. 

C'nst  aiii^L  qu'un  urna»!  dont  Tarilfur  est  eiti-fima 

Alme  jusqu'aux  d^rauts  di;»  puraouD^s  qu'il  aima. 

Suoi  lavori  geometrici 
e  guerra  con  Vincenzo  Viviani. 

Nella  vi(«  scritlanft  dal  suo  fifflin  Franresco  e  nel  Safigifi 
ilf.ì  N'olii  '  si  poffsori  vedere  i  lavori  eeoraptrici  del  Mai'clièltì 
e  le  controvefsif  che  no  nacr|uero.  11  suo  libro  De  resintentia 
notidorum  pareva  al  Nelli  da  principio  un  buon  iihio,  ma 
diceva  esser  erba  del  Boielji.  Poi,  ricreduto  per  ^ìi  errori 
trovativi  dal  V.  Guido  Grandi,  lo  ridono  al  Marchetti.  Il  libro 

1  7,rt  Mtsa.iihmpe.  arte  n.  ^-c.  0.  Confrouin  il  anrclipm.  17.  in.l3-l«8(. 
litttre  da  (iluvH milanista  Clemente  Nelit.  —  lu  Lucca.  17». 


J8  INTRODUZIONE 


in  cui  il  Marchetti  volle  risolvei'e  alcuni  proLIcrni  proposti 
da  un  niatLinatico  oltramontano  parve  altresì  erroneo. 

Mich(,lanpr.'lo  Hicci,  secolare  del  Torricelli,  scjivea  a  Vin- 
cenzo Viviaiii  da  Frascati,  11  i^niigno  1075:  «  aver  consigliato 
al  Martin  tti,  che  gli  avea  mandato  quel  suo  libricciut>lo,  di 
sopprimerlo  a  non  dar  mateiia  di  rideisi  di  noi  italiani 
a  molti  virtuosi  oltramontani  emuli  i  ostri.  » 

Il  Viviani  scriveva  al  Marchetti:  «  Io  non  ho  voluto  pubbli- 
cai e  l'esamina  del  suo  iihi  etto,  intorno  al  (juale  avevo  che  diie 
pure  assai  dal  princìpio  sino  alTullimo,  si  per  non  metteie 
alla  bia*lina  la  rejjutazione  di  V.  S.,  Ja  (juale  io  amo  forse 
più  di  quello  che  ella  ìum  si  crc-de,  come  ancr>ra  per  non 
avvilire  (|uella  di  nui  altri  Toscani  perchè  jx)'  poi  final- 
mente il  Castello  tli  Pontormo  u  j)uro  in  Ttìscana,  quanto 
vi  si^i  la  nobilissima  Firenze  sua  metropoli  e  patria  mia... 
Ella  non  contenta  di  i>rof(-ssare  la  filosofìa,  facoltà,  che 
non  ha  mai  chi  gli  j  iv  da  d  conto  per  la  minuta,  pnsu- 
mend(^si  molto  più  del  dovere  in  Gf-ometria ,  si  è  lasciata 
portare  dal  desidoi  io  e  dalla  soveichia  ambizione  di  giu- 
gnere  a  cpialdie  iialio  prima  degli  alti  i  ;  cona^  ha  creduto  e  ha 
goduto  in  sé  strsso,  instigatone  anche  da  chi  non  è  né  amico 
su«)  n»  d'uomo  ch(»  viva  (intemb^  del  Borclli)  di  avere  usalo 
ogni  sforzo  di  far  comj-arire  d'impiovviso  alle  viste  altrui 
la  battaglia,  la  viltoiia  <»  il  tiionfo  di  un'  impresa  sti- 
mata da  hi  piì  ardua  e  più  gloriosa  di  quella  di  M.  Mai- 
cello,  quando  espugnò  Siiarusa.  Ma,  signor  dottor  mio  da 
bene,  la  geometria  speculativa  non  ò  già  quella 

Trattabile'  e  Ikìiììith.i  di  sciolina 

Clio  va  ]n:v  tutto  i  vorsi  o  so;:ih^  franca 

Dov*aiiclie  V  i^iiorau/.a  la  declina, 

e  la  quale  voi  chiamale  filosofìa.  »  Finisce  col  dirgli  che  s'era 
fótlo  scorgere  e  da  diritto  e  da  rovescio  e  con  altre  pungei- 
lis*iiiie  hi  ffe. 

Il  Marchetti  all' incontro  scriveva  al  Magliabechi  del  //- 
rido  (jeonìtira  e  toccando  de' suoi  fn'tii/ianu  nti  {o  dill'aver 
fatto  sigillare  le  sue  Solvzìani  dei  Problemi  detti  dal  Cai- 
dinab^  Leopoldo  de 'M(»diei)  e  d(»lle  sue  cabale...  aggiungi  va: 

«Che  il  Padre  Fubbii  lo  chiami  Aptjlloiiiu  .  edivivo  e  del 
veiameìite  dottissimo  Hom^IIì  mio  marslm  parli,  come  ella 
dice,  come  se  av(  ìrs»*  a  })a?lar  d'un  gualtero,  non  me  uh 
maraviglio,  pei chf>  cot'hitui  non  fa  altro  che  sfacciatissi ma- 
ini nti-  ailuia  e  i  Gesuiti  e  jui:  ticolavmente  il  medesimo  Padu* 
Fabbri;  (d  il  Boi-elli  che  airincontio  non  è  adulatore,  ma 
filosofo,  gii  rivede  di  modo  il  pelo,  che  aj^p:  esso  tutti  gì' in- 
tendenti lo  fa  conoscere  pei- quel  che  ^g  i  e.  Ma  se  il  padre 
Fabbr  i  pu:  la  del  sig.  Borelli,  come  d'un  gualtero,  non  cosi 


INTRODUZIONE  '  19 

ne  parlano  inflniti  altri  lelterati,  chf  studiano  senza  livore 
o  piiì<&iniii>  atcuTiti  le  sue  (lollissimi^  ed  imiiio.  tali  op.-ifl, 
N''  L-osi  ne  palla  noma, clii!  poi-  ipiiinto  a  iin' uslatuscj-itlo 
da  piisnua  dcfrua  di  fidi'.,  cun  sim  fjrando  jatupore  lo  va  a 
seniìiv  ofitii  volt»  din  rffli  dissoci  •'  iif'U'Atcadeinia  della 
Hef^iiia  (Ci-islina  di  Svi'zia).  Mi  nmiavifriio  bone  ÌJillnitaniente 
c-iitic-odi'stoffPOHictiasiasipioclivn  in  li)dat'i>  i  Gesuiti,  f  pai - 
ticol ai  menti;  il  Padru  b'alitir  i,  mentre  esKi'udo,  come  egli  dive, 
il  Beniamino  del  (iatili'u,  cio.Wultinioe  dilettissimo  suo  sco- 
lare, dovi  e  iil>«  oitiarli  più  della  p^  ste,  come  quelli,  che  anno 
tslati  e.  Tarlando  d  ■neralnieiite.  sono  tuttavia  aspi  issimi  ed  ii'- 
■■i>concilialiìli  nemici  del  suo  maeslio.  Ma  in  che  scienza  é  egli 
mai  statoli  Galileo  niaesti'odic<>t«>sliiìf  b'oi-se  in  logica?  no; 
pei-ché  per  la  medesima  sua  confessione  ebl)e  in  questa  per 
maestio  un  fi'at",  Fo;se  in  fitiometria ìf  Nemmeno;  pemié, 
per  quanto  igli  si  vanta,  giie  ne  insegnò  non  so  che  poca 
un  altio  fate,  e  net  risto  igli  l'ha  studiata  tutta  da  su,  ed 
usoita  di  pili  anco  gli  ultii  u  fai  e  11  medesimo,  iK'nchè  pet* 
Dio,  so  i  giovimi  pigliarselo  il  suo  consiglio,  mi  creda  puie 
che  ae  pochi  geouùtii  sono  al  iinindo,  oe  ne  saieblefo 
molto  manco.  Foi  se  in  fisica,  in  metafisica,  in  ottica,  in  mec- 
canica, in  astronomia,  o  in  a!U-a  nobile  pi ofissione T  Ma 
tjuando  Iia  e  gii  in  alcuna  di  queste  dato  mai  saggio  al  mondo 
di  saper  nuilaT  Iti  sta  dunque  chei  non  fosse  in  nessun 
modo  scolai  e  de!  Galileo,  ma  al  piiì  al  piiì  lo  servisse  per 
gaida,  quand'era  cieco,  u  pei'  scriverli  qualche  lettela  o  per 
andate  a  (bili  qualche  imbasciata,  x 

Il  Nelli  avift  iHgionc  sul  punto  dell'imperizia  del  Mar- 
clietli  in  pLiHiirliia,  avendo  si  buoni  mallevadori  come  il 
Ricci  ed  il  Vìviani  ;  niu  hu  loitu  nel  premer  tanto  salta 
condanna  del  vo1f;ariz7amento  del  Luci  ozio,  e  nel  lodara 
la  somma  saviezza  del  Vivìani,  a  tnv  la  cotte  ai  Gesuiti, 
nemici  del  Galiho,  e  d'ogni  ptognssi)  delle  scienz.e,  quando 
ne  portan  peiicoh)  le  loro  dottine.  Il  Maichctti  mosti  a  es- 
sere stato  uno  spii  ito  libero,  e  miglior  seguace  dell'indii  izzo 
fundamcrtiile  della  filosofia  del  Galileo  che  il  Viviaiii,  il 
quale  coltivava  soltimto  la  purte  scientifica  pura,  e  si  pe- 
li ta  va  di  toccar  qui-lla  che  diremo  scienliflco-morale,  cli'é 
po' poi  finalmente  la  più  ulta  e  importante,  come  ((quella 
che  ti^nde  a  liberare  da  ogni  ceppo  teologico  lo  spirito, 
aprendiigli  tutta  la  disti  sa  de'  cieli,  e  dand(;g!i  ali  da  scoi- 
rerti  sig.iorevoi mente.  Oia  il  vulga  izzamento  del  Lucrezio 
era  l'uitìma  corisi  guenza  della  libeitii  di  filosofare  piopu- 
giiatu  o  confi'SSiilu  col  suo  martirio  da)  Gulileo;  e  se  il 
MaicbetU  non  fu  un  geometra,  fu  per  ventura  buon  poeta; 


'*^>1. 


20 


INTRODUZIONE 


Di  questa  Edizione 

Abbiamo  seguito  in  questa  nostra  Tedizione  procurala  in 
Firenze  da  Giosuè  Carducci  (Barbèra,  1864)  ancora  multo 
giovane,  ma  già  maestro.  Egli  oltre  la  prima  edizione  di 
Londra,  riscontrò  l'altra  del  1779,  che  pregia  sopra  tutte. 
Né  abbiamo  tralasciate  le  Varianti  notate  da  lui ,  diflbn- 
dendo  cosi  gli  studj  di  un  critico  valentissimo ,  non  solo 
intendente»,  ma  creatore  di  ottime  poesie.  Abbiamo  aggiunto 
i  begli  argomenti  che  il  Blanchet  premise  alla  traduzione 
ft*ancesp  del  Lagrange  (Paris,  1861),  e  il  capitolo  della  Scienza 
di  Lucrezio  di  Constant  Martha.  Cosi  abbiam  provveduto 
alla  chiarezza  del  poema,  e  direm  con  le  parole  ai  Lucrezio 
al  lettore: 

Nò  cieca  notte  ornai  potrà  impedirti 
L' incominciata  vìa,  cne  ti  conduce 
Di  natura  a  mirar  gì*  intimi  arcani: 
SI  le  coso  alle  cose  accenderanno 
Lume  che  mostri  alla  tua  mente  il  vero. 


£«§eDlo  GaaeriRL 


LUCREZIO 


LIBRO    PRIMO 


Argomento. 

n  poets  comincia  dn  una  splendida  Invocaitone  a  Venera,'  Kguoao: 
I.  la  dedica  dpi  poemn  a  liemmlo,  2.  l'etipOHÌzlone  del  subbletto.  S.  l'elogio 
d'£fifcuro.  i.  in  conrulazinn''  delle  obbl^iioul  geoeniil  eli»  altri  potrebbe 
tare  contro  la  dotirliui  del  filosofo  greco  e  contro  l'ardlmeiito  del  pocu» 
IcUdo  cbe  si  aCt-insp  a  renderla  nella  sua  llnfnin.  Lucreilo  entra  poi  in 
malrria  e  pone  a  primo  principio  che  l'eiuieiw  non  piiò  iwcfr  dal  nuUa, 
He  tornare  al  nulla.  V'ha  dunque  eorputeoH  prl'iitltvi,  oudfi  constano 
tutti  i  corpi .  e  ne'  quali  questi  si  risolvono  ;  sebbene  Invii^ibiU.  è  forza 
arameLlere  che  esistano.  Ha  non  potrebbero  a^re,  muoversi  e  neppure  enl< 
stere  senza  il  vuoto.  L'universo  pertanto  resulta  da  queste  due  rose  :  la 
maferia  e  a  bkoM.  Tulio  quello  die  non  é  ni-  l'uno  n*  rHllr<.  n'è  jiro- 
prteUi  o  accldunte  e  non  gii  una  lena  classe  d'esseri  che  facciati  part«  da 
sé.  1  corpi  primi,  essendo  la  base  delle  opere  della  natura,  debbon  essere 
perfettamente  solidi,  indivisibili  ed  eterni.  Onde  ne  viene  che  a  torto  Bra- 
cino ah  al  corpi  per  principio  il  fuoco,  alili  fllo»on  l'acqua,  l'aria  o  la  terra, 
•d  Empedocle  l  quattro  elementi.  Né  per  Vomeomeria  di  inassapora  si 
spiega  meglio  la  formazione  degli  esseri.  It  gran  tutto,  indistrutllbile  nei 
3U*iÌ  principi,  é  Infinito  nella  sua  massa;  non  v'tiu  dunque  centro  a  cui 
tendano  i  corpi  gravi;  la  dourina  degli  AMtpotU  b  dunque  una  follia. 

Alma  figlia  di  Giove,  indila  madre 
Del  gran  germe  d'Enea,  Venere  bella, 
Degli  uomini  piacere  e  degli  dèi; 
Tu  che  sotto  i  girevoli  e  lucenti 
Segni  del  cielo  il  mar  profondo  e  tutla  & 

D'animai  d'ogni  specie  orni  la  terra, 
Che  per  sé  S'irà  un  vasto  orror  solingo: 
Te  dea  fuggono  i  venti:  al  primo  arrivo 
Tuo  Bvaniscon  le  nubi:  a  te  germoglia 
Erbe  e  fiori  odorosi  il  suolo  induatre:  It) 

Tu  rassereni  i  giorni  fbschi,  e  rendi 
Con  dolce  sguardo  il  mar  chiaro  e  tranquillo, 
B  Splender  fai  di  maggior  lume  il  cielo. 
Qualor  depoeto  il  freddo  ispido  manto 
L'anne  rinKiovaniscs ,  e  la  iwave  1'' 


Aura  feconda  di  Favonio  spira. 

Tosto  tra  fronde  e  f^ondr^  i  vaghi  augelli, 

Feriti  il  cor  da'luoi  pungenti  iWdi, 

Ointan  festosi  il  tuo  ritorno,  o  diva; 

Liei*'  scopron  alitando  i  grassi  paschi 

Le  fiere  e  gonfi  di  nuov'acjue  i  fiumi 

Varcano  a  nuoto  e  i  rapidi  torrenti  : 

Tal  (ia'teneri  luci  vezzi  lascivi 

DoleenienLe  allettalo  ogni  animale 

Desioso  ti  segue  ovuni|ue  il  guidi. 

Insomma  tu  per  mari  e  monti  a  fiumi, 

Pe'liosclii  omhrosi  e  per  gli  uperti  campi, 

Di  piacevole  amore  i  petti  accendi, 

E  così  fai  rhiì  si  consi'rvì'I  mondo. 

Or;  se  tu  sol  della  natura  il  fileno 

Reggi  a  tua  voglia,  O  senza  te  non  vede 

Del  di  la  luce  desiata  e  hella 

Né  lieta  o  amaliil  TasRi  alcuna  conti; 

Te,  dea,  te  bramo  per  compagna  all'opra, 

la  cui  di  scrivi-r  tcnlo  in  nuovi  carmi 

Di  natura  ì  si'grcti  e  le  cagioni 

M  gran  Memmo  Gemello  a  te  si  caro 

In  ogni  tompo  e  d'ogni  laude  ornalo. 

Tu  duiit|ue,  o  diva,  ogni  mio  detto  aspergi 

D'eterna  grafia;  e  fa' cessare  intanto 

E  per  mare  e  per  terra  il  fiero  Marte, 

Tu  die  sola  puoi  fiirlo.  Kgli  sovente 

D'amorosa  ferila  il  eor  tradito 

Umil  ai  posji  nel  divin  tuo  grembo. 

Or;  mentr'ei  pasce  il  desioso  sguardo 

iJi  tua  beltà  ch'ogni  bellade  avanza, 

E  che  l'anima  sua  da  te  sol  pende; 

Deh  porgi  a  lui,  vezzosa  dea,  deli  poigi 

A  lui  soavi  preghi,  e  fa' eh'  ei  ronda 

Al  popol  suo  la  desiala  paci'. 

Che,  so  la  patria  nostra  è  da  nemiche 

Armi  agitata,  io  pìi'i  seguir  non  posso 

Con  animo  quieto  il  preso  stile, 

Né  può  di  Memmo  il  generoso  figlio 

Negar  sé  stesso  alla  coinun  salute.    \ 

Tu,  gran  prole  di  Memmo,  ora  mi  porgi 
Grate  ed  attente  orecchie,  e  ti  prepara. 


UBRO  PRIMO. 

Lungi  de  te  cacciando  ogni  altra  cura, 
Alle  vere  ragioni,  e  non  volere 
I  mìei  doni  sprezzar  pria  che  gì' intenda- 
lo narrerotti  in  che  maniera  il  cielo 
Con  moto  alterno  ognor  si  volga  e  giri; 
Degli  dèi  la  natura,  e  delle  cose 
Gli  alti  principii;  e  come  nasca  il  tutto, 
Come  poi  si  nutrichi,  e  come  cresca, 
I!d  in  cho  tiimlinonte  eì  ai  risolva. 
E  ciò  da  noi  nell"  avvenir  dìrassi 
Primo  corpo  o  materia  o  primo  seme 
O  corpo  gpnitalfl,  essendo  quello 
Omln  prima  si  forma  ogni  allro  corpo. 
Che  d'uopo  6  pur  die  'n  somma  eterna  pace 
Vivan  gli  dèi  per  lor  natura  e  lungi 
Stian  dal  governo  delle  cose  umane, 
Scevri  d'ogni  dolor  d'ogni  perifriio, 
Ricchi  sol  di  ior  stessi,  <•  di  leu-  fuori 
Di  nulla  bisognosi,  e  die  né  merlo 
Nostro  gli  alleili  o  c'ilpa  iici^i'nda  ad  tin. 
Giacca  l' umana  vilii  oppressu  e  stani*'! 
Sotto  religion  grave  e  severa, 
Che  mostrando  dal  cìei  l'altcni  capo 
Spaventevole  in  vista  ''  niinncdanle 
Ne  sopraslava.  Un  uom  <I'Atene  il  primo 
Fu,  che  d'erg''rle  inconira  ebbe  ardimento 
Gli  occhi  ancor  die  mortali  e  le  s'oppose 
Questi  non  paventò  nò  ciel  tonante 
Ne  tremoto  die  'l  mondo  empia  d'ornire 
Nò  fama  degli  dèi  nò  fulmin  Iorio: 
Ma,  qual  acciai'  su  dura  alpiua  cole 
Quanto  s'agita  più  tanto  piil  splende, 
Tal  dell'animo  suo  mai  sempre  invitto 
Nelle  diincoltft  crehlie  il  desio 
Di  spezzar  pria  d'ogni  altro  i  saldi  chiostri 
E  l'ampie  porte  di  natura  aprirne. 
Cosi  vins'egli,  e  con  l'eccelsa  mente 
Viirrando  oltre  a'conftn  del  nostro  mondo 
Fu  l>aslanle  a  capir  spazio  infinito. 
Quindi  sicuramente  egli  n'insegna 
Ciò  che  nasea  i)  non  nas  ii.  ed  in  qual  modo 
Ciò  die  i-aechiude  l'univm-so  ia  seno 


Ha  poter  limitato  e"  terrain  cfirLo. 
E,  la  religton  co'  pie  caicala, 
L'alta  vittoria  sua  c'erge  alle  stella. 

Nòcredei-  già  che.  scelerate  ed  l'inpie 
Sian  le  cose  ch'io  parlo:  anzi  sovente 
L'altrui  religìon  ne'  tempi  antichi 
Cose  produsse  scelerate  ed  empie. 
Questa  il  flur  dogli  i-roi  scelti  pei'  duci 
Dell'oste  argiva  in  Aulide  indusse 
Di  Diana  a  niucnhìur  l'ara  innocente 
Col  san^e  il'Ifigèniu;  ullor  che,  tinto 
Di  bianca  liisciu  il  bel  virginou  •riue, 
Vid'ella  H  sé  davanti  in  irnslu  volto 
Il  padre,  e  a  lui  vicini  i  saci'rdoti 
Celar  l'uapi-a  bipenni.',  e  "1  popò!  lultu 
Stillar  piT  gli  ocelli  in  larga  vnna  il  piunti 
Sol  per  pietà  di  lei,  ehe  mula  e  mesta 
Teneva  a  terra  le  ginocchia  incliine. 
Né  giovo  punto  uU'iunoci'nte  e  cusla 
Povera  v{-rginella  in  tempo  tale 
Ch'a  nome  della  patria  il  prence  avesse 
All'esercito  greco  un  re  donato: 
Che  tolta  dalle  man  del  suo  consorte 
Fu  condotta  all'aitar  tutta  tremante; 
Non  perché,  terminato  il  sacritìzio, 
Legala  fbsse  col  soave  nodo 
D'un  illustre  imeneo;  ma  per  cadere 
Nel  tempo  stesso  delle  propriti  nozze 
A' pie  del  genitore  ostia  doh'nte 
Pei"  dar  felice  e  fortunato  evento 
All'armata  navale,  iìrror  si  grave 
Persuader  la  religion  poteti. 

Tu  stesso,  dall'orrihili  minacce 
De' poeti  atterrito,  ai  detti  n<islri 
Di  negar  tenterai  la  Tè  dovuta. 
Ed  oh  ({uanti  potrei  fingerti  anch'io 
Sogni  e  cliimere,  a  sovvertir  liaslanti 
Del  viver  tuo  la  jiace  e  col  li  in  ore 
Il  sereno  turbar  della  tua  mente. 
Ed  a  ragion:  che,  se  prescritto  il  fine 
Vedesse  l'uomo  6dle  miseri''  sue. 
Ben  resister  potrebbe  allo  u 


LIBRO  PRIMO. 

Delle  retigloni  e  de'  poeti: 
Ma  come  mai  resister  può,  a'ei  teme 
Dopo  la  morte  aspri  tormenti  etemi. 
Perché  dell'alma  é  a  lui  l'essenza  ignota! 
S'ella  sia  nata  od  a  chi  nasce  infusa, 
E  se  morendo  il  corpo  anch'ella  muoìaT 
Se  le  tenebre  dense  e  se  le  vaste 
Paludi  vegga  de!  tremendo  inferno, 
O  s'entri  acl  informare  altri  animali 
Per  divino  voler!  Siccome  il  nostro 
Ennio  canU'i,  che  pria  d'ogn'altro  colse 
In  riva  d'Elicona  eterni  allori. 
Onde  introeciosai  una  ghirlanda  al  crine 
Fra  ritalichfì  genti  illustre  e  chiara. 
Bonch'  ei  ne'  dotti  versi  affermi  ancora 
Che  sulle  sponde  d'Acheronte  s'erge 
Un  tempio  sacro  a  gl'infernali  dèi, 
Ove  non  l'alme  o  i  corjii  nostri  stonno 
Ma  certi  simulacri  in  ammirande 
Guise  pallidi  in  volto;  e  quivi  narra 
D'av<T  visto  l'imagine  d'Omero      -— 
Piangere  amurumento  e  di  natura 
Raccontargli  i  segreti  e  le  cagioni. 
Dunque  non  pur  do' più  sublimi  effetti 
Cercar  le  cause  e  dichiarar  conviensi 
Della  luna  e  del  sole  i  movimenti. 
Ma  come  possan  generarsi  in  terra 
Tutte  lo  cose,  e  con  ragion  sagace 
Principalmente  investigar  dell'alma 
E  dell'animo  uman  l'occulta  essenza, 
E  ciò  che  sia  ([uel  che,  vegliando  infermi 
E  sepolti  ni^l  sonno,  in  guisa  n'empie 
D'alto  lerror,  che  di  veder  presente 
Farne  e  d'udir  chi  già  per  morte  in  nude 
Ossa  ò  converso  e  poca  terra  asconde. 

li  so  ben  io  qual  malugevol  opra 
Sia  l'illustrar  do' Greci  in  tòschi  carmi 
L'oscure  inven7ionÌ,  e  quanto  spesso 
Nuove  parole  converrammi  usare, 
Non  per  la  [Mivcrtft  della  mia  lingua 
Ch'aHa  greco  non  cede  e  più  d'ogn' altra 
Piena  i  di  proprie  •  di  leggiadre  voci. 


Ma  per  la  novità  dì  quei  concetti 

Ch'esprimer  tento  e  che  nuU'altro  espreoee. 

Pur  nondimn.n  la  tua  virtude  é  tale 

E  In  BpfTHlit  mio  dolce  conrorto 

nella  noatr" amistà ,  ch'ognor  mi  sproDa 

A  soffrir  vol''nlicri  ogni  fatica 

!■;  m'induce  a  vegliar  le  notti  intere. 

Sol  per  veder  con  (juaL  parole  io  possa 

l'urtare  innaii/,i  alla  tua  mente  un  lume 

Uiul'eila  vpsfi"  "gnì  cagiono  occulta. 

Or  si  vano  liirror,  si  cieche  tenebre 
Schiarir  IjisuRna  e  via  cacciar  dall'animo 
Non  co'be'rai  del  sol,  non  già  co' lucidi 
Dardi  del  giurno  a  saetlar  poc'atàlì 
Fuorchci'  l'omlirn  notturne  o  i  sogni  pallidi, 
Ma  ro  'I  mirar  della  natura  e  intendere 
L'"i'cultp  i-Husn  e  la  velata  imagine. 
Tu ,  s''  di  consi.'yuir  rio  bramì ,  ascollamL 

Sapidi  che  nulla  per  riivin  volere 
l'iiii  lUl  nulla  crearsi:  onde  il  timore 
Clio  i{uiuili  il  <.'or  d'ogni  mortale  ingombra 
Vbiiii  I!  del  lutto;  e,  se  tu  vedi  ognora 
Viii'inarsi  molte  nisiì  ira  terra  e  'n  cielo 
Ni'  il'i'sse  intendi  le  cagioni,  e  pensi 
P'T  ''il*  ''he'nio  le  faccia,  erri  e.  deliri. 
Sia  iluni;u('  mio  principio  il  dimostrarti 
Clic  nulla  mai  si  pii<')  errar  dal  nulla: 
QiiìtuIi  ■i«''"i  m"?lio  intenderemo  il  resto, 
!■■.  .     i-..  ■    -    ■  _■  ■fii'forai  il  tutto 
S'  Il  -      -"i.  Or,  se  dal  nulla 

Nun  Hviiaii  ciuupo;  e  si  vedrian  produrre 
Uomini  ed  animai  nel  sen  dell'acque, 
Nel  grembo  della  terra  uccelli  e  pesci. 
K  no!  vano  dell'aria  armenti  a  greggi: 
IV  lunghi  culli  e  per  gl'inculU  il  parto 
D'ugni  fera  selvaggia  incerto  fftra; 
Né  sempre  ne  ilarian  gl'istessi  fruiti 
Gli  alberi,  me  diversi,  anzi  ciascuno 
D'ogni  specie  a  proriurgli  atto  sarebbe. 
Poii-hó  come  pnlrian  da  certa^adre 
Nasiier  le  cose,  ove  asiegnatì  i  propri 


^ 


Semi  non  tossfr  da  natura  a  tutte? 
Ma  or,  ptTché  rìascuna  é  da  principii 
Corti  creala,  imli  lia  il  natala  ed  race 
Liota  a  goilcrp  i  dolci  rai  del  giunio 
Uv'è  la  sua  materia  e  i  corpi  primi. 
E  quindi  nascer  d'Oi^iiì  »)sa  il  lulto 
Non  può,  perché  fra  loro  alcune  certe 
0>se  han  l'interna  fi«-oltà  distinta. 
In  olire:  oiid'é  che  primavera  udiirna 
Sempre  è  d'erbe  e  di  (lori  che  di  mature 
Biado  Hll'esliVarsui-a  ondeggia  il  campo  If 
E  elio  sol,  ijuando  Febo  occupa  i  segni 
<)  di  libra  o  di  scorpio,  allor  la  vile 
Suda  il  dolco  liquor  elio  inel>riu  i  scnsiT 
Se  non  porelié  a' lor  tetniù  alcuni  certi 
Semi  in  un  concorrendo  alti  a  produrre 
Son  ciò  che  nusco,  allor  che  le  slaffioni 
OpjHirlune  il  ricliieggono,  e  la  terra 
ri  vigor  geiiilal  piena  e  di  succo 
Puole  Bll'Hure  innalzar  sicuramente 
Le  molli  erbette  e  raltn-  cose  tonerei 
Cbe,  se  pur  generale  esser  dal  nulla 
Potessero,  apparir  dovrian  repente 
In  conlmiùe  st^igioni  e  spazio  incerto: 
Non  vi  essendo  alcun  seme  che  impedito 
Dall'union  reciin<la  esser  potosse- 
O  por  ghincrto  o  per  sol  ne' tempi  avversi. 
Nii,  per  cres-er,  le  cose  avrian  ineslii're 
Iti  spH7Ìo  alcuno  in  cui  si  unisca  il  seme, 
S'elle  (lisS'T  del  nulla  atte  a  nutrirsi: 
Ma  nati  appiana  ì  |)argoletti  infanti 
Piverrebboni  ftilnlti.  o  in  un  momento 
Si  veilrebher  le  jiitmle  inverso  il  cielo 
Erger  da  terra  le  nibuste  braccia: 
Il  che  mai  non  succede;  anzi  ogni  cosa 
Cresce,  come  conviensi,  a  poco  a  poi'o, 
E  crescendo  cfmsorva  e  rende  eterna 
La  propria  si>i'i-ie.  Or  tu  conTessa  adunque 
Che  della  sua  materia  e  ilei  suo  seme 
Nasce,  si  nutre  e  divìen  grande  il  tult». 
S'arroge  a  ciò,  che  non  darla  la  terra 
11  dovuto  alimento  ai  lieti  parti, 


*iia^\-'V'.i- 


1 


28  LUCREZIO 

Se  non  cadesse  a  fecondarle  il  seno 

Dal  ciel  Tumida  pioggia,  e  senza  cibo 

Propagar  non  potrebber  gli  animali  270 

La  propria  specie  e  conservar  la  vita. 

Ond'è  ben  verisimile  che  molte 

Cose  molti  fra  lor  corpi  comuni 

Abbian,  come  le  voci  han  gli  elementi, 

Anzi  che  sia  senza  principio  alcuna.  275 

In  somma:  ond'ò  che  non  formò  natura 

Uomini  tanto  grandi  e  si  robusti. 

Che  potesscr  compiè  del  mar  profondo 

Varcar  Tacque  sonanti  e  con  la  mano 

Sveller  dalTimo  lor  Talte  montagne  280 

E  viver  molTotadi  e  molti  secoli t 

Se  non  perchè  prescritta  è  la  materia 

Onde  ogni  cosa  si  produce  et  onde 

Composto  é  ciò  che  nasce?  Or  ecco  dunque 

Che  nulla  mai  si  può  crear  dal  nulla,  285 

Mentre  di  seme  ha  di  mestiere  il  tutto 

Per  uscire  a  goder  Taura  vitale. 

Al  fin:  perchè  veggiamo  i  culti  luoghi 

DegTinculti  più  fertili,  e  per  Topra 

Di  rozze  mani  industrioso  i  loro  21X) 

Frutti  produr  molto  più  vaghi  alTocchio, 

Più  soavi  al  palato  e  di  più  sano 

Nodrimento  allo  stomaco;  e'n'ò  pure 

Chiaro  che  d'ogni  cosa  in  grembo  i  semi 

Stanno  alla  terra  e  che  da  noi  promossi  295 

Sono  a  nuovo  natal,  mentre,  rompendo 

Col  curvo  aratro  e  con  la  vanga  il  suolo, 

Volghiam  sossopra  le  feconde  zolle. 

Domandole  or  col  rastro  or  con  la  marra: 

Che,  se  questo  non  fosse,  ogni  fatica  300 

Sar(»bbe  indarno  sparsa,  e  per  sé  stesso 

Produrrebbe  il  terren  cose  migliori. 

Sappi  oltre  a  ciò  che  si  risolve  il  tutto 
Ne' suoi  principii  e  che  non  può  natura 
Alcuna  cosa  annichilar  giammai.  305 

Che,  se  affatto  mortali  e  di  caduchi 
Semi  fosser  conteste,  all'improvviso 
Tutte  a  gli  occhi  involarne^si  e  perire 
Dovrian  le  cose,  ove  mestier  di  forza 


LIBRO  PRIMO. 

Non  (hra  in  partorii-  discordia  e  lite 
Fra  le  lor  parti  e  l'union  dìsciorne. 
Ma,  perchó  seme  eterno  il  tutto  forma, 
Quindi  ó  ciie  nulla  mai  perii-  si  vede 
Pria  elio  forza  il  percuota  e  nogl'interni 
voti  spazi  penetri  f,  lo  dissolva. 
In  oltre:  cih  clic  lunga  età  corrompe 
Se  s'annichila  in  lutto,  ond'é  che  Venere 
Rimcna  dellu  vitu  al  dolce  lume 
Generalmenti^  ugni  animale?  et  onde 
Cibo  gli  porgft  ia  "ngegnosa  terra 
Onde  si  nutra,  si  conservi  e  croscaT 
Onde  le  fonti,  onde  i  torrenti  e  i  fiumi 
Portan  l'ampio  tributo  al  vasto  mareT 
Onde  alle  fisse,  onde  all'erranti  stelle 
Somministra  alimento  il  ciel  profondo? 
Poiché  già  l'infinita  eth  trascorsa 
Ogni  corpo  mortale  a  pien  dovreljbe 
Col  vorace  suo  dente  aver  distrutto. 
Ma,  se  pur  fu  nella  trascorsa  etade 
Seme  che  basti  a  riprodurre  al  mondo 
Tutto  ciò  clie  perisce,  etemo  ò  certo. 
'SuUa  può  dunque  mai  ridursi  al  nulla. 
In  somma:  a  dissipar  sarìa  bastante 
Tutte  le  coso  una  medesma  forza. 
Se  materia  immorlal  non  te  tenesse 
Più  e  men  collegote:  un  tocco  solo 
Bastevole  cagion  della  lor  morte 
Esser  potriu,  ch'ove  d'eterno  corpo 
Nulla  non  fosse,  ogni  più  leve  impulso 
Sciór  ne  dovrebbe  la  testura  in  tutto. 
Ma,  perchó  vari  de'principiì  sono 
I  nodi  ed  é  la  ior  materia  eterna. 
Salve  restan  le  cose  infìno  a  tanto 
Che  forza  le  percuota  atta  a  disciorre 
Di  ciascuna  di  loro  il  proprio  laccio. 
Nulla  può  dunque  mai  ridursi  a  nulle; 
Ma  ne'  primi  suoi  corpi  il  tutto  piede. 
Tosto  che  finalmente  il  padre  Giove 
Verse  nel  grembo  alla  gran  madre  Idea 
L'nmida  pioggia,  essa  perisce  al  certo: 
Ma  ne  soi'gon  le  biade,  e  se  n'adorna 


meVH^  ''^' 


30  LUCREZIO 


Ogni  albero  di  fior,  di  fpondi  e  fiulli. 

Quindi  si  pasce  poi  l'umano  germe, 

Quindi  ogni  altro  animale.  E  lieta  quindi 

Di  vezzosi  ftmciulli  ogni  cittade  355 

Fiorir  si  mira,  e  le  ft*onzute  selve 

Piene  di  nuovi  innamorati  augelli 

Cantan  soavi  armoniose  note. 

Quindi  pe*  lieti  paschi  i  grassi  armenti 

Posan  le  membra  affaticate  e  statiche,  360 

E  dalle  pieno  mamme  in  bianche  stille 

Gronda  sovente  il  nutritivo  umorv». 

Onde  i  nuovi  lor  parti  e  bri  o  lascivi 

Con  non  brn  fermo  pie  scherzan  per  Terbe. 

Dunque  all'atto  non  muor  ciò  che  ne  sembra  305 

Morir  quaggiù,  se  la  natura  induslre 

Sempre  delTun  l'altro  ristora;  e  mai 

Nascer  non  puole  alcuna  cosa  al  mondo, 

Se  non  se  prima  ne  perisce  un'altra. 

Or;  poi  clie  chiaramente  io  t'  ho  dimostro  370 

Che  nulla  niai  si  può  crear  da  nulla 
Nò  mai  cosa  croata  annichilarsi; 
Acciò  tu  non  pertanto  i  detti  mioi 
Non  creda  error,  perchè  non  puoi  cogli  occhi 
Delle  cose  veder  gli  alti  principii;  375 

Pensa  oltre  a  ciò  ({uant'altri  cx)rpi  sono 
Invisibili  al  mondo,  e  pur  deggiamo 
Confessar  eh' e'  vi  sono  a  viva  l'orza. 

Pria:  se  vento  gagliardo  il  mare  sferza 
Con  incredihil  violenza  ignota,  3ft0 

Le  smisurate  navi  urta  e  fracassa; 
Or  ne  porta  sulTali  atre  tempi  ste. 
Or  via  le  scaccia  e  ne  fe  chiaro  il  giorno; 
Talor  pe'  campi  infuriato  scorre 
Con  turbo  orrendo,  e  le  gran  piante  atterra;         3^ 
Talor  col  soffio  impetuoso  svelle 
Le  selve  annose  in  su  gli  eccelsi  monti: 
Cosi  gorgoglia  TOcean  cruccioso. 
Geme,  freme,  s'infuria  e  '1  ciel  minaccia. 
Son  dunque  i  venti  un  invisibil  corpo,  300 

Che  la  terra  che  '1  mar  che  *1  ciel  profontlo 
Trae  seco  a  forza  e  ne  fa  strage  e  scempio; 
Nò  in  altra  guisa  il  suo  fiiror  distende. 


Limo  PRIMO. 

Che  suol  repente  in  ampio  letlo  ti<:<i,\Ui 
La  mutiR  acqua  cador  gonfia  e  spumante. 
Che  non  pur  ilnlle  Sfive  i  tronchi  busti 
Ma  ne  porUi  sul  doi-so  i  l>nscl)i  interi; 
Né  piln  soffrii-  i  ben  fondati  [lonti 
La  repentina  forza;  il  fiume  al)hatle 
Ogni  ecci'lso  (•difizio  e  sotto  l'acque 
Gran  sassi  avvolf^t.',  onde  ruina  a  terra 
Ciò  ch'ai  rapido  coi-so  ardisce  oppoi'si. 
Cosi  dunque  del  vento  il  soffio  irato. 
Se  qual  torrente  infuriato  sc'orre 
Verso  qualunque  parte,  innanzi  cao.ia 
Ciò  ch'egli  incontra  e  lo  diveglie  i;  schianta; 
Or  con